14 Giugno 1972

Il paradosso cristiano: la perfezione

Ancora ci segue il fascio di luce proiettato sulla nostra mentalità dal mistero celebrato nella festa di Pentecoste, quello dell'effusione dello Spirito Santo sopra i seguaci di Cristo, così da fare di essi un organismo solo, il Corpo mistico di Cristo medesimo, la sua Chiesa, e da infondere in ciascuno di essi - in ciascuno di noi - un nuovo principio di vita, un principio soprannaturale, la grazia.

Questo aspetto individuale dell'economia della redenzione, tutti lo sappiamo, ci riguarda personalmente.

A differenza di quanto avviene nelle dottrine o nelle opinioni sociologiche, di cui sovrabbonda oggi la pubblica conversazione, l'uomo, come unità originale, come persona, nella sociologia religiosa cattolica, nella Chiesa, non è ridotto ad un semplice numero, ad un cittadino senza volto suo proprio, ad un'entità astratta distinta da un'altra mediante l'etichetta d'un nome qualsiasi, ma conserva, anzi arricchisce la sua inconfondibile singolarità, la sua personalità, la sua umana e sovrumana pienezza.

Come mai questa crescita di esistenza non solo nella dignità giuridica ( come avviene analogamente per l'appartenenza di un cittadino ad una società civile ed evoluta ), d'ogni singolo componente di questo corpo sociale e spirituale ch'è la Chiesa, ma altresì nell'efficienza vitale?

San Paolo risponde: « Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi?

Se qualcuno guasta il tempio di Dio, Dio lo punirà; poiché il tempio di Dio è santo, quali appunto voi siete » ( 1 Cor 3,16-17 ).

Lo storico Eusebio di Cesarea narra che il martire d'Alessandria d'Egitto, Leonida, padre di Origene, primo dei suoi sette figli, uno dei più insigni talenti ch'ebbe l'umanità, lieto della mirabile precocità d'un tale figlio, ringraziando Iddio d'averglielo dato, mentre questi dormiva si curvava sul fanciullo e gli baciava il petto, pensando che lo Spirito Santo vi dimorava ( Eusebio di C. Storia Eccl., 1. VI, c. II, 11 ).

Questo è il segreto della vita soprannaturale del cristiano: l'essere dimora, anzi l'essere vitalizzati dalla grazia, cioè dall'azione dello Spirito Santo.

Religione e santità

Ora questo fatto ha un'importanza massima nella nostra teologia, cioè nella nostra concezione del vero rapporto che Cristo ha instaurato con l'umanità.

La dottrina della giustificazione deriva da questo fatto.

Il Vangelo, S. Paolo, S. Agostino, il Concilio di Trento ne sono le fonti inesauste.

Il recente Concilio Vaticano secondo, nella sua grande lezione sulla Chiesa, non poteva omettere di parlarne.

E quale aspetto di questa dottrina mette in luce il Concilio?

Notiamo bene: l'universale vocazione della Chiesa alla santità.

La santità: parola assai usata, ma di non facile definizione.

Essa richiama alla mente il pensiero di Dio, al quale essa si riferisce in senso assoluto e totale; tre volte santo lo sentiamo celebrare nella Sacra Scrittura ( Cfr. Is 6,3; Ap 4,8 ).

I concetti di perfezione trascendente, di eccellenza, d'immacolata purezza, di bontà infinita, d'ineffabile felicità, di gloria invincibile e d'incomparabile bellezza … circolano nel nostro povero cervello quando la liturgia ci fa esclamare, alla Messa: Santo, santo, santo, o Dio onnipotente …

Questa osservazione ci avverte che religione e santità sono due concetti distinti, che in realtà coincidono ( Cfr. s. TH. II-IIæ, 81, 2 ).

Il che vuol dire che non potremo occuparci di religione senza occuparci di santità; e viceversa: la santità non ha senso completo se non in ordine alla religione.

E potremmo ragionando arrivare alla conclusione che denuncia come incompleto, per non dire inaccettabile, il concetto di secolarizzazione come programma di vita d'un cristiano in cerca di autenticità.

Ma quello che ora ci preme mettere in rilievo è l'affermazione solenne del Concilio ( Lumen Gentium, 39 ), la quale ci ammonisce che « tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla Gerarchia, sia che da essa siano guidati, sono chiamati alla Santità, secondo il detto dell'Apostolo: certamente la volontà di Dio è questa, che voi vi santifichiate ( 1 Ts 4,3; Ef 1,4 ) ».

A prima vista questa sembra una pretesa eccessiva.

Ma non aveva già detto Cristo Signore, nel Vangelo: « Siate perfetti, come il Padre vostro celeste è perfetto »? ( Mt 5,48 )

Vivere cristianamente

Vien fatto di chiedersi: è possibile che tanto ci sia richiesto?

Di quale santità si tratta?

Di quale perfezione?

Rispondiamo intanto con alcune domande: la vita cristiana è concepibile come mediocre?

Moralmente insignificante?

Pur troppo, sì, vi sono molti cristiani mediocri; e non solo perché sono deboli o mancanti di formazione, ma perché vogliono essere mediocri e perché hanno le loro così dette buone ragioni del « giusto mezzo », del ne quid nimis, della « libertà del Vangelo », quasi che il Vangelo fosse una scuola d'indolenza morale, o quasi che esso autorizzasse l'ambiguità del servire a due, o a più padroni ( giacché per molti, che parlano di liberazione, lo scopo è di servire al conformismo di moda, come se poi questo rendesse più comoda la vita e più rispettabile ).

Non è forse apparenza codesta, e non già autenticità umana o cristiana?

non è ipocrisia?

Incoerenza?

Relativismo secondo il vento che tira?

Non è togliere la croce dal proprio cristianesimo? ( Cfr. 1 Cor 1,17 )

Il possesso della carità divina

Ma l'obiezione rimane: come rispondere a tanto impegno?

Che cosa è la santità?

Questa è pure una domanda difficile e complessa.

Semplifichiamo la risposta ricordando come questa santità, alla quale siamo chiamati, risulta da due fattori componenti, dei quali il primo, possiamo dire quello vero, quello essenziale è la grazia stessa dello Spirito Santo.

Da Colui che alla santità, alla perfezione ci chiama, viene il potere di conquistarla, perché è Lui stesso che la offre, è Lui stesso che la dona.

Essere in grazia di Dio è tutto per noi.

La nostra perfezione è il possesso della Carità divina.

Non resta altro da fare?

No, occorre un altro fattore, e da parte nostra questo, se non vogliamo cadere nel quietismo o nell'indifferenza morale; ed è il nostro sì; è la nostra disponibilità allo Spirito, e l'accettare, il volere anzi la volontà di Dio che ama e che salva; un sì che si può graduare secondo la nostra libertà, la quale è chiamata.

È chiamata alla generosità, all'audacia, alla grandezza, all'eroismo, al sacrificio.

Ecco il paradosso cristiano: è chiamata alla perfezione, all'amore.

L'incontro della Volontà amorosa e salvatrice di Dio con la volontà obbediente e felice del nostro cuore umano è la perfezione, è la santità ( Cfr. Fil 2,13 ).

I giovani, di solito, comprendono la verità, la bellezza, la vocazione di questo incontro, posto al vertice di una stupenda tensione.

E sono i santi quelli che vi arrivano, nel segreto dello Spirito che soffia ove vuole.

Da meditare.

Con la nostra Apostolica Benedizione.