Dichiarazione sull'aborto procurato

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III. Alla luce congiunta della ragione

8. Il rispetto della vita umana non si impone solo ai cristiani: è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull'analisi di ciò che è e deve essere una persona.

Dotato di natura ragionevole, l'uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti, e quindi del proprio destino; egli è libero.

È, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo: questo è il suo compito.

Creata immediatamente da Dio, la sua anima è spirituale, e quindi immortale.

Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui.

Ma egli vive nella comunità dei suoi simili, si nutre della comunicazione interpersonale con essi, nell'indispensabile ambiente sociale.

Di fronte alla società e agli altri uomini, ogni persona umana possiede se stessa, possiede la propria vita, i suoi diversi beni, per diritto; la qual cosa esige da tutti, nei suoi riguardi, una stretta giustizia.

9. Tuttavia, la vita temporale condotta in questo mondo non s'identifica con la persona; questa possiede in proprio un livello di vita più profondo, che non può finire.

La vita corporea è un bene fondamentale, condizione quaggiù di tutti gli altri; ma ci sono valori più alti, per i quali potrà essere legittimo o anche necessario esporsi al pericolo di perderla.

In una società di persone, il bene comune è per ciascuna un fine che essa deve servire, al quale essa dovrà subordinare il suo interesse particolare.

Ma esso non è il suo fine ultimo e, da questo punto di vista, è la società che è al servizio della persona, perché questa non raggiungerà il suo destino che in Dio.

Essa non può essere definitivamente subordinata che a Dio.

Non si potrà mai pertanto trattare un uomo come un semplice mezzo, di cui si possa disporre per ottenere un fine più alto.

10. Sui diritti e sui doveri reciproci della persona e della società, spetta alla morale illuminare le coscienze, al diritto di precisare e di organizzare le prestazioni.

Ora c'è precisamente un complesso di diritti, che non spetta alla società di accordare, perché essi le sono anteriori, ma che essa ha il dovere di tutelare e di far valere: tali sono la maggior parte di quelli che oggi si chiamano i « diritti dell'uomo », e che la nostra epoca si gloria di aver formulato.

11. Il primo diritto di una persona umana è la sua vita.

Essa ha altri beni, ed alcuni sono più preziosi, ma quello è fondamentale, condizione di tutti gli altri.

Perciò esso deve essere protetto più di ogni altro.

Non spetta alla società, non spetta alla pubblica autorità, qualunque ne sia la forma, riconoscere questo diritto ad alcuni e non ad altri: ogni discriminazione è iniqua, sia che si fondi sulla razza o sul sesso, sia sul colore o sulla religione.

Non è il riconoscimento da parte degli altri che costituisce questo diritto; esso esige di essere riconosciuto ed è strettamente ingiusto il rifiutarlo.

12. Una discriminazione fondata sui diversi periodi della vita non è giustificata più di qualsiasi altra.

Il diritto alla vita resta intatto in un vegliardo, anche molto debilitato; un malato incurabile non l'ha perduto.

Non è meno legittimo nel piccolo appena nato che nell'uomo maturo.

In realtà, il rispetto alla vita umana si impone fin da quando ha inizio il processo della generazione.

Dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto.

Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora.

13. A questa evidenza di sempre ( perfettamente indipendente dai dibattiti circa il momento dell'animazione ),19 la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme.

Essa ha mostrato come dal primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: un uomo, quest'uomo individuo con le sue note caratteristiche già ben determinate.

Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire.

Il meno che si possa dire è che la scienza odierna, nel suo stato più evoluto, non dà alcun appoggio sostanziale ai difensori dell'aborto.

Del resto, non spetta alle scienze biologiche dare un giudizio decisivo su questioni propriamente filosofiche e morali, come quella del momento in cui si costituisce la persona umana e quella della legittimità dell'aborto.

Ora, dal punto di vista morale, questo è certo: anche se ci fosse un dubbio concernente il fatto che il frutto del concepimento sia già una persona umana, è oggettivamente un grave peccato osare di assumere il rischio di un omicidio.

« È già un uomo colui che lo sarà ».20

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19 Questa Dichiarazione lascia espressamente da parte la questione circa il momento della infusione dell'anima spirituale.
Non c'è su tale punto tradizione unanime e gli autori sono ancora divisi.
Per alcuni, essa ha inizio fin dal primo istante; per altri, essa non può precedere almeno l'annidamento.
Non spetta alla scienza di prendere posizione, perché l'esistenza di un'anima immortale non appartiene al suo campo.
È una discussione filosofica, da cui questa affermazione morale rimane indipendente per due ragioni:
1. pur supponendo una animazione tardiva, esiste già nel feto una incipiente vita umana ( biologicamente costatabile ) che prepara e richiede quest'anima, nella quale si completa la natura ricevuta dai genitori;
2. basta che questa presenza dell'anima sia probabile ( e non si proverà mai il contrario ) perché togliergli la vita significhi mettersi nel pericolo di uccidere un uomo, non soltanto in attesa, ma già provvisto della sua anima.
20 Tertulliano, Apologeticum, IX, 8