La teologia mistica di San Bernardo

Appendice III - Berengario lo scolastico

Tra i personaggi che popolano lo sfondo di questa scena, bisogna assegnare un posto a un oscuro polemista la cui opera non ha in sé alcuna importanza, ma che ci informa sul vero carattere di alcune opposizioni sorte in quell'epoca contro san Bernardo.

Si chiamava Pietro Berengario, di Poitiers, o Pietro Berengario lo Scolastico.

La notizia dell'Histoire littéraire de la France che lo riguarda ( t. XII, p. 251 ) è riportata nel Migne ( P.L., 178, 1854-1856 ).

Berengario è conosciuto soprattutto per il suo Apologeticus, uno scritto rivolto contro san Bernardo dopo la condanna di Abelardo al Concilio di Sens nel 1140.

Il testo di questo libello si trova in Migne ( P.L., 178, 1857-1870 ).

Scritto sotto la spinta della collera provata all'annuncio di quella condanna, i'Apologeticus deve essere di poco posteriore all'avvenimento che ne fu l'occasione.

Il pamphlet di Berengario non presenta alcun interesse filosofico, ma è ricco di notizie storiche sullo stato d'animo che regnava nell'ambiente di Abelardo.

L'Apologeticus è rivolto allo stesso san Bernardo: il tono è violento, appassionato, offensivo da un capo all'altro e talvolta di una estrema grossolanità.

Per comprenderlo e scusarlo, bisogna prendere questo scritto per quello che è: l'espressione del dolore provato dai discepoli di Abelardo in occasione delle persecuzioni dirette contro il maestro che amavano teneramente.

Abelardo era amato dai suoi allievi; san Bernardo era responsabile della sua condanna; bisognava quindi prendersela con lui.

Aggiungiamo che l'opposizione tra questi due uomini era prima di tutto quella tra due modi di pensare e di sentire.

Diciamo infine, e questa volta decisamente per giustificare Berengario, che il loro risentimento può essere in certo modo giustificato.

Egli insiste su questo punto: anche se Abelardo si fosse sbagliato, cosa che egli non nega, non avrebbe dovuto essere trattato con quella durezza.

Questo può essere vero.

Ad ogni modo i suoi discepoli non potevano pensare diversamente, e se questo non giustifica l'ingiusta violenza di Berengario contro san Bernardo, fa comprendere meglio i motivi che l'hanno provocata.

Il passo più interessante dell'opera, per quanto ci riguarda, è quello che si riferisce ai sermoni di san Bernardo sul Cantico dei Cantici.

Si poteva sperare di trovarvi una discussione della dottrina dell'amore, dove i due punti di vista avrebbero potuto essere confrontati e contrapposti.

Nulla di tutto ciò. L'opera è incompleta della sua seconda parte, che forse non è mai stata scritta e che avrebbe potuto contenere la discussione dogmatica di questo problema.

La critica di Berengario è infatti puramente esterna: è quella di un umanista, di un professore di lettere, che corregge una composizione fatta male.

Vediamo quali sono le principali osservazioni critiche.

1. Perché commentare il Cantico essendo già stato commentato molte volte?

Nulla di più opportuno se Bernardo avesse dovuto svelarci dei misteri a lui rivelati e sfuggiti ai suoi predecessori, ma non aveva nulla di nuovo da dire.

Si è limitato a celare sotto nuove formule ciò che quattro dei suoi predecessori avevano detto prima di lui nei loro commentari: « Supervacua igitur explanatio tua esse videtur. Ac ne quis me putet improbabilia prolocuturum, proferam super hunc librum quadrigam expositorum, Origenem scilicet Graecum, Ambrosium Mediolanensem, Rètium Augustodunensem, Bedam Angligenam » ( P.L., 178, 1863 C ).

2. Si potrebbe ancora comprendere questo tentativo, se si trattasse di un vero commentario, ma sembra piuttosto che Bernardo abbia voluto scrivere una tragedia. Dopo aver iniziato la spiegazione del testo, si ferma e consacra « duos pene quadernos » all'orazione funebre di suo fratello.

Ci si domanderà quale importanza ciò possa avere per il nostro critico: questo è in realtà il centro del problema!

La colpa imperdonabile che san Bernardo ha commesso è la confusione dei generi.

Non richiamo. Nulla di più misero, ma nulla di più istruttivo di una simile obiezione, soprattutto in quell'epoca e sostenuta con tale serietà.

Nel XII secolo c'erano quindi persone così appassionate di retorica, così prese dalla Lettera ai Pisone da non porsi altri interrogativi di fronte alla mistica di san Bernardo oltre a questo: i suoi sermoni sono composti secondo le regole?

Infatti l'obiezione si può ricondurre a questa: il Cantico è un canto nuziale, un viene allora in soccorso: « Humano capiti cervicem pictor equinam juncanto di gioia, non vi si deve mescolare un'orazione funebre: Tu vero terminos transgrediens, quos posuerunt patres tui. Cantica in elegos, carmina in threnos sorte miserabili convertisti » ( Op. cit., 1864 C ).

Orazio viene allora in soccorso: « Humano capiti cervicem pictor equinam jungere si velit … ».

Ecco il punto importante: « non recte lamenta epithalamio conjugasti » ( 1865 B ).

Berengario d'altra parte scopre giustamente nel testo di Bernardo un ricordo letterario di sant'Ambrogio, De excessu Satyri, che non stupirà nessuno di coloro che sanno fino a che punto egli fosse penetrato dalla letteratura profana e sacra e come ne usasse liberamente ( 1865 C );

3. A queste obiezioni sulla forma si può aggiungere solo un'obiezione dottrinale sul problema dell'anima e un'altra, che rivela meglio lo stato d'animo degli abelardiani, sull'inizio del De diligendo Deo.1

Si ricorda la formula usata da Bernardo: il modus dell'amore di Dio è di amarlo sine modo.

Si comprende senza fatica il suo significato, a condizione di non essere un dialettico.

Dio è tale che noi non possiamo amarlo nella misura che a lui conviene, ma, obietta il nostro dialettico: « quomodo sine modo diligemus, quem cum modo diligere non valemus » ( 1867 A ).

In breve, come amare al di là di ogni misura colui che non possiamo amare neppure nella misura conveniente?

Bernardo è caduto nella retorica e ci pone di fronte a un impossibile.

L'accanimento di Berengario su questi particolari, lo ripetiamo, è spiegabile.

Vuole mostrare che Bernardo ha visto la pagliuzza nell'occhio di Abelardo, ma non la trave nel proprio.

San Bernardo può sbagliare come gli altri; dovrebbe quindi moderarsi.

La tesi sarebbe stata sufficiente senza quel torrente di ingiurie.

L'intervento di Berengario è interessante almeno perché ci mostra che, dietro l'umanesimo morale e letterario di san Bernardo, ve ne era un altro, puramente letterario, quello dei pedagoghi delle lettere, nei quali tutto l'equipaggiamento intellettuale sembra ridarsi a una certa conoscenza degli autori antichi e a una conoscenza superficiale della dialettica.

Questi uomini sono ben al di sotto di Abelardo e lo sono ancora di più rispetto a san Bernardo; rappresentano la caricatura del vero umanesimo del XII secolo e, a questo titolo, fanno parte del quadro.

Le scuole sarebbero dei luoghi deliziosi se vi si trovassero solo maestri; vi si incontrano invece anche i sorveglianti.

Indice

1 L'interesse di questo passo è stato messo in luce molto bene da Watkin W. Williams, De diligendo Deo, ed. cit., pp. 3-4. Si troveranno, ibid., p. 5, interessanti osservazioni sul problema se, nel De diligendo Deo, san Bernardo si è opposto intenzionalmente ad Abelardo, in particolare sul problema della redenzione. Così come ho già fatto osservare ( Appendice II, vedo chiaramente una opposizione tra le due dottrine, ma nessun segno di rifiuto, anche indiretto, di Abelardo nel De diligendo Deo. La posizione di Abelardo su questo punto è d'altra parte ben definita solo nel suo commento a san Paolo (1136-1140) che quasi certamente è posteriore al De diligendo Dea (1127-1141). È piuttosto Abelardo che, nel suo Commentario, avrebbe potuto opporsi al De diligendo Deo.