25 Febbraio 1970

Esame della vita religiosa e morale per ben celebrare la Resurrezione

Diletti Figli e Figlie!

Siamo in Quaresima, cioè nel periodo preparatorio alla Pasqua.

E la preparazione pasquale si può descrivere in due capitoli, uno di ascetica, l'altro di mistica;

vogliamo dire di penitenza e di preghiera;

cioè di astinenza dapprima, e non solo dai cibi, secondo la disciplina, oggi tanto mitigata fino quasi alla sua abolizione, del digiuno, ma soprattutto da tutto quanto ci porta lontano da Dio, il peccato e le sue vie tentatrici, e ci rende meno padroni di noi stessi, meno liberi, meno personali e meno cristiani;

e poi d'intensità spirituale, cioè di nutrimento della Parola di Dio, di riflessione e di orazione.

La Chiesa ancora ritiene, col Vangelo alla mano, che per questi sentieri si va incontro a Cristo e ci si dispone, anche in quest'anno di grazia, a ben celebrare il Mistero pasquale, e che con questi esercizi morali e spirituali si forma il cristiano.

È una scuola austera e fervorosa la sua; tende a formare uomini nei quali la vita religiosa e la vita morale sono strettamente collegate, e scambievolmente collaboranti, uomini molto vigilanti sia sopra di sé, sia sulla qualità delle impressioni esteriori, uomini capaci d'imporre a se stessi certe norme e certe rinunce ad esperienze, le quali sembrano, a prima vista, molto interessanti e facenti parte del programma di una esistenza piena e moderna, e disposti nello stesso tempo a qualificarsi con un tacito, ma forte impero della propria volontà nella pratica, libera e impegnativa, di date virtù che Cristo, con la parola e con l'esempio, ci insegnò.

Sapreste descrivere il tipo umano risultante da questa scuola?

Se a ciò vi provate, fate un'esperienza ideale preziosa: voi vedete delinearsi non una figura uniforme e impersonale, ma una moltitudine di figure quante sono le persone applicate a questa scuola evangelica, caratterizzate, sì, dalle linee maestre, che configurano seguaci di Cristo, ma nello stesso tempo modellate ciascuna con tratti propri, singolari, in certo senso, unici: sono le figure dei santi, cioè dei cristiani veri e perfetti, nelle quali dominano due indispensabili fattori, uno efficiente, la grazia, un altro cooperante, la volontà.

Questo secondo fattore, la volontà, è a noi più noto e sperimentabile del primo, la grazia, così siamo praticamente indotti a definire i perfetti, i santi, dall'impiego da loro fatto della volontà, cioè dalle virtù, che vogliamo riscontrare in loro ad un grado superiore, perfino eroico.

Risulta da questa sommaria antropologia, cioè da questo metro con cui misuriamo la vera statura dell'uomo, che noi, alunni o maestri della Chiesa, vogliamo definire l'uomo buono dalla sua fortezza morale.

La Chiesa non vuole allevare uomini meschini e mediocri; tende ad educarli forti.

Vuole in essi virtù virili ( Cfr. Santa Caterina da Siena ).

Vuole in essi, come dice Sant'Agostino, una « libertà liberata » ( Retract. 1, 15 ), cioè affrancata dalle suggestioni interiori ed esteriori.

Ora sorge una domanda: questa figura ideale del cristiano come uomo forte è ancora adatta per il nostro tempo?

Non è figura d'altri tempi?

Il dubbio si fa insistente quando si appella al Concilio: non ha il Concilio alleggerito la vita cristiana da molti pesi, sovrapposti da una concezione ascetica, monastica, medievale del cristianesimo?

Non dice il Concilio che « dalla santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano »? ( Lumen gentium, 40 )

Non ha il Concilio fatto l'apologia della persona e della sua libertà?

Ecco un problema interessantissimo, che Noi proponiamo alla vostra riflessione.

E cioè: l'uso della libertà personale, che la maturità dell'uomo moderno e la pedagogia stessa della Chiesa non solo riconoscono, ma raccomandano alla formazione e all'affermazione della persona umana, abolisce l'antica disciplina della penitenza, dell'astinenza, dell'ascetica, cioè dell'agonismo morale, per lasciare alla nostra generazione una spontaneità d'azione, che la solleva da ogni vincolo normativo non strettamente necessario alla ordinata convivenza, che l'autorizza a godere pienamente d'ogni suo istinto vitale, ed a concedersi, almeno a scopo d'esperienza e di conoscenza, il godimento di ciò che finora era proibito e giudicato peccaminoso?

Applicate questa interrogazione, a titolo di esempio, a due espressioni dell'autoformazione moderna: la disobbedienza, cioè il rifiuto dell'autorità, qualunque sia, e quanto più alta più contestata, e l'erotismo, cioè l'accettazione anzi la ricerca delle cento forme della sensualità esibizionistica e qualificata come naturalezza, come giovinezza, come arte, come bellezza, come liberazione.

Vedrete come queste vie conducano lontano dalla concezione cristiana della vita, e non abbiano, come polo orientatore, la Croce.

Il risultato di questa indagine, per semplice che sia, è sconfortante.

Noi, figli del nostro tempo, seguendo questo ordine o disordine di pensieri, non camminiamo sulla buona strada.

Noi cerchiamo abitualmente ciò che ci è utile, ciò che ci è comodo, ciò che ci è piacevole.

Abbiamo, a questo riguardo, anche nel nostro campo religioso ed ecclesiale, molte pretese e molte indulgenze.

Vogliamo togliere dal nostro programma di vita la rinuncia e lo sforzo, la Croce.

Vogliamo tutto conoscere e purtroppo spesso tutto provare.

Il mondo, che, sotto la grande qualifica di umanità, dobbiamo tanto compatire ed amare, non ci fa più paura quando si presenta sotto il suo aspetto, non meno reale del primo, di amoralità, o di regola teorico-pratica per godere la vita.

Non ascoltiamo più la voce indignata di Cristo, che esorcizza questo nostro mondo gaudente e disponibile alla viltà morale: « O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò Io con voi? Fino a quando Io vi sopporterò? » ( Mt 17,16; Mt 11,16; etc. ).

Se non che, Figli carissimi, non dobbiamo chiudere questo rapido bilancio circa gli orientamenti morali del nostro tempo, senza notare alcune tendenze positive, che, volenti o no, vengono a suffragare l'antica sapienza ascetica della Chiesa, e che possiamo accogliere dalle provenienze più varie.

Non profittava San Paolo dello spirito agonistico, proprio del soldato ( Cfr. Ef 6,11-13 ), o proprio dello sportivo ( Cfr. 1 Cor 9,24-27 ), per educare i nuovi cristiani all'esercizio energico ed ascetico della volontà, ormai sollecitata e sorretta dalla grazia? ( Cfr. Rm 12,2; 1 Pt 5,10 )

In alcune forme e in alcuni profondi motivi della contestazione attuale non si nasconde forse un rifiuto all'edonismo convenzionale, alla mediocrità borghese, al conformismo imbelle nell'aspirazione a uno stile più semplice e severo, e più personale della propria condotta?

E non bussano alle nostre coscienze alcune austere pretese giovanili, come la sincerità nella parola e nella vita, come la povertà, come liberazione dall'incubo dell'idolatria economica e come tentativo coraggioso della imitazione di Cristo?

Vi sono fenomeni positivi anche nelle abitudini decadenti del nostro secolo, come vi sono programmi massimalisti di perfezione cristiana anche nei testi conciliari ( Cfr. Lumen gentium, 40 ), nei quali molti, superficiali e miopi, ovvero pigri e fiacchi, hanno voluto cercare un'indulgente amnistia alla concezione edonistica e naturalistica della condotta moderna.

Il nostro tempo ha bisogno di cristiani forti; la Chiesa, oggi tanto moderata nelle sue esigenze pratiche ed ascetiche, ha bisogno di figli coraggiosi, educati alla scuola del Vangelo; e perciò il suo invito alla mortificazione della carne e alla penitenza dello spirito è quanto mai d'attualità.

Vi aiuti il Signore a meditarlo e ad assecondarlo, con la Nostra Benedizione Apostolica.