12 Luglio 1972

« … Conservare sempre incontaminata la mia coscienza »

Noi vorremmo invitarvi ad un'osservazione, altrettanto facile che importante, questa: noi abbiamo bisogno di ritrovare i principii, che devono essere alla base della nostra condotta.

Ricordiamo intanto che la nostra condotta è la cosa più importante della nostra vita.

Se l'essere, cioè il vivere, è il valore supremo soggettivo, cioè per noi, l'agire, cioè l'uso della nostra vita, è il nostro dovere supremo.

L'agire pone allora la questione fondamentale: come agire? che cosa fare?

e perché agire in un modo, piuttosto che in un altro?

È ancora la questione morale, cioè la norma della nostra condotta, che si presenta alla nostra riflessione.

Ripetiamo: sarebbe bene rimettere sotto esame, sotto studio questa fondamentale questione, cioè quella che riguarda il come dobbiamo vivere, e perché.

Fondamentale, perché tale questione investe l'impiego che intendiamo fare della nostra esistenza, la forma che vogliamo imprimere alla nostra personalità, l'orientamento che dobbiamo desiderare anche per i nostri rapporti con gli altri, e in genere per il costume della società: tutto dipende da ciò che ognuno fa, e tutti insieme facciamo.

Fondamentale poi per noi cristiani, che abbiamo una concezione della vita ben determinata: la nostra sorte ultima e definitiva risulterà da quanto abbiamo fatto.

Ricordiamo la parabola dei talenti: i talenti, cioè i doni della vita, il ciò che siamo, possiamo considerarli come nostra fortuna, ma insieme come nostra responsabilità; l'uso che ne avremo fatto deciderà della nostra salvezza.

La vita è come una nave; ciò che importa per una nave è il timone, il dove va, la direzione che prende, il porto a cui si dirige.

Questo timone è il giudizio morale, anzi l'imperativo morale.

Ora noi non facciamo qui un sermone religioso ( sarebbe quello che apre il grande schema dei famosi esercizi spirituali ).

Ci basta farvi notare che oggi il congegno del nostro timone, cioè del nostro giudizio e imperativo morale, si è non poco guastato, o inceppato, o complicato, o addirittura vorrebbe essere abolito.

Come mai? non è la cosa più naturale e più semplice l'agire?

Anzi, non siamo noi in un periodo d'intensità operativa?

Tutti fanno, lavorano, accelerano, moltiplicano la loro attività; è vero.

Ma con non poca confusione di idee, e quindi di azioni.

Come e perché agire resta una duplice questione, che per molti, moltissimi si suppone risolta, o si crede non abbia bisogno di soluzione; basta agire, si dice, basta lavorare, basta riuscire, basta godere.

Ma poi una specie di capogiro succede a questa attività, la quale non sa dare ragione di sé.

Non assistiamo noi a fenomeni di contestazione radicale d'una società paga dei risultati del proprio operare, cioè del proprio benessere?

non vediamo noi folle di giovani che dimostrano la sazietà, anzi la nausea del mondo operante e progredito?

E per di più, non vediamo noi la confusione penetrare proprio « nella stanza dei bottoni », cioè nella psicologia dell'uomo, là dove egli delibera sul governo da dare a se stesso?

L'indifferenza morale non si presenta all'uomo moderno come la soluzione di tanti problemi relativi al suo operare, ai quali si affigge oggi l'etichetta di « tabù », e se ne squalifica così il contenuto, dandone per soluzione la negazione?

e non assistiamo al corrompersi di costumi, che fino a ieri abbiamo chiamato virtù?

e all'affermarsi di forme di insincerità, di delinquenza, di licenziosità, d'egoismo, di autolesionismo ( vedi la droga ), che ancora abbiamo il buon senso di classificare come fenomeni negativi, se pure - ahimé! - non poco diffusi nella vita sociale?

Ed anche i fenomeni positivi, che per fortuna sono ancora tanto promossi e tanto cospicui nel mondo moderno, hanno essi sempre alla base dei principii razionali, validi e sufficienti a lungo andare, per sostenerli e per guidarli al vero buon fine dell'umanità, senza consentire che si ritorcano a suo danno? ( Cfr. Tecnica e armamenti nucleari; igiene e « family planning », ecc.; cfr. Pascal, Pensées, 335 ).

Potremmo continuare nell'indagine sulla carenza di principii morali scorrendo un'altra serie di inconvenienti perturbatori della vera azione umana, quelli che sono provocati dagli influssi esterni, e che danno all'uomo l'impressione d'agire bene, perché egli non mette molta fatica ad uniformarsi ad essi ( vedi la politica, la moda, i divertimenti, ecc. ), mentre in realtà egli vi si trova più passivo, che attivo.

La realtà è che l'azione umana, l'azione morale, quella a cui noi dobbiamo attribuire molta importanza, non è semplice, ma implica una quantità di fattori, alla loro volta assai complessi, i quali oggi sono tutti oggetto di studio, di teorie, di scuole, di tendenze, di divergenze, a cui la nostra azione si riferisce.

Quali fattori? L'ereditarietà, e poi la libertà, la coscienza, il dovere, la legge, l'autorità, il costume … entrano nell'azione umana, e ne dosano l'efficienza e ne qualificano il merito.

Sarebbe bene chiarire in proposito le proprie idee, se vogliamo essere uomini intelligenti e liberi, e se vogliamo essere cristiani, docili e felici nell'essere tali.

Partiamo oggi dai primissimi gradini di questa scala che ci dovrebbe portare alla sommità della perfezione dell'agire umano.

Quali sono questi primissimi gradini?

Sono i principii innati e intuitivi della nostra ragione pratica.

Li possiede anche un bambino al primo svegliarsi della mente, al primo albeggiare della coscienza.

L'uomo ha il privilegio di conoscere l'ordine in cui vive; ed il primo imperativo che sorge in lui, quando scopre questo ordine, è questo: vivi secondo questo ordine; cioè secondo la tua natura; rispetta il tuo essere.

Il che istintivamente si riveste di questa formula mentale e operativa: sii buono e fuggi il male.

Il concetto di bene e di male è alla radice del nostro operare, e nasce da sé nella nostra coscienza.

Di qui, si può dire, sgorga poi tutto il sistema morale.

Donde la grande importanza pedagogica di mettere in forte rilievo il senso del bene e del male, e di sviluppare poi questo senso in un dialogo interiore della coscienza, che appunto si chiama morale quando si riferisce alla distinzione di ciò che è bene da ciò che è male, e quando avverte ch'essa parte da esigenza d'una radicale conformità alla nostra natura razionale, a sua volta penetrata da un'esigenza trascendente, ch'è la volontà creatrice di Dio.

Uomo, sii uomo; cristiano, sii cristiano.

Ecco le prime feconde intuizioni dei principii del nostro operare.

Da esse parte la nostra vocazione morale, alla quale noi dovremmo un rispetto logico e costante, che i maestri chiamano habitus, e qualificano con un termine caratteristico, la sinderesi, cioè l'orientamento diretto verso il bene operare, verso l'onestà della vita ( Cfr. S. TH. I, 79, 12; D. TH. C. XIV, II, 1992 ss.; PH. Delhaye, La conscience morale du chrétìen, p. 86 ss. ).

San Paolo, nel discorso che egli fa in propria difesa, a Gerusalemme, davanti al Preside Romano Felice, sigilla tutto questo in una formula, che possiamo fare programma basilare della nostra vita morale: « Io mi studio di conservare sempre incontaminata la mia coscienza … » ( At 24,16 ).

Così sia, con l'aiuto di Dio, per ciascuno di noi!

Con la nostra Apostolica Benedizione.