Donum veritatis

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II - La vocazione del teologo

6. Fra le vocazioni suscitate dallo Spirito nella Chiesa si distingue quella del teologo, che in modo particolare ha la funzione di acquisire, in comunione con il Magistero, un'intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa.

Di sua natura la fede fa appello all'intelligenza, perché svela all'uomo la verità sul suo destino e la via per raggiungerlo.

Anche se la verità rivelata è superiore ad ogni nostro dire ed i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile ( cf. Ef 3,19 ), essa invita tuttavia la ragione - dono di Dio fatto per cogliere la verità - ad entrare nella sua luce, diventando così capace di comprendere in una certa misura quanto ha creduto.

La scienza teologica, che, rispondendo all'invito della voce della verità cerca l'intelligenza della fede, aiuta il Popolo di Dio, secondo il comandamento dell'apostolo ( cf. 1 Pt 3,15 ), a rendere conto della sua speranza a coloro che lo richiedono.

7. Il lavoro del teologo risponde così al dinamismo insito nella fede stessa: di sua natura la Verità vuole comunicarsi, perché l'uomo è stato creato per percepire la verità, e desidera nel più profondo di se stesso conoscerla per ritrovarsi in essa e per trovarvi la sua salvezza ( cf. 1 Tm 2,4 ).

Per questo il Signore ha inviato i suoi apostoli perché facciano « discepole » tutte le nazioni e le ammaestrino ( cf. Mt 28,19s ).

La teologia, che ricerca la « ragione della fede » ed a coloro che cercano offre questa ragione come una risposta, costituisce parte integrante dell'obbedienza a questo comandamento, perché gli uomini non possono diventare discepoli se la verità contenuta nella parola della fede non viene loro presentata ( cf. Rm 10,14s ).

La teologia offre dunque il suo contributo perché la fede divenga comunicabile, e l'intelligenza di coloro che non conoscono ancora il Cristo possa ricercarla e trovarla.

La teologia, che obbedisce all'impulso della verità che tende a comunicarsi, nasce anche dall'amore e dal suo dinamismo: nell'atto di fede, l'uomo conosce la bontà di Dio e comincia ad amarlo, ma l'amore desidera conoscere sempre meglio colui che ama.3

Da questa duplice origine della teologia, iscritta nella vita interna del Popolo di Dio e nella sua vocazione missionaria, consegue il modo con cui essa deve essere elaborata per soddisfare alle esigenze della sua natura.

8. Poiché oggetto della teologia è la Verità, il Dio vivo ed il suo disegno di salvezza rivelato in Gesù Cristo, il teologo è chiamato ad intensificare la sua vita di fede e ad unire sempre ricerca scientifica e preghiera.4

Sarà così più aperto al « senso soprannaturale della fede » da cui dipende e che gli apparirà come una sicura regola per guidare la sua riflessione e misurare la correttezza delle sue conclusioni.

9. Nel corso dei secoli la teologia si è progressivamente costituita in vero e proprio sapere scientifico.

È quindi necessario che il teologo sia attento alle esigenze epistemologiche della sua disciplina, alle esigenze di rigore critico, e quindi al controllo razionale di ogni tappa della sua ricerca.

Ma l'esigenza critica non va identificata con lo spirito critico, che nasce piuttosto da motivazioni di carattere affettivo o da pregiudizio.

Il teologo deve discernere in se stesso l'origine e le motivazioni del suo atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla fede.

L'impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione.

10. Pur trascendendo la ragione umana, la verità rivelata è in profonda armonia con essa.

Ciò suppone che la ragione sia per sua natura ordinata alla verità in modo che, illuminata dalla fede, essa possa penetrare il significato della Rivelazione.

Contrariamente alle affermazioni di molte correnti filosofiche, ma conformemente ad un retto modo di pensare che trova conferma nella Scrittura, si deve riconoscere la capacità della ragione umana di raggiungere la verità, così come la sua capacità metafisica di conoscere Dio a partire dal creato.5

Il compito proprio alla teologia di comprendere il senso della Rivelazione esige pertanto l'utilizzo di acquisizioni filosofiche che forniscano « una solida ed armonica conoscenza dell'uomo, del mondo e di Dio »,6 e possano essere assunte nella riflessione sulla dottrina rivelata.

Le scienze storiche sono egualmente necessarie agli studi del teologo, a motivo innanzitutto del carattere storico della Rivelazione stessa, che ci è stata comunicata in una « storia di salvezza ».

Si deve infine fare ricorso anche alle « scienze umane », per meglio comprendere la verità rivelata sull'uomo e sulle norme morali del suo agire, mettendo in rapporto con essa i risultati validi di queste scienze.

In questa prospettiva è compito del teologo assumere dalla cultura del suo ambiente elementi che gli permettano di mettere meglio in luce l'uno o l'altro aspetto dei misteri della fede.

Un tale compito è certamente arduo e comporta dei rischi, ma è in se stesso legittimo e deve essere incoraggiato.

A questo proposito è importante sottolineare che l'utilizzazione da parte della teologia di elementi e strumenti concettuali provenienti dalla filosofia o da altre discipline esige un discernimento che ha il suo principio normativo ultimo nella dottrina rivelata.

È essa che deve fornire i criteri per il discernimento di questi elementi e strumenti concettuali e non viceversa.

11. Il teologo, non dimenticando mai di essere anch'egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede.

La libertà propria alla ricerca teologica si esercita all'interno della fede della Chiesa.

L'audacia pertanto che si impone spesso alla coscienza del teologo non può portare frutti ed « edificare » se non si accompagna alla pazienza della maturazione.

Le nuove proposte avanzate dall'intelligenza della fede « non sono che un'offerta fatta a tutta la Chiesa.

Occorrono molte correzioni e ampliamenti di prospettiva in un dialogo fraterno, prima di giungere al momento in cui tutta la Chiesa possa accettarle ».

Di conseguenza la teologia, in quanto « servizio molto disinteressato alla comunità dei credenti, comporta essenzialmente un dibattito oggettivo, un dialogo fraterno, un'apertura ed una disponibilità a modificare le proprie opinioni ».7

12. La libertà di ricerca, che giustamente sta a cuore alla comunità degli uomini di scienza come uno dei suoi beni più preziosi, significa disponibilità ad accogliere la verità così come essa si presenta al termine di una ricerca, nella quale non sia intervenuto alcun elemento estraneo alle esigenze di un metodo che corrisponda all'oggetto studiato.

In teologia questa libertà di ricerca si iscrive all'interno di un sapere razionale il cui oggetto è dato dalla Rivelazione, trasmessa ed interpretata nella Chiesa sotto l'autorità del Magistero, ed accolta dalla fede.

Trascurare questi dati, che hanno un valore di principio, equivarrebbe a smettere di fare teologia.

Per ben precisare le modalità di questo rapporto con il Magistero, è ora opportuno riflettere sul ruolo di quest'ultimo nella Chiesa.

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3 Cf. S. Bonaventura, Prooem. in I Sent., q. 2, ad 6: « quando fides non assentit propter rationem, sed propter amorem eius cui assentit, desiderat habere rationes »
4 Cf. Giovanni Paolo II, Discorso in occasione della consegna del premio internazionale Paolo VI a Hans Urs von Balthasar, 23 giugno 1984
5 Cf. Conc. Vaticano I, Costit. dogm. De fide catholica, De revelatione, can. 1
6 Decreto Optatam totius, n. 15
7 Giovanni Paolo II, Discorso ai teologi ad Altötting, 18 novembre 1980;
cf. anche Paolo VI, Discorso ai membri della Comm. Teologica Internazionale,
11 ottobre 1972 (in Francese);
Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Comm. Teologica Internazionale,
26 ottobre 1979