Supplemento alla III parte

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Articolo 3 - Se i reprobi possano vedere la divinità senza godimento

Pare che i reprobi possano vedere la divinità senza godimento.

Infatti:

1. È certo che gli empi conosceranno in modo evidentissimo che Cristo è Dio.

Perciò essi vedranno la sua divinità.

E tuttavia non godranno nel vedere Cristo.

Quindi è possibile vedere la divinità senza goderne.

2. La perversa volontà degli empi non è più contraria all'umanità di Cristo di quanto lo sia alla sua divinità.

Ora, per gli empi vedere la gloria dell'umanità sarà una pena, come si è spiegato [ a. 2, ad 4 ].

A più forte ragione dunque essi saranno più rattristati che rallegrati se vedranno la sua divinità.

3. Le cose esistenti nell'affetto non seguono necessariamente quelle esistenti nell'intelligenza.

Infatti S. Agostino [ Enarr. in Ps. 119, serm. 8 ] ha scritto: « L'intelletto precede, mentre l'affetto lo segue o tardo o inesistente ».

Ma la vista spetta all'intelletto e il godimento all'affetto.

Quindi è possibile la vista della divinità senza il godimento.

4. « Ciò che si riceve è ricevuto alla maniera del ricevente » [ De causis 12 ], e non alla maniera di ciò che è ricevuto.

Ora, ciò che è visto, in qualche modo è ricevuto in chi lo vede.

Sebbene quindi la divinità sia in se stessa sommamente dilettevole, tuttavia vista da coloro che sono immersi nel dolore non darà diletto, bensì una maggiore tristezza.

5. Le realtà sensibili stanno ai sensi come le realtà intelligibili all'intelletto.

Ma nelle sensazioni, come nota S. Agostino [ Conf. 7,16.22 ], capita che « per il palato non sano sia disgustoso il pane, che invece è piacevole per quello sano ».

Siccome dunque i dannati hanno l'intelletto indisposto, sembra che la visione della luce increata produca in essi più pena che gioia.

In contrario:

1. Sta scritto [ Gv 17,3 ]: « Questa è la vita eterna, che conoscano te, solo vero Dio »; dalle quali parole risulta che l'essenza della beatitudine consiste nella visione di Dio.

Ma la beatitudine implica il godimento.

Quindi non sarà possibile vedere la divinità senza godimento.

2. L'essenza di Dio è l'essenza della verità.

Ma per chiunque contemplare la verità è un godimento: poiché, come dice Aristotele [ Met. 1,1 ], « tutti gli uomini per natura desiderano conoscere ».

Quindi non si può vedere Dio senza goderne.

3. Se una data visione non è sempre piacevole, capita qualche volta che sia dolorosa.

Ma la visione intellettiva non è mai dolorosa: poiché, come nota il Filosofo [ Topic. 1,13 ], « al piacere dell'intellezione non si contrappone alcuna sofferenza ».

Siccome quindi la divinità non può essere vista che dall'intelletto, sembra che la divinità non sia mai visibile senza godimento.

Dimostrazione:

In ogni cosa appetibile o piacevole possiamo distinguere due elementi: l'oggetto appetibile o piacevole e la ragione dell'appetibilità o del diletto che in esso si trova.

Però, come fa rilevare Boezio [ De hebdom. ], « ciò che è può avere qualche cosa oltre a ciò che esso stesso è; ma l'essere stesso non ammette alcuna aggiunta »: e così, analogamente, ciò che è appetibile o piacevole può sempre avere qualche aspetto per cui non è appetibile o piacevole, ma ciò che costituisce la ragione dell'appetibilità non ha e non può avere nulla per cui non sia piacevole o appetibile.

Le cose dunque che sono piacevoli per una partecipazione della bontà, che è la ragione dell'appetibilità e del diletto, possono essere apprese senza godimento, ma ciò che è buono per la sua essenza è impossibile che sia appreso nella sua essenza senza godimento.

Essendo quindi Dio essenzialmente la stessa bontà, non è possibile vederlo senza godimento.

Analisi delle obiezioni:

1. Gli empi conosceranno con evidenza che Cristo è Dio non perché ne vedranno la divinità, ma per gli indizi evidentissimi della divinità stessa.

2. Vista in se medesima la divinità non può essere odiata da nessuno, come da nessuno può essere presa in odio la stessa bontà.

Si dice tuttavia che alcuni odiano la divinità per certi suoi effetti: ad es. perché compie o comanda cose che sono contrarie alla loro volontà.

Quindi la visione della divinità non può non costituire un godimento.

3. Le parole di S. Agostino si riferiscono ai casi in cui ciò che viene percepito dall'intelletto è una cosa buona per partecipazione e non per essenza, come sono appunto tutte le creature: per cui può trovarsi in esse qualcosa che non muove l'affetto.

E similmente nella vita presente anche Dio è conosciuto dagli effetti, e l'intelletto non raggiunge l'essenza della sua bontà.

Per cui non è necessario che l'affetto segua l'intelligenza, come invece la seguirebbe se ne vedesse l'essenza, che è la stessa bontà.

4. Il dolore, o tristezza, non è una disposizione, ma una passione.

Ora, ogni passione viene eliminata dal sopravvento di una causa più forte, e non è essa invece a eliminarla.

Quindi il dolore dei dannati verrebbe eliminato se essi vedessero Dio per essenza.

5. L'indisposizione dell'organo elimina la proporzione naturale esistente tra l'organo e l'oggetto che per natura gli è gradito: ed è per questo che il piacere viene compromesso.

Ma l'indisposizione che si riscontra nei dannati non elimina la proporzione naturale con la quale essi sono ordinati alla bontà di Dio: poiché in essi rimane per sempre la sua immagine.

Perciò il paragone non regge.

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