20 Settembre 1972

La pienezza della vita cristiana nella carità

Noi ci occuperemo ancora una volta, in questo piccolo sermone innestato nell'udienza generale, dell'attività umana; diciamo: del nostro agire ( cioè degli atti dell'uomo in se stesso ), del nostro fare ( cioè delle azioni che compiamo fuori di noi ) ( Cfr. S. TH. Contra Gentes, 11,1 ), del nostro operare insomma, ch'è l'aspetto della vita sul quale si concentra massimamente l'interesse dell'uomo moderno, che tende a tutto considerare e a tutto valutare in ordine all'attività, alla dinamica dell'esercizio delle sue facoltà.

Il lavoro tiene un primato nel nostro mondo, che tutti sappiamo: è diventato perfino la base costituzionale della società.

Ogni vita, ogni cosa dev'essere in movimento, ordinata a produrre, misurata dal potenziale delle sue forze operative;

anche la cultura soggiace a misure quantitative, o meglio operative;

la scienza è intesa per la sua applicazione pratica;

la libertà è apprezzata in ordine alla capacità di agire e di fare, di godere, che essa consente.

L'uomo moderno tende ad applicare l'acceleratore in ogni aspetto della sua esistenza.

Il « più operare » vale per lui il « più essere » e il « più avere », e il « più godere »: è il suo ideale.

Noi osserviamo con grande interesse questo fenomeno-principe della vita moderna, che corre sotto i nomi di lavoro, di progresso, di sviluppo, di benessere, di civiltà, perché è fenomeno umano; possiamo dire con l'antico Terenzio: « homo sum: humani nihil a me alienum puto », nulla di ciò ch'è umano io lo stimo a me estraneo.

Noi cristiani inoltre apprezziamo questa intensità operativa, che caratterizza il nostro tempo, anche per motivi nostri, che conferiscono all'attività dell'uomo una importanza decisiva sia in ordine alla perfezione umana ( Cfr. Blondel, L'Azione; Ollé Laprune, Il valore della vita ), sia in ordine alla salvezza: circa le nostre opere saremo giudicati sulla bilancia per l'eterna vita ( Cfr. l'articolo: Esiste una morale cristiana?, nella rivista « La Civiltà Cattolica » del 16-IX-1972, pp. 449-455 ).

La lezione evangelica

Se dunque l'operare assurge al primato dei valori che qualificano la vita, lasciando talora praticamente in ombra perfino la precedenza del conoscere e l'eccellenza dell'essere, da cui tuttavia, volere o no, esso dipende ( nil cupitum quin praecognitum, e operari seguitur esse, dicono i maestri ), il problema numero uno si concentra sul contenuto dell'operare, vale a dire sul che cosa dobbiamo fare e sul perché della nostra attività, sull'oggetto e sull'intenzione.

Qual è quindi il dovere principale della nostra esistenza?

Si può riassumere in un ideale dominante il programma generale del nostro operare?

Noi vorremmo che tutti sapessero scoprire l'altezza e la semplicità meravigliose della lezione evangelica, a questo riguardo.

Tutti la conosciamo, ma rileggiamola insieme.

« Un dottore della Legge, volendo mettere ( Gesù Signore ) alla prova, gli domandò: Maestro, qual è il maggiore comandamento nella Legge?

Ed Egli a lui: Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua ( e l'Evangelista S. Marco aggiunge: e con tutte le tue forze - Mc 12,30 - ).

È questo il primo e massimo comandamento.

Il secondo poi è simile a questo: ama il prossimo tuo come te stesso.

A questi due comandamenti si riduce tutta la Legge ed i Profeti » ( Mt 22,35-40 ).

Così aveva già parlato Iddio nell'antico Testamento ( Cfr. Dt 6,5 ).

Gesù convalida: questo è da fare.

La volontà di Dio su l'uomo è questa: che egli ami Dio e il prossimo.

E qui è il nodo centrale di tutta la morale, il fine supremo del volere, il primo principio del retto operare.

Vi sarebbero tante cose da dire a commento di queste insuperabili parole; troppe per questa nostra conversazione.

Notiamo, solo ad esempio, la logica necessità e la felice possibilità di concentrare tutti i doveri in due principali, anzi in uno solo, fine e principio del retto operare: quello dell'amore di Dio con quello complementare dell'amore del prossimo; e questa possibilità è, specialmente sotto l'aspetto didattico e mnemonico, molto utile, molto comoda, potremmo dire, per ogni mentalità, specialmente oggi per noi moderni, che abbiamo in fastidio lo sforzo mentale e il nozionismo.

Il Vangelo ci porta subito al vertice, e in un duplice dovere tutto sintetizza, e tutto « in nuce » contiene e gerarchizza: l'oggetto supremo è l'amore, il fine anche per cui dobbiamo compiere i doveri subalterni: l'amore.

« La pienezza della legge è l'amore » ( Rm 13,10 ).

Il significato dell'amore

E qui ci si presenta una formidabile questione: sappiamo noi veramente che cosa è l'amore?

Non è questa parola fra quelle più usate, e perciò fra le più difficili a definirsi?

fra quelle polivalenti nei significati, a cui è attribuita?

Non è fra le più equivoche, perfino fra le più sublimate e le più degradate?

Non si riferisce a forme fra sé contrarie del nostro spirito, in senso verticale, riferita alle ascensioni verso Dio, che è Amore, e verso il Quale è essenzialmente rivolta la nostra vocazione naturale e soprannaturale? ( sintesi di S. Agostino: Tu - o Dio - ci hai fatti per Te; ed il nostro cuore è inquieto finché in Te non riposi! ) ( S. Aug. Conf. 1,1 ); e riferita questa parola alle discese più volgari e degradanti dell'animalità sensuale e perfino innaturale, come un fatale peso di gravità, non trascina forse al basso, sotto i livelli d'ogni decenza e d'ogni onesta felicità?

E in senso orizzontale, cioè interpersonale, non può l'amore significare, a volta a volta, la dedizione più generosa, ovvero la brama più egoista, o anche le due cose insieme?

Non sarà facilmente possibile dare un significato univoco all'ambigua parola « amore », che oscilla fra « eros » e « agape » ( carità ), fra una simpatia istintiva e passionale e una aspirazione al bene, alla felicità, alla vita.

La scelta del sommo bene

Come praticheremo questo fondamentale precetto dell'amore di Dio e del prossimo, se il vocabolo stesso non ci aiuta ad un'esatta interpretazione del suo significato?

Ecco: dovremo innanzi tutto procurare d'avere le idee chiare.

L'amore vero è l'atto cosciente e volontario verso il bene.

La natura ci aiuta a dirigerci verso il bene; l'inclinazione, amore istintivo e sensitivo, si fa atto di volontà; diventa vero amore; si tratta allora d'una duplice operazione: la scelta e la forza.

Dobbiamo scegliere ( in ordine intentionis ) il sommo Bene, quello che solo e davvero è proporzionato all'insaziabile ampiezza del nostro potere di desiderare e di amare; e poi dobbiamo far convergere tutte le nostre forze spirituali e sentimentali verso il Bene supremo ch'è Dio.

E da questo compimento del primissimo dovere, lo sforzo composito d'intelligenza e di volontà, che fissa in Dio, Lui stesso Amore supremo, la nostra gravitazione morale, anzi trae da Lui la nostra energia operativa, deriva la capacità di compiere ogni altro dovere ( ordo executionis ), che si pianifica su quel primo e assume la sua onestà, la sua dignità, la sua forma di conversazione della creatura col Creatore, del figlio col Padre ( Cfr. S. TH. I-IIæ, 1, 4; E. Neuhaüsler, Exigence de Dieu et morale chrétienne, Cerf, 1971; e poi sempre i grandi maestri dell'amore: S. Bernardo, S. Francesco di Sales, ecc. ).

Tutta la vita diventa amore.

Amore vero, amore puro, amore forte, amore felice.

E a questa prima dilezione, ch'è religiosa, come vedete, e non può essere altrimenti, è connessa la seconda, la dilezione del prossimo, sia come scala per salire all'amor di Dio ( Cfr. 1 Gv 4,20; S. Aug. Tract. in Io., 17, 8 ); sia come motivo per applicare l'attività propria a servizio e a beneficio del prossimo ( Cfr. Rm 13,8-10; 1 Tm 1,5 ).

Attualità del Vangelo

Se noi, noi cristiani avessimo compreso questo Vangelo dell'amore, la sua legge, la sua necessità, la sua fecondità, la sua attualità, non ci lasceremmo sorprendere dal dubbio che il cristianesimo, la nostra fede ( Gal 5,6 ) sia incapace a risolvere nella giustizia e nella pace le questioni sociali, ma che occorra attingere questa capacità al materialismo economico, all'odio di classe e alla lotta civile, col pericolo di affogare la nostra professione cristiana nelle ideologie di chi la combatte e di dare alle questioni umane soluzioni amare, illusorie e fors'anche alla fine antisociali e antiumane.

Ritorna alla memoria ed al cuore l'inno di S. Paolo alla carità: « Quando pure io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono solo un bronzo sonante, o un cembalo stonato …

La carità è paziente, è benigna; non è invidiosa, non si vanta, ecc.

La carità non viene mai meno … » ( 1 Cor 13 ).

La carità, ecco la sintesi della nostra vita morale.

Pensiamoci.

Con la nostra Benedizione Apostolica.