La teologia mistica di San Bernardo

Appendice I - Curiositas

Nell'introduzione alla sua traduzione inglese del De gradibus humilitatis et superbiae, Barton R.V. Milis fa osservare che san Bernardo dedica alla descrizione del primo grado dell'orgoglio, la curiosità, lo stesso spazio che dedica a quella degli altri undici gradi; da questo conclude che san Bernardo le attribuisce la massima importanza poiché è il punto di partenza della degradazione dell'anima.1

L'osservazione è giusta e vorrei soltanto precisarla con alcune osservazioni.

Per comprendere la natura esatta della « curiositas » e l'importanza che san Bernardo le attribuisce, bisogna vedere in essa - come appare ai suoi occhi - la negazione stessa dell'ascesi cistercense.

È sufficiente leggere attentamente il testo per convincersene, infatti abbonda di indicazioni significative.

Ritorniamo al punto di partenza.

San Bernardo pone al centro di tutta la preoccupazione per la salvezza tutto ciò che le si riferisce è necessario, tutto ciò che non le si riferisce è vano.

Ora, se è vero che la preoccupazione per la salvezza degli altri è un dovere imperioso per il cristiano, è altrettanto vero che non possiamo salvare gli altri se essi non salvano se stessi e che nessuno può salvarci se prima non salviamo noi stessi.

Ognuno deve quindi cercare innanzitutto di assicurare la propria salvezza ( Cons I, 5, 6, III, 309-401 ).

Partiamo allora da qui: della conquista delle anime, come di quella di ogni altra cosa, è vero dire con san Matteo ( Mt 16,26 ): « Quid enim prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? ».

Testo che san Bernardo traspone, non senza audacia, nel modo seguente: « Alioquin quid tibi prodest, iuxta verbum Domini, si universos lucreris, tè unum perdens? » ( Cons I, 5, 6, III, 400, 5-6 ).

Escludere se stesso dalla propria carità, poiché si è uomini, è carità mal compresa.

Escludere se stesso dal beneficio della propria sapienza è mancare di sapienza: « Et si sapiens sis, deest tibi ad sapientiam, si tibi non fueris » ( Cons II, 3, 6, III, 414, 13-14 ).

Cosa manca allora alla nostra sapienza? Tutto.

« Quantum vero? Ut quidem senserim ego, totum ».

Sarà quindi inutile conoscere tutte le cose nascoste, tutto quanto vi è sulla faccia della terra e nelle profondità del cielo; se non conosciamo noi stessi avremo costruito senza fondamenta, sarà solo un mucchio di polvere che sarà portato via dal primo vento.

Torniamo quindi, dopo questa parentesi, alla conoscenza di sé, a quel nasce teipsum cristiano al di fuori del quale non vi è salvezza: « A te proinde incipiat tua consideratio; non solum autem, et in te finiatur ».

Da qualunque parte essa evada, si troverà sempre beneficio per la salvezza nel ricondurla a sé.

« Tu primus tibi, tu ultimus ».

Bisogna che, come il Verbo procede dal Padre e ritorna a lui, il nostro Verbo ritorni a noi, lui che è la nostra « consideratio », proceda da noi senza separarsi da noi: « Sic progrediatur, ut non egrediatur; sic exeat, ut non deserat ».

Non bisogna quindi assolutamente pensare nulla, non solo contro, ma neppure al di fuori della nostra salvezza: « In acquisitione salutis nemo tibi germanior unico matris tuae.

Centra salutem propriam cogites nihil. Minus dixi: contro; praeter dixisse debueram ».

E san Bernardo conclude: « Qualunque cosa si offra alla tua considerazione » se non si riferisce in qualche modo alla sua salvezza, bisogna rifiutarla » ( Cons II, 3,6, III, 415, 3-4 ).

Prendere in considerazione una conoscenza qualsiasi, che non sia la conoscenza di sé in vista della salvezza, è esattamente la curiosità.

Quindi se san Bernardo concede a questo primo grado dell'orgoglio tanto spazio quanto agli altri undici, è perché, come il nosce telpsum genera tutti gli altri gradi dell'umiltà sino ai più alti, la curiositas genera tutti gli altri gradi dell'orgoglio sino ai più bassi.

Ci troviamo, di fronte a questi due metodi, come davanti alla biforcazione iniziale di due strade, una delle quali conduce alla salvezza attraverso la conoscenza di sé, l'altra alla perdizione a causa della curiosità.

È quindi in questo senso che bisogna leggere il testo in cui san Bernardo descrive la curiositas.

Qual è la malattia che l'anima del monaco curioso ha appena contratto?

È quella che la rende: « dum a sui circumspectione torpescit incuria sui, curiosam in alios » ( Hum X, 28, III, 38, 8 ).

Le capita allora quanto indica il Cantico dei Cantici ( Ct 1,7 ): « Quia enim seipsam ignorai, foras mittitur, ut haedos pascal ».

Essa pasce quindi i propri capretti - gli occhi e le orecchie - con tutto ciò che all'esterno le interessa: « In bis ergo pascendis se occupai curiosus, dum scire non curat qualem se reliquerit intus » ( Hum x, 28, III, 38, 11-13 ).

Ciò che quindi bisogna conoscere è se stesso: « Dove quindi, curioso, ti allontani da tè stesso?

A chi ti confidi nell'attesa? Come osi alzare gli occhi al ciclo, tu che hai peccato contro il cielo?

Guarda la terra, perché tu possa conoscere tè stesso; essa mostrerà tè a tè stesso, perché tu sei terra ed è nella terra che tu ritornerai ».

San Bernardo si pone quindi qui sul terreno del nosce teipsum degli antichi.

Come il mosaico romano, trovato sulla via Appia, che abbiamo riprodotto all'inizio di questo libro2 per ricordare le strette relazioni che uniscono il pensiero cristiano al pensiero antico, così l'ascesi di san Bernardo prescrive ai mortali di ricordarsi che sono mortali.

Ma bisognerebbe trovare, per creare una simmetria con il primo, un altro mosaico, questa volta cristiano, dove si veda elevarsi dal nosce teipsum, al di sopra dell'uomo terreno, l'uomo celeste rinnovato a immagine di Dio.

Indice

1 Barton R.V. Milis, Suini Bernard. Thè Twelve Degrees of Humility and Pride, Society for promoting Christian Knowledge, London 1929, p. XIV
2 Nella prima edizione francese, (ndf)