23 Maggio 1973

« Veni, Creator Spiritus … Consolator optime … Dulcis Hospes animae »

Ancora noi vi preghiamo, Fratelli, di voler considerare l'annuncio, che noi abbiamo dato alla Chiesa e al mondo della prossima celebrazione dell'Anno Santo, come una voce ispirata dallo Spirito Santo, secondo la promessa di Gesù Cristo agli Apostoli nella sua profezia dopo l'ultima cena: « Quando sarà venuto lo Spirito di verità, Egli vi insegnerà tutta la verità …

Egli mi glorificherà, perché da ciò ch'è mio prenderà e ve lo annunzierà » ( Gv 16,13-14 );

e di volerlo considerare come l'apertura d'un periodo nuovo della vita religiosa e spirituale nel mondo, non come un avvenimento fra i tanti della nostra storia, quasi a sé stante, ma come un principio, un fatto genetico, una conseguenza del Concilio, destinata a caratterizzare un rinnovamento interiore e morale nella coscienza degli uomini;

e di considerarlo ancora come una grande occasione propizia, « un tempo favorevole, un giorno di salvezza » ( Cfr. 2 Cor 6,2 ), che abbiamo una fortuna benedetta, se lo sappiamo accogliere come si deve, una grave responsabilità, se per stolta distrazione o per maliziosa opposizione noi lo lasciamo cadere.

Noi tutti ci dobbiamo mettere in sopravvento al soffio misterioso, ma ora, in certo modo, identificabile dello Spirito Santo.

Non è senza significato il fatto che proprio nel giorno felice di Pentecoste l'Anno Santo apre le sue vele nelle singole Chiese locali, affinché una nuova navigazione, vogliamo dire un nuovo movimento, veramente « pneumatico », cioè carismatico, spinga in unica direzione e in concorde emulazione l'umanità credente verso le nuove mete della storia cristiana verso il suo porto escatologico.

Ben sappiamo che la stagione psicologica e sociologica del nostro mondo non è la migliore per l'audace avventura.

Tempeste, scogli e opposizioni formidabili si oppongono al nostro sereno e sicuro veleggiare.

Noi sentiamo fischiare ai nostri orecchi le raffiche di invadenti e violenti venti contrari.

Non ne facciamo adesso la descrizione, anche perché è ormai comune l'esperienza dell'irreligiosità, che si è impadronita, in non poche nazioni, in non poche scuole di pensiero, in non pochi fenomeni sociali dell'uomo moderno.

Dio non è di moda.

La nostra visione della realtà resta abbagliata dallo splendore e dall'interesse della scienza;

la cui applicazione pragmatica dà, sì, risultati stupefacenti, ma soverchia la vita di ricchezze incalcolabili e disputatissime, tanto da spingere e da dividere gli uomini in una lotta continua ed in una equivoca smania di liberazione;

non c'è più la tranquillità di spirito per mettere la nostra esperienza a confronto di principii stabili e superiori, sub specie aeternitatis, ma tutto è ridotto alle dimensioni del tempo, cioè della relatività contingente e mobile della storia, che come il Saturno mitico, genera e divora i suoi figli.

In questa situazione la concezione cosmica della terra e dell'uomo come un « regno di Dio » in fieri ( adveniat regnum tuum ) incontra cento terribili difficoltà, che l'uomo religioso sperimenta non come stimoli alla sua ascensione, perché tali sono, ma come ostacoli supposti insuperabili.

Per venire a confronto con questo mondo agitato ed ostile, l'uomo di Chiesa, il « fedele », avrebbe bisogno almeno di idee chiare e sicure, cioè

d'una razionalità naturale autentica ed operante,

d'un pensiero filosofico,

d'un senso comune capace di verità basilari e di funzionalità veramente logica e normale, di cui oggi egli non si sente più padrone, narcotizzato com'è da dubbi d'ogni genere, che solo gli studi scientifici da un lato e gli istintivi ragionamenti del buon senso, empirico e utilitario, dall'altro, valgono a calmare.

Noi dovremmo auspicare che la forza della ragione fosse ristabilita nella sua integrità; è questo uno dei grandi e ricorrenti bisogni della cultura, veramente umanistica.

Ma ci basti, per ora, esprimerne l'auspicio.

Diremo piuttosto, allo scopo che ora ci preme, che esiste un'altra sorgente di conoscenza, oltre quella puramente razionale troppo fiacca e vulnerabile per risolvere tutti i problemi dell'umana esistenza; un'altra sorgente non a mortificazione, ma a fortificazione del pensiero razionale, sorgente estrinseca per la sua origine, intrinseca per la sua operazione: ed è lo Spirito Santo, è « la fede che opera mediante la carità » ( Gal 5,6; cfr. Fil 2,13; 1 Cor 12,11 ).

Di questa infusione di capacità di comprendere la Verità, nella sua espressione soprannaturale e vitale, propria dell'economia cristiana ( Cfr. Gv 1,4-5 ), di questa illuminazione interiore, retaggio degli umili e dei semplici ( Cfr. Mt 11,25-26 ), di questo dono dai sette raggi dello Spirito Santo noi abbiamo bisogno per affrontare il grande esperimento dell'Anno Santo, se vogliamo che esso davvero sia rinnovamento e riconciliazione.

Ricordiamolo.

È noto a tutti come il Concilio abbia riempito le pagine dei suoi sublimi e attualissimi insegnamenti di continue menzioni dello Spirito Santo.

Vi è chi ne ha contate 258.

Facciamo nostra la molteplice esortazione del Concilio, e mettiamo a prefazione del nostro Anno Santo la ripetuta e sempre nuova invocazione: Vieni, o Spirito Santo; vieni, o Spirito Creatore; vieni, o Spirito Consolatore!

Non lo avremo invocato invano! ( Cfr. Lc 11,13 )

Con la nostra Benedizione Apostolica.