Martedì, 30 settembre 2014

Preghiere al buio

La « preghiera della Chiesa » per i tanti « Gesù sofferenti » che « sono dappertutto » anche nel mondo odierno.

L'ha chiesta Papa Francesco durante la messa celebrata martedì mattina, 30 settembre, a Santa Marta, invocandola soprattutto per « quei nostri fratelli che per essere cristiani sono cacciati via dalla loro casa e rimangono senza niente », per gli anziani lasciati da parte e gli ammalati soli negli ospedali: insomma per tutte quelle persone che vivono « momenti bui ».

Il Pontefice ha preso spunto dalla prima lettura - tratta dal libro di Giobbe ( Gb 3,1-3.11-17.20-23 ) - in cui è contenuta « una preghiera un po' speciale.

La stessa Bibbia dice che è una maledizione », ha spiegato.

Infatti « Giobbe aprì la bocca e maledì il suo giorno », lamentandosi « di quello che gli è accaduto » con queste parole: « Perisca il giorno in cui nacqui.

Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo?

Così ora giacerei ed avrei pace.

Oppure, come un aborto nascosto, più non sarei o come i bambini che non hanno visto la luce ».

In proposito il vescovo di Roma ha fatto notare come « Giobbe, l'uomo ricco, l'uomo giusto, che davvero adorava Dio e andava sulla strada dei comandamenti », dicesse queste cose dopo aver « perso tutto.

È stato messo alla prova: ha perso tutta la famiglia, tutti i beni, la salute, e tutto il suo corpo è diventato una piaga ».

Insomma « in quel momento è finita la pazienza e lui dice queste cose.

Sono brutte!

Ma lui era abituato a parlare con la verità e questa è la verità che lui sente in quel momento ».

Al punto da dire: « Sono solo. Sono abbandonato. Perché?

Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: è stato concepito un maschio ».

In queste parole di Giobbe il Papa ha ravvisato una sorta di « maledizione contro tutta la sua vita », sottolineando che essa viene pronunciata « nei momenti bui » dell'esistenza.

E lo stesso accade anche in Geremia, nel capitolo 20: « Maledetto il giorno in cui nacqui ».

Parole che spingono a chiedersi: « Ma questo uomo bestemmia?

Quest'uomo che sta solo, così, in questo, bestemmia?

Geremia bestemmia?

Gesù, quando si lamenta - "Padre, perché mi hai abbandonato?" - bestemmia?

Il mistero è questo ».

Il Pontefice ha confidato che nella sua esperienza pastorale tante volte egli stesso sente « persone che stanno vivendo situazioni difficili, dolorose, che hanno perso tanto o si sentono sole e abbandonate e vengono a lamentarsi e fanno queste domande: Perché? Si ribellano contro Dio ».

E la sua risposta è: « Continua a pregare così, perché anche questa è una preghiera ».

Come lo era quella di Gesù, quando ha detto al Padre: « Perché mi hai abbandonato? », e com'è quella di Giobbe.

Perché « pregare è diventare in verità davanti a Dio.

Si prega con la realtà.

La vera preghiera viene dal cuore, dal momento che uno vive ».

È appunto « la preghiera nei momenti del buio, nei momenti della vita dove non c'è speranza » e « non si vede l'orizzonte »; al punto che « tante volte si perde la memoria e non abbiamo dove ancorare la nostra speranza ».

Da qui l'attualità della parola di Dio, perché anche oggi « tanta gente è nella situazione di Giobbe.

Tanta gente buona, come Giobbe, non capisce cosa le è accaduto.

Tanti fratelli e sorelle che non hanno speranza ».

E subito il pensiero del Pontefice è andato « alle grandi tragedie » come quelle dei cristiani cacciati dalle loro case e privati di tutto, che si domandano « Ma, Signore, io ho creduto in te. Perché? ».

Perché « credere in te è una maledizione? ».

Lo stesso vale per « gli anziani lasciati da parte », per gli ammalati, per la gente sola negli ospedali.

È infatti « per tutta questa gente, questi fratelli e sorelle nostre, e anche per noi quando andiamo nel cammino del buio », che « la Chiesa prega ».

E facendolo, « prende su di sé questo dolore ».

Un esempio in tal senso viene proprio da un'altra lettura della messa, il salmo 88, dove si proclama: « Io sono sazio di sventure.

La mia vita è sull'orlo degli inferi.

Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa.

Sono come un uomo ormai senza forze.

Sono libero, ma tra i morti, come gli uccisi stessi nel sepolcro, dei quali non conservi più il ricordo ».

Proprio così, ha ribadito Francesco, « la Chiesa prega per tutti quanti sono nella prova del buio ».

A queste persone vanno aggiunte anche quelle che, pur « senza malattie, senza fame, senza bisogni importanti », si ritrovano con « un po' di buio nell'anima ».

Situazione in cui « crediamo di essere martiri e smettiamo di pregare », dicendoci arrabbiati con Dio, al punto da non andare più nemmeno a messa.

Al contrario, il brano odierno della Scrittura « ci insegna la saggezza della preghiera nel buio, della preghiera senza speranza ».

E il Papa ha citato l'esempio di santa Teresa di Gesù Bambino, che « negli ultimi mesi della vita, cercava di pensare al cielo » e « sentiva dentro di sé, come una voce che diceva: Non essere sciocca, non farti fantasie.

Sai cosa ti aspetta? Il niente! ».

Del resto tutti noi « tante volte passiamo per questa situazione.

E tanta gente pensa di finire nel niente ».

Ma santa Teresa si difendeva da questa insidia: ella « pregava e chiedeva forza per andare avanti, nel buio.

Questo si chiama "entrare in pazienza" ».

Una virtù che va coltivata con la preghiera, perché - ha ammonito il vescovo di Roma - « la nostra vita è troppo facile, le nostre lamentele sono lamentele da teatro » se paragonate ai « lamenti di tanta gente, di tanti fratelli e sorelle che sono nel buio, che hanno perso quasi la memoria, quasi la speranza, che sono esiliati, anche da se stessi ».

Ricordando che Gesù stesso ha percorso « questa strada: dalla sera al monte degli Ulivi fino all'ultima parola dalla Croce: "Padre, perché mi hai abbandonato?" », il Papa ha ricavato due pensieri conclusivi « che possono servirci ».

Il primo è un invito a « prepararsi, per quando verrà il buio »: esso « verrà, forse non come a Giobbe, tanto duro, ma avremo un tempo di buio » tutti.

Perciò occorre « preparare il cuore per quel momento ».

Il secondo è invece un'esortazione « a pregare, come prega la Chiesa, con la Chiesa, per tanti fratelli e sorelle che patiscono l'esilio da se stessi, nel buio e nella sofferenza, senza speranza alla mano ».