23 Luglio 1975

Noi continueremo a derivare dalle premesse religiose del Giubileo, che stiamo celebrando, le conclusioni ispiratrici e programmatiche per il nostro rinnovamento spirituale e morale, ma reale, ch'è nelle speranze comuni.

Prima di tutto, i buoni ( e comprendiamo tutti in questa sovrana categoria: i fedeli, i credenti, i membri della comunione ecclesiale, fra tutti, all'avanguardia, i sacerdoti, i religiosi, i cattolici osservanti e così quelli che conservano una loro sincera adesione a Cristo e alla sua Chiesa, e poi tutti quelli che il battesimo ha rigenerato come veri figli di Dio, e quelli pure che, senza pur troppo professare apertamente il loro carattere cristiano, sono, per via di anagrafe, o per via di rispetto e di simpatia, aderenti al nome, al fatto cristiano … ).

I buoni, diciamo, devono convincersi che questo avvenimento, che chiamiamo « Anno Santo », non è un puro avvenimento di calendario, che, una volta finito, lascia, come si suol dire, il tempo che trova; non deve essere cioè una celebrazione effimera, un movimento di pellegrinaggi, che subito si dilegua nel grande fiume della cronaca consueta, esaurendo naturalmente la carica potenziale di religiosità innovatrice sua propria, e permettendo che il mondo cristiano e non cristiano ricada nel vortice delle sue abitudini, spesso orientate, ahimè!, verso un laicismo areligioso e pagano.

No. L'Anno Santo deve conservare una sua efficienza, che applica l'aureo patrimonio derivante dal Concilio Ecumenico alla vita moderna, le imprime una fisionomia nuova, senza il proditorio laicismo radicale, o rispetto umano, come un tempo si chiamava, che la priva, delle energie spirituali e morali derivanti da un ragionevole riferimento alla sorgente evangelica, e che la intossica di pseudo-principii, vacui di verità, o pieni di dogmi discutibili e spesso infraumani.

Questo Anno Santo non deve finire, non deve spegnersi, deve continuare, e infondere, appunto per merito dei buoni, un'animazione nuova alla nostra società.

Seconda conseguenza allora, da fissare in aspirazioni ed in promesse rigeneratrici e permanenti.

Dov'è il « Popolo di Dio », del quale tanto si è parlato, e tuttora si parla, dov'è?

Questa entità etnica sui generis, che si distingue e si qualifica per il suo carattere religioso e messianico, sacerdotale e profetico, se volete, che tutto converge verso Cristo, come suo centro focale, e che tutto da Cristo deriva?

com'è compaginato? com'è caratterizzato? com'è organizzato?

come esercita la sua missione ideale e tonificante nella società, nella quale è immerso? ( Cfr. Epistola ad Diognetum, spec. c. 5 et 6; S. Augustini De moribus vitae christianae, 1, 30 )

Bene sappiamo che il Popolo di Dio ha ora, storicamente, un nome a tutti più familiare; è la Chiesa; la Chiesa amata, fino al sangue, da Cristo ( Ef 5,25 ), suo mistico corpo ( Col 1,18.24 ), sua opera in via di costruzione perenne ( Cfr. Mt 16,18 ); la nostra Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica; ebbene, chi davvero la conosce, la vive?

Chi possiede quel sensus ecclesiae, cioè quella coscienza di appartenere ad una società speciale, soprannaturale, che fa corpo vivo con Cristo, suo capo, e che forma appunto con Lui quel totus Christus ( Cfr. S. Augustini Serm. 341, 1, 1 ) quella comunione unitaria in Cristo dell'umanità, che costituisce il grande disegno dell'amore di Dio verso di noi, e da cui dipende la nostra salvezza ( Cfr. Lumen Gentium, 13 ).

Terzo punto.

Fratelli e Figli carissimi! questa non è teologia esoterica, inaccessibile alla mentalità comune del Popolo fedele; è la verità, altissima sì, ma aperta ad ogni credente e capace d'ispirare quello stile di vita, quella « comunione di spirito » ( Fil 2,1 ) quella identità di sentimento ( Rm 15,5 ), quel sentirsi solidali gli uni con gli altri ( Rm 12,5 ), che infonde ad « una moltitudine di credenti un Cuor sol ed un'anima sola » ( At 4,32 ), com'era agli albori del cristianesimo.

Deve crescere in noi il senso della comunità, della carità, dell'unità, cioè della Chiesa una e cattolica, ossia universale.

Deve affermarsi in noi la consapevolezza d'essere non solo una popolazione con certi caratteri comuni, ma un Popolo, un vero Popolo di Dio, una famiglia legata da profondi vincoli spirituali, una società fraterna, animata da eguali sentimenti di gaudio o di dolore ( Rm 12,15 ), e convinta d'essere destinata ad una medesima sorte oltre la vita presente ( Cfr. Ad Gentes, 2; Clementis Alexandrini Paedag. 1, 6, 27 ).

Il Concilio ha fatto della dottrina sulla Chiesa il suo fondamentale insegnamento.

L'Anno Santo fa sua tale dottrina.

È venuto il tempo di ravvivare in noi questa luminosa teologia, come scienza di vita concreta e sociale; essa non offende, sì bene riconosce, corrobora, nobilita la vita umana e sociale nelle sue legittime ed autonome manifestazioni ( Cfr. Lumen Gentium, 36; Gaudium et Spes, 36); non ha bisogno di mutuare da formule sociali antireligiose e conflittuali la sapienza e l'energia del bene da compiere, delle giuste riforme per il progresso umano, della continua affermazione della giustizia e della pace; ha bisogno e dovere di esplicare la interpretazione umana e sociale, con originali espressioni cristiane, che scaturiscono dal suo genio religioso ed evangelico ( Cfr. 1 Pt 3,8ss )

Ha detto bene l'Episcopato Lombardo, pochi giorni fa, ammonendo che bisogna « riscoprire l'originalità e la fecondità dell'ispirazione cristiana in campo culturale, sociale e politico ».

L'ammonimento è per i buoni, e per voi tutti!

Con la nostra Benedizione Apostolica.