Dives in misericordia

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Il mistero pasquale

7 Misericordia rivelata nella croce e nella resurrezione

Il messaggio messianico di Cristo e la sua attività fra gli uomini terminano con la croce e la risurrezione.

Dobbiamo penetrare profondamente in questo evento finale che, specialmente nel linguaggio conciliare, viene definito mistero pasquale, se vogliamo esprimere sino in fondo la verità sulla misericordia, così come essa è stata sino in fondo rivelata nella storia della nostra salvezza.

A questo punto delle nostre considerazioni, occorrerà avvicinarci ancora di più al contenuto dell'enciclica Redemptor hominis.

Se infatti la realtà della redenzione, nella sua dimensione umana, svela la grandezza inaudita dell'uomo, che meritò di avere un così grande Redentore,70 al tempo stesso la dimensione divina della redenzione ci consente, direi, nel modo più empirico e « storico », di svelare la profondità di quell'amore che non indietreggia davanti allo straordinario sacrificio del Figlio, per appagare la fedeltà del Creatore e Padre nei riguardi degli uomini creati a sua immagine e fin dal « principio » scelti, in questo Figlio, per la grazia e per la gloria.

Gli eventi del Venerdì santo e, prima ancora, la preghiera nel Getsemani introducono, in tutto il corso della rivelazione dell'amore e della misericordia, nella missione messianica di Cristo, un cambiamento fondamentale.

Colui che « passò beneficando e risanando » ( At 10,38 ) e « curando ogni malattia e infermità » ( Mt 9,35 ) sembra ora egli stesso meritare la più grande misericordia e richiamarsi alla misericordia, quando viene arrestato, oltraggiato, condannato, flagellato, coronato di spine, quando viene inchiodato alla croce e spira fra tormenti strazianti. ( Mc 15,37; Gv 19,30 )

È allora che merita particolarmente la misericordia dagli uomini che ha beneficato, e non la riceve.

Perfino coloro che gli sono più vicini non sanno proteggerlo e strapparlo dalle mani degli oppressori.

In questa tappa finale della missione messianica si adempiono in Cristo le parole dei profeti e soprattutto di Isaia, pronunciate riguardo al Servo di Jahvè: « Per le sue piaghe noi siamo stati guariti ». ( Is 53,5 )

Cristo, come uomo che soffre realmente e in modo terribile nell'orto degli ulivi e sul Calvario, si rivolge al Padre, a quel Padre il cui amore egli ha predicato agli uomini, la cui misericordia ha testimoniato con tutto il suo agire.

Ma non gli viene risparmiata - proprio a lui - la tremenda sofferenza della morte in croce: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore », ( 2 Cor 5,21 ) scriverà san Paolo, riassumendo in poche parole tutta la profondità del mistero della croce ed insieme la dimensione divina della realtà della redenzione.

Proprio questa redenzione è l'ultima e definitiva rivelazione della santità di Dio, che è la pienezza assoluta della perfezione: pienezza della giustizia e dell'amore, poiché la giustizia si fonda sull'amore, da esso promana e ad esso tende.

Nella passione e morte di Cristo - nel fatto che il Padre non risparmiò il suo Figlio, ma « lo trattò da peccato in nostro favore » ( 2 Cor 5,21 ) - si esprime la giustizia assoluta, perché Cristo subisce la passione e la croce a causa dei peccati dell'umanità.

Ciò è addirittura una « sovrabbondanza » della giustizia, perché i peccati dell'uomo vengono « compensati » dal sacrificio dell'Uomo-Dio.

Tuttavia, tale giustizia, che è propriamente giustizia « su misura » di Dio, nasce tutta dall'amore: dall'amore del Padre e del Figlio, e fruttifica tutta nell'amore.

Proprio per questo la giustizia divina rivelata nella croce di Cristo è « su misura » di Dio, perché nasce dall'amore e nell'amore si compie, generando frutti di salvezza.

La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza di vita e di santità che proviene da Dio.

In tal modo, la redenzione porta in sé la rivelazione della misericordia nella sua pienezza.

Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione ed attuazione della misericordia, che è capace di giustificare l'uomo, di ristabilire la giustizia nel senso di quell'ordine salvifico che Dio dal principio aveva voluto nell'uomo e, mediante l'uomo, nel mondo.

Cristo sofferente parla in modo particolare all'uomo, e non soltanto al credente.

Anche l'uomo non credente saprà scoprire in lui l'eloquenza della solidarietà con la sorte umana, come pure l'armoniosa pienezza di una disinteressata dedizione alla causa dell'uomo, alla verità e all'amore.

La dimensione divina del mistero pasquale giunge, tuttavia, ancor più in profondità.

La croce collocata sul Calvario, su cui Cristo svolge il suo ultimo dialogo col Padre, emerge dal nucleo stesso di quell'amore di cui l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è stato ratificato secondo l'eterno disegno divino.

Dio, quale Cristo ha rivelato, non rimane soltanto in stretto collegamento col mondo, come creatore e ultima fonte dell'esistenza.

Egli è anche Padre: con l'uomo, da lui chiamato all'esistenza nel mondo visibile, è unito da un vincolo ancor più profondo di quello creativo.

È l'amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Infatti, colui che ama desidera donare se stesso.

La croce di Cristo sul Calvario sorge sulla via di quel meraviglioso scambio, di quel mirabile comunicarsi di Dio all'uomo, in cui è al tempo stesso contenuta la chiamata rivolta all'uomo, affinché, donando se stesso a Dio e con sé tutto il mondo visibile, partecipi alla vita divina, - e affinché come figlio adottivo divenga partecipe della verità e dell'amore che è in Dio e che proviene da Dio.

Proprio sulla via dell'eterna elezione dell'uomo alla dignità di figlio adottivo di Dio, sorge nella storia la croce di Cristo, Figlio unigenito, che, come « luce da luce, Dio vero da Dio vero »77, è venuto a dare l'ultima testimonianza della mirabile alleanza di Dio con l'umanità, di Dio con l'uomo - con ogni uomo.

Questa alleanza, antica come l'uomo - risale al mistero stesso della creazione - e ristabilita poi più volte con un unico popolo eletto, è ugualmente l'alleanza nuova e definitiva, stabilita là, sul Calvario, e non limitata ad un unico popolo, ad Israele, ma aperta a tutti e a ciascuno.

Che cosa dunque ci dice la croce di Cristo, che è, in un certo senso, l'ultima parola del suo messaggio e della sua missione messianica?

- Eppure, questa non è ancora l'ultima parola del Dio dell'alleanza: essa sarà pronunciata in quell'alba, quando prima le donne e poi gli apostoli, venuti al sepolcro di Cristo crocifisso, vedranno la tomba vuota e sentiranno per la prima volta l'annuncio: « È risorto ».

Essi lo ripeteranno agli altri e saranno testimoni del Cristo risorto.

Tuttavia, anche in questa glorificazione del Figlio di Dio continua ad esser presente la croce, la quale - attraverso tutta la testimonianza messianica dell'Uomo-Figlio, che su di essa ha subito la morte - parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l'uomo, poiché « ha tanto amato il mondo - quindi l'uomo nel mondo - da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna ». ( Gv 3,16 )

Credere nel Figlio crocifisso significa « vedere il Padre », ( Gv 14,9 ) significa credere che l'amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male in cui l'uomo, l'umanità, il mondo sono coinvolti.

Credere in tale amore significa credere nella misericordia.

Questa infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l'uomo, che si insinua anche nel suo cuore e può farlo « perire nella Geenna ». ( Mt 10,28 )

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70 Liturgia della Veglia pasquale: « Exultet »
77 Credo niceno-costantinopolitano