3 Marzo 1976

L'amore di Dio e del prossimo norma suprema e vitale della personalità cristiana

Per dare qualche applicazione pratica al nostro proposito di un rinnovamento effettivo della nostra vita cristiana, proposito che portiamo negli animi come ricordo operante dell'Anno Santo, un altro principio, oltre quelli già affermati, noi dobbiamo stabilire, o meglio ristabilire a fondamento del nuovo edificio spirituale, nel quale deve trovare la sua stanza, anzi la sua officina la « civiltà dell'amore »; ed è lo sforzo ascetico.

Sappiamo tutti in che cosa esso consiste.

Consiste in uno sforzo abituale della buona volontà,

una tensione morale vigilante e perseverante della coscienza sopra il dominio delle proprie azioni,

una attitudine normale di autogoverno,

di padronanza di sé, nell'intento di unificare il complesso meccanismo psicologico dei propri istinti,

delle proprie passioni,

dei propri interessi,

dei propri sentimenti,

delle proprie reazioni interiori ed esteriori,

dei propri pensieri,

sotto un unico comando direttivo, l'amor di Dio e del prossimo, norma suprema e vitale della personalità cristiana.

Ricordiamo due dati di fatto: noi uomini siamo esseri complessi, polivalenti, polioperanti; ed è principio della sapienza naturale e cristiana il tentativo continuo di comporre in un ordine logico e morale questo nostro essere complicato e per sé capace di forme diverse di azione e di comportamento.

La saggezza naturale, anche pagana, aveva già avvertito questo bisogno di animi concordia, come si esprime Seneca ( Cfr. Senecae De vita beata, 8, 6 ); così Epitteto, l'umile e grande filosofo, che insegnò l'armonia fra la libertà e la virtù ( Cfr. le sue « diatribe », o dissertazioni che piacquero al Leopardi, che ne fece una elegante traduzione. Opere, 1, pp. 539-566 ).

E poi il secondo fatto capitale, misterioso e realissimo ( Cfr. Pascal ), il peccato originale, che ha lasciato un disordine congenito nell'uomo ( Cfr. Denz-Schön., 1512 ), che porta con sé una specie di tendenza centrifuga delle sue facoltà, le quali, senza un'azione severa e riflessa di coordinamento e senza un aiuto divino, non ricompongono più il profilo ideale, cioè la santità, la perfezione, a cui l'uomo è pur chiamato.

Dobbiamo perciò notare come punto importante del nostro programma di rinnovamento il bisogno, abbiamo detto, di uno sforzo ascetico.

Sappiamo tutti benissimo che questo capitolo del programma rinnovatore della vita cristiana non gode il favore dell'opinione pubblica, e nemmeno talvolta il dovuto rispetto di certi maestri, che pur si qualificano moralisti e per di più cristiani ( alcune imprevedibili e ingiustificate reazioni alla recente Dichiarazione della nostra Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede « circa alcune questioni di etica sessuale » ce ne danno una ben triste esperienza ).

Oggi l'autorità, oggi la legge, che ci propongano una norma esteriore, per quanto conforme alle esigenze interiori del nostro essere, non sono più gradite, né spesso più ascoltate.

La spontaneità sembra essere il diritto fondamentale dell'azione umana.

Trionfa Rousseau.

Essa si è dapprima ammantata delle esigenze della coscienza personale, senza spesso badare che la coscienza psicologica ha prevalso su quella morale, privando questa della sua visione sull'obbligazione intrinseca ed estrinseca che la deve guidare, donde l'esplosione d'una libertà cieca, d'un istinto passionale, d'una delinquenza sfrenata, donde insomma l'abdicazione della volontà intelligente e veramente responsabile.

Il nostro sforzo ascetico, perfettivo della condotta morale, avrà due momenti: uno negativo, che i maestri di spirito chiamano mortificazione, digiuno, rinuncia, combattimento spirituale, penitenza, eccetera.

Ricordiamo tutti come questo esercizio di riconquista della padronanza di sé, per conseguire un'idoneità alla vita cristiana, abbia nel Vangelo espressioni fortissime, che dovranno essere saggiamente interpretate, come questa: « Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te … » ( Mt 5,29; così della mano: Mt 5,30 ).

A cui fa eco S. Paolo: « io tratto duramente il mio corpo, e lo trascino in schiavitù … » ( 1 Cor 9,27 ).

L'altro momento dell'ascetica cristiana è positivo, rivolto cioè alla fortificazione della virtù, propria d'un seguace di Cristo.

Milizia si chiama questo momento ( Cfr. Gb 7,1; 2 Cor 10,4; Rm 13,14; Gal 5,16 ), ed ha in S. Paolo la metaforica ed espressiva descrizione dell'armatura romana: « Prendete … l'armatura di Dio, … cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia … , ecc. » ( Ef 6,13-17 ).

Non si è veri cristiani, se non si è forti.

Non si è forti, anche spiritualmente, se non si è atleti, cioè senza dure e lunghe esercitazioni ( 1 Ts 5,8 ).

E tutto questo per possedere quella invincibile carità, che sopra ogni cosa andiamo cercando: « chi ci potrà separare dalla carità di Cristo? » ( Rm 8,35 ).

Con la nostra Benedizione Apostolica.