Supplemento alla III parte

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Articolo 4 - Se un convertito possa ripudiare la moglie non cristiana disposta a convivere senza offesa del Creatore

Pare che un convertito non possa ripudiare la moglie non cristiana disposta a convivere « senza offesa del Creatore » [ Decretales 4,19,8 ].

Infatti:

1. Il legame tra marito e moglie è più stretto di quello esistente tra servo e padrone.

Eppure un servo che si converte non viene sciolto dalla schiavitù, come risulta dalle parole di S. Paolo [ 1 Cor 7,21; 1 Tm 6,1ss ].

Quindi un marito non può ripudiare la moglie che non si converte.

2. Nessuno può pregiudicare i diritti di un altro senza il suo consenso.

Ora, una moglie non cristiana aveva diritto sul corpo del marito non credente.

Se quindi dal fatto che il marito si converte alla fede essa dovesse ricevere un torto, cioè potesse essere ripudiata liberamente, il marito non dovrebbe convertirsi alla fede senza il permesso della moglie: come non può un marito essere ordinato, o fare voto di continenza, senza il consenso della moglie.

3. Se uno, sapendolo, sposa una schiava, sia che sia schiavo sia che sia libero non può ripudiarla per la sua condizione servile.

Quindi, dal momento che quando si sposò con una non cristiana il marito sapeva che essa non era credente, si deve concludere per analogia che non può ripudiarla per la sua incredulità.

4. Un padre ha il dovere di procurare la salvezza dei figli.

Ma se uno abbandonasse la moglie rimasta infedele, i figli resterebbero alla madre, poiché « la prole segue chi la partorisce » [ Cod. 2,32,7 ]: e così la loro salvezza sarebbe in pericolo.

Quindi egli non può ripudiare lecitamente la moglie rimasta nell'incredulità.

5. Un marito adultero non può ripudiare la moglie adultera, neppure dopo aver fatto penitenza del suo adulterio.

Se quindi l'incredulità va paragonata all'adulterio, allora neppure un non credente, dopo essersi convertito, può ripudiare una donna che non crede.

In contrario:

1. C'è la concessione dell'Apostolo [ 1 Cor 7,15 ].

2. L'adulterio spirituale è più grave di quello carnale.

Ma per l'adulterio carnale il marito può separarsi dalla moglie quanto all'abitazione.

A maggior ragione quindi può lasciarla per l'incredulità, che è un adulterio spirituale.

Dimostrazione:

I diritti e i doveri di un uomo sono diversi in generi diversi di vita.

Perciò chi muore alla vita precedente non è più tenuto ai doveri che aveva in essa.

Così chi muore al mondo entrando nella vita religiosa non è tenuto ad adempiere i voti fatti nella vita secolare.

Ora, chi riceve il battesimo viene rigenerato in Cristo e muore alla vita precedente: poiché « la generazione di un essere implica la distruzione di un altro essere » [ Phys. 3,8 ].

Perciò egli viene in tal modo liberato dall'obbligo di rendere alla moglie il debito coniugale, e di convivere con essa, quando costei rifiuta di convertirsi.

Tuttavia in certi casi egli è libero di farlo, secondo le spiegazioni date [ a. prec. ]: come un religioso può adempiere liberamente i voti fatti da secolare, se non sono incompatibili con la propria regola; sebbene non vi sia tenuto, come si è detto.

Analisi delle obiezioni:

1. La condizione servile non ha nulla di incompatibile con la perfezione della vita cristiana, che professa soprattutto l'umiltà.

Invece il vincolo coniugale toglie qualcosa a tale perfezione, poiché i cristiani votati alla continenza sono nello stato più sublime.

Perciò il paragone non regge.

Inoltre un coniuge è legato all'altro non per un legame di possesso, come quello tra padrone e schiavo, ma per un contratto di società; ora, la società tra fedeli e infedeli è sconsigliabile, come dice S. Paolo [ 2 Cor 6,14ss ].

Quindi il caso del coniuge è diverso da quello dello schiavo.

2. La moglie non aveva diritto sul corpo del marito se non durante quella vita in cui essi avevano contratto il matrimonio: poiché, come dice S. Paolo [ Rm 7,2 ], « morto il marito, [ la moglie ] è sciolta dalla legge del marito ».

Se quindi il marito la abbandona dopo aver mutato vita morendo alla vita precedente, non le fa alcun torto.

Invece chi si fa religioso muore solo spiritualmente, ma non corporalmente.

Se quindi il matrimonio è già stato consumato, il marito non può entrare in religione senza il consenso della moglie.

Può farlo però prima del rapporto carnale, quando esiste solo quello spirituale.

Ma chi si fa battezzare, anche corporalmente « viene sepolto con Cristo nella morte » [ Rm 6,4 ].

Quindi non è più tenuto a rendere il debito coniugale, anche dopo che il matrimonio è stato consumato.

Oppure si può rispondere che, rifiutandosi di convertirsi, la moglie subisce una menomazione per colpa propria.

3. La disparità di culto rende una persona del tutto inabile al matrimonio cristiano; non così invece la condizione servile, che [ per essere un impedimento ] deve accoppiarsi all'ignoranza.

Perciò il non credente e lo schiavo non sono nella stessa condizione.

4. La prole o ha raggiunto l'età adulta: e allora può seguire liberamente il padre nella conversione, o la madre nell'incredulità.

Oppure è ancora minorenne: e allora deve essere affidata al coniuge convertito, pur avendo ancora bisogno della madre per la propria educazione.

5. L'adultero con la penitenza non passa a un altro stato di vita, come fa invece l'infedele che si fa battezzare.

Perciò il paragone non regge.

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