6 Agosto 1975

Noi siamo presi dal pensiero centrale, dallo scopo principale di questo Anno Santo, che voi, con così numerosa presenza nel cuore della sua celebrazione, in questa Roma sacra alla fede, alla storia, al destino della civiltà cristiana, state vivendo, in un'ora fra le più importanti e le più coscienti, noi speriamo, della vostra esistenza nel tempo, e state così imprimendo nel processo spirituale della Chiesa pellegrina nei secoli, un più vivo desiderio del perenne rinnovamento.

Il Popolo di Dio, come si esprime il Concilio, cioè la nostra Chiesa di Dio, deve uscire rinnovato da questo avvenimento religioso, morale, collettivo, ch'è l'Anno Santo, il quale perciò non intende esaurirsi nel ciclo dei mesi che lo definiscono, ma deve generare nella Chiesa stessa un'infusione di spiritualità, di moralità, di carità, di fervore religioso ed umano, che

ne risvegli la coscienza,

ne fortifichi i propositi,

ne manifesti il genio vitale,

ne compagini l'unità e, soprattutto,

ne ottenga da Dio l'animazione nuova dello Spirito Santo,

così da ringiovanirla questa Chiesa millenaria, da rinvigorirla, da rinnovarla, come si è detto, da renderla insomma, pur nel turbine delle complesse e avverse vicende del nostro tempo, felice; sì, felice del pregustato preludio della vita immortale e divinizzata, che la speranza le promette e le assicura: spes autem non confundit, la nostra speranza non delude ( 1 Rm 5,5 ).

Ora, questo sperato rinnovamento richiede molte cose, di cui la Chiesa può e deve valersi.

Qual è la prima?

La prima per dignità, la prima nell'intelligenza che la Chiesa viva ha del disegno divino circa la salvezza del mondo, la prima perciò che il Concilio ha inditata e raccomandata per il rinnovamento della vita cristiana nel mondo è, voi lo sapete, la sacra Liturgia.

Fu su la sacra Liturgia che si pronunciò la prima costituzione del Concilio; e fu questa legislazione a conferire al Concilio stesso il suo aspetto rinnovatore, che, a differenza d'altri Concilii, non fu direttamente dogmatico, ma dottrinale e pastorale.

È stata così riconosciuta, nell'economia generale della vita umana e cristiana, la priorità alla preghiera, supponendo ed esigendo che il contatto spirituale con Dio debba essere cosciente e personale, come altra volta noi avemmo occasione di affermare; ma noi dobbiamo integrare questo primo atto della nostra religione ( Cfr. L. De Grandmaison, La religione personale ), nel quadro completo e valido della sua più autorevole espressione, il quale è, per divina istituzione, sociale, comunitario, ecclesiale, cioè sacerdotale e liturgico.

La liturgia: la forma ufficiale della nostra religione.

Per la nostra ansia di riaccendere la vivacità, e l'autenticità della religione nella vita individuale, ma soprattutto nella vita del Popolo, dobbiamo onorare e promuovere la Liturgia, nel nostro tempo, nella vita ecclesiale e collettiva.

« La sacra Liturgia, come dice il Concilio ( Sacrosanctum Concilium, 9 ), on esaurisce tutta l'azione della Chiesa … ».

« Non di meno la Liturgia è il vertice verso cui tende l'azione della Chiesa, ed insieme la sorgente da cui sgorga tutta la sua virtù » ( Ibid. 10 ).

Si è tanto parlato di liturgia prima e dopo il Concilio, ed ora, forti come siamo dell'apologia che il Concilio stesso ne ha fatto, noi speriamo che si continuerà a parlarne, anzi a farne legge e costume della nostra vita religiosa.

A noi basta qui confermare il programma liturgico che la Chiesa si è prefissa, quasi a rendere stabile e feconda l'idea e quindi la prassi della Liturgia: qui è il segreto d'una nuova vitalità della tradizione ecclesiastica, qui è il volto della sua bellezza, qui è l'espressione della sua intima e universale unità, come pure della sua multiforme e pentecostale interpretazione d'ogni lingua, d'ogni popolo; qui soprattutto sia l'affermazione di due principii fondamentali.

Ricordiamoli: nella liturgia è la celebrazione del sacerdozio di Cristo ( Cfr. Sacrosanctum Concilium, 7 );

Egli è presente fra noi, specialmente nel sacrificio eucaristico, nella Messa, per riflettere e per compiere dovunque noi siamo il dramma divino ed umano della nostra redenzione, quel dramma massimo dell'amore che s'immola e che salva, quello che ora siamo soliti chiamare « il mistero pasquale »:

la liturgia scaturisce dagli abissi della verità religiosa,

dalla rivelazione dell'operante disegno divino di bontà,

di misericordia,

di comunicazione,

di carità del Padre verso l'umanità, mediante il Verbo fatto carne come noi e per noi, nello Spirito d'amore che discende fra noi per farci risalire nell'apoteosi d'una nuova pienezza di vita gloriosa ed eterna ( Cfr. Ep. ad Ephesios, 1, 3 ss.).

Non diciamo di più.

Ma tutti dobbiamo avere ferma e gioconda questa convinzione che la lex orandi ha nella lex credendi la sua luce ed il suo specchio; la sua parola ascoltata, di cui essa è la parola espressa ( Cfr. M. Zundel, Le poème de la sainte liturgie, saggio anteriore al Concilio, ma che conserva la sua attualità ).

Diciamo piuttosto dell'altro principio fondamentale della riforma liturgica: il Popolo dev'essere composto di fedeli, che sanno, che partecipano, che in certa misura concelebrano col Sacerdote, perché egli, alter Christus, è interprete di Dio presso il Popolo, e interprete del Popolo presso Dio.

La liturgia è comunione di animi, di orazioni, di voci, di agape, cioè di carità.

Non basta l'assistenza passiva alla sua celebrazione, occorre una partecipazione.

Il Popolo deve considerare la celebrazione liturgica come una scuola, dove si ascolta e si impara; come un'azione sacra, promossa e guidata dal Sacerdote, alla quale anch'egli, moltitudine di cuori vivi e fedeli, concorre, rispondendo, offrendo, pregando e cantando.

Oh! se il Concilio, se l'Anno Santo avranno favorito l'impegno di far partecipare e cantare liturgicamente il Popolo, avranno compiuto un'opera religiosa e comunitaria di grandissimo valore: chi canta, partecipa; chi partecipa non si annoia, ma gode; chi gode della preghiera si conserva, anzi si sviluppa come cristiano; e chi è cristiano si salva!

E nessuno pensi che questa ebbrezza sia illusoria, o sia alienante e frustrante rispetto al realismo operativo e sociale della nostra concreta ed umana esistenza; no, essa è un'infusione di sapienza e di energia, che rende i fedeli cittadini ardenti, generosi ed operosi nel campo delle realtà terrestri mentre li incammina e li conduce alla cittadinanza celeste.

Liturgia, ricordiamola: credente, inneggiante, sensibile all'esperienza terrestre, pellegrina verso la celebrazione dell'apocalisse eterna.

Con la nostra apostolica benedizione.