Le ritrattazioni

Indice

Libro I

XIII (XII) - La vera religione, un libro

13.1. Allora scrissi anche un libro su La vera religione.

Nella discussione ivi contenuta si dimostra con svariate e numerose argomentazioni che con la vera religione si deve onorare l'unico vero Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo; si mette inoltre in evidenza con quale suo grande atto di misericordia la religione cristiana, che è la vera religione, sia stata concessa agli uomini attraverso un disegno legato alla temporalità e si illustra come l'uomo debba essere predisposto al medesimo culto di Dio mediante una ben definita condotta di vita.

Questo libro però parla soprattutto contro le due nature dei Manichei.

13.2. In un passo di questo libro ho detto: Abbi per certo e per acquisito che non avrebbe potuto esserci alcun errore nella religione se l'anima non onorasse, in luogo del suo Dio, un'anima o un corpo o delle creazioni della sua immaginazione.110

In questo caso ho usato il termine anima per indicare una qualsiasi creatura incorporea.

Non ho però seguito l'uso delle Scritture che, ove non ne facciano un uso traslato, sembrano ricorrere a quel termine per indicare il principio vitale degli animali mortali dei quali fanno parte anche gli uomini finché sono mortali.

Poco dopo ho espresso in forma migliore e più breve il medesimo concetto con le parole: Non poniamoci al servizio della creatura in luogo del Creatore, ( Rm 1,25 ) e non perdiamoci nei nostri vani pensieri; ( Rm 1,21 ) se così facciamo la nostra religiosità raggiunge la perfezione.111

Col medesimo termine ho indicato entrambe le creature, sia quella spirituale, sia quella materiale.

Resta l'espressione: creazioni della sua immaginazione, che spiega perché nel nuovo passo ho detto: e non perdiamoci nei nostri vani pensieri.

13.3. Ho anche detto: Questa è, ai nostri tempi, la religione cristiana conoscendo e seguendo la quale si ottiene la salvezza col massimo di sicurezza e di certezza.112

Mi sono espresso così facendo riferimento al nome e non alla realtà ch'esso designa.

In effetti quella che ora prende il nome di religione cristiana, esisteva già in antico e non fu assente neppure all'origine del genere umano, finché venne Cristo nella carne.

Fu allora che la vera religione, che già esisteva, incominciò ad essere chiamata cristiana.

Quando, dopo la risurrezione e l'ascensione in cielo, gli Apostoli incominciarono a predicare il Cristo e moltissimi divennero credenti, fu ad Antiochia che per la prima volta, come è scritto, i suoi discepoli furono chiamati "Cristiani". ( At 11,26 )

Per questo ho detto: Questa è ai nostri tempi la religione cristiana, non perché un tempo non esistesse, ma perché più tardi prese questo nome.

13.4. In un altro passo ho detto: Concentrati, con la maggiore attenzione e pietà possibile, su quanto dirò, è a chi segue tale linea che Dio porge il suo aiuto.113

L'affermazione non va però intesa nel senso che Dio aiuti solo costoro e non anche quelli che hanno un diverso comportamento; e li aiuta per far sì che siano anch'essi come i primi, perché si impegnino nella ricerca con diligenza e pietà.

Quanto ai primi li aiuta perché riescano a trovare.

Ho anche detto in un altro passo: Ne deriverà quindi che, dopo la morte del corpo, che dobbiamo al primo peccato, il nostro corpo, a suo tempo e secondo l'ordine che gli è proprio, sarà restituito alla stabile condizione che aveva all'origine.114

L'affermazione va intesa nel senso che l'originaria, stabile condizione del nostro corpo, che abbiamo perso col peccato, era così vantaggiosa da non subire il decadimento della vecchiaia.

A questo stato originario il nostro corpo sarà restituito al momento della risurrezione dei morti.

Ma avrà in più il vantaggio di non doversi sostenere con alimenti materiali: a lui basterà per alimentarsi essere vivificato dal solo spirito, ( 1 Pt 3,18 ) una volta che sarà risuscitato come spirito datore di vita, ( 1 Cor 15,45 ) ed allora sarà anche spirituale.

Quello che fu il primo corpo, benché non fosse destinato a morire, qualora l'uomo non avesse peccato, fu invece creato animale, vale a dire come anima vivente.

13.5. E ancora: Ora il peccato è un male talmente legato alla volontà che in nessun modo potrebbe essere peccato se non fosse volontario.115

Questa definizione può sembrare falsa, ma, a ben esaminarla, si rivela verissima.

Bisogna qui pensare a quel peccato che è solo peccato, non a quello che è anche punizione del peccato, come ho dimostrato in precedenza nel ricordare alcune espressioni tratte dal terzo libro del mio scritto su Il libero arbitrio.116

Eppure anche quelli che non senza ragione sono detti peccati involontari, perché perpetrati per ignoranza o costrizione, non possono in ogni caso essere commessi senza l'intervento della volontà: anche chi pecca per ignoranza, pecca comunque volontariamente, in quanto ritiene di dover fare ciò che non va fatto.

E anche chi, per la violenza esercitata dalla concupiscenza della carne contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) non fa ciò che vuole, dà sfogo alla sua concupiscenza senza volerlo e, in tale condizione, non fa ciò che vuole; se però si lascia vincere, ciò significa che acconsente volontariamente alla concupiscenza e non fa, in tal caso, se non ciò che vuole, non vincolato alla giustizia e schiavo del peccato. ( Rm 6,20 )

E anche quello che nei bambini è detto peccato originale, benché essi non fruiscano ancora del libero arbitrio della volontà, non è assurdo chiamarlo volontario in quanto, una volta contratto a causa del primo cattivo uso della volontà da parte dell'uomo, è divenuto, in certo qual modo, ereditario.

Non è dunque falso quanto ho detto: Il peccato è un male talmente legato alla volontà che in nessun modo potrebbe essere peccato se non fosse volontario.117

È in virtù della grazia divina che non solo viene cancellata la colpa dei peccati passati in tutti coloro che vengono battezzati in Cristo, il che avviene per l'azione dello Spirito di rigenerazione, ma anche negli adulti viene sanata la stessa volontà e viene predisposta da Dio, il che si deve allo spirito di fede e di carità.

13.6. In un altro passo in cui ho detto del Signore Gesù Cristo che non operò nulla con la violenza, ma tutto con la persuasione e l'ammonizione,118 non mi ero ricordato che cacciò dal tempio con la frusta i venditori e i compratori. ( Mt 21,12; Mc 11,15; Lc 19,45 )

Ma qual è la sostanza e l'effettiva portata di tale episodio ( anche se è vero che cacciò, loro malgrado, i demoni dagli uomini non con parole persuasive, ma con la forza del suo potere )? ( Mt 9,32; Mc 1,34; Lc 4,35 )

E in un altro passo: Bisogna in primo luogo seguire coloro che ritengono che l'unico Dio supremo sia anche l'unico vero e l'unico degno di culto.

Se poi in loro non dovesse risplendere la verità, ci si dovrebbe rivolgere altrove.119

Potrà sembrare che io mi sia espresso così quasi che dubitassi della verità di questa religione.

In realtà ho usato quelle parole perché si addicevano a colui al quale al momento mi stavo rivolgendo.

Ho detto infatti così: Se poi in loro non dovesse risplendere la verità, senza avere il minimo dubbio ch'essa risplende di fatto in loro.

Anche l'Apostolo dice: Se Cristo non è risuscitato, ( 1 Cor 15,14 ) ma non certo perché dubiti che la risurrezione sia avvenuta.

13.7. È certamente vero quanto ho scritto: Non si è permesso che quegli straordinari miracoli si protraessero fino ai nostri tempi, per evitare che l'anima cercasse sempre segni visibili e che il genere umano, che si era esaltato per la straordinarietà di quei fatti, diminuisse la tensione a causa dell'abitudine.120

Oggi non accade più, quando si impone la mano ai battezzati, ch'essi ricevano lo Spirito Santo unitamente alla facoltà di esprimersi nelle lingue di tutti i popoli. ( At 2,4; At 10,46 )

Neppure accade più che i malati riacquistino la salute se sfiorati dall'ombra provocata dal passaggio dei predicatori di Cristo. ( At 5,15 )

E ciò vale per tutti gli altri fatti di allora che, come si sa, non si sono più verificati.

Ma quanto ho detto non va certo inteso nel senso di escludere che oggi si verifichino dei miracoli in nome di Cristo.

Io stesso, nel tempo in cui attendevo alla stesura di questo libro, ero venuto a conoscenza di un cieco che aveva riacquistato la vista a Milano,121 vicino ai corpi dei martiri di quella città e sapevo di altri fatti del genere di quelli che anche oggi si verificano in così gran numero che non possiamo né conoscerli tutti né contare quelli che conosciamo.

13.8. In un altro passo ho detto: Come dice l'Apostolo: "Ogni ordine deriva da Dio".122

In realtà l'Apostolo non si è espresso con queste parole, anche se il senso risulta identico.

Le esatte parole da lui pronunciate sono: Tutto ciò che esiste è ordinato da Dio. ( Rm 13,1 )

Altrove ho detto: Nessuno ci inganni: ciò che è con giusta ragione biasimato, viene respinto al paragone con ciò che è meglio.123

L'affermazione riguardava le nature e le sostanze: queste erano infatti l'oggetto della disputa, non le buone azioni e i peccati.

Così pure in un altro passo ho detto: Un uomo non deve essere amato da un altro uomo alla stregua dei fratelli di sangue, o dei figli, o dei coniugi, o di coloro che sono fra loro parenti o affini o concittadini: si tratta anche in questo caso di forme di affetto limitate nel tempo.

E noi non avremmo questo tipo di relazioni che ci riguarda in conseguenza della nascita o della morte se la nostra natura si fosse conservata ligia ai precetti e coerente con l'immagine di Dio e non fosse caduta nel presente stato di corruzione.124

Per parte mia disapprovo del tutto questa posizione come ho già fatto a proposito del primo libro de La Genesi difesa contro i Manichei.125

Essa conduce alla conclusione che quella prima coppia non avrebbe generato altri uomini se non avesse peccato, quasi che dall'unione di un uomo e di una donna dovessero nascere di necessità creature destinate a morire.

Non avevo ancora considerato la possibilità che da creature immortali potessero nascere altre creature immortali, ove la natura umana non si fosse corrotta in conseguenza di quel grave peccato.

Non avevo supposto che, permanendo in genitori e figli una favorevole disposizione a generare, gli uomini potessero moltiplicarsi fino a raggiungere un numero di santi pari a quelli predestinati da Dio ( Rm 8,28; 1 Cor 2,7; Ef 1,5.11 ) e che gli uomini potessero nascere non per succedere ai loro genitori quando sopravvenisse la morte, ma per regnare assieme a loro in vita.

Se nessuno avesse peccato, ci sarebbero stati ugualmente questi rapporti di parentela e affinità e nessuno morirebbe.

13.9. In un altro passo ho detto: Volgendoci all'unico Dio e legando a lui solo le nostre anime - di qui si ritiene che derivi il termine religione - teniamoci al sicuro da ogni superstizione.126

In queste mie parole è espressa l'etimologia del termine religione che più mi soddisfaceva.

So che autorevoli studiosi della lingua latina hanno proposto per questo vocabolo un'altra origine, supponendo che religio sia detto così perché religitur [ è rieletto, scelto di nuovo ].127

Questo verbo è un composto di legere, cioè eligere [ eleggere, scegliere ], sì che in latino religere equivale a eligere [ eleggere ].

Questo libro incomincia così: Poiché la via per ogni vita buona e felice.

XIV (XIII) - Sull'utilità di credere, a Onorato, un libro

14.1. Quando ero già sacerdote ad Ippona scrissi un libro su L'utilità di credere.

Ne era destinatario un mio amico che sapevo irretito dai Manichei e ancora invischiato in quell'errore.

Per lui nella disciplina imposta dalla fede cattolica era oggetto di riso che agli uomini fosse ordinato di credere senza che venisse loro insegnato con solidi argomenti quale fosse la verità.

In questo libro ho detto: Nei precetti e nei comandamenti della legge ai quali, nel tempo presente, non è lecito al cristiano attenersi, quali o il sabato o la circoncisione o i sacrifici e altre consimili imposizioni, sono contenuti misteri così grandi che chiunque abbia sentimento religioso comprende che non v'è nulla di più dannoso che interpretare alla lettera, cioè parola per parola, il contenuto di quelle leggi, nulla di più salutare che farlo rivelare dallo Spirito.

Di qui il detto: "La lettera uccide, lo Spirito dà la vita".128

Ho spiegato diversamente queste parole dell'apostolo Paolo nel libro intitolato Lo spirito e la lettera e quella spiegazione, per quanto sembra a me o, piuttosto, per quanto emerge dalle cose stesse, è più adeguata.

Anche però quella che si dà qui non è da respingere.129

14.2. Ho anche detto: Due sono le categorie di persone che meritano lode in fatto di religione.

L'una è quella di coloro che hanno già trovato e che si debbono necessariamente giudicare i più felici.

All'altra appartengono quelli che conducono la loro ricerca con grande impegno ed onestà.

I primi sono già pervenuti al possesso dell'oggetto della loro aspirazione, gli altri sono in cammino, ma seguono un percorso che permette di giungere con assoluta certezza alla mèta.130

Se queste mie parole vanno intese nel senso che coloro che han già trovato e che abbiamo detto essere giunti al possesso, debbono essere considerati i più felici, non in quanto già lo sono in questa vita, ma lo saranno in quella che è nelle nostre speranze e alla quale tendiamo attraverso la via della fede, non c'è errore nella mia affermazione.

Si deve infatti ritenere che a trovare ciò che va ricercato siano stati coloro che già dimorano dove noi desideriamo giungere cercando e credendo, seguendo cioè la via della fede.

Se invece si ritiene che costoro siano felici o lo siano stati in questa vita, non mi sembra che sia questa la verità.

Ed affermo questo non perché durante questa vita non vi sia alcuna verità che sia comprensibile dalle nostre facoltà intellettuali, e non oggetto di sola fede, ma perché tale verità, quale che sia, non può fornire il massimo di felicità a chi la possiede.

Né si può dire che per la nostra mente rimanga incomprensibile l'oggetto dell'espressione dell'Apostolo: Ora vediamo attraverso uno specchio, confusamente come in un enigma, o dell'altra: Ora solo in parte. ( 1 Cor 13,12 )

È certamente comprensibile, ma non conferisce ancora il massimo della felicità.

A concedere il massimo della felicità è la situazione espressa nelle parole: allora faccia a faccia, e: allora conoscerò allo stesso modo in cui sono conosciuto. ( 1 Cor 13,12 )

Di coloro che hanno sperimentato tale situazione si può veramente dire che sono in possesso della felicità alla quale ci conduce il cammino di fede che percorriamo e che costituisce il punto d'arrivo che desideriamo raggiungere credendo.

Molto però si discute sull'individuazione delle creature al massimo della felicità che già posseggono ciò cui tende questa nostra via.

Che già si trovino in tale situazione gli angeli santi non è oggetto di controversia.

La questione invece riguarda giustamente gli uomini santi già defunti, dei quali ci si chiede se debbano essere considerati fruitori di quel possesso.

Già sono stati liberati dal corpo corruttibile, che è un peso per l'anima, ma ancora attendono, anche loro, la redenzione del proprio corpo, ( Rm 8,23 ) mentre la loro carne si acqueta nella speranza, ( Sal 16,9 ) ma non risplende ancora nel futuro stato di incorruttibilità.

Non è però questa la sede per discutere e indagare se da questa loro condizione possa derivare un qualche impedimento a contemplare la verità con gli occhi del cuore e, secondo quanto è detto, faccia a faccia.

Allo stato di felicità di cui s'è detto va riferita anche l'altra mia affermazione: È motivo di grandissima felicità conoscere tutto quanto è grande, degno d'onore o anche divino.131

In questa vita, quale che sia l'estensione di tale conoscenza, si è ancora ben lontani dal massimo della felicità in quanto incomparabilmente più ampia del noto è la dimensione dell'ignoto.

14.3. Consideriamo quanto ho detto: C'è molta differenza fra il tenere per certa una verità sulla base di una precisa argomentazione del pensiero - un procedimento che denominiamo sapere per scienza - e l'affidarla alla tradizione orale o agli scritti perché i posteri, credendo ad essa, ne siano avvantaggiati.

E consideriamo anche ciò che ho detto poco dopo: Ciò che sappiamo per scienza lo dobbiamo alla ragione, ciò che crediamo all'autorità.132

Orbene, non si pensi che con affermazioni siffatte abbiamo inteso esprimere il timore che nel nostro comune modo di esprimerci si dica di avere scienza di qualcosa cui in realtà si crede soltanto sulla base di adeguate testimonianze.

Quando ci esprimiamo secondo una rigorosa proprietà di linguaggio diciamo di avere scienza solo di ciò che comprendiamo attraverso una solida argomentazione mentale.

Quando invece ricorriamo a espressioni più vicine all'uso corrente, che è poi il linguaggio della divina Scrittura, non esitiamo a dichiarare di avere scienza sia di ciò che percepiamo attraverso i sensi del nostro corpo, sia di ciò che crediamo sulla base di testimoni degni di fede, pur comprendendo la differenza che c'è fra i due tipi di conoscenza.

14.4. Ho anche detto: È un principio non soggetto a dubbio che tutti gli uomini sono o stolti o saggi.133

L'affermazione potrebbe sembrare in contrasto con quanto si legge nel terzo libro Sul libero arbitrio: Quasi che la natura umana non fosse in grado di tenere un atteggiamento intermedio fra la stoltezza e la saggezza.134

In realtà questo è stato detto al momento in cui ci si chiedeva, a proposito del primo uomo, se fosse stato creato saggio o stolto o non contemplasse, in origine, nessuna delle due tipologie.

Non potevamo infatti in nessun modo definire stolto chi era stato creato senza difetto - mentre grave difetto è la stoltezza - e d'altra parte non risultava abbastanza chiaro come potessimo definire saggia una creatura che poté essere sedotta.

È per questo che, per riassumere, ho deciso di dire: Quasi che la natura umana non fosse in grado di tenere un atteggiamento intermedio fra la stoltezza e la saggezza.

Mi rendevo conto che anche dei bambini, che dobbiamo ammettere abbiano contratto il peccato originale, non possiamo dire che siano né saggi né stolti, visto che non fruiscono né in bene né in male del libero arbitrio.

Dicendo in questo passo che gli uomini sono o stolti o saggi ho voluto che l'affermazione s'intendesse riferita a quelli che già fruiscono della ragione, la facoltà che distingue gli uomini dagli animali.

È nello stesso senso che noi diciamo che tutti gli uomini vogliono essere felici.

Forse che nel fare questa affermazione così vera ed evidente dobbiamo temere che vengano implicati anche i bambini che ancora non possono avere questa aspirazione?

14.5. In un altro passo, dopo aver ricordato che le azioni miracolose compiute dal Signore quando dimorava in un corpo di carne, ho aggiunto queste parole: Perché, si dirà, questi fatti non accadono più?135

Ed ho risposto: Perché non desterebbero meraviglia se non fossero straordinari, mentre se rientrassero negli eventi consueti, non desterebbero più meraviglia.136

Ho detto questo poiché non si danno più né fatti così imponenti né in così gran numero e tutti assieme, non perché non se ne verifichino di simili anche oggi.

14.6. Ho detto alla fine del libro: Poiché questo nostro discorso si è protratto oltre i limiti che mi aspettavo, è giunto il momento di por fine al libro.

Voglio però tu tenga presente che in esso non ho ancora incominciato a confutare i Manichei e non mi sono ancora gettato sulle loro sciocchezze né ho detto qualcosa di importante sulla stessa Chiesa cattolica.

Ho solo voluto scalzare da te, ove mi fosse possibile, la falsa opinione sui veri Cristiani che ci è stata insinuata con malizia o per ignoranza e di elevarti alla conoscenza di verità sublimi e divine.

Questo volume resti dunque qual è.

Quando il tuo animo sarà più sereno, io sarò forse più disponibile per spiegarti tutto il resto.137

Non avevo affermato questo volendo dare ad intendere che non avevo ancora scritto nulla contro i Manichei o che nulla avevo affidato ai miei scritti che riguardasse la dottrina cattolica.

Al contrario i tanti volumi da me precedentemente pubblicati testimoniano che da parte mia non era stato passato sotto silenzio né l'uno né l'altro tema.

È in questo libro indirizzato a lui che non avevo ancora incominciato a confutare i Manichei e non mi ero ancora gettato sulle loro sciocchezze né avevo detto qualcosa di importante sulla stessa Chiesa Cattolica.

Speravo, dopo questo inizio, di mettere per iscritto per lui quanto in quest'opera non avevo ancora scritto.

Questo libro incomincia così: Se a te, o Onorato, apparisse la stessa e identica cosa.

XV (XIV) - Le due anime, contro i Manichei, un libro

15.1. Dopo questo libro, mentre ero ancora semplice sacerdote, scrissi contro i Manichei trattando delle due anime.

Di queste affermano che l'una sarebbe una parte di Dio, l'altra deriverebbe dalla stirpe delle tenebre, una realtà che non rientrerebbe nel novero delle creature di Dio e sarebbe a lui coeterna.

Vanno anche dicendo nel loro delirio che entrambe queste anime, delle quali l'una buona e l'altra malvagia, coesisterebbero in uno stesso uomo, affermano cioè che cotesta anima malvagia sarebbe propria della nostra componente carnale - componente che, sempre a loro dire, apparterrebbe alla stirpe delle tenebre - mentre quella buona sarebbe costituita da una parte, sopravvenuta dall'esterno, della stessa sostanza divina che sarebbe entrata in contrasto con la stirpe delle tenebre e risulterebbe unita e mescolata alla prima.

Di qui l'attribuzione di tutti i beni dell'uomo all'anima buona e di tutti i mali a quella malvagia.

In questo libro ho scritto: Non esiste alcuna vita, qualunque essa sia, che per il fatto stesso di essere vita e in quanto è veramente vita, non si ricolleghi alla suprema fonte ed origine della vita.138

Ho affermato questo perché si intenda che la vita, in quanto creatura, si ricollega al suo Creatore, non già che tragga origine da lui come sua parte.

15.2. Ho anche detto che non v'è peccato se non nella volontà.139

I Pelagiani possono pensare che questa affermazione sia a loro favore in considerazione dei bambini non ancora in grado di usare del libero arbitrio della volontà che perciò, a loro dire, sarebbero esenti dal peccato che viene loro rimesso nel battesimo.

Ma affermare questo è come sostenere che il peccato - quel peccato che i bambini, a nostro avviso, hanno ereditato da Adamo e per il quale risultano implicati nel suo delitto e, per conseguenza, soggetti a pena - possa essersi verificato in qualcosa di diverso dalla volontà, la volontà con la quale fu commesso quando si verificò la trasgressione del comandamento divino.

La nostra affermazione che non v'è peccato se non nella volontà può anche essere ritenuta falsa, ove si considerino le parole dell'Apostolo: Se faccio proprio ciò che non voglio, non sono più io ad agire, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,20 )

A tal punto questo peccato è estraneo alla volontà da indurre l'Apostolo a dichiarare: Faccio proprio ciò che non voglio.

In che senso dunque non ci sarebbe peccato se non nella volontà?

Va però considerato che questo peccato del quale l'Apostolo ha parlato in tali termini prende il nome di peccato per la ragione che è determinato dal peccato e ne costituisce la punizione.

In realtà ciò di cui qui si parla è la concupiscenza della carne, come l'Apostolo stesso chiarisce subito dopo dicendo: So che in me, cioè nella mia carne, non alberga il bene: ho infatti la possibilità di volere, ma non di fare il bene. ( Rm 7, 18 )

La compiuta realizzazione del bene consiste nell'assenza dall'uomo della stessa concupiscenza del peccato, quella concupiscenza cui la volontà si oppone quando si conduce una vita retta.

Non attua però completamente il bene perché c'è ancora in lui la concupiscenza cui s'oppone la volontà.

La colpa legata a tale concupiscenza viene mondata nel battesimo, ma resta la debolezza con la quale ogni fedele ben avviato sulla via della perfezione tenacissimamente lotta fino a completa guarigione.

Quanto al peccato che non esiste se non nella volontà si deve intendere con esso soprattutto quello cui ha fatto seguito una giusta condanna: trattasi in realtà di quello che è entrato nel mondo per colpa di un solo uomo. ( Rm 5,12 )

Eppure anche questo peccato, in conseguenza del quale si dà l'assenso alla concupiscenza del peccato, non viene commesso se non nella volontà.

Per questo anche in un altro passo ho detto: Non si può dunque peccare se non volontariamente.140

15.3. In un altro passo così ho definito la stessa volontà: La volontà è un impulso dell'anima a non perdere o a conseguire qualcosa senza alcuna costrizione.141

Mi ero espresso così perché con tale definizione si stabilisse una distinzione fra l'azione volontaria e quella involontaria e si facesse riferimento a coloro che per primi nel paradiso costituirono per il genere umano l'origine del male.

A ciò essi giunsero peccando senza che nessuno li costringesse, peccando cioè liberamente e volontariamente.

Lo dimostra il fatto che non solo agirono scientemente contro un ordine ricevuto, ma colui che li tentò ( perché ciò avvenisse ) lo fece ricorrendo alla persuasione, non alla costrizione.

Non sarebbe infatti un'incongruenza considerare peccatore involontario chi compisse un'azione peccaminosa senza essere a conoscenza della sua peccaminosità, anche se, a ben considerare la cosa, non si può dire che chi ha agito senza sapere abbia agito anche senza volere, con la conseguenza che nemmeno il suo peccato poté aver luogo senza l'intervento della volontà.

La sua volontà dunque, secondo la definizione che se n'è data, è stata un impulso dell'anima a non perdere o a conseguire qualcosa senza alcuna costrizione.

Non fu infatti costretto a fare ciò che avrebbe potuto non fare se l'avesse voluto.

Lo ha dunque fatto poiché l'ha voluto, anche se non ha peccato per averlo voluto, visto che ignorava la peccaminosità della sua azione.

Neppure a tale peccato perciò fu estranea la volontà, pur trattandosi della volontà di fare e non di peccare; e pur tuttavia quel fare è stato un peccato, dato che s'è fatto ciò che non si sarebbe dovuto fare.

Chiunque invece pecca scientemente e, pur potendo resistere senza peccare a chi vorrebbe costringerlo al peccato, non esercita tale resistenza, pecca in ogni caso volontariamente poiché chi può resistere non è costretto a cedere.

Chi poi non è in grado di resistere con la sua buona volontà a una passione che lo costringe e perciò agisce contro i comandamenti della giustizia, commette un peccato che lo è a tal punto da essere anche la punizione del peccato.

È pertanto perfettamente conforme a verità sostenere che non ci può essere peccato senza volontà.

15.4. Ho anche dato questa definizione del peccato: Peccato è la volontà di conservare o di conseguire ciò che la giustizia vieta e da cui ci si può liberamente astenere.142

Essa è vera in quanto si limita a definire ciò che è semplicemente peccato, non quella che è anche una punizione del peccato.

Quando infatti il peccato è tale da costituire nel contempo anche la punizione del peccato stesso, quale possibilità ha la volontà, posta sotto il dominio della passione, se non quella di chiedere aiuto ove sia intrisa di spirito religioso?

In tanto è libera in quanto è stata liberata, e solo a tale patto può essere denominata volontà.

Altrimenti sarebbe più corretto chiamarla senz'altro passione, anziché volontà.

Questa poi non costituisce, come vanno dicendo i Manichei nella loro follia, l'aggiunta di una natura estranea, bensì un difetto della nostra, difetto del quale può guarirci solo la grazia del nostro Salvatore.

Se poi qualcuno afferma che la passione altro non è che la stessa volontà, quando però sia viziosa e schiava del peccato, non c'è da opporsi né da farne una questione di parole, visto che quella è la sostanza: anche in questo modo si dimostra che senza volontà non può esservi peccato, intendendo per peccato sia quello attualmente compiuto sia quello compiuto all'origine.

15.5. Ho anche detto: Avrei potuto chiedermi se quella categoria di anime malvagie avesse avuto una qualche volontà prima di unirsi a quelle buone.

Se non ne aveva era senza peccato ed innocente, quindi in nessun modo malvagia.143

Perché dunque - ci si obietta - parlate del peccato dei bambini dei quali non ritenete colpevole la volontà?

Si risponde ch'essi sono ritenuti tali non perché posseggano una volontà, ma per la loro origine.

Chi è in effetti, quanto all'origine, ogni uomo che vive sulla terra se non Adamo?

Ma Adamo aveva senz'altro una volontà e proprio perché ha peccato con quella volontà il peccato per opera sua è entrato nel mondo. ( Rm 5,12 )

15.6. Ho anche detto: Le anime non possono in alcun modo essere malvagie per natura.144

Se ci si chiede come intendiamo, in riferimento con questa nostra affermazione, le parole dell'Apostolo: Eravamo anche noi per natura figli dell'ira come tutti gli altri, ( Ef 2,3 ) rispondiamo che nelle mie parole ho voluto che per natura s'intendesse quella che viene detta natura in senso proprio e nella quale siamo stati creati senza difetto.

Quella infatti di cui parla l'Apostolo è detta natura in funzione della sua origine, un'origine comunque corrotta da un difetto che è contro natura.

Ho detto inoltre: È segno di somma iniquità e di follia che si consideri qualcuno reo di peccato per non aver fatto ciò che non poteva.145

Perché dunque - mi si obietta - i bambini sono ritenuti colpevoli?

Si risponde: Lo sono in quanto traggono origine da colui che non fece quello che avrebbe potuto fare, rispettare l'ordine divino.

Ho poi detto: Qualunque cosa facciano quelle anime, se lo fanno in conseguenza della loro natura e non per volontà, se cioè viene loro a mancare un libero moto dell'anima a fare o a non fare, se infine non viene loro concessa alcuna possibilità di astenersi dalla loro azione, non possiamo in alcun modo considerarle in peccato.146

A questo però non fa difficoltà la questione dei bambini in quanto la loro colpevolezza trae origine da colui che peccò volontariamente quando non gli venne a mancare il libero impulso dell'anima a fare o a non fare e aveva al massimo grado il potere di astenersi da un'azione malvagia.

Non è questo che affermano i Manichei della stirpe delle tenebre, che introducono ricorrendo a fandonie, e sostengono che la sua natura è sempre stata malvagia e mai buona.

15.7. Mi si potrà chiedere di chiarire il senso di queste mie parole: Anche ammesso che vi siano delle anime - cosa d'altronde incerta - legate alle operazioni del corpo non in conseguenza del peccato, ma per natura e che, nonostante la loro inferiorità, ci tocchino per una qualche affinità interiore, non converrà considerarle malvagie solo perché lo siamo noi quando le seguiamo e amiamo le cose materiali.147

La domanda potrebbe essermi rivolta in considerazione del fatto che le mie affermazioni riguardano quelle medesime anime delle quali in precedenza così avevo incominciato a parlare: Ciononostante, anche se si concede loro che noi siamo indotti ad azioni vergognose da un altro genere inferiore di anime, non per questo giungono alla conclusione o che quelle per natura siano malvagie o che queste costituiscano il sommo bene.148

Di queste ho continuato a discutere fino al passo in cui ho detto: Anche ammesso che vi siano delle anime - cosa d'altronde incerta - legate alle operazioni del corpo non in conseguenza del peccato, ma per natura, con quel che segue.

Mi si potrà dunque chiedere perché abbia detto: cosa d'altronde incerta, mentre non avrei dovuto aver dubbi che tali anime non esistono.

Ho detto però questo per aver avuto esperienza di persone a sentire le quali il diavolo e i suoi angeli sarebbero buoni nel loro genere e in quella natura nella quale Dio li ha creati così come essi sono secondo il loro rango, mentre per noi sarebbe un male lasciarsi sedurre e vincere da loro, ma motivo di onore e di gloria l'evitarli e l'avere il sopravvento su di loro.

E coloro che affermano questo ritengono di poter trarre dalle Scritture testimonianze idonee a provare il loro assunto, come ciò che si legge nel libro di Giobbe laddove è descritto il diavolo: Questa è la prima delle creature plasmate dal Signore che l'ha creata perché fosse lo zimbello dei suoi angeli; ( Gb 40, 19 sec. i LXX ) o l'altra del Salmo 104: Questo serpente che hai plasmato per prenderti gioco di lui. ( Sal 104,26 )

Per non rendere il libro troppo più lungo di quanto avrei voluto rinunciai allora a trattare esaustivamente e a sviluppare questa questione che andrebbe affrontata e risolta non contro i Manichei, che non la pensano così, ma contro altri che sono di questa opinione.

D'altra parte vedevo che, anche se avessi fatto questa concessione, i Manichei dovevano e oramai potevano essere convinti d'errore al momento in cui nella loro deviante follia introducevano la natura del male come coeterna all'eterno bene.

Perciò io ho detto: cosa d'altronde incerta,149 non perché personalmente ne dubitassi, ma perché tra me e coloro che sapevo pensarla in questo modo la questione non era ancora stata definita.

L'ho però risolta sulla base delle Sacre Scritture nel modo più chiaro che ho potuto in altri miei libri scritti molto dopo su L'interpretazione letterale della Genesi.

15.8. E altrove: Per questo - dico - pecchiamo quando amiamo le realtà materiali perché la giustizia ci ordina e la natura ci rende possibile amare quelle spirituali ed è a questo punto che raggiungiamo, nel nostro genere, il massimo grado di perfezione e di felicità.150

A questo punto mi si potrebbe chiedere perché tale possibilità sarebbe dovuta alla natura e non alla grazia.

Ma nella controversia contro i Manichei era in questione la natura.

E la grazia in ogni caso fa in modo che la natura, una volta sanata, sia in grado di far ciò che non le è permesso nel suo stato di abbrutimento per merito di colui che venne a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,10; Mt 18,11 )

Già allora facevo riferimento a questa grazia nella preghiera da me formulata a favore dei miei amici che ancora erano stretti da quel mortale errore: Dio grande, Dio onnipotente, Dio di suprema bontà, che la fede religiosa ci impone di credere e di concepire come inviolabile e incorruttibile, Unità Trina oggetto di culto da parte della Chiesa cattolica, ti prego e ti supplico, dopo aver sperimentato in me la tua misericordia, di impedire che uomini coi quali fin dalla fanciullezza fui sempre in perfetto accordo in ogni occasione di vita in comune, dissentano da me per quanto attiene al culto a te dovuto.151

Sicuramente mentre pregavo così già ritenevo certo per fede non solo che i convertiti a Dio traggono vantaggio dalla sua grazia per progredire e raggiungere la perfezione - a questo proposito si potrebbe ancora dire che la grazia viene concessa per merito della loro conversione - ma anche che la conversione a Dio è da ascrivere alla sua grazia.

È per questo che ho pregato per loro che erano troppo lontani da Lui ed è per la loro conversione che ho pregato. Questo libro incomincia così: Con l'aiuto della misericordia di Dio.

XVI (XV) - Atti della disputa contro Fortunato Manicheo, un libro

16.1. Sempre nel tempo del mio sacerdozio mi capitò di discutere contro un certo Fortunato appartenente all'ordine dei preti manichei.

Costui era vissuto a lungo ad Ippona ed aveva sedotto un così gran numero di persone da prediligere quella residenza per il legame che lo univa a loro.

La disputa fu registrata da notai nel corso del suo svolgimento sotto forma di atti pubblici, come si evince dall'indicazione del giorno e del console in carica.

Ci siamo perciò premurati di trasferirla in un libro perché se ne conservi la memoria.

Vi si affronta il problema dell'origine del male, e mentre io asserisco che il male dell'uomo trae origine dal libero arbitrio della volontà, il mio avversario si sforza di dimostrare che la natura del male è coeterna a Dio.

Il giorno seguente però ammise di non riuscire ad oppormi alcun argomento.

Non divenne certo cattolico, ma si allontanò da Ippona.

16.2. In quel libro ho scritto: L'anima è stata creata da Dio come tutte le sue creature e, fra tutte le cose ch'egli ha creato nella sua onnipotenza, all'anima è stato dato il primo posto.152

Mi sono espresso così perché la mia affermazione si intendesse riferita a tutte le creature razionali, anche se, come già osservato,153 nelle Sacre Scritture o non si parla affatto di anime in riferimento agli angeli o non è facile trovarne menzione.

In un altro passo ho detto: Affermo che non esiste peccato se non si pecca di propria volontà.154

In quel passo però ho voluto intendere per peccato solo quello che non è anche punizione del peccato: di tale punizione ho infatti detto altrove, nell'ambito della stessa discussione, tutto ciò che andava detto.155

Ho anche detto: Perché questa medesima carne, che ci ha tormentato e fatto soffrire mentre eravamo nel peccato, sia a noi sottomessa al momento della risurrezione e non ci turbi con alcuna azione contraria che ci impedisca di osservare la legge e i precetti di Dio.

La frase non va però intesa nel senso che in quel regno di Dio, in cui avremo un corpo incorruttibile e immortale, si dovranno ancora ricavare dalle divine Scritture la legge e i precetti.156

Ivi la legge eterna sarà compiutamente osservata e, per conseguenza, rispetteremo i due noti precetti sull'amore di Dio e del prossimo ( Mc 12,30; Lc 10,27 ) non per averli letti, ma nell'amore perfetto e senza fine.

Quest'opera incomincia così: Primo di agosto dell'anno nel quale erano consoli Arcadio Augusto per la seconda volta e Rufino, uomini di segnalata fama.

XVII (XVI) - La fede e il Simbolo, un libro

17. In quel medesimo periodo, per incarico dei vescovi che tenevano in Ippona un concilio plenario di tutta l'Africa, discussi alla loro presenza, pur essendo ancora un semplice sacerdote, Della fede e del simbolo.

Furono poi le insistenti pressioni di alcuni amici affezionati che mi indussero a farne un libro.

In esso però i contenuti sono trattati senza ricorrere a quel tessuto di parole che viene affidato ai competenti perché lo memorizzino.

In questo libro, trattando della risurrezione della carne, dico: Il corpo risorgerà secondo la fede cristiana che non può ingannare.

Chi ritiene incredibile questo evento si limita a considerare la carne nel suo stato attuale e non quale sarà in futuro.

In quel tempo di trasformazione angelica non ci saranno più la carne e il sangue, ma solo il corpo.157

A queste parole faccio seguire una discussione sulla trasformazione dei corpi terrestri in corpi celesti, sulla base dalle parole dell'Apostolo che, parlando di questo argomento, così si esprime: La carne e il sangue non possederanno il regno di Dio. ( 1 Cor 15,50 )

Chiunque però intende questa espressione nel senso che il corpo terreno, quale noi lo possediamo, si trasformerà in corpo celeste grazie alla risurrezione e non avrà più né le membra attuali né consistenza carnale, va indubbiamente corretto.

Sarà sufficiente ricordargli il corpo del Signore che, dopo la risurrezione, si presentò non solo alla vista ma anche al tatto con la medesima conformazione e assicurò anche espressamente di avere una carne dicendo: Palpate e vedete, poiché uno spirito non possiede carne ed ossa come potete constatare di me. ( Lc 24,39 )

Ne risulta che l'Apostolo non ha negato che nel regno di Dio vi sarà la sostanza carnale: ha solo designato con i vocaboli sangue e carne o gli uomini che vivono secondo la carne o la corruzione stessa della carne che a quel tempo non avrà più ragione di esistere.

Dopo aver detto: La carne e il sangue non possederanno il regno di Dio, ( 1 Cor 15,50 ) ben si comprende che è a mo' di chiarimento di quanto già detto ch'egli ha aggiunto immediatamente dopo le parole: Né la corruzione possederà ciò che è incorruttibile.

Di questa verità, della quale è difficile convincere gli infedeli, ho già discusso col maggiore impegno possibile, come potrà constatare chiunque leggerà l'ultimo libro della mia Città di Dio.158

Il libro incomincia così: Poiché è scritto.

XVIII (XVII) - Libro incompiuto sull'interpretazione letterale della Genesi

18. Avevo già scritto due libri su La Genesi per difenderla contro i Manichei.159

In essi avevo illustrato le parole della Scrittura secondo il senso allegorico, non osando esporre i tanti misteri relativi alla natura attenendomi alla lettera di quanto leggevo, non osando cioè chiarire come possano essere interpretati in chiave storica i contenuti di quel testo.

Volli allora mettere alla prova le mie possibilità anche in questa laboriosissima e difficilissima impresa, ma in questo mio primo confronto con l'esegesi scritturistica finii col soccombere sotto il peso di una mole così grande e, senza giungere alla fine di un solo libro, posi termine alla mia fatica che non riuscivo a sostenere.

Il libro, incompleto così come si trovava, è caduto nelle mie mani al momento in cui, nell'elaborazione del presente scritto, stavo procedendo alla revisione dei miei opuscoli.

A suo tempo non l'avevo pubblicato e avevo deciso di distruggerlo in considerazione del fatto che successivamente avevo composto un'opera in dodici libri recante come titolo: L'interpretazione letterale della Genesi.160

In esso sono più le questioni poste che le soluzioni, ma non è comunque possibile un confronto fra quei libri e l'opuscolo di cui ci stiamo ora occupando.

Dopo la revisione volli però che anche questo libro rimanesse quale testimonianza, a mio avviso non inutile, dei miei primi rudimenti nella spiegazione e nell'approfondimento delle parole divine e volli che il suo titolo fosse: Libro incompleto sulla interpretazione letterale della Genesi.

Ho trovato il libro dettato fino alle parole: Il Padre è soltanto il Padre e il Figlio altro non è se non il Figlio; e anche quando è chiamato somiglianza del Padre, pur risultando provato che non v'è alcuna dissimiglianza, non si può dire che vi sia solo il Padre, visto che c'è qualcuno cui è simile.161

Dopo queste parole ho ripetuto quelle della Scrittura per esaminarle e commentarle di nuovo: E disse Dio: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza. ( Gen 1,26 )

Avevo lasciato il libro incompleto avendone interrotto la dettatura a questo punto.

Ciò che segue ritenni di doverlo aggiungere al momento della revisione.

Tuttavia non lo portai a termine e, nonostante questa aggiunta, lo lasciai incompleto.

Se l'avessi completato avrei dovuto trattare almeno di tutte le operazioni e le parole di Dio relative al sesto giorno.

Mi è sembrato superfluo censurare tutto ciò che non approvo in questo libro e difendere ciò che altri potrebbe disapprovare per non averlo ben compreso.

Per dirla in breve, chiedo piuttosto che si leggano quei dodici libri che composi molto tempo dopo quando ero già vescovo e si giudichi questo libro sulla base di quelli.

Questo libro incomincia così: Occorre trattare dei misteri dei fenomeni naturali, che avvertiamo essere opera dell'onnipotenza e dell'arte divina, non facendo delle affermazioni, ma ponendo dei problemi.

XIX (XVIII) - Il discorso del Signore sulla montagna, due libri

19.1. Nel medesimo periodo ho scritto due libri Sul discorso del Signore sulla montagna secondo Matteo.

Nel primo dei due libri, a proposito della frase: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio, ( Mt 5,9 ) ho detto: La sapienza si addice ai pacifici nei quali ogni cosa è già nell'ordine e nessun impulso è ribelle contro la ragione, ma tutto obbedisce allo spirito dell'uomo che, a sua volta, obbedisce a Dio.162

Provoca in me giustamente una certa preoccupazione il modo con cui ho espresso il concetto.

A nessuno in realtà può capitare in questa vita che non vi sia nelle sue membra una legge che si oppone alla legge della ragione. ( Rm 7,23 )

E anche nel caso che lo spirito dell'uomo esercitasse una resistenza tale da evitare qualsiasi cedimento, non per questo mancherebbe il contrasto.

Pertanto l'affermazione che nessun impulso è ribelle contro la ragione può essere accettato solo in quanto coloro che oggi tengono una condotta pacifica, domando la concupiscenza della carne, si comportano così per raggiungere un giorno quella pace nella sua forma più piena.

19.2. In un altro passo, alla ripresa della formula evangelica: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio, ho fatto seguire queste parole: Tutto questo può già realizzarsi nella vita presente come pensiamo che si sia già realizzato negli Apostoli.163

La frase non va però intesa nel senso che gli Apostoli, durante la loro vita terrena, non abbiano sperimentato nessun impulso carnale in contrasto con lo spirito.

Abbiamo solo voluto affermare che in questa vita è possibile giungere là dove sono giunti gli Apostoli, è cioè possibile raggiungere quel limite dell'umana perfezione quale può realizzarsi quaggiù.

Non ho detto: Tutto questo può realizzarsi nella vita presente in quanto pensiamo che si sia già realizzato negli Apostoli.

Ho invece detto: come pensiamo che si sia già realizzato negli Apostoli, auspicando cioè che si realizzi come si è già realizzato in loro, con quel grado di perfezione di cui è capace codesta vita; non come dovrà realizzarsi in quella pienezza di pace in cui poniamo le nostre speranze, quando si dirà: Dov'è, o morte, la tua battaglia? ( 1 Cor 15,55 )

19.3. Quanto alla testimonianza addotta in un altro passo in cui si dice: Dio non concede lo spirito con misura,164 non avevo ancora compreso che propriamente e con grado maggiore di verità quelle parole si riferivano al Cristo.

Se infatti agli altri uomini lo Spirito non fosse dato con misura, Eliseo non ne chiederebbe il doppio di quello concesso ad Elia. ( 2 Re 2,9 )

Così, nel commentare il passo della Scrittura in cui si legge: Un solo iota o un solo apice non passerà dalla legge finché tutto non sarà compiuto, ( Mt 5,18 ) avevo detto che non poteva essere interpretato che come un modo assai efficace di esprimere la perfezione.165

C'è però da chiedersi se tale perfezione possa intendersi in senso tale che resti comunque vero che nessuno che fruisca dell'arbitrio della volontà vive quaggiù senza peccato.

Chi infatti può dar completa esecuzione alla legge se non colui che esegue tutti i comandamenti divini?

Fra gli stessi comandamenti però v'è anche quello che ci impone di dire: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, ( Mt 6,12 ) che è poi la preghiera di tutta la Chiesa valida fino alla fine del mondo.

Tutti i comandamenti si ritiene dunque che abbiano avuto esecuzione, dal momento che viene perdonato ciò che non si fa.

19.4. Consideriamo le seguenti parole del Signore: Chi dunque violerà uno solo di questi comandamenti anche minimi e insegnerà in questo modo, ( Mt 5, 19ss ) e tutto ciò che segue fino al passo in cui dice: Se la vostra giustizia non sarà superiore a quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli.166

Ho già spiegato questo passo assai meglio e in modo più conveniente in altri discorsi da me scritti successivamente e sarebbe troppo lungo ripetermi anche qui su questo punto.

Il senso da dare alle parole del Signore si riduce a questo, che la giustizia maggiore di quella degli scribi e dei farisei appartiene a coloro che dicono e fanno.

Altrove infatti il Signore, a proposito degli scribi e dei farisei, si esprime così: Dicono e non fanno. ( Mt 23,3 )

Abbiamo compreso meglio più tardi167 anche l'altra frase della Scrittura: Chi si adira contro suo fratello.168

I codici greci non aggiungono: senza motivo, come si legge qui, benché il senso sia lo stesso.

Abbiamo infatti detto che occorre considerare che cosa significhi adirarsi contro il proprio fratello, dal momento che non si adira contro il fratello chi si adira contro il suo peccato.

Chi dunque si adira contro il fratello e non contro il peccato, si adira senza motivo.

19.5. Ho anche detto: Il riferimento al padre, alla madre e agli altri consanguinei va inteso nel senso che noi dobbiamo odiare in loro ciò che il genere umano ha avuto in sorte attraverso la nascita e la morte.169

È come se avessi detto che non sarebbero esistiti questi legami qualora, in mancanza di un precedente peccato del genere umano, nessuno morisse.

Ho però già in precedenza rifiutato questa interpretazione.170

In realtà questi rapporti di parentela e di affinità esisterebbero ugualmente anche nel caso che, mancando il precedente del peccato originale, il genere umano crescesse e si moltiplicasse senza dover morire.

Analogamente va diversamente spiegato perché il Signore, che ci ordina di amare i nemici, ( Mt 5,44; Lc 6,27 ) ci abbia in un'altra occasione comandato di avere in odio genitori e figli. ( Mt 10,37; Lc 14,26 )

La soluzione non è quella che si legge in quest'opera, ma quella proposta più volte in seguito:171 dobbiamo amare i nemici per ottener loro il regno di Dio e odiare nei parenti ciò che ce ne tiene lontani.

19.6. In questo libro mi sono anche molto impegnato a discutere172 sulla proibizione di rimandare una donna tranne che nel caso di fornicazione. ( Mt 5,32 )

Occorre però meditare e indagare molto a lungo su che cosa il Signore voglia che si intenda per fornicazione che rende lecito il ripudio di una donna.

Si tratta di stabilire se il riferimento è a quella che è condannata nell'impurità o a quella di cui si dice: Hai perduto chiunque ha fornicato lontano da te, ( Sal 73,27 ) nella quale è compresa anche la prima: Non si può infatti dire che non fornichi lontano dal Signore qualunque donna prenda le membra di Cristo facendone membra di prostituta. ( 1 Cor 6,15 )

Non voglio però che in una questione così importante e di così difficile comprensione il lettore pensi che sia sufficiente quanto da me discusso in questa sede.

Lo invito a leggere sia quanto io stesso ho scritto in epoca successiva sia le più meditate e meglio condotte trattazioni di altri.173

Oppure a riconsiderare personalmente, con la maggiore attenzione e penetrazione possibile, quanto in ciò che qui si è detto su questo tema, può a buon diritto stimolare il suo spirito critico.

In realtà non ogni peccato è fornicazione né perde tutti i peccatori quel Dio che ascolta ogni giorno i suoi santi che lo invocano dicendo: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Perde invece chi fornica lontano da lui.

Ma come debba essere intesa e delimitata questa forma di fornicazione e se anche per questa sia lecito rimandare la donna è questione assai oscura.

Non c'è comunque dubbio che il ripudio sia lecito nel caso di fornicazione commessa nell'impurità.

Quanto alla mia osservazione che il ripudio è permesso, ma non ordinato, non avevo fatto attenzione alle altre parole della Scrittura: Chi tiene presso di sé un'adultera è stolto ed empio. ( Pr 18,22 )

Non direi però che potesse essere considerata un'adultera la donna del Vangelo anche dopo che udì dal Signore le parole: Neppure io ti condanno, va' e d'ora in poi non peccare più ( Gv 8,11 ) ( sempre, naturalmente, che le abbia ascoltate in atteggiamento di obbedienza ).

19.7. In un altro passo del peccato mortale di un fratello - quello del quale l'apostolo Giovanni dichiara: Non dico di pregare per lui ( 1 Gv 5,16 ) - ho dato la seguente definizione: Credo che il peccato mortale di un fratello riguardi ogni uomo che, dopo aver conosciuto Dio per grazia del Signore nostro Gesù Cristo, respinge la fraternità e, in contrasto con questa grazia che l'ha riconciliato con Dio, è agitato dalle fiamme dell'odio.174

Non l'ho dato però per scontato, avendo presentato la cosa come una semplice opinione.

Avrei dovuto aggiungere: sempre che abbia concluso la sua vita in questa scellerata perversità della mente.

E ciò in considerazione del fatto che di nessuno che si trovi in questa vita si deve in ogni caso disperare, per malvagio ch'egli sia, né è segno di sprovvedutezza pregare per colui di cui non si dispera.

19.8. Nel secondo libro ho detto: A nessuno sarà lecito ignorare il regno di Dio, dal momento che il suo Figlio Unigenito scenderà dal cielo non solo intelligibilmente, ma anche sensibilmente, incarnandosi nell'uomo del Signore "per giudicare i vivi e i morti".175

Ma non vedo se sia giusto chiamare uomo del Signore l'uomo Gesù Cristo, Mediatore fra Dio e gli uomini, ( 1 Tm 2,5 ) dato che egli stesso è il Signore.

Chi v'è nella sua santa famiglia che non possa essere chiamato uomo del Signore?

Sono stato indotto ad usare questa espressione per averla letta in alcuni commentatori cattolici176 delle parole divine, ma dovunque l'ho usata vorrei non averlo fatto.177

Più tardi mi sono reso conto che non andava usata, anche se c'è qualche argomento con cui difenderla.

Analogamente mi accorgo che non avrei dovuto dire che quasi nessuna coscienza umana può odiare Dio;178 di molti infatti è stato scritto: La superbia di coloro che ti odiano. ( Sal 74,23 )

19.9. In un altro passo ho detto: Il Signore ha detto che "A ogni giorno basta la sua malizia", riferendola alla necessità che abbiamo di assumere dei cibi; e penso che l'abbia chiamata malizia trattandosi per noi di una punizione conseguente alla fragilità che ci siamo meritati col peccato.179

Non avevo però rilevato che anche ai primi uomini furono dati nel Paradiso gli alimenti del corpo, prima ancora che col peccato si fossero meritati la morte come punizione.

Erano certo immortali nel corpo - che non era però ancora spirituale, ma animale - e, pur trovandosi in questa condizione di immortalità, facevano uso degli alimenti del corpo.

Analogamente, parlando della Chiesa gloriosa che Dio si è scelta senza una macchia e senza una ruga,180 non intendevo certo affermare ch'essa è già tale sotto ogni aspetto, anche se proprio a questo fine è stata senza dubbio scelta, perché sia tale al momento in cui si manifesterà Cristo, sua vita. ( Col 3,4 )

Allora anch'essa apparirà con lui nella gloria ed è a motivo di questa gloria che le è stato dato l'appellativo di Chiesa gloriosa.

Consideriamo inoltre le parole del Signore: Chiedete e riceverete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. ( Mt 7,7 )

Avevo ritenuto di dover accuratamente mostrare la differenza fra questi tre inviti.181

È però più opportuno riportarli tutti ad un'unica pressante istanza.

È quanto emerge dalle parole stesse del Signore che, a conclusione, riporta le tre richieste ad un unico vocabolo: Quanto più il Padre vostro che è nei cieli concederà dei beni a coloro che glieli chiedono: ( Mt 7,11 ) non ha detto: "a coloro che chiedono, cercano, bussano".

Quest'opera incomincia così: Il discorso che il Signore ha pronunciato.

XX (XIX) - Salmo contro il partito di Donato, un libro

20. Volendo che la questione donatista venisse a conoscenza anche del volgo più umile e della massa dei totalmente incolti e degli illetterati e che, per quanto possibile, si imprimesse nella loro memoria, composi un salmo destinato al canto e fondato sulla successione delle lettere dell'alfabeto latino, ma solo fino alla lettera V, un carme del tipo di quelli che chiamano abecedari.

Se ho omesso le tre ultime lettere, le ho sostituite alla fine con una sorta di epilogo nel quale si immagina che la madre Chiesa rivolga loro la parola.

Il ritornello, che si ripete, e l'introduzione alla questione, pure destinata al canto, non seguono l'ordine alfabetico, che inizia solo dopo l'introduzione.

Non sono ricorso a un vero componimento poetico, per evitare che le esigenze metriche mi costringessero ad usare parole non usuali per la massa.

Questo Salmo incomincia così: Tutti voi che godete della pace, giudicate almeno la verità ( che ne è il ritornello ).

XXI (XX) - Contro la lettera dell'eretico Donato, un libro

21.1. Sempre al tempo del mio sacerdozio scrissi un libro Contro la lettera di Donato, che fu, dopo Maiorino, il secondo vescovo di Cartagine di parte donatista.

In essa Donato si esprime come se il battesimo di Cristo non potesse darsi che nella comunione con lui, una tesi che io combatto in questo libro.

In un passo, parlando dell'apostolo Pietro, ho detto che su di lui, come su di una pietra, è fondata la Chiesa.182

È l'interpretazione che viene tradotta in canto corale nei versi del beatissimo Ambrogio laddove del gallo dice: Al suo canto quello stesso che è pietra della Chiesa ha cancellato la sua colpa.183

So però di aver in seguito ed assai spesso184 interpretato diversamente le parole del Signore: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. ( Mt 16,18; Gv 1,42 )

Ho inteso cioè che su questa pietra significasse: su colui che Pietro ha testimoniato con le parole: Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivo, ( Mt 16,16; Gv 6,69 ) e che pertanto Pietro, per aver ricevuto il suo nome da questa pietra, rappresentasse la persona della Chiesa che è edificata su questa pietra e ha ricevuto le chiavi del regno dei cieli. ( Mt 16,19 )

Non è stato detto all'Apostolo: "tu sei pietra", ma: tu sei Pietro.

La pietra era dunque Cristo, ( 1 Cor 10,4 ) ed è per averlo testimoniato, come lo testimonia tutta la Chiesa, che Simone ebbe il nome di Pietro.

Scelga il lettore quale delle due opinioni sia la più probabile.

21.2. In un altro passo ho detto: Il Signore non cerca la morte di nessuno.

L'espressione va intesa nel senso che l'uomo s'è procurato la morte abbandonando Dio e che se la procura chi non ricorre a lui, secondo la frase della Scrittura: Dio non ha fatto la morte. ( Sap 1,13 )

Ma è anche vera l'altra frase: Vita e morte vengono da Dio, ( Sir 11,14 ) che concede la vita come dono e la morte come vendetta.

21.3. In un altro passo ho detto: Donato - l'autore della lettera da me confutata - chiese che l'Imperatore concedesse come giudici fra lui e Ceciliano dei vescovi d'oltremare.185

In effetti risulta più probabile che a proporre questo sia stato non il nostro, ma un altro Donato, pur se aderente allo stesso scisma: quel Donato cui noi ci riferiamo non era il vescovo donatista di Cartagine, bensì un omonimo originario di Case Nigre, anche se fu lui a perpetrare per primo a Cartagine questo empio scisma.

Non fu inoltre Donato di Cartagine a stabilire che i Cristiani dovessero essere ribattezzati, come pensavo quando rispondevo alla sua lettera.

Non è neppure vero ch'egli trasse dal bel mezzo di un'espressione dell'Ecclesiastico le parole necessarie al suo scopo.

Dove è scritto: Se un uomo è battezzato da un morto e di nuovo lo tocca, a che gli giova il lavarsi?186 egli ritiene di leggere: Se uno è battezzato da un morto, a che gli giova il lavarsi?

Abbiamo successivamente appurato che, prima ancora che esistesse il partito di Donato, moltissimi codici, a dire il vero, africani, non recavano nel contesto le parole: e di nuovo lo tocca.

Se l'avessi saputo non avrei pronunciato tante accuse contro di lui, quasi che si trattasse di un ladro o di un profanatore della parola divina.

Questo libro incomincia così: Avevo udito da te personalmente.

XXII (XXI) - Contro Adimanto, discepolo di Manicheo, un libro

22.1. In quel medesimo periodo mi capitarono fra le mani alcuni scritti polemici di Adimanto, che era stato discepolo di Manicheo e che in essi attaccava la legge e i profeti nel tentativo di dimostrarne il contrasto con i Vangeli e gli altri scritti degli Apostoli.

L'ho confutato riportandone le parole ed opponendo loro le mie risposte ed ho condotto a termine la mia opera con un solo volume.

Ad alcune questioni ho risposto non una, ma due volte.

Ciò è accaduto perché avevo perduto la prima risposta ed al momento in cui l'avevo ritrovata avevo già scritto la seconda.

Alcune di queste medesime questioni hanno trovato la loro soluzione in sermoni da me pronunciati in chiesa e rivolti al popolo.187

Ad altre non ho ancora risposto: a farmele tralasciare ha senz'altro contribuito il sopraggiungere di altre più urgenti incombenze, ma va aggiunta anche la mia colpevole dimenticanza.

22.2. In questo libro ho detto: Quel popolo che ricevette l'Antico Testamento, prima ancora della venuta del Signore e secondo una mirabile ed ordinatissima distribuzione dei tempi, era limitato nelle sue conoscenze da ben definite ombre e immagini del vero; pur tuttavia nell'Antico vi è un preannuncio ed una anticipazione così piena del Nuovo che nell'insegnamento del Vangelo e degli Apostoli non si trovano precetti e promesse, quale che ne sia l'elevatezza e l'impronta divina, che non compaiano anche in quegli antichi scritti.188

Avrei però dovuto aggiungere un quasi e dire: Che quasi non si trovano negli insegnamenti del Vangelo e degli Apostoli precetti e promesse, quale che ne sia l'elevatezza e l'impronta divina, che non compaiano anche in quegli antichi scritti.

Che senso avrebbero altrimenti le parole pronunciate dal Signore nel discorso evangelico sulla montagna: Avete udito che dagli antichi è stato detto questo, ed io invece vi dico quest'altro, ( Mt 5,21-22 ) se i suoi precetti non andassero oltre quelli che si leggono in quegli antichi testi?

Inoltre non leggiamo che fra le promesse fatte a quel popolo nella legge data per tramite di Mosè sul monte Sinai, ( Es 19,3-4 ) fosse compresa quella del regno dei cieli.

Trattasi in effetti di quello chiamato con termine proprio Antico Testamento, che l'Apostolo dice figurato dalla schiava di Sara e da suo figlio. ( Gal 4,22-23 )

Senonché in quel medesimo passo anche il Nuovo è figurato dalla stessa Sara e da suo figlio.

È pertanto vero che, una volta interpretate le figure, nell'Antico si trova profetato tutto ciò che è stato manifestato o che si attende sia manifestato dal Cristo.

Tuttavia in considerazione di certi precetti non espressi in forma indiretta, ma diretta e che non si trovano nell'Antico Testamento, ma solo nel Nuovo, ci si dovrebbe esprimere con maggior cautela e moderazione: si dovrebbe dire che quasi nessun precetto, non che nessun precetto è reperibile nel Nuovo che non sia anche nell'Antico, anche se è vero che proprio nell'Antico compaiono già quei due precetti sull'amore di Dio e del prossimo ( Lv 19,18; Dt 6,5; Mt 5,43; Mt 19,19; Mt 22,37-39 ) ai quali giustamente fanno riferimento gli insegnamenti della Legge, dei Profeti, del Vangelo e degli Apostoli.

22.3. Così l'affermazione che nelle Sacre Scritture il nome di figlio ha tre diverse accezioni non è molto meditata.

Abbiamo certamente tralasciato altre accezioni:189 si dice, per esempio, figlio della geenna ( Mt 23,15 ) e figlio adottivo, ( Rm 8,15; Gal 4,5 ) anche se in questi casi la figliolanza non è proclamata tale né secondo natura, né secondo istruzione né secondo imitazione.

Di queste tre accezioni, quasi fossero le sole, ho fornito i seguenti esempi: secondo natura, come i Giudei sono discendenti di Abramo; ( Gv 8,37 ) secondo istruzione, come l'Apostolo chiama suoi figli coloro ai quali ha insegnato il Vangelo; ( 1 Cor 4,14-15 ) secondo imitazione, come noi siamo figli di Abramo, di cui imitiamo la fede. ( Gal 3,7 )

Ho anche detto: Quando l'uomo si sarà rivestito di incorruttibilità e di immortalità non ci sarà più né carne né sangue.190

Ciò significa che non ci sarà più carne in considerazione della sua corruttibilità, non della sua sostanza: è in riferimento alla sostanza che il corpo del Signore è chiamato carne anche dopo la risurrezione. ( Lc 24,39 )

22.4. In un altro passo ho detto: A nessuno, salvo che non cambi la sua volontà, è possibile operare il bene; e cambiare è in nostro potere, come afferma il Signore in un altro passo con le parole: "Rendete un albero buono e il frutto che otterrete sarà buono; rendetelo cattivo, e il frutto sarà cattivo".191

Questa affermazione non è contro la grazia di Dio che noi predichiamo.

In effetti è in potere dell'uomo mutare la sua volontà in meglio, ma quel potere non esisterebbe se non gli fosse dato da Dio, di cui è detto: Diede loro il potere di diventare figli di Dio. ( Gv 1,12 )

Se è vero infatti che è in nostro potere tutto ciò che noi possiamo realizzare quando lo vogliamo, nulla è maggiormente in nostro potere quanto la stessa volontà: ma è il Signore che predispone la volontà ( Pr 8, 35 sec.LXX ) ed è questo il modo con cui concede il potere.

Allo stesso modo va inteso anche quanto ho detto in seguito, che cioè è in nostro potere meritare due opposte alternative: o di essere innestati dalla bontà divina o di essere recisi dalla sua severità.192

Non è in nostro potere se non ciò che realizziamo con la nostra volontà e se questa, a sua volta, è stata predisposta e resa forte e potente dal Signore, anche un'opera di pietà, che è inizialmente difficile e impossibile, diventa agevole a compiersi.

Questo libro incomincia così: A partire da ciò che è stato scritto: "In principio Dio fece il cielo e la terra".

XXIII (XXII) - Commento di alcune proposizioni della Lettera dell'Apostolo ai Romani, un libro

23.1. Mentre ero ancora sacerdote avvenne che a Cartagine, durante una lettura fatta fra noi della Lettera dell'Apostolo ai Romani, mi venissero rivolte alcune domande da parte dei fratelli.

Risposi come potei, ma essi vollero che le mie parole fossero messe per iscritto, piuttosto che venir disperse senza un testo.

Detti loro ascolto e un nuovo libro venne ad aggiungersi ai miei precedenti opuscoli.

In questo libro ho detto: Le parole: "Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono carnale", mostrano a sufficienza che non possono adempiere la legge se non gli spirituali che rende tali la grazia divina.193

Non avevo assolutamente voluto che questa frase si intendesse riferita all'Apostolo, che era già spirituale, bensì all'uomo posto sotto la legge, ma non ancora sotto la grazia. ( Rm 1,11; Rm 6,14-15 )

Così in precedenza intendevo queste parole.

In seguito però, dopo aver letto alcuni commentatori dei testi divini dei quali apprezzavo l'autorità,194 considerai la questione più a fondo e compresi che le parole: Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono carnale, possono essere riferite anche alla persona dell'Apostolo.

Ho cercato di chiarire la cosa con la maggiore precisione possibile nei libri che ho scritto di recente contro i Pelagiani.195

In questo libro ho preso in considerazione anche le parole dell'Apostolo: Mentre io sono carnale e tutto il resto fino al punto in cui dice: O infelice uomo che sono, chi mi libererà dal corpo di questa morte?

La grazia di Dio, per tramite del Signore nostro Gesù Cristo. ( Rm 7,24-25 )

Ho detto che in tale contesto è descritto l'uomo che è ancora sotto la legge, e non è già sotto la grazia, l'uomo che vorrebbe agire rettamente, ma che, vinto dalla concupiscenza della carne, compie il male.

Dal dominio di questa concupiscenza ci libera solo la grazia di Dio per tramite del Signore nostro Gesù Cristo ( Rm 7,25 ) per un dono dello Spirito Santo.

È con l'aiuto dello Spirito che l'amore, diffuso nei nostri cuori, ( Rm 5,5 ) vince gli impulsi della concupiscenza della carne distogliendoci dal dar loro il nostro assenso a compiere il male e inducendoci piuttosto a fare il bene.

Viene così sradicata l'eresia di Pelagio secondo la quale l'amore grazie al quale viviamo secondo bontà e pietà non verrebbe da Dio, ma da noi stessi.

Nei libri da noi pubblicati contro i Pelagiani196 abbiamo invece mostrato che le parole dell'Apostolo s'intendono meglio se riferite anche all'uomo spirituale già posto sotto la grazia.

Così abbiamo concluso in considerazione del corpo carnale, che ancora non è spirituale e lo sarà solo al momento della risurrezione dei morti e tenendo conto della stessa concupiscenza della carne: con essa debbono combattere i santi che, pur non acconsentendo a fare il male, non sono ancora liberi in questa vita dai suoi impulsi ai quali pure oppongono resistenza.

Ne saranno invece esenti nell'altra vita, quando la morte sarà assorbita nella vittoria. ( 1 Cor 15,54 )

È in considerazione di questa concupiscenza e dei suoi stessi impulsi - resistere ai quali non comporta la loro assenza - che ogni santo già posto sotto la grazia può usare tutte quelle espressioni che io in questo libro ho definito proprie dell'uomo non ancora posto sotto la grazia, ma sotto la legge.

Sarebbe troppo lungo chiarire qui tutta la questione e, d'altronde, ho anche già detto dove l'ho chiarita.197

23.2. Inoltre, discutendo della scelta fatta da Dio in un uomo non ancora nato, al cui servizio predice che si sarebbe posto il fratello maggiore, e discutendo altresì della riprovazione espressa nei riguardi di questo stesso fratello maggiore, anche lui non ancora nato - è per questo che nei riguardi dei due fratelli viene riportata, anche se alquanto più avanti, la testimonianza del Profeta che suona: Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù ( Rm 9,13; Ml 1,2-3 ) - così ho condotto la mia argomentazione: Dio non ha scelto, nella sua prescienza le opere di alcuno, quelle opere ch'egli stesso gli avrebbe concesso di fare; nella sua prescienza ha scelto però la fede: conoscendo in anticipo l'uomo che avrebbe creduto in lui, questo ha prescelto per concedergli lo Spirito Santo sì che, operando il bene, conseguisse anche la vita eterna.198

Non avevo ancora cercato con attenzione e non avevo ancora scoperto in che consista l'elezione della grazia a proposito della quale lo stesso Apostolo dice: Ciò che resta d'Israele è fatto salvo per elezione della grazia. ( Rm 11,5 )

E la grazia non è tale se è preceduta dai meriti: in tal caso infatti un bene concesso non per grazia, ma perché dovuto, sarebbe un compenso dei meriti, non un dono.

Subito dopo ho detto: Dice lo stesso Apostolo: "Lo stesso Dio che opera ogni cosa in tutti". ( 1 Cor 12,6 )

Da nessuna parte però è detto: Dio crede ogni cosa in tutti.

Ho quindi aggiunto: Credere è opera nostra, fare il bene è opera di colui che dà, a coloro che credono, lo Spirito Santo.199

Non mi sarei certamente espresso così se già avessi saputo che anche la fede fa parte dei doni che ci vengono concessi dallo stesso Spirito. ( 1 Cor 12,9 )

Entrambe le cose, credere e ben operare, ci appartengono in virtù dell'arbitrio della volontà ed entrambe, tuttavia, ci vengono date attraverso lo Spirito della fede e della carità.

Né la carità sta da sola ma, come è scritto, ci viene data, assieme alla fede, da Dio Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo. ( Ef 6,23 )

23.3. È inoltre vero ciò che ho detto poco dopo: È opera nostra credere e volere, di Lui invece concedere a coloro che credono e che vogliono la facoltà di ben operare "per mezzo dello Spirito Santo" grazie al quale "la carità si diffonde nei nostri cuori".200

In base però al medesimo criterio sopra applicato mentre è vero che entrambe le operazioni appartengono a Lui in quanto predispone la volontà, è altrettanto vero che entrambe appartengono a noi in quanto si verificano solo se lo vogliamo.

Pure verissimo, per lo stesso motivo, è quello che ho detto anche in seguito: Non possiamo neppure volere, se non siamo chiamati, e quand'anche dopo la chiamata volessimo, non basterebbe la nostra volontà e la nostra corsa, se Dio non ci desse la forza di correre e non ci conducesse dove ci chiama.201

A queste parole ho aggiunto: Il bene operare "non dipende evidentemente da chi vuole né da chi corre, ma dalla misericordia divina". ( Rm 9,16 )

Non ho però molto discusso della chiamata in se stessa, che si verifica in conseguenza di una decisione di Dio.

Essa non è tale per tutti i chiamati, ma solo per gli eletti.

Totalmente conforme a verità è anche quanto ho detto poco dopo: Come in coloro che Dio ha scelto non sono le opere, ma è la fede che dà inizio al merito, sì che il loro bene operare dipende da un dono di Dio, allo stesso modo in coloro ch'egli condanna sono l'infedeltà e l'empietà che per prime fanno meritare la pena, sì che è conseguenza di questa stessa pena il loro male operare.202

Ma che anche il merito di aver fede è un dono di Dio né ho ritenuto che dovesse essere oggetto di indagine né l'ho esplicitamente affermato.

23.4. In un altro passo ho detto: Dio fa bene operare colui del quale ha misericordia e abbandona colui del quale ha indurito il cuore perché operi il male.

Anche quella misericordia però è accordata al precedente merito della fede mentre l'indurimento è dato come sanzione alla precedente empietà.203

Ed anche questo è vero. Occorreva però anche chiedersi se anche il merito della fede non dipenda dalla misericordia divina; in altre parole, se codesta misericordia si manifesti nell'uomo solo in quanto è fedele o se si sia manifestata in lui anche perché fosse fedele.

Leggiamo le parole dell'Apostolo: Ho ottenuto misericordia perché fossi fedele. ( 1 Cor 7,25 )

Come si può constatare non dice: Perché ero fedele.

La misericordia è dunque concessa a chi è fedele, ma è stata data anche perché fosse fedele.

Giustissimo è quanto ho detto in un altro passo del medesimo libro: Se siamo chiamati a credere non in conseguenza delle nostre opere, ma della misericordia divina e in seguito a questa fede ci è concesso di ben operare, non dobbiamo negare questa misericordia ai gentili.204

Non ho però trattato in quel passo in modo sufficientemente approfondito di quella chiamata che si verifica per una decisione divina.

Questo libro incomincia così: Questi sono i "sensi" della Lettera dell'apostolo Paolo ai Romani.

XXIV (XXIII) - Commento alla Lettera ai Galati, un libro

24.1. Dopo questo libro ho posto mano a un commento alla Lettera dello stesso Apostolo ai Galati.

Non l'ho fatto frammentariamente, omettendo dei passi, ma in modo continuativo e prendendo in considerazione il testo nella sua interezza.

Ho fatto rientrare questo commento in un solo volume.

In esso ho detto: Furono veritieri i primi Apostoli che vennero inviati non dagli uomini, ma da Dio per tramite di un uomo nella persona di Gesù Cristo, che era ancora mortale.

Veritiero fu anche l'ultimo degli Apostoli, che fu inviato per tramite di Gesù Cristo già totalmente Dio dopo la risurrezione.205

Ho detto già totalmente Dio in considerazione dell'immortalità conseguita solo dopo la risurrezione e non della divinità, che rimase sempre immortale, dalla quale non si allontanò mai, nella quale era totalmente Dio anche quando doveva ancora morire.

Questa interpretazione è chiarita da quello che segue.

Così infatti ho continuato: Primi sono tutti gli altri Apostoli inviati per tramite del Cristo ancora parzialmente uomo, cioè mortale; ultimo è l'apostolo Paolo inviato per tramite del Cristo già totalmente Dio, vale a dire in tutto e per tutto immortale.206

Ho detto questo nella mia spiegazione delle parole dell'Apostolo il quale, dicendo non da uomini o per tramite di un uomo, ma per tramite di Gesù Cristo e di Dio Padre, ( Gal 1,1 ) sembra far intendere che Gesù Cristo non è più un uomo.

Seguono infatti le parole: che lo risuscitò dai morti, che servono a chiarire il senso della precedente espressione: non per tramite di un uomo.

A causa dell'immortalità dunque il Cristo, che è Dio, non è più un uomo; in considerazione però della sostanza propria della natura umana, rivestendo la quale è salito in cielo, Cristo Gesù, in quanto ancora Mediatore fra Dio e gli uomini, ( 1 Tm 2,5 ) resta un uomo e tornerà in tale veste come poterono osservarlo coloro che lo videro mentre saliva in cielo. ( At 1,11 )

24.2. Ho anche detto: La grazia di Dio ha la funzione di rimetterci i peccati in vista della riconciliazione con Dio, la pace è quella per cui siamo riconciliati con Dio.207

Queste parole vanno però intese nel senso che entrambe, sia la grazia sia la pace, rientrano più in generale nella sfera della grazia.

Lo stesso si può dire della distinzione fra Israele e Giuda nel popolo di Dio: Israele vi appartiene in modo speciale, ma, più generalmente, entrambi fan parte di Israele.

Così nella spiegazione della frase, perché dunque la legge è stata data in vista della trasgressione,208 avevo ritenuto di dover distinguere fra una domanda: perché dunque? e una risposta: la legge è stata data in vista della trasgressione.209

Questa divisione non è lontana dal vero, ma a me sembra meglio distinguere fra una domanda: Perché dunque la legge? e una risposta: è stata data in vista della trasgressione.

Ho anche detto: Seguendo un ordine ben definito l'Apostolo aggiunge: "Ché se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete più sotto la legge". ( Gal 5,18 )

Con queste parole vuol farci intendere che sono sotto la legge coloro il cui spirito lotta contro la carne, in modo tale, però, ch'essi non sono in grado di fare ciò che vogliono, non si comportano cioè come se fossero invincibili nell'amore della giustizia, ma sono vinti dalla carne che esercita la sua concupiscenza contro di loro.210

Ciò è in coerenza con l'interpretazione che io davo della frase: "La carne esercita la sua concupiscenza contro lo spirito e lo spirito contro la carne; queste due componenti si contrastano vicendevolmente e vi impediscono di fare ciò che volete". ( Gal 5,17 )

Tale frase, secondo la mia interpretazione, riguardava coloro che sono sotto la legge, ma non ancora sotto la grazia.

Ancora non avevo compreso che queste parole si adattano anche a coloro che sono sotto la grazia, e non sotto la legge: anch'essi, pur non dando alcun consenso agli impulsi della carne ai quali oppongono quelli dello spirito, preferirebbero esserne esenti.

E non riescono a fare ciò che vorrebbero in quanto desidererebbero liberarsi da quegli impulsi, ma non ne sono in grado.

Non li subiranno quando non avranno più un corpo corruttibile.

Questo libro incomincia così: Il motivo per il quale l'Apostolo scrive ai Galati è il seguente.

XXV (XXIV) - Inizio di un commento alla Lettera ai Romani, un libro

25. Avevo intrapreso un commento alla Lettera ai Romani del tipo di quello dedicato alla Lettera ai Galati.

Per condurre a termine un'opera siffatta sarebbero occorsi più libri e ne avevo già completato uno, limitandomi alla trattazione del saluto iniziale, alla parte cioè che va dall'inizio alle parole: Grazia e pace a voi da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo. ( Rm 1,7 )

Ci era accaduto di indugiare a lungo nel tentativo di risolvere una difficilissima questione nella quale il nostro discorso s'era imbattuto, quella del peccato contro lo Spirito Santo, che non può essere rimesso né in questo mondo né nell'altro.211

In seguito però ho deciso di rinunciare ad aggiungere al primo altri volumi per commentare l'intera lettera, spaventato dall'imponenza e dalla fatica dell'impresa e ho quindi ripiegato su progetti di più facile esecuzione.

M'è così accaduto di lasciare isolato quel primo libro che avevo scritto e che volli fosse intitolato: Inizio di un commento alla Lettera ai Romani.

Dovunque in quel libro ho detto che la grazia si ha nella remissione dei peccati e la pace nella riconciliazione con Dio212 non si deve intendere che la pace stessa e la riconciliazione non riguardino la grazia nella sua accezione più generale, ma ho solo inteso dire che l'Apostolo, col termine grazia, ha designato in senso proprio la remissione dei peccati.

Allo stesso modo designiamo anche in senso proprio la legge nell'espressione: la legge e i Profeti, ( Mt 22,40; Rm 3,21 ) mentre facciamo del termine legge un uso generale quando includiamo in essa anche i Profeti. ( Rm 6,14; 1 Cor 9,21 )

Questo libro incomincia così: Nella Lettera che l'Apostolo scrisse ai Romani.

Indice

110 De vera rel. 10, 18
111 De vera rel. 10, 19
112 De vera rel. 10, 19
113 De vera rel. 10, 20
114 De vera rel. 12, 25
115 De vera rel. 14, 27
116 Retract. 1,9,5
117 De vera rel. 14, 27
118 De vera rel. 16, 31
119 De vera rel. 25, 46
120 De vera rel. 25, 46
121 Confess. 9, 7, 16;
De civ. Dei 22, 8, 2;
Serm. 286, 5
122 De vera rel. 41, 77;
Rm 13,1
123 De vera rel. 41, 78
124 De vera rel. 46, 88
125 Retract. 1,10,2
126 De vera rel. 55, 111
127 Cicer., De nat. deor. 2, 28, 72
128 De util. cred. 3, 9;
2 Cor 3,6
129 De spir. et litt. 5, 7;
Retract. 2,37
130 De util. cred. 11, 25
131 De util. cred. 11, 25
132 De util. cred. 11, 25
133 De util. cred. 12, 27
134 De lib. arb. 3, 24, 71
135 De util. cred. 16, 34
136 Retract. 1,13,7
137 De util. cred. 18, 36
138 De duab. anim. 1, 1
139 De duab. anim. 12
140 De duab. anim. 14
141 Ibidem
142 De duab. anim. 15;
Op. imp. C. Iul. 1, 104;
Enarr. In Sal. 57, 18
143 De duab. anim. 16
144 De duab. anim. 17
145 De duab. anim. 17
146 Ibidem
147 De duab. anim. 20
148 Ibidem
149 De Gn ad litt. 11, 20 ss
150 De duab. anim. 20
151 De duab. anim. 24
152 Acta c. Fortun. 1, 13
153 Retract. 1,11,4
154 Acta c. Fortun. 2, 21
155 Acta c. Fortun. 1, 15;
Retract. 1,15,2
156 Acta c. Fortun. 2, 29
157 De fide et symb. 10, 24
158 De civ. Dei 22, 5, 21
159 Retract. 1,10
160 Retract. 2,24,1
161 De Gn ad litt. lib. imp. 16, 60
162 De serm. Dom. in m. 1, 4, 11
163 De serm. Dom. in m. 1, 4, 12
164 De serm. Dom. in m. 1, 6, 17;
Gv 3,34
165 De serm. Dom. in m. 1, 8, 20
166 De serm. Dom. in m. 1, 9, 21
167 De civ. Dei 21, 27
168 Mt 5,22;
De serm. Dom. in m. 1, 9, 25
169 De serm. Dom. in m. 1, 15, 41
170 Retract. 1,10;
Retract. 2,13,8
171 De civ. Dei 21, 26;
De vera rel. 45, 85 ss
172 De serm. Dom. in m. 1, 16, 43
173 Quaest. in Hept. 2, 71;
Serm. 162
174 De serm. Dom. in m. 1, 22, 73
175 De serm. Dom. in m. 2, 6, 20;
2 Tm 4,1
176 Epiph., Ancor. 93;
Athan., Exp. fidei 1. 4;
Disp. c. Ar. 20;
Cassian., Coll. 11, 13
177 De serm. Dom. in m. 2, 6, 22;
Enarr. in Sal 1, 1; 8, 13
178 De serm. Dom. in m. 2, 14, 48
179 De serm. Dom. in m. 2, 17, 56;
Mt 6,34
180 De serm. Dom. in m. 2, 19, 66;
Ef 5,27
181 De serm. Dom. in m. 2, 21, 71 s
182 Optat. Milev., De schism. Donat. 1, 19; 3, 1
183 Ambros., Hymn. 1;
Exam. 5, 24, 88
184 Serm. 76, 1, 1
185 De bapt. 6, 34, 65;
C. Crescon. 2, 27, 33
186 Sir 34,26;
Ep. 108, 6
187 Serm. 1; 50; 142; 153
188 C. Adiman. 3, 4
189 C. Adiman. 5, 1
190 C. Adiman. 12, 5;
1 Cor 15,54
191 C. Adiman. 26, 1;
Mt 12,33
192 C. Adiman. 27, 1
193 Exp. quar. prop. ad Rm. 41;
Rm 7,14
194 Cyprian., De Dom. orat. 16;
Ambros., De paenit. 1, 3
195 De grat. Chr. 43;
C. duas epp. Pelag. 1, 17-25;
C. Iul. 2, 3; 6, 23, 70;
Opus imp. c. Iul. 1, 99;
Serm. 154;
Exp. ep. ad Gal. 5;
De civ. Dei 22, 21
196 C. duas epp. Pelag. 1, 10, 17;
De perf. iust. hom. 11, 28;
De grat. Chr. 39, 43-44
197 Retract. 1,23,1
198 Exp. quar. prop. ad Rm. 60;
De praed. sanct. 1, 3
199 Exp. quar. prop. ad Rm. 60
200 Exp. quar. prop. ad Rm. 61;
Rm 5,5
201 Exp. quar. prop. ad Rm. 62
202 Exp. quar. prop. ad Rm. 62
203 Exp. quar. prop. ad Rm. 62;
Rm 9,18
204 Exp. quar. prop. ad Rm. 64
205 Exp. ep. ad Gal 2, 3
206 Exp. ep. ad Gal. 2, 4
207 Exp. ep. ad Gal. 3
208 Exp. ep. ad Gal. 24;
Gal 3,19
209 Epist. 82, 20
210 Exp. ep. ad Gal. 47
211 Serm. 71;
Ep. ad Rm. inch. exp. 14 ss.;
Mt 12,32
212 Ep. ad Rm. inch. exp. 23