7 Luglio 1976

Il divino edificio, la Chiesa, reclama lavoro nuovo, reclama costruzione geniale

Voi, che venite a visitare ed a venerare la sede dell'umile successore dell'Apostolo, Simone figlio di Giovanni, da Gesù Cristo stesso chiamato Pietro, quale parola, quale profezia, quale destino storico andate cercando, non solo nel luogo della sua tomba, ma nel trofeo monumentale altresì che qui di lui glorifica la memoria e simboleggia la spirituale missione?

Non sentite dentro i vostri animi echeggiare la promessa che appunto Gesù trasmise all'Apostolo, quando a lui disse: « Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa » ( Mt 16,18 )?

Parole fatidiche, che qui sembrano acquistare sensibile significato, e che noi non finiremo mai di meditare, ripercosse come sembrano essere, non pure nell'edificio della Basilica alla quale siamo accorsi scrutando, ammirando e pregando, ma nella istituzione, che qui ha il suo cardine ed il suo cuore, e che tutti ci coinvolge, e ci rivela il nostro nome, comunissimo e più che mai misterioso:

noi, noi siamo Chiesa, la Chiesa, il corpo storico, visibile ed insieme spirituale e trascendente la nostra scena storica, il Corpo mistico di Cristo!

Per questo luogo benedetto, per questo momento privilegiato, l'annuncio messianico e divino è stato pronunciato, proclamato: « Io, Io Gesù il Cristo, Figlio del Dio vivente, edificherò la mia Chiesa ».

Tutto è da ascoltare, da ripensare, e per quanto ci è possibile, da comprendere.

Scegliamo ora un solo vocabolo: « Io, il Signore ( Cfr. Is 9,4-6 ), edificherò … ».

Edificare, che cosa significa?

Vuol dire costruire, prendere dei materiali informi e dispersi, e, conservandone la struttura essenziale, modellarli, unirli, compaginarli in un piano architettonico, e conferire ad essi l'utilità e la dignità d'unico disegno, che rispecchi un pensiero, una finalità, una bellezza, ch'è di tutti i singoli materiali componenti, e di tutto insieme l'edificio.

Questa è l'idea di Cristo circa l'umanità, circa il regno di Dio, circa la costruzione.

Questo è il regno di Dio, di cui il Vangelo porta l'annuncio, questa è la Chiesa, che Cristo dice « mia », questa è l'umanità pervasa dal disegno della salvezza.

Questa è la chiave per l'intelligenza delle Scritture: si legga la storia di Abramo ( Cfr. Gen 12,3; Gal 3,8ss ); la storia di Israele ( Gal 6,15-16; Rm 9; etc. ); la storia della Chiesa nascente ( At 11,17-18; etc. ); questo è il pensiero divino operante nella storia dell'umanità, e nel segreto delle anime, che ascoltano il Maestro interiore.

Le vertigini della rivelazione divina, che apre davanti a noi i suoi sconfinati e pur immediati panorami ( Cfr. Ef 3,18-19ss ) possono dare al visitatore un senso di ebbrezza ed insieme un senso di confusione, da lasciarlo quasi sopraffatto e disorientato.

Ma non sia così.

Raccogliamo invece il duplice messaggio, che si fa nostro, di ciascuno, e pieno di confortante energia.

Il primo messaggio è quello dell'unità e dell'universalità, il quale scaturisce dal Vangelo che qui ci ha folgorato.

Quante cose tale messaggio ci obbligherebbe a ricordare! basterebbe ascoltarne, non pur l'eco, ma la ripetizione diventata semplice come una formula verbale, ma estremamente realista e impegnativa, risonante nelle parole estreme e commoventi di Cristo, nella imminenza della sua passione: « siamo tutti uno » ( Cfr. Gv 17,11; etc. ).

Qui queste parole testamentarie del Signore echeggiano sempre.

Qui esse diventano trombe squillanti per tutti i popoli; qui diventano vocazione per chiunque abbia l'orecchio dello spirito attento alla chiamata divina.

Qui è offerto, come un gioco amoroso del Signore, un colloquio con lui.

Ascoltare qui è la prima forma di preghiera, di espressione spirituale sincera, disponibile a innestare colui che ascolta nel disegno del divino interlocutore.

E poi il secondo messaggio, quello relativo alla costruzione; la costruzione della Chiesa, che Cristo sta lui stesso operando nella storia; una costruzione che per noi, figli del tempo, è, si può dire, sempre in principio.

Tutto il lavoro compiuto nei secoli a noi precedenti non ci esonera dalla collaborazione col divino costruttore, anzi ci chiama, e non solo ad un fedele compito di conservazione, e nemmeno di passivo tradizionalismo, né di ostile rifiuto alla perenne innovazione della vita umana;

ci chiama a ricominciare da capo, memori sì, e gelosi custodi di ciò che la storia autentica della Chiesa ha accumulato per questa e per le future generazioni, ma consapevoli che l'edificio, fino all'ultimo giorno del tempo, reclama lavoro nuovo, reclama costruzione faticosa, fresca, geniale, come se la Chiesa, il divino edificio, dovesse cominciare oggi la sua avventurosa sfida alle altezze del cielo ( Cfr. 1 Cor 3,10; 1 Pt 2,5 ).

Qui si scuotono la stanchezza, la pigrizia, la sfiducia, l'autolesionismo della contestazione sistematica, e con giovanile freschezza, con audacia geniale, con umile, grande fiducia, si cerca d'interpretare nei bisogni della società il progetto che Cristo, l'edificatore, prepara per i suoi.

Vediamo noi d'essere suoi.

Con la nostra Apostolica Benedizione.