La teologia mistica di San Bernardo

Appendice IV - San Bernardo e l'amore cortese

È difficile studiare san Bernardo senza porsi almeno alcuni dei numerosi problemi relativi al suo influsso letterario.

Qui se ne considererà uno solo: la sua mistica ha influito sull'amore cortese?

Dal punto di vista cronologico i due movimenti sono quasi contemporanei.

Friedrich Diez fa risalire l'inizio dell'arte dei trovatori attorno al 1090 e Joseph Anglade ritiene che il suo periodo più fiorente si collochi verso la fine del XII secolo.

Si può quindi ammettere che l'opera di san Bernardo si collochi all'inizio del suo periodo più brillante, ma un po' dopo gli inizi.

Quanto alla poesia dei trovieri, essa offre all'amore cortese la propria espressione definitiva solo nella seconda metà del XII secolo e nel corso del XIII.

Non si può quindi ammettere che san Bernardo abbia contribuito alla nascita della poesia cortese, ma può averne influenzato lo sviluppo.

Il problema che si pone è quindi semplicemente di sapere se questa possibilità si è di fatto realizzata.1

Non abbiamo la competenza richiesta per trattare un simile argomento ex professo; ci manca soprattutto una conoscenza approfondita della letteratura cortese.

Nelle pagine che seguono si troveranno quindi solo le osservazioni di un lettore, cui è familiare l'opera di san Bernardo, che reagisce al contatto con i poeti cortesi che ha avuto occasione di leggere.

Gli specialisti avranno forse ragione di contestare queste osservazioni in nome di altri testimoni che l'autore di queste osservazioni non ha preso in considerazione.

Forse non è vietato all'indoctus che si avventura su questo terreno scivoloso prendere, sin dall'inizio, qualche precauzione difensiva.

Le discussioni relative all'amore cortese sono talvolta condotte con i metodi più discutibili.

Si direbbe che, dai primi trovatori a Dante, gli autori e i testi siano intercambiabili.

In realtà non lo sono.

Dante, che sceglierà san Bernardo come la guida suprema verso l'estasi, è evidentemente sotto l'influsso della sua dottrina.

Nulla di meglio che dimostrarlo, ma il fatto che la sua arte sia la massima espressione di quella dei trovatori non autorizza a sostenere che le sue idee siano lo sviluppo delle loro idee.

Risalire dai suoi testi ai loro, supporre che, poiché egli li prolunga poeticamente, li prolunghi anche dottrinalmente, è una petitio principii assolutamente non giustificata.

Quindi lascerei Dante completamente al di fuori della discussione per limitarmi ai trovatori e ai trovieri propriamente detti.

Accetterei invece la testimonianza di Andrea il Cappellano perché, se questo teorico ha inserito nel proprio trattato molti più scolastici e mistici che poeti, è tuttavia la loro concezione dell'amore che desidera codificare.

Un secondo equivoco, ormai quasi inevitabile, deve essere riconosciuto come tale.

Quando si parla di mistica cistercense, si sa di cosa si parla: in san Bernardo vi è una sola dottrina dell'amore, quella dell'amore divino.

Ma cos'è l' « amore cortese »?

In senso stretto è l'amore come è stato concepito nelle corti, così come la filosofia scolastica è quella che è stata elaborata nelle scuole.

Questa concezione dell'amore è lontana dall'essere unica; varia da poeta a poeta e, secondo gli umori, nello stesso poeta.

In linea di principio, tutto quanto questi poeti hanno scritto per le corti dovrebbe entrare nella definizione dell'amore cortese; di fatto, gli storici operano delle scelte, eliminando le grossolanità troppo pesanti di alcuni poeti o di certe opere e costruiscono così, selezionando, il tipo ideale di una cortesia cavalleresca i cui elementi sono riferiti alla realtà storica, ma che, nei loro libri, si presentano in modo ben diverso rispetto alla storia.

Il metodo è pericoloso perché rischia di falsare il senso degli elementi che prende in considerazione, separandoli dal resto.

Ciò appare chiaramente dagli argomenti che gli storici si oppongono.

Uno prova il « disinteresse » dei trovatori; l'altro cita all'opposto un trovatore i cui appetiti sono di natura molto materiale; la risposta sarà che questo trovatore non è un testimone dell'amore cortese.

Nell'opera di un poeta che passa per aver cantato l'amore cortese, se si citano testi di estremo realismo, saranno rifiutati nello stesso modo: in quel momento il poeta non cantava l'amore cortese.

E se è nella stessa opera? Cambiamento d'umore, si dirà; la dottrina ideale resta salva.

Lo rimarrà sempre, grazie a questi procedimenti.2

È vero, ma così la si riduce allo stato di astrazione.

La verità è che bisognerebbe procedere con monografie sulle scuole e anche sui poeti, individuare le idee di ognuno di essi e riproporre una definizione dell'amore cortese al termine di questa ricerca, invece di porla, già elaborata, all'inizio e di scegliere nella storia i testi che la giustificano.

Non siamo ancora arrivati a queste ricerche; nell'attesa si può almeno non impedirsi di chiarire i testi in base a tutti i contesti; il guadagno sarà almeno quello di non considerare come effusioni di asceti, quelle di un bontempone come Thibaut de Champagne, la cui obesità sarebbe stata il principale ostacolo che avrebbe dovuto superare per elevarsi all'amore perfetto.

I. La mistica cistercense e l'amore cortese: l'ipotesi della filiazione

1. Oggetto dell'amore

Non si può esitare sull'oggetto e la natura dell'amore mistico così come è concepito da san Bernardo: è un amore spirituale, in opposizione a ogni amore carnale.

La sua dottrina è, su questo punto, di una tale intransigenza da non consentire alcun dubbio.

In un certo senso costituisce tutta la sua dottrina: l'amore carnale è qualcosa che deve essere estirpato là dove nasce, dalla concupiscenza, e che, anche nell'ordine spirituale, deve essere superato.

Esiste su questo punto una illusione abbastanza diffusa che attribuisce ai trovatori e ai trovieri un atteggiamento dello stesso tipo.

Ciò ha suggerito l'ipotesi di un influsso dell'amore mistico sull'amore cortese.

In realtà, per cominciare dal più evidente, l'amore cortese è una concezione « mondana » dell'amore.

Si rivolge alle creature e, se fosse veramente una divinizzazione della donna, apparirebbe agli occhi di un cistercense una caricatura dell'amore divino, la più orribile deformazione dell'amore sacro, in breve, un sacrilegio.

Thibaut de Champagne sarebbe arrivato sin qui, se si dovessero prendere alla lettera alcune sue espressioni: Si me vaudroit melz un ris De vous qu'autre paradis ( Wallenskold, p. 71, 53-54 ).

Penso che Bernardo non avrebbe tollerato tali scherzi; anche tenendo conto della licenza poetica, ci troviamo qui chiaramente agli antipodi dell'amore cistercense.3

Questa divinizzazione della donna rivela forse un influsso contrario, una sorta di inversione dell'amore mistico che tornerebbe dal Creatore alla creatura?

Potrebbe essere, ma quali differenze nel modo in cui i cistercensi e i poeti cortesi amano l'oggetto dei loro desideri!

Talvolta si immagina l'amore cortese come un amore puramente spirituale e, nel senso comune del termine, platonico.

Se la cosa potesse essere dimostrata, sarebbe di estrema importanza.

Saremmo allora in diritto di supporre che nel contatto con l'amore mistico, questi poeti arriverebbero ad amare nella donna solo la sua anima, cioè la sua intelligenza e la sua virtù; che, se hanno celebrato la sua bellezza, lo hanno fatto nel modo in cui Platone voleva che essa fosse amata: come simbolo e segno di una bellezza puramente intelligibile, morale, spirituale.

A dire il vero, questa rappresentazione popolare dell'amore cortese non è mai stata accettata senza riserve da coloro che ne hanno studiato l'espressione nei testi; e poiché ha difficoltà a imporsi, bisogna dire chiaramente che nulla la giustifica.

È un punto spiacevole sul quale mi scuso di dover insistere.

Nel capitolo IV del suo libro su Les Troubadours, in cui studia La doctrine de l'amour courtois, Joseph Anglade ci mostra dei poeti estremamente discreti: « Non è che fossero molto esigenti in amore; si accontentavano di poco, almeno così affermano.

La maggior parte chiede alla propria dama di accettarlo come servitore, niente di più, di accettare i suoi omaggi poetici » ( p. 82 ).

Forse era così quando la dama era assolutamente inaccessibile a causa del proprio rango o di altre circostanze, ma il poeta cortese, come il poeta di ogni epoca, si accontenta di questo solo in mancanza di meglio.

Ama senza ricompensa finché non può fare diversamente.

Il ciclo dei sentimenti che provano questi innamorati è quello di tutti i poeti.

La dama è virtuosa, ha quindi ragione di farsi desiderare; ma se fa attendere troppo a lungo il cuore che l'ama, ella diviene crudele, incapace di provare il sentimento dell'amore; allora cede; per qualche tempo viene circondata da un'infinita riconoscenza che si esprime in lodi nelle quali il lirismo non conosce alcun limite; ma perde tutte le proprie virtù il giorno in cui il poeta, disincantato, si accorge che ella concede, senza scrupoli, a « cento altri » ciò che gli ha fatto attendere per così lungo tempo come se fosse stato il favore più raro.

In tutto ciò non vi è nulla che non sia semplicemente umano e supponga il minimo sforzo verso una spiritualizzazione dell'oggetto amato.

La dama è un essere reale, di carne ed ossa, e il massimo che si possa dire in favore dei poeti cortesi, a questo riguardo, è che essi non hanno ignorato l'arte, così utile ai comuni mortali, di fare di necessità virtù.

Se è necessario arrivare alle ultime precisazioni in una materia così delicata, ricorderei anzitutto la grossolanità di questi poemi.

Parlando di Marcabrun, Anglade scrive che nella sua opera vi sono satire contro l'amore « di una crudezza intraducibile » ( p. 103 ).

Notiamo, di passaggio e prima di ritornarvi, che nei cistercensi non si troveranno mai satire contro l'amore divino; e, quanto alla crudezza, essa non ha mai smesso di farsi posto in questo genere di poesia.

Contemporanea al Conte di Poitiers, essa persiste sino nel pieno del XIII secolo.

Il trovatore Jausbert de Puycibot si esprime in termini tali che il suo traduttore è obbligato, in più punti, a far ricorso ad artifici.

Ma il testo in sé non è molto chiaro.4

Molti trovieri seguono, su questo aspetto, questi trovatori.

Tra le opere di Thibaut de Champagne5 vi sono alcuni versi che non sapremmo né citare, né tradurre ( ed. Wallenskóld, p. 149, v. 23-28 ), ma se si vuole conoscere cosa pensa, in alcuni momenti, della cortesia e del suo valore, si meditino questi versi: Baudoyn, assez trueve l'en / Vieilles plus laides que nuns chiens / Qui on cortoisie et gran sen, / Mais au touchier ne valent riens ( p. 125, 33-36 ).

Qui è Thibaut stesso che parla; si vede quindi che quando deve scegliere tra la cortesia e le realtà palpabili dell'amore, non esita un istante.

Notiamo, di passaggio, l'influsso delle idee ricevute sulla paleografia.

Di fronte a questo testo Alfred Jeanroy aveva letto freddamente: « Mais au couchier ne valent riens ».6

Esitando davanti a questo termine che gli sembra « grossolano » e « fuori posto in questo punto », Axel Gabriel Wallenskold fa osservare che la differenza tra una e e una t è così piccola in un manoscritto che nulla impedisce di preferire la sua lettura.

Ne prendiamo atto; ma, pur terminando con queste discussioni paleografiche, si concorderà che, dal punto di vista dell'amore spirituale di san Bernardo, la differenza tra touchier ( toccare ) e couchier ( andare a letto ) non è molto più considerevole di quella tra una e e una t per gli occhi esperti del paleografo.

Come la paleografia, anche la morale ha le proprie sottigliezze, ma non bisogna vederle dove non ve ne sono.

Chiudiamo il capitolo delle grossolanità; esse non offrirebbero alcun interesse se non aiutassero a precisare alcuni testi che gli storici della letteratura sembrano aver letto dimenticando alcuni tratti permanenti della natura umana, e questo a loro onore, ma nondimeno indica una di quelle piccole deformazioni professionali alle quali siamo tutti esposti.

È difficile credere che i molti passi nei quali i poeti cortesi dichiarano che la vista della loro dama o, al massimo, un bacio basta loro, non debbano essere spesso letti secondo la regola medievale: minus dicens et plus volens intelligi.7

Il carattere « disinteressato » dell'amore cortese è stato molto esagerato.

Sicuramente l'amore non « guerredonne » ( ricompensa ) sempre, ma Thibaut preferirebbe che ricompensasse più spesso: S'amor vosist guerredoner autant / Come elle puet, mult fust ses nons a droit, / Mès el ne veut, dont j'ai le cuer dolent ( 92; 16-18 ).

Naie paine, qui guerredon atent; / C'est aese, qui bien le set entendre ( 46; 17-18 ).

Come lo interpreteremo? Ci vuole molta buona volontà per lasciarsi ingannare: S'a ce je puis venir / Qu'aie, sans repentir, / Ma joie et mon plesir / De li, qu'ai tant amee, / Lors diront, sanz mentir, / Qu'avrai tout mon desir / Et ma queste achevee ( 50; 38-44 ).

Desideriamo altre precisazioni?

La mitologia e la leggenda medievale vengono in nostro aiuto: Pleiist a Dieu, pour ma dolor garir, Qu'el fu Tisbé, car je sui Piramus;

Mès je voi bien ce ne puet avenir; / Ensi morrai que ja n'en avrai plus ( 69; 11-14 ).

Douce dame, s'il vos plesoit un soir M'avriez vos plus de joie doné C'onques Tristans, qui en fist son pouoir N'en pust avoir nul jor de son aé ( 80; 32-35 ).

A meno di rivedere seriamente le nostre idee sull'amore di Isotta e Tristano, non possiamo avere dubbi sulla natura autentica dei sentimenti dai quali Thibaut è animato.

In altre occasioni si spiega così chiaramente che non potrebbe esistere alcuna esitazione: Par maintes foiz l'ai sentie / En dormant tout a loisir, / Mès quant pechiez et envie / M'esveilloit et que tenir / La cuidoie a mon plesir / Et eie n'i estoit mie, / Lors ploroie durement / Et melz vousisse en dormant 7 Li tenir toute ma vie ( 118; 28-36 ).

Le invocazioni a Dio, quando ve ne sono, non hanno affatto lo scopo di attirarsi le « visite » del Verbo, ma qualcosa di più prosaico e dal quale Bernardo non sarebbe certamente stato edificato: Mais je l'aim plus que nule riens vivant, Si me doint Deus son gent cors embracier ( 10; 19-20 ).

La situazione è chiara: per una poesia di questo genere Bernardo avrebbe provato solo orrore.

Il culto della sensualità, l'apoteosi della cupidigia, è esattamente ciò contro cui egli ha condotto una lotta spietata e non è nella poesia cortese che si può cercare la testimonianza del suo successo.8

2. Natura dell'amore

Resta tuttavia da domandarsi se la concezione cortese dell'amore, sebbene orientata in senso inverso alla concezione cistercense, non si sia modellata su di essa, almeno in alcuni punti.

Una parodia è una imitazione e attesta il successo dell'originale.

L'amore cortese attesta in questo modo il successo della mistica cistercense?

Per rispondere a una domanda di questo genere, bisogna innanzitutto diffidare delle similitudini apparenti e arrivare al grado di precisione voluto.

Eugène Anitchkof, nel suo volume su Gioachino da Fiore ( Roma, 1931 ), non esita a parlare della « filiazione di idee e di sentimenti che lega l'amore mistico di san Bernardo all'amore cortese » ( p. 105 ).

È una formula molto ardita, se non accompagnata da solide prove.

Ricordare, con san Bernardo, che in un essere nato dalla concupiscenza l'amore è inizialmente carnale, non dimostra nulla, poiché l'amore cortese è l'espressione poetica della concupiscenza, mentre è proprio ciò che san Bernardo si propone di eliminare.

Significa quindi dimostrare una filiazione con una opposizione fondamentale.

Quanto a ciò che Anitchkof considera come l'essenziale: il fatto che nelle due dottrine l'amore abbia dei gradi, difficilmente sembra più probante.

Giraut de Calanson ha ammesso che l'amore ha tre gradi e, ci viene detto, nessuno vi presta attenzione; che scandalo!

Ma prima abbiamo visto che Bernardo ammette che l'amore ha quattro gradi,9 ecco quindi che cade la prova.

Perché se l'accordo su tre gradi avrebbe dimostrato una dipendenza dell'uno dall'altro, il fatto che uno ne indichi tre e l'altro quattro deve dimostrare il contrario.

Ma procediamo oltre: pur ammettendo che si intendano sul numero dei gradi, di quali gradi si tratta?

In un caso dell'amore sacro, nell'altro dell'amore profano, di cui il primo ne è la negazione radicale.

Se almeno i gradi dell'uno corrispondessero a quelli dell'altro!

Ma non è così; questi gradi hanno non solo dei significati opposti, non sono neppure gli stessi; in nessun luogo, sino ad ora, è stata ritrovata in un poeta cortese la classificazione dei gradi dell'amore in servo, mercenario, filiale, nuziale; tuttavia bisognerebbe ritrovarla, o almeno ritrovare qualcosa di simile, perché il parallelismo dei gradi potesse sostenere l'ipotesi di una filiazione dottrinale così come abbiamo visto affermare.

Anitchkof ha avvertito la difficoltà.

All'obiezione che san Bemardo ha parlato esclusivamente dell'amore verso Dio, egli risponde con una magnifica sicurezza: « I trovatori hanno quindi trasformato alcune concezioni teologiche in idee letterarie » ( p. 107 ).

La cosa in sé non ha nulla di impossibile, e noi pensiamo anche che la dottrina di san Bernardo sia stata utilizzata da scrittori profani, ma si tratta di sapere se lo è stata anche dai trovatori.

Per dimostrarlo bisognerebbe stabilire che la concezione cortese dell'amore è una interpretazione sensuale della concezione mistica dell'amore sviluppata da san Bernardo.

Avremo sempre a nostra disposizione tanti sofismi quanti ne vorremo per giustificare una simile tesi, ma essa resterà un sofisma, e per una ragione molto semplice: essendo l'amore mistico la negazione dell'amore carnale, non ci si può servire della descrizione dell'uno per descrivere l'altro; non basta dire che non hanno il medesimo oggetto, bisogna aggiungere che non possono avere la medesima natura proprio perché non hanno il medesimo oggetto.

Non si tratta qui di torturare i testi per far dire loro ciò che vogliamo, ma di attenersi ad alcune idee molto semplici che guidano l'interpretazione di questi testi.

Ciò che più di ogni altra cosa ha contribuito a mantenere un certo equivoco sul carattere dell'amore cortese, è il fatto che trovieri e trovatori dichiarano che preferiscono amare senza ricompensa e soffrire, piuttosto che liberarsi della propria sofferenza liberandosi del proprio amore.

Nulla di più vero; ma questo cosa dimostra?

Ascoltiamo ancora Thibaut de Champagne: De touz maus n'est nus plesanz Fors seulement cil d'amer ( 4; 1-2 ).

Qui plus aime plus endure, Plus a mestier de confort, Qu'Amors est de tei nature Que son ami maine a mort; Puis en a joie et deport, S'il est de bonne aventure ( 117; 1-5 ).

Cosa significano questi lamenti? Che l'amore è un male che vale la pena sopportare, soprattutto se si ha la fortuna di trovare la sua ricompensa; alla fine però è un male.

Il più piacevole dei mali, il più benefico di tutti i mali, un male che rende colui che ne soffre superiore a coloro che non ne soffrono, ma ancora un male; è il famoso « mal d'amore » caro ai romanzi sentimentali di ogni epoca.

È un male perché se ne soffre e se ne soffre perché non sempre è ricompensato.

Quindi, si dirà, dal momento che persiste è disinteressato.

Forse, ma all'inizio lo è solo sino a un certo punto.

Quando la speranza se ne è completamente andata, Thibaut de Champagne inizia a fare dei progetti per liberarsi da questo male così piacevole:

Si je de li me poìsse partir, / Melz me venist qu'estre sires de Frances ( 65; 11-12 ).

Non si è mai sentito san Bernardo augurarsi di essere liberato dall'amore di Dio.

Questa non è una battuta, ma si tratta del merito del problema, perché in questo caso si vede chiaramente la contraddizione della natura dei due amori.

L'amore cortese, diciamo noi, è un male perché può essere non ricompensato.10

Consideriamo questa espressione nel suo senso più immediato, intendiamo con ciò, anche se in modo puramente spirituale, che può non essere ricambiato ( perché il sentimento può sussistere senza il resto e il resto senza il sentimento ), questo è sufficiente a far sì che l'amore cortese si distingua radicalmente da quello mistico, che si distingua e vi si opponga come l'amore umano all'amore divino.

È proprio questa sofferenza che Bernardo non vuole e da cui ci insegna a liberarci.

Gli uomini soffrono perché amano senza essere amati; amate quindi Dio e non saprete mai cos'è un amore non ricambiato; perché, non dimentichiamolo, egli ci ha amato per primo: ipse prior dilexit nos!

Questo è il vero amore, non il lamento desolato di un'anima che langue nella solitudine, ma la gioia di due volontà che sanno di essere unite nell'intenzione e nel desiderio.

Questo amore non è mai deluso e Thibaut lo sa bene, egli che in un momento di abbattimento scriveva: Or me gart Deus et d'amor et d'amer / Fors de Celi, cui on doit aourer, / Ou on ne peut faillir a grant soudee ( 29; 41-43 ).

In questi tre versi si ritrovano i principi dell'amore cistercense, ma essi sono anche il rinnegamento dell'amore cortese e l'affermazione della sua costitutiva vanità; se esiste una filiazione della poesia dei trovieri da san Bernardo, essa si riduce a questo: forse egli ha ispirato loro qualche velleità passeggera di rinunciarvi.

Procediamo oltre; resteremmo ancora alla superficie del problema, se ci accontentassimo di affermare che l'amore divino comporta sempre la propria « grant soudee », cioè la propria grande ricompensa.

È proprio la natura stessa dell'amore che è in gioco.

È concepibile un amore non ricambiato? San Bernardo e tutti i mistici cristiani risponderanno no.

L'amore è del genere dell'amicizia e l'amicizia implica per essenza una reciproca benevolenza; non si è amici di qualcuno che non è nostro amico; non si può che desiderare la sua amicizia, e ciò non significa possederla.

Lo stesso vale per l'amore.

Quello che i poeti cortesi designano con questo nome, agli occhi dei mistici cristiani non è che il desiderio; per trasporre in linguaggio mistico ciò che essi dicono, bisognerebbe esprimersi così: io desidero con un desiderio che non è ricambiato, quindi non solo non sono amato, ma neppure io amo, poiché ogni amore è reciproco per definizione.

Si vede quanto è grande il nostro errore quando stabiliamo facili equazioni tra formule che, esteriormente, si assomigliano, ma si contraddicono interiormente.

Anche l'aridità del mistico può paragonarsi all'abbandono del poeta cortese.

Anche il mistico desidera, ma si rende conto che se soffre per il proprio amore come per una ferita, non è perché non è amato, né perché ama, ma perché non ricambia ancora in modo sufficiente amore con amore.

Il problema non è mai, per i cristiani, di farsi amare da un Dio che li ha creati con amore e riscattati col proprio sangue, ma di amarlo essi stessi, così da trovarsi uniti a lui che è la beatitudine: Quidni ametur Amori

Questa opposizione fondamentale appare con evidenza in un aspetto che non è stato osservato a sufficienza.

L'amore cortese, non essendo mai sicuro di essere ricambiato, è spesso in preda al timore.

La paura è una parola che Thibaut de Champagne conosce bene e che usa con cognizione di causa: Et la poors est dedenz moi entree ( 64; 37 ).

Segno certo che siamo in un ordine completamente estraneo a quello della mistica cistercense, poiché l'amore non introduce mai il timore, soprattutto quello di non esser ricambiati; lo scaccia, secondo la promessa di san Giovanni che san Bernardo ha così spesso e così a lungo meditato: Caritas mìttit foras timorem.

La carità, cioè l'amore vero, non il desiderio di ciò che non è Dio e che è sempre accompagnato dalla paura, perché orientato verso falsi beni, i quali prima o poi ci deluderanno.11

Per ricondurre all'essenziale questa opposizione fondamentale, si può dire che la parola amore non ha lo stesso significato nei due sistemi.

Poiché si confonde con il desiderio, l'amore cortese può illudersi di essere disinteressato poiché ha la forza di durare finché la ricompensa o la stanchezza lo conducono al suo termine.

Supponiamo pure, cosa rara se non in poesia, che si fissi su un solo oggetto e duri tutta una vita, sarà sempre e soltanto un desiderio senza speranza o un desiderio rassegnato.

Il cristiano non si trova mai in questa situazione.

Dio ci ha preceduti; ci ama e vuole il nostro amore solo per la nostra beatitudine; il desiderio è quindi rendergli amore per amore, è amare veramente ed è amare la beatitudine.

Amore, come afferma san Bernardo, allo stesso tempo disinteressato e ricompensato.

È per questo che il Cistercense può leggere in - tutta tranquillità le canzoni di Thibaut de Champagne; esse gli dimostrano una cosa che sa già: tra il poeta e lui, è lui solo che sa amare; ha scelto la parte migliore.

Così l'amore cortese, per conservargli il nome tradizionale, è costretto ad accontentarsi di meno cose, rispetto all'amore mistico; vive e resiste senza raggiungere il proprio fine, mentre la carità è, per definizione, il possesso del proprio oggetto: vacua esse non potest.

Rimane un solo punto sul quale si potrebbero avvicinare le due concezioni dell'amore, ed è forse ciò che si vuol dire qualificandole entrambe, anche se con diverosi significati, disinteressate.

Anche ricompensato, l'amore cortese si distingue dalla propria ricompensa; non è la gioia che lo corona; cogliendola come un frutto d'amore, non la confonde con l'amore stesso.

Allo stesso modo san Bernardo afferma che amare il Padre per l'eredità che se ne attende, per quanto legittimo, è ancora amare l'eredità del Padre, non il Padre.

Questo è vero, ma bisogna sempre ritornare ad alcune considerazioni fondamentali.

Per il cristiano, in realtà, il problema non si pone.

Cosa c'è di più assurdo che essere uniti nell'amore alla Beatitudine e non essere felici?

Le si è uniti per il fatto stesso che la si ama.

Un discepolo di san Bernardo non può domandarsi se gli è possibile volere la Beatitudine senza voler essere felice.

Non può neppure domandarsi se può volerla senza la felicità che dona, poiché essa è la felicità.

Il problema può avere un senso in un caso diverso, ma non in questo.

Per meglio vederne la differenza, osserviamo ancora una volta ciascuno di questi amori dal punto di vista dell'altro.

Visto da un poeta cortese è l'amore cistercense che è fortemente sospetto di non essere disinteressato; perché, se lo è, come può saperlo?

Le sue perseveranze, anche attraverso le sue aridità, non dimostrano nulla; che merito c'è nel perseverare verso un termine, quando si è certi di raggiungerlo?

Ma se si considera l'amore cortese osservandolo dal punto di vista cistercense, la sua posizione non è più soddisfacente. « Cosa vuole? - domanderebbe san Bernardo al poeta -.

Un amore che sia privato della propria ricompensa per essere sicuro del suo disinteresse?

È una contraddizione in termini, poiché l'amore è la ricompensa a se stesso.

Ciò che la inganna è l'abitudine che ha acquisito di desiderare le creature, poiché, considerando amore ciò che non è che concupiscenza, lei da al suo desiderio il nome di amore, e poiché è inevitabilmente frustrato, lei conclude che fa a meno della ricompensa.

Ma se fosse amore, non potrebbe farne a meno, perché sarebbe la sua stessa ricompensa.

Rimproverare all'amore di non poter essere senza ricompensa, significa rimproverargli di non essere la concupiscenza, ma l'amore ».

Il dialogo potrebbe durare a lungo, poiché i due interlocutori non parlano la stessa lingua; potrebbero mettersi d'accordo solo se uno dei due tentasse l'altro al punto di condurlo a soddisfarsi del desiderio umano, o ad abiurarlo completamente per dedicarsi alla ricerca dell'amore divino.

Sembra chiaro, in ogni caso, che i due sistemi si escludono a vicenda e che ogni comunicazione tra i due è difficilmente concepibile.

Non potrebbe esservi rapporto di filiazione tra due concezioni dell'amore nelle quali il nome stesso dell'amore assume significati contraddittori; non si può passare dall'amore cistercense all'amore cortese se non con un'apostasia, o dall'amore cortese all'amore cistercense se non con un'abiura: dopo Lancillotto, Galaad.

In conclusione, cosa resta in comune alle due dottrine?

Il fatto che in entrambe l'amore beatificante si rivolge all'oggetto beatificante in se stesso, piuttosto che alla gioia che dona.

Se non la dona, come accade all'amore cortese, l'amore rimane; se la dona, come sempre accade in fin dei conti, all'amore mistico, l'amore puro si rivolge all'oggetto in se stesso e non propter aliquid ipsius.

È tutto, e tuttavia è qualcosa, ma quale dottrina lo deve all'altra?

Il fatto che due sistemi di idee così diversi possiedano questo elemento comune, sarebbe sufficiente a far supporre che entrambi lo ricavino da un terzo.

In effetti la situazione sembra questa.

L'Antichità classica potrebbe essere una fonte più importante, rispetto alla poesia cortese e anche alla mistica cistercense, di quanto non sia stato supposto sin qui.

Ritorniamo ancora una volta al De amicitia di Cicerone, un testo e un autore che sicuramente sono stati letti nel XII secolo.

L'idea che l'amicizia genera dei benefici, ma non nasce da essi, vi è espressa con tutta la forza desiderabile: « Atque etiam mihi videntur, qui utilitatis causa fingunt amicitias, amabilissimum nodum amicitiae tollere: non enim tam utilitas parta per amicum, quam amici amor ipse, delectat …

Non igitur utilitatem amicitia, sed utilitas amicitiam, consecuta est » ( De amicitia, XIV ).

Si desidera una forma che possa essere dello stesso san Bernardo?

Eccola: « Sic, amicitiam, non spe mercedis adducti, sed quod omnis ejus fructus in ipso amore inest, excolendam putamus » ( De amicitia, IX ).

Ricordiamoci di tante formule equivalenti di san Bernardo che abbiamo già citato: « Verus amor seipso contentus est ».

« Amor preater se non requirit causam, non fructum. Fructus eius, usus eius. Amo quia amo, amo ut amem ».

Ne il suono delle parole ne l'accento sono gli stessi, ma è la medesima nozione fondamentale dell'amore che si afferma nel moralista latino e nel mistico cristiano.

Si trova talvolta qualcosa di analogo nei rappresentanti dell'amore cortese.

Gli uni e gli altri hanno ripreso e utilizzato, per fini d'altra parte molto diversi o persino opposti, un elemento dottrinale che era stato loro offerto dalla cultura classica del tempo.

Se ne potrebbero facilmente trovare altri, ma nessuno che abbia avuto un ruolo simile nella costituzione di queste due dottrine; la sua presenza, nell'una e nell'altra, è sufficiente a rendere ragione dell'analogia che si può scoprire tra di loro, senza che ci sia bisogno di ricorrere all'ipotesi di una filiazione.

II. L'amore cortese e la mistica cristiana: l'ipotesi dell'influsso

Abbiamo tentato di mostrare l'opposizione fondamentale che separa la mistica cistercense dall'amore cortese.

Il problema rimane pertanto quello di sapere se, in assenza di una filiazione, non ci sia stato un influsso del Cristianesimo sulla poesia cortese.

Come porre il problema? Se si tratta soltanto di sapere se la terminologia dei trovatori e dei trovieri risente del fatto che hanno vissuto in ambiente cristiano, la risposta è ovvia.

Da molti segni ci si accorge che erano cristiani, anche quando i sentimenti che esprimono sono tutt'altro che cristiani.

Si potrebbe anche voler dire che l'influsso generale del cristianesimo si manifestò in parte nell'apparizione di quella forma d'amore che, anche se sensuale, segnava un progresso sull'amore lincenzioso di Ovidio.

Questo è immediatamente evidente e non penso di discuterne .12

L'amore cortese è inconcepibile al di fuori dell'ambiente cristiano; ma quando ci si domanda se alcune idee mistiche non si siano introdotte nella poesia cortese e non vi si siano incorporate, si entra allora nel campo delle ipotesi discutibili, cioè dimostrabili, ma anche rifiutabili.

È questo l'ambito nel quale cerchiamo di rimanere.

Prima ancora di fare lo sforzo per rimanervi, è opportuno determinarlo.

È proprio ciò che non è stato fatto a sufficienza.

Come discutere la possibilità di un influsso, se non ci si accorda sui segni dai quali lo si riconoscerà?

La prima regola che non bisognerà mai dimenticare, mi sembra essere questa: Non si può dimostrare che una dottrina dipende da un'altra, invocando come prova che in entrambe si ritrova la medesima idea, quando si tratta di una idea che era facile trovare da sola o altrove.

Regola di semplice buon senso, ma troppo spesso dimenticata.

Così Eduard Wechssier constata che l'amore cortese, così come l'amore cristiano, nasce da una sorta di desiderio nostalgico e vago, la Sehnsucht.

Non sì tratta di contestarlo, ma vale la pena raccogliere testi in cui i poeti parlano del loro « desiderio » per dimostrare una simile evidenza?

Si possono facilmente raccogliere citazioni in cui il mistico dichiara che non può pensare a Dio senza desiderarlo, come il poeta afferma che non può pensare alla sua dama senza desiderarla, ma non se ne ricaverà mai alcuna prova, perché nessuno ha bisogno di imparare che il desiderio è l'inizio dell'amore.

Cos'è il desiderio? si domanda sant'Agostino, e risponde: « Desiderium est rerum absentium concupiscentia ».13

Nulla di misterioso o che esiga ricerche speciali; tutti coloro che si pongono il problema troveranno la risposta senza neppure aver bisogno di consultare qualche autore.

Non è quindi su analogie così generali che ci si potrà basare per stabilire delle filiazioni.

Avviene lo stesso per quest'altro elemento comune rilevato dallo stesso storico: l'amore violento è una passione che rende insensibili per l'intensità con la quale assorbe colui che ne è posseduto.14

Il problema che in questo caso bisogna porsi, non è di sapere se i mistici lo affermano riferendosi alla carità e i poeti all'amore, come di fatto fanno, ma piuttosto se si è certi che i poeti non l'avrebbero detto se i mistici non l'avessero detto prima di loro.

Questo è il problema.

Si tratta di accordo o di influsso?

Un poeta d'amore non ha bisogno di leggere una descrizione dell'estasi per essere in grado di descrivere un innamorato timoroso e riservato.

Ma non è tutto e restano ancora da prendere altre precauzioni.

È un'ottima cosa che gli storici della letteratura si siano recentemente interessati alla storia delle idee.

I due ambiti non dovrebbero essere separati.

Tuttavia non si può passare da uno all'altro senza alcune precauzioni, la prima delle quali è di usare, nel trattare le idee, la medesima precisione che solitamente si usa nello studiare i testi.

Molto raramente è stata osservata questa precauzione e uno degli errori più comuni è quello di considerare come paragonabili idee di espressione analoga, ma di senso completamente diverso.

Proponiamo quindi come seconda regola: Non si può dimostrare l'influsso di un'opera su un'altra, stabilendo che essa contiene formule letteralmente analoghe, ma di senso diverso.

Tuttavia è ciò che si fa spesso e che è stato fatto riguardo ai rapporti tra la mistica cristiana e l'amore cortese.

Il tentativo era particolarmente allettante, e particolarmente pericoloso, per quanto concerne l'estasi.

Dopo aver citato i testi mistici nei quali viene descritta l'estasi, Weohssier raccoglie testi poetici nei quali l'amante si perde nella contemplazione della donna amata.

Nulla si oppone al fatto che si dia il nome di estasi a questi due fenomeni; san Tommaso stesso darebbe volentieri il proprio consenso, poiché considera l'amore, qualunque esso sia, come estatico per definizione.

Non è questo il problema.

Si tratta di sapere se l'idea che l'amore è estatico è venuta ai poeti dai teologi.

Si potrebbe sostenere ugualmente il contrario, e sarebbe ugualmente impossibile dimostrarlo, poiché ciascuna di queste estasi è il contrario dell'altra, non solo nel senso che una esclude l'altra, ma anche perché la natura dell'una è il contrario di quella dell'altra.

È quindi il medesimo problema che si pone di nuovo.

Che l'amore faccia, per sua natura, uscire da sé colui che ama, che lo faccia passare, per così dire, nell'oggetto che ama, è quanto si poteva intuire senza fatica, per quanto poco si avesse esperienza dell'amore.

Se però si fosse voluto assolutamente assicurarsene in un libro, sarebbe bastato, per informarsi, un uomo così poco mistico come Cicerone.

Non ha forse scritto nel suo De amicitia: « est enim ( verus amicus ) tanquam alter idem »?

Questa identificazione dei due « io » non si è sviluppata in modo spontaneo e indipendente, in due sensi diversi, nell'amore cortese e nell'amore mistico?

È di gran lunga l'ipotesi più verosimile se si ricorda la radicale differenza che abbiamo indicato tra le due concezioni.

Lancillotto vede dalla finestra di una torre la regina Ginevra rapita dal suo nemico; quando ella passa sotto i suoi occhi ed egli la guarda, entra in trance e cadrebbe dalla torre se il suo amico Galvano non lo trattenesse.

Sia che si accumulino gli episodi di questo genere, sia che vi si aggiunga il « cuore sconvolto » di Jaufré Rudel e gli « oblii » in cui si perdono i poeti cortesi alla vista dell'oggetto amato,15 è impossibile trovare in ciò che dicono un qualsiasi ricordo delle estasi mistiche; bisogna aver dimenticato cosa sono per dubitarne.

Wechssier le ha tuttavia definite bene: « Lo sforzo dell'anima per uscire dal finito e il suo passaggio nell'infinito in forza dell'amore estatico ».16

Ciò che si vuole chiamare qui l' « estasi » dell'amante cortese è, invece, uno sforzo dell'anima per immergersi nel finito in forza dell'amore umano.

Notiamo che si tratta, ancora una volta, della struttura intima dei sentimenti contrapposti l'uno all'altro; eccetto l'elemento estatico, comune ad ogni amore, e che san Tommaso riconosce persino nella demenza - l'alienazione da sé -, nulla di ciò che definisce uno di questi sentimenti si ritrova nell'altro; al punto che si arriva a domandarsi come gli storici che ammettono l'influsso dell'uno sull'altro possano immaginarlo.

Ma anche loro cercano di immaginarselo?

Quale concepibile scambio di idee rappresenta per loro questo ipotetico passaggio?

Ci si limita a congetture.

Tuttavia, ciò che è vero per le forme animali, lo è anche per le idee: non si può passare da una cosa qualsiasi ad un'altra.

Si può pasare dal raptus del mistico al rapimento del poeta o dalI'excessus mentìs del mistico alle estasi dell'amore cortese? Questo è il problema.

Non discutiamo neppure il problema della terminologia; supponiamo, cosa che non ho mai constatato, che il termine estasi sia stato usato da un poeta del XII secolo o del XIII, resta da domandarsi cosa intenda con ciò.

Mi scuso per l'insistenza, ma ne va degli aspetti fondamentali della questione.

Dopo aver esaminato i diversi aspetti del problema, Wechssler aggiunge onestamente: « Solamente un piccolo numero di questi motivi è propriamente mistico.

Lo si può affermare categoricamente solo dei concetti di rapimento e di estasi ».17

Ecco l'equivoco; il rapimento e l'estasi del poeta sono stati mistici o cessano di esserlo passando dalla mistica alla poesia?

Non diciamo che questa è una sottigliezza che interessa solo la teologia.

Ammettere che la mistica cristiana ha esercitato un influsso dimostrabile sulla poesia cortese, significa impegnarsi a provare che qualcosa del rapimento o dell'estasi del mistico si ritrovano in quelli del poeta.

Se non vi si trova nulla di simile, non si tratta più di « Vorstellungen », ma soltanto di vocaboli.

Per chiudere la questione, la cosa più semplice è comparare ancora una volta le due concezioni dell'amore contrapposte: « Hofliche Frauenminne und christliche charitas ».

Wechssier stesso si pone la domanda e conosce troppo bene il problema per non avvertire ciò che vi è di paradossale.

« L'amore cortese per le donne e la charitas cristiana, perché stanno insieme? ».18

Nondimeno il nostro storico cerca di scoprirlo.

Quello che lo colpisce innanzitutto è che l'amore, come lo concepiscono i mistici stessi, è sostanzialmente unico; sia che si tratti dell'amore carnale o dell'amore di Dio, è sempre il medesimo affectus, modificato da forme diverse.

L'osservazione è assolutamente corretta e abbiamo visto a sufficienza fino a che punto si verifichi nella dottrina di san Bernardo.

Wechssier ha quindi pienamente ragione su questo aspetto importante;19

ma bisogna stare attenti alle conseguenze che ne derivano.

Per semplificare il problema, torniamo al punto decisivo: quando un poeta cortese parla dell'amore puro, ciò che ha in mente è esattamente il contrario di ciò che un mistico cistercense designa con quel termine.

Lasciamo da parte i casi, di gran lunga i più numerosi, in cui il disinteresse dell'amore cortese non è che un ripiego, per considerare solo quelli in cui ci si priva volontariamente del possesso dell'oggetto amato per assicurare se stessi del proprio disinteresse.

Il poeta si trova allora nella situazione descritta da Andrea il Cappellano con un piatto realismo: « Amor quidam est purus et quidam dicitur esse mixtus. Et purus qui-dem amor est, qui omnimodo dilectionis affectione duorum amantium corda conjungit. Hic autem in mentis contemplatione cordisque consistit affectu; procedit autem usque ad oris osculum lacertique amplexum et verecundum amantis nudae contactum, extremo praetermisso solatio ».20

Queste parole sono di un chierico che prende in prestito i vocaboli amor purus dagli autori mistici, ma quale concetto ne ricava? Nessuno.

Non insistiamo su quanto di equivoco ha questa straordinaria concezione della purezza, sarebbe troppo facile; è invece importante sottolineare il fatto che ciò che per il poeta o il teorico dell'amore cortese costituisce la prova della purezza dell'amore, sarebbe, agli occhi del mistico, la prova della sua impurità.

L'opposizione fondamentale dei due sistemi di idee si manifesta qui in tutto il suo rigore.

Il carattere carnale dell'amore cortese gli impedisce di mantenere unito l'amore e il godimento dell'oggetto amato; poiché questo godimento è fondamentalmente impuro, non potrebbe coesistere con l'amore senza contaminarlo o almeno senza renderlo sospetto agli occhi stessi di colui che lo prova.

L'amore cortese giunge quindi alle estreme conseguenze della propria logica, vietandosi l'unione dell'amante con l'amata; è proprio per questo che alcuni dei suoi teorici lo reputano incompatibile con il matrimonio, dove la legittimità e la sicurezza del possesso rendono impossibile ogni illusione di disinteresse.21

Ma l'amore mistico non va meno coraggiosamente alle ultime conseguenze della propria logica, affermando che il segno dell'amore spirituale, riportato al proprio punto di perfezione, è proprio l'unione reale che l'amore cortese si nega; quest'ultimo è puro solo se ha tutto tranne l' « extremo praetermisso solatio »; l'amore mistico non ambisce a niente altro che a quest'ultimo favore ed è sicuro della propria purezza solo se l'ottiene.

Per questo il simbolismo mistico del Cantico dei Cantici è Sempre interpretato dai nostri autori come quello dello Sposo e della Sposa.

L'amore puro della mistica è essenzialmente il matrimonio dell'anima con Dio: le Nozze Spirituali, il Matrimonio mistico; tutte queste espressioni sono la negazione diretta se non dell'amore cortese, almeno delle sue timidezze o rassegnazioni.

Infatti, per essere precisi, esso non determina il matrimonio dell'anima con Dio, lo è: sic amare, nupsisse est; per lei non vi è via di mezzo tra l'amore misto e il matrimonio mistico dell'amore puro: « aspirare ad nuptias Verbi », è questo il suo fine supremo e nulla la tratterrà, né l'onore, né il pudore, finché non vi sarà giunta.

Come non vedere in questo il segno di una differenza profonda tra i due amori?

Ci si potrebbe ostinare a cercare un parallelismo tra i due, sostenendo che l'amore cortese, per la sua stessa esclusione dell'unione carnale, quando la esclude, giunge a imitare la spiritualità dell'amore mistico, o almeno si sforza.

Concediamo che si sforzi, nel senso che ne imita il linguaggio, ma non va mai, neppure per un istante, oltre l'espressione dell'amore puro; tutto gli impedisce di imitarne il concetto.

Un « amore carnale puro » è una contraddizione in termini per chi considera l'esclusione dell'elemento carnale dell'amore come la prima condizione della sua purezza.

Concediamo al Cappellano che, nella difficile posizione nella quale si trova, faccia ciò che può; nondimeno il punto centrale della difficoltà resta che i due sistemi sono necessariamente « non comunicanti », ermeticamente chiusi l'uno all'altro, perché usano il termine amore in due sensi opposti.

Mettendosi sul piano della vita spirituale, il mistico può esigere dall'amore soprannaturale ciò che, come uomo, esigerebbe dall'amore carnale.

Su questo punto non vi sono dubbi: l'amore umano sì realizza completamente solo nella unione dell'uomo e della donn, che fa dell'uno e dell'altra una sola carne.

L'uomo è un essere carnale l'unione di due esseri umani deve quindi per essere completa, non limitarsi a una unione di pensiero o di affetto o anche, per riprendere il linguaggio di Andrea il Cappellano di contemplazione, ma una unione di tutto il loro essere.

Nessuna relazione umana può paragonarsi a questa, neppure quella tra genitori e figli, ed è d'altra parte quanto è scritto: « Lascerai tuo padre e tua madre … »; nessun legame prevale contro questo legame contemporaneamente naturale e sacro.

Il mistico non può pretendere di unirsi a Dio con il proprio corpo ( sebbene questo stesso corpo debba più tardi partecipare alla beatitudine celeste ), perché Dio è spirito, ma, almeno nell'ordine della vita spirituale, che è il suo, non concepirà mai una unione d'amore che non sia a suo modo totale: Sponsus et Sponsa sunt; o l'amore avrà ciò o sarà frustrato da ciò che gli è impossibile non desiderare senza cessare di essere se stesso.

L'amore impuro di cui parla il mistico è quello che desidera altro: « Impurus est quid aliud cupit », ma l'amore puro è, al contrario, quello che lo desidera, perché è quello della Sposa, ed essa è Sposa perché è questo stesso amore: « Sponsae hic est, quia hoc Sponsa est quaecumque est ».

In breve, l'amore puro cortese si definisce per l'esclusione di ciò che costituisce l'amore puro dei mistici: l'unione reale dell'amante e dell'amata; nulla può cancellare o nascondere questa opposizione.

Dunque cos'è successo? I teorici dell'amore cortese ( poiché i poeti non forniscono che testi rari e vaghi su questi problemi ), per aver voluto appropriarsi del linguaggio dei mistici, hanno elaborato una concezione dell'amore non solo opposta a quella dei mistici, ma opposta anche a quella dei moralisti cristiani.

Il loro amore puro sarebbe, agli occhi dei mistici, il colmo dell'impurità poiché è carnale, ma non è neppure la forma suprema dell'amore carnale umano poiché esclude il segno e la prova della sua perfezione: la gioia che dona dopo tutte le altre, Vextremum solatium.

Non bisogna lasciarsi sedurre dalla facilità di un parallelismo esteriore ingannevole.

Il mistico e il poeta cortese, sebbene rinuncino, l'uno a tutte, l'altro ad alcune gioie del corpo, per meglio assicurare la purezza spirituale del loro amore, seguono direzioni opposte; il mistico infatti, ponendo il problema dell'amore tra il proprio spirito e lo Spirito, può risolverlo integralmente senza nulla sacrificare delle esigenze dell'amore: aspira quindi alle delizie dell'unione divina, ed è là che l'amore trova la propria purezza; il poeta cortese, ponendo il problema dell'amore tra esseri carnali, può concepire la purezza solo nella esclusione di ogni unione reale tra questi esseri, al punto che la purezza dell'amore cortese separa gli amanti, mentre quella dell'amore mistico li unisce.

È quindi chimerico cercare un influsso dell'amore mistico sull'amore cortese, al di là di qualche prestito di vocaboli; nulla di quanto definisce l'uno è passato nella definizione dell'altro, perché tra l'uno e l'altro non era possibile alcun passaggio.

Le analogie che ci si può dilettare a rilevare tra le espressioni, devono quindi essere sempre lette in trasparenza su questa opposizione fondamentale; quando lo si fa, si diventa presto scettici sui pretesi legami che certi storici credono di aver scoperto.

Sono tuttavia andati abbastanza lontano nella affermazione della loro tesi: « Ciò che solleva e sostiene questo lirismo, non sono dei pensieri particolari e neppure le concezioni del tempo, è la disposizione fondamentale a una certa maniera mistica di sentire ».22

Questa Grundbestim-mung mystischer Gefiihisart è molto evidente in Dante, ma sebbene la sua poesia si riallacci a quella dei trovatori, essa corrisponde a uno stato molto diverso del problema.

Se lo si dice di lui, nulla di più vero e di più utile da dire; ma se lo si dice dei poeti cortesi, si cercherà vanamente quale senso della parola mistico sia possibile scegliere in quel caso. Sembra, a sentire il commento che ne da Wechssier, che si tratti di ciò che egli chiama un elemento comune a ogni esperienza mistica, sia poetica sia religiosa; ma se l'esperienza poetica in questione non è mistica, non lo è neppure il suo elemento estetico.

Dire che: « ogni mistica può essere un atto estetico così come religioso », significa non dimostrare nulla, dal momento che abbiamo appena visto che l'amore puro del tipo cortese non ha nulla di mistico; ciò che ha di estetico non è un elemento estetico religioso, non è quindi neppure un elemento estetico mistico nel senso dato dai cistercensi a questo termine.

Chi mai dirà i danni causati nella storia di questo problema dalla dimenticanza di queste distinzioni fondamentali?

« La Chiesa fu sempre unanime nel condannare sistematicamente ogni amor carnalis ».23

San Bernardo non l'ha mai fatto, in nessun modo, perché l'amore carnale può essere benedetto e consacrato dalla Chiesa; si dimentica spesso che il matrimonio è un sacramento e il testo di Ugo di San Vittore, che si cita a questo proposito, avrebbe dovuto mostrare di cosa si tratta, poiché condanna l'amore carnale: « supra modum vel cantra rationem effervens ».

Ce ne corre da qui a una condanna sistematica di ogni amore carnale.

È il teorico dell'amore cortese, non il teologo che lo condanna.

Quando quindi si aggiunge: « Così nessun dubbio è possibile su questo punto: l'amore di colui che cantava la donna non cadde sotto il concetto di fornicatio », si va ben oltre ciò che è necessario.

L'amore cortese poteva essere e fu spesso una fornicazione, ma nulla l'obbligava a esserlo e, infatti, non sempre lo è stato.

Qualunque cosa si dica, un canto d'amore, anche umano, non è necessariamente un peccatum criminale, e non lo era nemmeno nel medio evo; tutto dipende dall'amore che esso canta o cantava, e ci si può domandare se Vamor mixtus, così disprezzato da Andrea il Cappellano, non fosse realmente più sano e inoffensivo, sotto questo aspetto, dell'amor purus.

Se l'aver cantato l'amore carnale è sufficiente a escludere i trovatori dalla mistica, questo non è sufficiente a farne dei ribelli.

Tuttavia è ciò che si è arrivati a dire, ed era necessario.

Se si ammette che l'amore cortese si ispira all'amore mistico, poiché questi amori sono di senso contrario, si deve necessariamente concludere che il primo si è ispirato al secondo solo per potersi, in seguito, contrapporre ad esso.

Bisogna quindi credere, con Wechssier, che i trovatori abbiano voluto compiere una « Umwertung der Werte », annunciare una nuova concezione del mondo che fosse in aperto contrasto con quella della Chiesa?24

Questa è una drammatizzazione dei fatti che non è per nulla giustificata.

L'amore che essi cantano è spesso colpevole agli occhi della Chiesa; non bisogna attendere i trovatori per scoprirlo, poiché da secoli i confessori passavano il loro tempo ad assolverne le colpe.

In mancanza della natura, Ovidio sarebbe stato là per ricordarne agli uomini le forme più basse.

La poesia popolare francese, anteriore a quella dei trovieri, ha d'altra parte parlato dell'amore carnale e lo ha cantato a suo modo.25

Lasciandosi trascinare a semplificazioni di questo tipo, si arriva a questi quadri schematici della storia, dove il medio evo è talvolta un periodo di ascetismo puro, talvolta, come in questo caso, il testimone di quella rivolta della carne contro lo spirito che annuncia e prepara già il Rinascimento.

« Al posto dell'ascetismo, la gioia di vivere divenne non solo il diritto, ma il dovere principale dell'uomo e della donna colti »26.

Ciò che in realtà il XII secolo ci offre come spettacolo è una magnifica vitalità, umana e mistica allo stesso tempo; la poesia dei trovatori non segna la fine di un ascetismo morente, poiché l'ascetismo di san Bernardo nasce nello stesso periodo: se ci fu un Rinascimento del XII secolo, è qui il caso di non dimenticare che « san Bernardo e la sua mula » ne fanno parte così come i trovatori.

L'amore cortese non si presenta affatto come una utilizzazione della mistica, né come una reazione diretta contro l'ascetismo in nome dell'amore umano; esterno all'una e all'altro, esprime piuttosto lo sforzo di una società, educata e affinata da secoli di Cristianesimo, per elaborare un codice dell'amore umano che fosse non mistico e neppure specificatamente cristiano, ma più raffinato della grossolanità di Ovidio e nel quale il sentimento prevalesse sulla sensualità.

Questo sembra il suo vero significato storico. La sensualità al servizio del sentimento, e talvolta dei più raffinati come in Jaufré Rudel, o anche della ragione, come in Chrétien de Troyes,27 era in sé una scoperta sufficientemente bella perché si potesse attribuire solo questa ai trovatori e ai trovieri senza dare l'impressione di disprezzarli.

Non si deve quindi fare dell'amore cortese né una rivolta contro l'ascetismo che si sviluppava nello stesso periodo, né un tentativo di imitarlo.

Parlare di « ascetismo cortese »,28 come se questa espressione avesse un senso, significa cadere in questo secondo errore.

Tutti i testi che si citano a sostegno, mostrano che gli innamorati del medio evo sapevano attendere quando le circostanze li obbligavano, sapevano accontentarsi di ciò che si concedeva loro e introdurre una certa moderazione di buon gusto nei loro desideri, ma l'ascetismo è più della sana regolamentazione dell'amore carnale, è la lotta incessante contro la concupiscenza sotto tutte le forme; non si accontenterebbe, in fatto di rinuncia alla carne, di quel « verecundum amantis nudae contactum » lodato da Andrea il Cappellano.

« Hofliche Aszese » è una formula che sarebbe meglio non usare.

« Castità cortese » non è migliore se questa castità si riduce all'idea molto semplice che un amore vero non si accontenta di una molteplicità di altri amori simultanei.

Castità limitata, come si vede, e di cui Andrea il Cappellano dice, molto giustamente questa volta, che l'amore: « reddit hominem castitatis quasi virtute decoratum ».

Questo quasi è di buona teologia,29 in tutte queste espressioni è prudente usarlo.

Un po' di riflessione avrebbe risparmiato molti eccessi di erudizione a cui ci si è abbandonati!

Perché paragonare « l'occhio del cuore » dei poeti cortesi a quello dei mistici?

Il primo non è che l'immaginazione, e talvolta la più sensuale, mentre il secondo è definito dall'esclusione di ogni immagine sensibile, quelle che è compito del primo fornirci in assenza dei loro oggetti.

Quale rapporto tra l'occhio mistico, che si apre solo alle immagini spente, e l'occhio del cuore che custodisce le immagini presenti a un amore carnale che esse nutrono?.30

I poeti dicono che credono alla loro dama o che sperano in lei, ma in ciò non vi è più Fede o Speranza di quanto vi sia di Carità nel loro amore.

Essi temono, ma abbiamo già notato che l'amore cristiano ha precisamente l'effetto di scacciare il timore; e quanto al paragonare il trovatore che implora grazia dalla sua dama al cristiano che domanda a Dio la sua grazia, significa impegnarsi in un equivoco a malapena meno grave di quello che consiste nel confrontare la virtù cristiana della pazienza con quella di cui dovevano armarsi i trovatori.31

Per riprendere un paragone classico, non vi sono più rapporti tra queste nozioni di quanti ve ne siano tra il Cane, segno celeste, e il cane, animale che abbaia.

L'amore cortese e la concezione cistercense dell'amore mistico sono quindi due prodotti indipendenti della civilizzazione del XII secolo; nati in ambienti diversi, essi lo esprimono, l'uno codificando la concezione della vita in una corte principesca, l'altro esprimendo quello che si svolgeva in un monastero cistercense.

Forse il linguaggio dell'uno ha potuto nutrirsi di termini presi dall'altro, ma poiché bisognava rinunciare a uno di questi amori per abbracciare l'altro, non ci si può meravigliare che nessun concetto preciso sia comune ai due.

Quando l'amore cistercense ha voluto introdursi nella letteratura profana, ha potuto farlo solo sostituendosi all'amore cortese ed eliminandolo.

La Queste dou Graal ( La ricerca del Graal ), annunzio di una cavalleria celeste, domanda alla cavalleria terrestre non solo di moderarsi e di affinarsi, ma di rinnegarsi.

San Bernardo può avere ampiamente contribuito alla decadenza dell'ideale cortese, ma non è lui che l'ha ispirata.

Indice

1 Alcuni buoni giudici ne sono convinti. E. Wechssier fa notare che l'attività di san Bernardo e di Ugo di San Vittore inizia verso il 1120-1130 e che verso la metà del xn secolo appaiono i primi grandi poeti le cui opere contengono elementi mistici: Jaufré Rudel, Bernard de Ventadour e Pierre Rogier: " Dieses Zusaromentreffen war kein Zufall " (Dos Kulturproblem des Minnesanges, i, Max Niemeyer, Halle a.S. 1909, p. 243). Senza dubbio, ma il problema è di sapere anzitutto se l'incontro ha avuto luogo.
2 Contro le illusioni di questo genere, è indispensabile leggere le pagine così ammirevolmente equilibrate di A. Jeanroy, La première génération des Troubadours, in " Romania ", 56 (1930), pp. 481-482.
3 È inutile insistere su questo punto, d'altra parte evidente, perché è stato lungamente e giustamente sviluppato da E. Wechssier, Dos Kulturproblem des Minne-sangs. Studien zur Vorgeschichte der Renaissance, i, Minnesang una Christentum, Max Niemeyer, Halle a.s. 1909: cap. XI, Minne und chrisllicher Spiritualismus, pp. 219-241.
4 J. Anglade non ha dissimulato il fatto: " Quelques-uns sont plus précis dans l'expression de leurs désirs; certaines demandes sont remarquables du naiveté et, parfois, de erudite ", Les Troubadours, Colili, Paris 1908, p. 82. Segnala più avanti il carattere parzialmente sensuale della concezione dell'amore nel trovatore Cerca-mon (p. 101). Marcabrun è un "misogino" e scrive violente satire contro l'amore (pp. 101-102). Si possono d'altra parte verificare le sue affermazioni sui testi, poiché molti di essi sono oggi facilmente accessibili. Vedi in A. Jeanroy, Les Chansons de Guillaume IX, due d'Aquilane, Champion, Paris 1913; v, Farai un vers…, pp. 8-13; vi. Ben vuelh… (strofe 5 e 6), pp. 14-15; i suoi biografi lo descrivono come una specie di Rabelais (p. IV). W.P. Shepard, Les poésies de Jausbert de Puycibot, Champion, Paris 1924: v, Jausbert, rawn ai adrecha (strofe 7 e 8), pp. 16-17.
5 A. Wallenskóld, Les chansons de Thibauf de Champagne, roi de Navarre, Champion, Paris 1925. Tutte le citazioni che seguono rinviano a questa edizione.
6 A. Làngfors - A. Jeanroy - L. Brandin, Recueil generai des jeux-parfis jranqus, i, Champion, Paris 1926, p. 39, verso 36.
7 Anche il poeta della Principessa lontana, l'etereo Jaufré Rudel, si fa capire da chi vuole capirlo. Cfr. A. Jeanroy, Les Chansons de Jaufré Rudel, Champion, Paris 1915; i sogni di Jaufré sono erotici come lo saranno quelli di Thibaut de Champagne (i,3, p. 2); il suo " amour de terre lointaine ", se mai la raggiunge, spera che sarà "dinz vergier o sotz cortina " (n,2, p. 4; cfr. v, 6, pp. 14-15), luoghi poco propizi alla metafisica (cfr. p. vi, le giuste osservazioni di Jeanroy contro C. Appel, il quale crede che questo poema sia dedicato alla Vergine!); la famosa "gioia" che talvolta viene avvicinata al « gaudium » mistico ha un carattere molto preciso: III, 5, pp. 7-8. Il minimo che si possa dire della canzone IV è che è equivoca ( strofe 5-7, pp. 11-12 ) e getta una luce abbastanza equivoca sui costumi del poeta. Cercamon è più brutale: A. Jeanroy, Les poésies de Cercamon, Champion, Paris 1922: IV, 7, p. 13-14, senza pietà per i mariti ai quali rende ciò che essi fanno agli altri; la canzone, di dubbia attribuzione, che viene aggiunta alla raccolta delle sue opere, sua o di un altro, esprime chiaramente ciò che questi poeti attendono dall'amore: VIII, 9, p. 29. Peire Vidal non è fatto di una pasta diversa da quella di Jaufré o Cercamon; quando non riesce in un paese, va in un altro: J. Anglade, Les poésies de Peire Vidal, Champion, Paris 1923, VIII, pp. 19-23; la sua preferenza va alle giovani Castigliane che pone molto al di sopra delle vecchie ricche ( VI, 6, pp. 15-16 ) o, come dice altrove meno amabilmente, di mille cammelli carichi d'oro ( XVI, 6, p. 49). Questa opinione può essere sostenuta, ma se questa è spiritualità, è sicuramente tra le più modeste. Cfr. XVII, 8, p. 55; xx, 2, pp. 62-63; xxxix, 6, p. 124; XL, 5, p. 128. Se la metà di quello che si racconta di questo buon parlatore, sbruffone e un po' matto, è vera ( op. cit., pp. 162-165) , egli non dovrebbe avere letto molto gli scritti mistici di san Bernardo.
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Thibaut de Champagne è preso qui come esempio, ma si potrebbero fare le medesime constatazioni a proposito di altri testi. Vedi A. Làngfors, Recueil generai des jeux-partis frangais, 2 voi., Paris 1926: XX, pp. 2.0-22. Come Thibaut, che egli cita, Jehan Bretel preferisce la bellezza all'intelligenza: XXVII, p. 100, e i suoi interlocutori non sembrano difficili nella scelta dei loro amori; XXXVI, pp. 133-135; ma non si accontentano di parole: XLVII, pp. 175-177. Sarebbe ingenuo analizzare da questo punto di vista una raccolta d'altra parte così istruttiva, ma nella quale è completamente assente ogni forma di idealismo amoroso. Se tra i trovatori c'erano deiDon Chisciotte, tra gli autori di questi giochi - partita c'erano dei Sancho Panza di un epicureismo così banalmente borghese: civ, pp. 18-20, ( Lambert Ferri ); CXIII, pp. 51-54 ( Adam de la Halle ). Persino i monaci vi perdono la loro virtù: CXXVII, pp. 104-106 ( Guillaume le Vinier ).

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Il problema, d'altra parte, è già stato studiato da E. Wechssier, Dos Kulturpro-blem des Minnesangs, op. cit., cap. XIV, pp. 316-317. A questo proposito cita la divisione tripartita di Giraut de Calanson in 1. amore celeste, 2. amore naturale (dei genitori per i figli), 3. amore carnale. E. Wechssier aggiunge quest'altra divisione quadripartita di Malfré Ermengaud: 1. amore di Dio e del prossimo, 2. amore dei beni temporali, 3. amore dell'uomo e della donna, 4. amore dei bambini per i genitori. È certo che queste due divisioni suppongono un influsso del cristianesimo sul pensiero dei poeti, ma è ben diverso accostare quella di Giraut a quella di san Bernardo, perché le loro divisioni tripartite non corrispondono in alcun modo. Esistono, per quanto ne sappiamo, quattro divisioni dell'amore in san Bernardo: due in tre, una in quattro, una in cinque.
1. divisioni in tre;
a) Amor dulcis, prudens, fortis: Div 29, 1, VI-I, 210-211.
b) Carnalis, rationalis, spiritualis: SC 20, 9, I, 120-121.
2. Divisione in quattro (di gran lunga la più importante): amor sui, amor Dei propter se, amore Dei propter ipsum, amor sui propter Deum tantum: Dil VIII, 23-X, 30, in, 138-144.
3. Divisione in cinque: amor parentum, amor socionun (socialis), amor generis Immani (generalis), amor inimicorum (violentus), amor Dei (sanctus). Questi cinque tipi d'amore corrispondono ai cinque sensi: Div 10, 2-4, VI-I, 122-124.
L'unica divisione tripartita di Bernardo che, per soddisfare Anitchkof, si possa paragonare a quella di Giraut, è la divisione 1., a. Le due divisioni non hanno alcun rapporto, per il semplice motivo che quella di Giraut è una divisione dell'amore in generale, mentre quella di Bernardo è una divisione dell'amore divino. Bisognerebbe quindi leggerle così: Giraut Bernardo (celeste (carnale amore naturale amore celeste razionale fcarnale fspirituale Quindi le due divisioni non corrispondono in nulla. In Giraut Riquier, invece, l'amore spirituale s'afferma chiaramente, ma siamo allora alla fine del xin secolo, e J. Anglade ha giustamente notato che l'ingresso dell'amore religioso nella poesia del medio evo segna la fine dell'epoca dei trovatori (Les troubadours, op. cit., pp. 296-297); Giraut Riquier commenta e confuta Giraut de Calanson, annuncia quindi la fine dell'amore cortese, e se si vuole considerare questo testo tra le prove dell'influsso mistico subito dall'amor cortese, bisogna dire che la mistica l'ha influenzato distruggendolo. Questa, almeno, sembra un'affermazione quasi incontestabile per quanto riguarda la letteratura provenzale e francese.

10 Jaufré Rudel: " ma destinée est d'aimer sans ètte aimé ", J. Anglade, op. cit., p. 106. Già questo esclude l'ipotesi, un tempo proposta, che questo poema abbia per oggetto la Vergine. I lamenti dei poeti cortesi sui loro amori non contraccambiati sono troppo ricorrenti perché valga la pena citare dei testi su questo argomento.
11 Questo timore inseparabile dall'amore cortese (perché non è mai sicuro della propria ricompensa), è un luogo comune che deriva da Ovidio, Heroides, I, 12: Res est solliciti piena timoris amor. Vedi su questo punto R. Bossuat, Drouarf la Vache, traducteur d'Andre le Cha-pelain (1290), Champion, Paris 1926, p. 75; e anche, del medesimo autore. Le lime d'Amours de Drouart la Vache, Champion, Paris 1926, p. 7, versi 213-218.
12 Vedi l'eccellente analisi della dottrina cortese di E. Farai, La chanson courtoise,
in J. Bédier - P. Hazard, Histoire de la littérature franfaise, i, Larousse, Paris 1923, pp. 44-46. L'amore fonte di virtù, la fecondità della sofferenza e molti altri tratti attestano l'influsso del cristianesimo su questo modo di sentire; ma non esamino qui questo problema, molto più ampio di quello del possibile influsso della mistica cistercense.
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Per questo ruolo della Sehnsucht, vedi E. Wechssier, Das Kulturproblem des Minnesangs, op. cit., pp. 252-253. L'autore su questo punto si ispira a E. Boutroux, buon filosofo, ma mistico di importanza decisamente secondaria. D'altra parte c'è del buono e del cattivo nella descrizione del misticismo offerta da E. Boutroux e E. Wechssier; non è questo il luogo per discuterle, ma bisogna almeno notare che l'assenza stessa del misticismo cristiano sfugge a chi sostiene con E. Wechssier che: " Le Dieu du mystique n'est pas transcendant, mais immanent " (op. cit., p. 263). Se Dio è immanente senza essere trascendente, non esiste il problema mistico nel senso in cui l'intende il cristiano. Ciò che devono sperimentare, e di cui devono render conto, è invece: l'immanenza di un Dio che è e resta trascendente. Si semplifica molto il passaggio dalla mistica cristiana all'amore cortese sopprimendo la nozione di trascendenza divina; non appena la si recupera, si vede, invece, come sia inconcepibile un tale passaggio. Per la definizione agostiniana del desiderium, vedi S. Agostino, Enarrationes in Psalmos, 118, VIII, 4, PI-., 37, 1522. Cfr. Enarrationes in Psalmos, 62, 5, P.L., 36, 750-751.

14 E. Wechssier op. cit., pp. 253-256.
15 Ibid., pp. 259-264.
16 Ibid., p. 243.
17 Parlo dei poeti che sono soltanto lirici, e non autori di opere didattiche in prosa, come Andrea il Cappellano, o di un poeta come Dante che è l'erede di tutta la teologia del xm secolo. È il caso di osservare che le testimonianze raccolte da E. Wechssier sono eteroclite. Dimostrare l'influsso della teologia mistica su Dante è un gioco, ma i testi di Dante, irrefutabili, non dimostrano nulla riguardo all'influsso della teologia su Jaufré Rudel, Bernard de Ventadour o Chrétien de Troyes. Non si possono citare questi testi uno dopo l'altro come se fossero le prove della stessa tesi. L'amore di cui parla Dante non è più quello di cui avevano parlato i poeti dell'amore cortese; la spiritualizzazione dell'amore è in lui un fatto compiuto, e poiché non lo è presso i trovatori o i trovieri, il confronto delle loro opere con quelle di san Bernardo è pieno di insidie. Si vuoi procedere troppo velocemente; bisognerebbe classificare i problemi e distinguere le questioni.
18 E. Wechssier, op. cit., p. 313. Queste parole sono l'inizio del capitolo XIV; Minne und Charitas.
19 Ibid, pp. 315-316.
20 Ibid., p. 331.
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Sull'incompatibilità dell'amore e del matrimonio nella poesia cortese, vedi J. Anglade, Les Troubadours, pp. 95-96; G, Cohen, Chrétien de Troyes, Boivin, Paris 1931, pp. 224-225 e p. 562. Il problema è discusso, prò e contro, da Jehan Bretd: Recueil generai…, LXVII, 248-250.

22 E. Wechssier, op. cit., p. 269.
23 Ibid., p. 317.
24 Ibid., p. 321.
25 A. Jeanroy, Les origines de la poesie lyrique en franco au moyen àge, Cham-pion, Paris 1925. Sul significato dell'espressione " poesia popolare ", vedi Introduzione, pp. XVI-XVII.
26 E. Wechssier, op. eif., p. 321
27 G. Cohen, Chrétien de Troyes et son ceuvre, Boivin, Paris 1931, pp. 223-225. G. Cohen indica, a p. 223, sebbene con riserve, le tendenze morali della dottrina di Chrétien e la riabilitazione del matrimonio nella sua opera (p. 224). Si noterà che la poesia di questo amore cessa nell'" imborghesimento del matrimonio ", mentre al contrario, per il mistico cistercense, è nel matrimonio dell'anima con il Verbo che la poesia raggiunge la sua piena e duratura esaltazione. Questa moralizzazione dell'amore cortese non Ravvicina quindi al mistico cistercense, le cui nozze spirituali ignorano l'imborghesimento. È proprio per evitarlo che esse vogliono essere spirituali.
28 L'espressione è di E. Wechssier, op. cit., p. 328.
29 Ibid., p. 335. Sulla castità limitata dell'amore cortese pp. 345-346.
30 Ibid., p. 376.
31 Sulla nozione di grazia, ibid., pp. 395-396. Sulla pazienza, ibid., p. 394.