Lavoro Formazione Vangelo

"Casa di Carità" come proposta formativa

1.1 - Nozione della Casa di Carità Arti e Mestieri

La Casa di Carità Arti e Mestieri è un ente di formazione professionale di proposta cattolica, o, secondo l'odierna dizione, un'agenzia formativa.

Agenzia infatti è il termine attualmente impiegato per significare un ente o un'impresa che compie un determinato servizio per la collettività.

Il servizio prestato nel nostro caso è la formazione professionale.

La formazione professionale è un'educazione all'addestramento e al perfezionamento delle capacità tecniche e lavorative del giovane e del lavoratore, mediante corsi che li rendano idonei all'esercizio di una professione, o che conferiscano delle competenze professionali.

Trattandosi di un servizio educativo, e non solo di un addestramento manuale o tecnologico, la formazione professionale incide sulla persona.

Conseguentemente la proposta cattolica cui si ispira la Casa di Carità ha un suo spazio operativo non solo per il servizio che offre all'allievo formandolo alla professionalità, ma soprattutto per il contenuto della azione formativa impartita, che si ispira al Vangelo in ordine alla concezione della professionalità, del lavoro, dell'educazione e della persona umana.

1.2 - La denominazione compendia la natura dell'Opera

La natura e le finalità dell'Opera sono compendiate nella stessa denominazione: Casa di Carità Arti e Mestieri.

Come sarà più ampiamente illustrato in seguito, questa denominazione non è scaturita dalla proposta di qualche esperto, né è la risultante di un gruppo di lavoro, ma compare nel diario spirituale di fra Leopoldo Maria Musso, un frate francescano laico, di professione cuoco, che non si era mai occupato di istruzione, né di addestramento al lavoro ( § 2.5.1 ).

In data 24 novembre 1919 nel suddetto diario troviamo questa frase, dal frate attribuita a Gesù Crocifisso: "Per salvare le anime, per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità, per insegnare ai giovani Arti e Mestieri".

Il riferimento alle arti e mestieri è l'indicazione specifica del tipo di insegnamento che deve essere impartito, per cui si tratta di una scuola non in senso generico, ma che deve mirare a rendere abile l'allievo all'esercizio di un'arte o di una professione, sia conferendogli le capacità tecniche e lavorative, sia ponendolo nella situazione concreta di poterle esercitare, cioè in una ragionevole prospettiva di sbocco occupazionale.

Ma l'ente che conferisce tale formazione è denominato Casa di Carità, con riguardo a due concetti, "casa" e "carità", la cui portata è densa di significati e di applicazioni.

1.3 - Casa

"Casa" richiama famiglia e comunità, cioè un ambiente fortemente umanizzato in cui la caratteristica dell'essere insieme è costituita dal rapporto umano, prima e al di là di ogni altra relazione ( di insegnamento, di scambio, di produzione, di convenienza, anche di mutua assistenza ).

I rapporti che caratterizzano un ambiente che si ispira alla famiglia sono quelli della paternità, della filiazione, della fraternità: con riferimento all'ambiente scolastico - formativo, il rapporto insegnante - allievo va di conseguenza ispirato a tali relazioni, senza peraltro far venir meno le necessarie esigenze gerarchiche proprie di un ambiente scolastico - lavorativo, peraltro implicite nello stesso rapporto di paternità.

In questa atmosfera l'allievo è soggetto, e non oggetto, del processo formativo.

In sintesi, si ha un ambiente familiare per un cammino condiviso dell'allievo e del formatore.

1.4 - Carità

"Carità" richiama essenzialmente amore di Dio e del prossimo, con esplicito riguardo alla virtù teologale.

Vedremo come su questa parola "carità" si sia verificata sin dai primi tempi dell'Opera una situazione di crisi, poiché non tutti ne avevano colto l'autentico significato, circoscrivendolo a quello di elemosina.

Occorre pertanto approfondirne la nozione.

1.4.1 - Gratuità e beneficenza

Peraltro anche sotto il profilo dell'elemosina, il concetto di carità riveste pur sempre un valore profondo a significare che:

a) Di regola la formazione viene conferita gratuitamente nella Casa di Carità, nei confronti di tutti i giovani e i lavoratori che non avrebbero diversamente agio e possibilità di frequentare corsi professionali.

b) La Casa di Carità deve sempre basarsi sulla beneficenza, pubblica e privata, per coinvolgere le comunità civile ed ecclesiale nella sua missione di elevare i lavoratori, anche come concreta attestazione della fiducia nella Provvidenza.

In altri termini, non deve mai cessare di chiedere la carità.

1.4.2 - L'amore di Cristo. Solidarietà e formazione

L'approfondimento del concetto di "carità", anche attraverso le sollecitazioni da parte della Gerarchia ecclesiastica ( si pensi solo al recente Convegno della Chiesa Italiana svoltosi a Palermo nel novembre 1995, il cui tema è stato "Il Vangelo della Carità per una nuova società in Italia", ha notevolmente illuminato e chiarito la validità e il carattere profetico dell'inserimento di tale termine nella denominazione dell'Opera.

La parola "carità", riferita alla formazione per il lavoro, è diretto richiamo a Gesù, al suo insegnamento e alla sua persona.

Una scuola, che è "casa", di carattere professionale, poiché rivolta alle "arti e mestieri", viene ad essere animata dalla carità, cioè dall'amore di Cristo, perché:

a) Aiuta i giovani e i lavoratori, conferendo loro una professionalità o competenze professionali, elevandoli pertanto nella loro personalità, consentendo loro di trovare un'occupazione e di conseguire un'autonomia economica, con tutti i benefici effetti che ciò comporta anche sul piano economico, politico e sociale.

b) Li educa cristianamente mediante un mestiere.

È questa una delle caratteristiche più specifiche e singolari dell'Opera, direttamente dedotta dalla denominazione "Casa di Carità", e comporta annuncio del Vangelo insegnando il lavoro, il che significa che il lavoro, alla luce di Gesù il Crocifisso Risorto, è strumento anche di cultura e di catechesi.

Così si esprime il ven. fr. Teodoreto f.s.c., l'apostolo dell'opera ( § 2.5.2 ), a questo riguardo: "Essa scuola deve dare non solo una formazione cristiana alla gioventù operaia, ma deve liberare per tale mezzo ogni cuore umano dalla schiavitù della materia, mediante la santificazione del lavoro".1

Questi concetti saranno ripresi e approfonditi nel capitolo 3°, con riguardo alle modalità, anche di ordine didattico, con cui annunciare il Vangelo mediante il lavoro.

Qui ci limitiamo per ora, su questo punto focale della proposta formativa della Casa di Carità, ad affermare come il lavoro non può essere relegato a semplice mezzo di produzione, ma è altresì strumento di espressione personale, occasione di solidarietà e di fraternità, imitazione della potenza creatrice di Dio.

"Senza Gesù il mestiere non ritrova compiutamente il suo complesso senso umano e tanto meno quello divino", ha scritto uno dei discepoli2 di fr. Teodoreto, acutamente cogliendone gli insegnamenti sulla Casa di Carità.

1.4.3 - Annuncio della carità di Cristo in ogni situazione

c) Su un piano più generale, la Casa di Carità è un messaggio per i nostri giorni.

Infatti "il tempo storico nel quale viviamo è povero e aridissimo in fatto di carità; esso fa grande uso dell' "eros ( come l'intendeva Schopenhauer ) e ben poco dell'agape; in questo modo non riesce ad afferrare il segreto di una comunione che desidera e in cui intuisce consistere ogni possibilità di società gioiosa".3

Il messaggio della nostra scuola, riferendo l'animazione del lavoro e del suo apprendimento alla carità, si innesta in questa spinta verso l'agape, dando il proprio contributo affinché il mondo possa soddisfare la sua aspettativa di carità.

"La carità della quale Gesù è sorgente non ha ne misura ne parola, né qualità umana.

È la manifestazione di Dio fatto uomo, il che lo colloca nel mistero della libertà e nel crogiuolo della generosità, dove non solo non giungono più i giudizi, ma neanche i più nobili palpiti del più fine sentimento terreno".4

Appare da questa riflessione che - la Casa di Carità realizza la pienezza della sua missione su un plano soprannaturale, e pertanto tale piano va costantemente tenuto presente nell'opera formativa; peraltro i limiti insiti nelle attività umane, nonché la varietà delle situazioni concrete possono comportare gradualità di proposte e adattamenti ai singoli interlocutori ed allievi.

Per chiarezza si pensi al caso limite dei corsi per allievi di altre religioni, come gli islamici, nei cui riguardi peraltro un'operatività nel senso della carità è pur sempre valida, ma ovviamente va adattata all'aspettativa ed alla recettività del destinatario.

In questo caso specifico la nostra proposta potrà essere espressa nel rispetto disinteressato della libertà di coscienza, a imitazione di quanto operava Madre Teresa di Calcutta verso i derelitti indiani.

1.4.4 - Incontro tra carità e cultura

Altro aspetto di tale messaggio per il nostro tempo è una proposta per il superamento della separazione tra fede e cultura, il che costituisce una delle criticità, anzi il dramma della nostra epoca, come più volte denunciato dal Magistero, e in particolare da Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Se la distinzione tra fede e cultura, cioè tra la rivelazione cristiana e le scienze umane o, per dirla nei termini dell'enciclica " Fides et ratio", tra fede e filosofia, è un' esigenza di chiarezza, con rilevanza ad un tempo religiosa e umana, viceversa la separazione tra questi due versanti, o addirittura l'opposizione, è posizione critica e nociva.

La Casa di Carità da il contributo al superamento di tale separazione così nefasta del nostro tempo, additando con la sua testimonianza come le arti e i mestieri, cioè la scienza e la tecnica, se si pongono in opposizione alla carità, risultano apportatrici di egoismo e di morte, come è ampiamente attestato dai tristi fenomeni di sfruttamento, oppressione, belligeranza, razzismo e simili, che traggono la loro forza, se non proprio la loro motivazione, dal distacco e dall'indifferenza al bene degli altri e alla solidarietà, cioè in definitiva alla carità.

1.5 - Arti e Mestieri

Il riferimento della carità alle arti e ai mestieri attesta che il servizio educativo della Casa di Carità è di formazione professionale, come già detto sopra al paragrafo 1.1.

Qui intendiamo ulteriormente sviluppare l'aspetto culturale della formazione professionale.

Questa infatti non è semplicemente un'iniziazione ad esercitare un determinato lavoro col solo apprendimento dell'uso di una macchina, o dell'esercizio di determinate funzioni.

Chi entra in bottega ad imparare a lavorare imitando quelli che sono già abili, senza dubbio apprende un lavoro, ma non fa formazione professionale.

E questo perché, come risulta dalla definizione che abbiamo esposto, la formazione è essenzialmente un'educazione, pertanto un'attività che opera sulla persona in quanto tale e non solo sulle facoltà manuali e sulla competenza tecnologica.

Infatti apprendere un lavoro è indubbiamente acquisire non solo abilità, ma anche nuove conoscenze e nuovi abiti di vita, requisiti questi che incidono in modo del tutto specifico sull'intelligenza e sulla volontà, cioè sulla parte spirituale della persona.

1.5.1 - Formazione e apprendistato

In certa misura la suddetta situazione si verifica anche in chi si limita a fare dell'apprendistato, perché impara pur qualcosa, e indubbiamente in tal modo accresce le sue cognizioni e modifica il suo comportamento.

Ma nel semplice apprendistato questi aspetti intellettivi e comportamentali non necessariamente vengono sottolineati e sviluppati per farne un elemento di crescita personale, e pertanto di educazione, il che viceversa avviene nella formazione professionale.

La formazione professionale valorizza tale apprendimento ed addestramento, per farne un elemento specifico di crescita culturale, tanto che si parla di "cultura del lavoro" o del "lavoro come forma di cultura".

Perché queste espressioni non si limitino a degli slogan privi di contenuto, occorre che ci soffermiamo un momento su di esse.

1.5.2 - Cultura del lavoro

Per cultura s'intende il "complesso di cognizioni, tradizioni, provvedimenti tecnici, tipi di comportamento e simili, trasmessi e usati sistematicamente, caratteristico di un dato gruppo sociale, o di un popolo, o di un gruppo di popoli, o dell'intera umanità".5

Si noterà che nella definizione vengono riportati, tra ciò che concorre a costituire tale insieme di dati culturali, anche i provvedimenti tecnici, che riguardano appunto il lavoro.

Pertanto, diversamente da quanto si può essere indotti a pensare istintivamente, che la cultura riguardi solo cognizioni teoriche, sicché di persona colta si dice che è persona di profonda cultura, a rigore la cultura riguarda anche altro: i procedimenti tecnici appunto, oltre agli altri vari elementi della definizione sui quali non ci soffermiamo.

Si comprenderà allora perché il lavoro, cioè il complesso di procedimenti tecnici attuati dall'uomo - operaio, lavoratore o imprenditore - per realizzare una determinata opera o servizio, concorre a fare cultura, e può essere una data forma di cultura.

Occorre solo che il lavoro sia analizzato e studiato nelle sue varie componenti, cioè operatori, materie prime, macchinari, procedure operative, prodotti e simili ( analoghe indicazioni possono essere date per i lavori che consistono in servizi ) e, più in generale, sulle sue ripercussioni sul piano politico, sociale, familiare e personale, per farne un vero e proprio elemento culturale, quindi una materia di studio e di apprendimento.

Sul lavoro si basa la formazione professionale, in un'impostazione e una prospettiva incentrata sull'apprendimento.

Cosa vuoi dire ciò? È evidente, dai semplici cenni sopra esposti, come il lavoro possa costituire materia di studio ad ogni livello, anche universitario, e pertanto su basi rigorosamente dottrinali.

Nella formazione professionale, la base è costituita dall'approccio pratico ed operativo ai procedimenti tecnologici, perché l'addestramento al lavoro resta pur sempre l'elemento ineludibile.

Ma per tutto quello che abbiamo detto sulla rilevanza culturale del lavoro, non può mancare anche l'approccio teorico, sebbene questo avvenga prevalentemente con riguardo alle procedure operative ( e non per via di astrazioni, come si avrebbe privilegiando le nozioni teoriche e le regole ).

Per sintetizzare in modo semplice e intuitivo, evidenziamo la differenza dell'approccio culturale della formazione professionale rispetto alla scuola propriamente detta. Mentre in quest'ultima i dati culturali di base sono quelli ricavati dalle varie discipline ( italiano, matematica, storia, scienze ecc … ), nella formazione professionale gli elementi culturali sono costituiti dai procedimenti tecnici del lavoro, anche se supportati, integrati ed esplicitati dalle nozioni tecnico - scientifiche e in parte anche dalle materie "culturali" in senso tradizionale.

Non è infatti possibile oggi offrire competenze professionali senza un discreto bagaglio di cultura generale.

Se il lavoro può costituire una forma di cultura con cognizioni specifiche e rilevanza sul comportamento, appare evidente come la formazione professionale incida direttamente sulla persona e costituisca una forma di educazione, come abbiamo già sopra notato.

E poiché l'educazione riguarda tutto l'uomo, non solo la sua abilità tecnica, ma anche il suo cuore e la sua mente, per essere completa non può prescindere dall'aspetto morale e religioso, come già osservato in merito al concetto di carità ( § 1.4.2 ).

Ma ecco anche a questo riguardo la particolarità della formazione professionale.

Il messaggio del Vangelo viene proposto essenzialmente attraverso l'insegnamento del lavoro.

È una visuale molto importante e particolarmente indicata per la nostra epoca così secolarizzata, cioè caratterizzata dalla separazione della fede rispetto alla cultura, cioè in altri termini dal fatto che la nostra società in sue varie manifestazioni non è più permeata dal Vangelo.

Questi concetti sono stati già esposti con riguardo alla tematica della carità sul piano umano generale ( § 1.4.3 ).

Il riproporli con riferimento alla cultura del lavoro attesta il legame intrinseco tra i concetti di lavoro, formazione professionale, cultura, annuncio evangelico e carità: da ciò deriva l'eccellenza della formazione professionale come missione educativa.

1.6 - Salvare le anime, e formare nuove generazioni

Se attraverso il titolo emerge in modo chiaro ed esaustivo la natura della Casa di Carità, la sua finalità appare ancora più evidente considerando il messaggio iniziale con cui essa è stata rivelata, che così inizia: "Per salvare le anime, per formare nuove generazioni" ( § 1.2 ).

Le due suddette proposizioni, ad un esame rigoroso, esprimono distinte sfumature del concetto di base.

Esaminando la seconda, "formare nuove generazioni", appare come una delle finalità dell'Opera sia quella essenzialmente di operare sui giovani, offrendo loro una proposta educativa, morale e sociale, oltre che di formazione professionale.

Sotto questo aspetto i destinatari sono prevalentemente i giovani, e tale finalità è confermata, tra l'altro, dal detto del diario di fra Leopoldo del 9 ottobre 1920, in cui si parla di "Scuole di Arti e Mestieri modellate su quelle di Torino per la riforma del mondo, cominciando dalla gioventù, educandola cristianamente".

Con riguardo alla prima espressione, "salvare le anime", si tratta di un messaggio squisitamente spirituale e religioso, ed è rivolto a tutti senza differenza di età, di sesso, di razza e di credo religioso.

Ci siamo soffermati sopra sulla rilevanza religiosa della proposta della Casa di Carità e sul metodo con cui accostare gli allievi di altre fedi.

Il dato inequivocabile è che il messaggio è rivolto a tutti ed ha una dimensione anche di carattere spirituale, concernendo la salvezza delle anime.

Anche a questo riguardo abbiamo conferma in un altro detto del diario di fra Leopoldo del 23 luglio 1920, in cui, circa la necessità per la Casa di Carità di chiedere aiuti, viene riportata questa affermazione, pure attribuita a Gesù: "Non è per arricchire nessuno, ma per le anime redente con il mio preziosissimo sangue.

Infine è la mia misericordia divina che vuole così. In primo luogo ricordino l'accettazione dei figli poveri".

Anche senza volere troppo sottilizzare, i due distinti aspetti evidenziano le ampie finalità dell'Opera.

Peraltro, sotto altra visuale, le proposizioni "salvare le anime" e "formare nuove generazioni" potrebbero considerarsi i termini di un'endiadi che significhi evangelizzazione e promozione umana.

E chiaro comunque che la Casa di Carità deve rivolgersi a tutti coloro che si preparano al lavoro, o che già lavorano, con una tipologia ampia e diversificata di allievi quale è quella che attualmente la frequenta.

Indice

1 Ven. fr. Teodoreto, "Nella intimità del Crocifisso", pag. 248 - Vedi stralcio in appendice a pag. 96
2 Il dr. Domenico Conti, già direttore generale della Casa di Carità, per oltre trenta anni Presidente dell'Unione Catechisti.
3 Giuseppe Pollano. Il giorno e la parola, Elle Di Ci, pag. 203.
4 Giuseppe Pollano, ibidem. La riflessione così continua: "Dare la vita" include dare il servizio, il perdono, la misericordia, il buon giudizio, l'incoraggiamento, l'edificazione, il cibo, il vestito, l'alloggio, il tempo, e molte altre cose; e il punto forte di tale dedizione è che l'amore di Dio opera nell'uomo e gli infonde la sua propria interpretazione, non terrena, dell'alterila.
L'altro - amabilità non amabile - è un amato; come sappiamo, è proprio il suo essere amato che gli attribuisce esistenza, importanza, presenza".
5 Nuovo Zingarelli, 11° ediz., pag. 498