Religiosità

IndiceS

È quella caratteristica che si incontra praticamente ovunque nelle culture degli uomini, per cui lo spirito umano è aperto alla ricerca del divino, visto contemporaneamente come misterioso e affascinante.

Si parla così di una religiosità « naturale » come apertura della creatura al riconoscimento del suo Creatore.

Tale religiosità diventa « religione » quando si esprime in un sistema logico di segni, simboli, riti, parole, verità, condivise da un gruppo umano o ancor più da un popolo.

Sull'onda dell'analisi di alcuni autori protestanti, si distingue poi talvolta la « religione » dalla « fede ».

Quest'ultima sarebbe da capire, secondo tale analisi, come quell'atto di fiducia e di umiltà radicale con cui un uomo, una creatura, si affida ( fides fiducialis ) totalmente alle mani del suo Creatore.

La « religione » sarebbe invece vista come uno sforzo umano di legare ( re-ligio ) il divino a se, di raggiungere quindi Dio e di volerlo quasi possedere attraverso i riti e le pratiche umane.

Questa distinzione sembra tuttavia voler forzare troppo i termini e opporre una distinzione quasi arbitraria fra « religione » e « fede ».

… popolare

Espressione con cui si suole indicare l'insieme dei gesti, delle preghiere, degli atteggiamenti religiosi della tradizione popolare, per lo più non compresi nella liturgia ufficiale delle Chiese, anzi, nel corso della storia, con una certa frequenza riprovati dalle autorità ecclesiastiche.

I due termini, "religiosità" e "popolare", non sono scevri di ambiguità, potendo alludere sia a "ciò che è creato dalle popolazioni" come a "ciò che è per loro elaborato".

Anche altre espressioni, come "pietà popolare", "versioni popolari della religione", "vissuto religioso" e simili, risultano inadeguate a designare la complessità del fenomeno.

In effetti, nelle manifestazioni evocate da queste e analoghe espressioni, gli uomini di Chiesa e gli studiosi hanno via via colto il prevalere di fattori inerenti all'emotività, alla spontaneità o comunque alla sfera preconcettuale; l'emergere di un substrato di tradizioni arcaiche, talvolta riplasmate ( per esempio, in alcune forme del culto dei santi "successori degli dei" ), l'incomprimibile rispuntare di superstizioni o il coinvolgimento collettivo nel folclore; una larvata protesta contro le classi colte o il travestimento di un malessere sociale.

Religiosità popolare e cristianesimo

Va rilevato come all'interno del cristianesimo si sia prodotto in certa misura un accostamento, talvolta un'osmosi, fra gli originali impulsi di cui era portatore e precedenti maniere di rapportarsi al divino.

Un paradigma può essere desunto dall'indirizzo pastorale suggerito, sullo scorcio del sec. VI, da papa Gregorio Magno all'arcivescovo Mellito di Canterbury: "Occorre evitare di distruggere i templi degli idoli: basta eliminare gli idoli, e poi, con l'acqua benedetta, aspergere i templi, costruirvi altari e porvi reliquie…".

Siffatto atteggiamento guidò innesti di pratiche cristiane su consuetudini che preesistevano all'azione dei missionari.

Inoltre, lungo un plurisecolare arco di storia cristiana, si nota un continuo scambio di dare-avere tra i modelli prescritti dalla gerarchia e quelli seguiti dai fedeli, gli uni influendo sugli altri, e provocando non di rado la diffidenza dei riformatori verso comportamenti meno sobri di appello a Dio, a Cristo, alla Vergine e ai santi.

Va pure rilevato come, specie a partire dal sec. XIX, all'interno del mondo cattolico siano stati gli ecclesiastici a "popolarizzare" aspetti del culto, assecondando sia la carica affettiva, in opposizione a residuali tendenze rigoriste, sia la spettacolarità pubblica.

Risaltarono così i pellegrinaggi, alcuni aspetti della devozione mariana e al Sacro Cuore, i cortei processionali e le benedizioni agli oggetti, anche tecnici, della vita quotidiana.

Spiccano ancora, non eclissate neppure dalla civiltà industriale, le celebrazioni delle confraternite, soprattutto le sfilate, con statue di santi.

Sembra invece perdersi lentamente l'antico retaggio della "religione rurale" europea, quando una nutrita serie di orazioni e di gesti accompagnava la vita dei campi, e arature, seminagioni, messi, bestiame, pioggia, sereno venivano affidati incessantemente a Dio e ai santi, perché il ciclo della fecondità della terra continuasse a sostenere l'esistenza degli uomini che vi abitavano.

D'altro canto tra i nuovi cristiani del Sud del mondo possono crescere inconsuete tipologie devozionali, germogliate dal contatto tra antiche culture e messaggio evangelico.

Il concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla liturgia ( al n. 13 ) raccomanda i "pii esercizi del popolo cristiano", auspicandone però la conformità con la normativa ecclesiastica e la finalizzazione alla ritualità liturgica.

Religiosità popolare e liturgia

Nei corso della loro storia e fino ai giorni nostri, gli uomini in molteplici modi hanno espresso la loro ricerca di Dio attraverso le loro credenze e i loro comportamenti religiosi ( preghiere, sacrifici, culti, meditazioni ecc. ).

Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme d'espressione sono così universali che l'uomo può essere definito un essere religioso" ( Catechismo della Chiesa cattolica, n. 28 ).

Questa constatazione di carattere universale riferita all'uomo come essere religioso apre la strada alla considerazione della religiosità popolare, affinché essa raggiunga il suo vertice e la sua pienezza nell'adorazione del vero Dio, uno e trino, nella liturgia della Chiesa.

Con il termine religiosità popolare a un primo livello si fa riferimento alla dimensione religiosa dell'uomo, insita nella sua natura creaturale, aperta alla ricerca del senso più profondo della storia e dell'esistenza individuale e collettiva in dimensione trascendente, al rapporto con il divino e con il sacro.

L'intimo e vitale rapporto con Dio, l'apertura alla trascendenza, sono iscritti nel cuore umano, come testimonia la storia delle religioni.

A un secondo livello, in ambito cristiano, la religiosità fa riferimento alla rivelazione dell'Antico Testamento: essa svela il senso della natura e della storia - attraverso la manifestazione del Dio della creazione, dell'alleanza e della liberazione dalla schiavitù - e il modo di rispondere adeguatamente alla sua vocazione.

La rivelazione culmina nella rivelazione di Cristo, che con la sua incarnazione congiunge il divino e l'umano e con la sua morte e la sua risurrezione offre il senso compiuto all'enigma che è alla base di tutte le religioni: il senso della vita e della morte.

La religione cristiana risponde appieno alla ricerca dell'uomo, uditore della parola, aperto al soprannaturale e "capace di Dio"; egli è raggiunto dalla parola e dalla vita di Dio nel più intimo di sé e nella totalità del suo essere e della sua vocazione.

La religione cristiana racchiude in Cristo i due poli della dimensione religiosa: quella divina, dalla quale procede e verso la quale si onerata; quella umana, che impregna tutto l'essere: spirito, anima, corpo, sentimenti, desideri, speranze.

E ciò in chiave collettiva, comunitaria.

La religione cristiana raggiunge quindi nel più intimo l'uomo religioso, orienta tutte le sue forze, soddisfa tutti i suoi più nobili desideri.

A un terzo livello, la religiosità popolare esprime e celebra l'accoglienza e la risposta individuale e collettiva alla Rivelazione divina, nell'ambito della liturgia e della legittima "pietà" cristiana, in cui confluiscono i sentimenti più intimi, i momenti più legati al senso dell'esistenza, le espressioni culturali più radicate nella mentalità e nell'ethos dei popoli, purificati ed elevati dal messaggio cristiano.

In questo senso l'espressione "religiosità popolare" è sinonimo di pietà o di devozione popolare e si esprime con le forme tipiche della pietà cristiana e degli esercizi di pietà.

Spesso quindi il termine religiosità popolare appare legato a quello di pietà, come nel passo del Catechismo della Chiesa cattolica: "Oltre che della liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della religiosità popolare" ( n. 1674 ).

Il testo inoltre enumera alcuni esempi tipici della pietà cristiana nella quale si esprime il senso religioso del popolo di Dio e che accompagnano la vita sacramentale dei fedeli: per esempio, la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la Via Crucis, le danze religiose, il Rosario, le medaglie.

Una storia complessa

Il rapporto fra religiosità popolare e liturgia in ambito cristiano non è stato mai facile ne del tutto chiaro.

La religiosità sembra partire piuttosto dalla base antropologica, mentre la fede e il culto cristiano, pur assumendo i sentimenti e le espressioni umane, si collegano in modo esplicito alla storia della salvezza.

La comunità cristiana primitiva intende accentuare l'originalità del nuovo culto in spirito e verità, rivendicando l'assoluta novità della propria liturgia, fondata sul mistero di Gesù, le sue parole, i suoi gesti, i suoi sentimenti.

L'autore della Lettera agli Ebrei invita a distanziarsi senza nostalgie dalle pratiche religiose dell'Antico Testamento legate al culto del Tempio, ormai distrutto.

Paolo invece ha forti parole di rimprovero verso diverse pratiche "religiose" legate ai ritmi delle stagioni: "Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni… " ( Gal 4,10-11 ).

E giustifica il comportamento di sobrietà dei cristiani: "Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda o riguardo a feste, a noviluni, e a sabati; tutte cose queste che sono ombra delle future, ma la realtà è Cristo" ( Col 2,16 ).

A motivo del loro rifiuto verso le pratiche religiose giudaiche e pagane i cristiani sono persino accusati di "ateismo".

La liturgia cristiana, dalle forme primitive, passa a una ritualità più ricca e finisce per assumere, dopo le persecuzioni e la conquista della libertà religiosa, molte espressioni della cultura religiosa precedente, tanto in Occidente come in Oriente: gesti, riti, paramenti sacri, edifici di culto.

Ciò consente e favorisce una piena partecipazione popolare alle celebrazioni liturgiche.

Tale partecipazione viene attestata, per esempio, a Gerusalemme, verso la fine del sec. IV, dalla pellegrina Egeria.

Nel suo Diario di viaggio Egeria descrive la partecipazione del popolo che si reca numeroso presso i luoghi che ricordano gli eventi della passione e della gloria del Signore ( Betfage, il Getsemani, la Basilica del Santo Sepolcro che ricomprende gli antichi santuari del Martyrium e dell'Anàstasis, il Cenacolo sul Monte Sion, il luogo dell'Ascensione sulla cima del Monte degli Ulivi ).

La partecipazione spontanea e commovente, i gesti rituali, i gemiti e le grida o le espressioni di gioia, testimoniano un modo popolare di vivere la liturgia negli stessi luoghi, alle stesse ore, con le stesse parole del Vangelo e con preghiere adatte che fanno rivivere quanto e accaduto.

Nel Medioevo avviene una specie di divorzio fra la liturgia troppo clericale e celebrata in una lingua ormai incomprensibile al popolo e la pietà popolare che si esprime informe più adatte alla piena partecipazione dei fedeli.

Sorgono così forme devozionali e folcloriche che prolungano alcune celebrazioni dell'anno liturgico o sacre rappresentazioni dei misteri a Natale, nel Triduo Sacro.

Si creano forme devozionali ispirate alla liturgia, ma da essa separate, come l'adorazione del Santissimo Sacramento, la recita dell'Angelus e del Rosario, il pio esercizio della Via Crucis.

Si moltiplicano le processioni, i pellegrinaggi ai santuari, la venerazione delle reliquie.

La informa protestante rigetta le forme di devozione popolare in favore di una pietà più interiorizzata.

Ma in campo cattolico la religiosità popolare di stampo medievale si consolida e si arricchisce con nuove forme devozionali ( come la devozione al Sacro Cuore ), nuove celebrazioni in giorni prestabiliti ( novene, tridui ) che sono anche una tipica espressione della "pietà" cattolica di fronte al protestantesimo.

Una pietà che, in mancanza di un rinnovamento liturgico, alimenta e sostiene la fede del popolo.

Nel '900 il lento cammino del rinnovamento liturgico porterà, fra le due guerre mondiali, al ricupero delle forme rituali dei primi secoli e, in alcuni settori, al rifiuto di quelle forme devozionali troppo lontane dallo spirito teologico e spirituale della pietà cristiana attinta alle sorgenti della parola di Dio, della tradizione liturgica e patristica primitiva.

Orientamenti recenti del magistero della Chiesa

Pio XII nel 1947 difenderà la legittimità della pietà popolare cattolica contro la tentazione del panliturgismo e dell'archeologismo del semplice ritorno alle fonti.

Il concilio Vaticano II, nella costituzione sulla liturgia Sacrosanctum concilium ( n. 13 ), indica il principio della subordinazione della pietà popolare e dei pii esercizi del popolo di Dio alla teologia e alle forme della pietà liturgica, in modo che le forme di pietà scaturiscano dalla liturgia e ai suoi fondamenti in qualche modo conducano.

Il periodo dopo il concilio Vaticano II, con l'instaurazione della riforma liturgica, vede in un primo momento un certo affievolimento, in alcuni settori, della religiosità popolare, in favore della partecipazione liturgica e sacramentale.

Tuttavia la persistenza della religiosità popolare in alcune zone del cattolicesimo, come l'America Latina, ha richiamato l'attenzione dei teologi e dei sociologi della religione, i quali, al di là delle loro previsioni e dell'avanzare della secolarizzazione, hanno dovuto prendere atto della vitalità della religiosità popolare.

Si rinnovano inoltre in questo periodo, tra le giovani generazioni, forme tradizionali di pietà, come i pellegrinaggi.

Paolo VI. nell'enciclica Evangelii nuntiandi ( 1974 ), rileva con felici espressioni il rapporto della pietà popolare con l'evangelizzazione, sottolineando l'ampiezza e l'attualità del fenomeno, i suoi limiti, i suoi valori, gli orientamenti pastorali necessari per una sua adeguata valorizzazione nell'ambito della pietà cristiana.

Fra i limiti Paolo VI ricorda che essa "è frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni.

Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali, senza impegnare un'autentica adesione di fede.

Può anche portare alla formazione di sette e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale".

Notevoli però, secondo Paolo VI, sono anche i valori della religiosità popolare: "Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio, fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede: comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio… genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione.

A motivo di questi aspetti noi la chiamiamo volentieri 'pietà popolare', cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità".

Riprendendo l'esortazione apostolica Marialis cultus con cui Paolo VI aveva offerto una specifica trattazione dottrinale sulla pietà mariana con alcuni orientamenti operativi, in occasione dell'Anno Mariano 1987-88 la Congregazione per il Culto Divino con il documento Orientamenti e proposte per la celebrazione dell'Anno Mariano ( 1987 ) traccia alcune linee dottrinali e proposte concrete che, pur relative alla specifica dimensione mariana, sono valide per orientare ogni forma di religiosità popolare.

Il documento parla infatti ampiamente dei pii esercizi del popolo cristiano raccomandati dal magistero ( nn. 51-65 ), delle espressioni e dei valori della "religiosità popolare", della necessità di un'evangelizzazione e di un loro orientamento finale verso la liturgia ( nn. 66-72 ).

In particolare, viene trattato il ruolo caratteristica dei santuari, che spesso sono il luogo catalizzatore delle espressioni della pietà popolare, con cenni al pellegrinaggio, alle celebrazioni liturgiche e sacramentali, alla pastorale delle benedizioni e delle "consacrazioni ", delle iscrizioni alle confraternite, delle offerte votive, della catechesi e dell'iconografia ( nn. 73-96 ).

Il tema della religiosità popolare e il suo legame con la liturgia è stato ricordato da Giovanni Paolo II nella lettera Vicesimus quintus annus ( 1988 ).

Sulla scia dei documenti dei suoi predecessori, ma anche di altri suoi interventi magisteriali, il papa ricorda i valori della pietà popolare e conclude sottolineando che "un'autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli" ( n. 18 ).

Attualmente religiosità popolare e liturgia coesistono senza gravi conflitti.

Il cosiddetto ritorno del sacro, la nuova sensibilità religiosa della fine del millennio, la ricchezza espressiva e la forza commovente della religiosità popolare favoriscono un certo risveglio spirituale, in occasione delle celebrazioni dell'anno liturgico e delle ricorrenze legate alla vita e alla morte.

Specialmente nelle giovani Chiese dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania, la liturgia si apre a una nuova stagione di rapporti con la religiosità popolare attraverso il radicamento dei riti liturgici nelle culture locali: i valori e le forme delle religioni tradizionali vengono assunti nella misura in cui possono essere integrati nella liturgia cristiana.

In altre aree di tradizione cattolica ( America Latina, Filippine ) viene ricercata piuttosto una maggiore integrazione fra la pietà popolare tradizionalista e la liturgia, che devono trovare una comunicazione nel paradigma della fede e della vita cristiane.

Certe espressioni della pietà popolare sono state in qualche modo codificate con formule rinnovate, inserendole nell'ampio quadro delle "Benedizioni", secondo il Benedizionale promulgato.

Le indicazioni dottrinali, i suggerimenti rituali del Benedizionale propongono, con testi biblici e preghiere appropriate, modelli di evangelizzazione e ritualizzazione di alcuni momenti oggi lasciati all'arbitrio della pietà popolare ( benedizioni di medaglie, scapolari, immagini, momenti della vita familiare, ritmi del tempo ).

Suggerimenti teologici e pastorali

Secondo i principi espressi anche dal Catechismo della Chiesa cattolica ( nn. 1674-1676 ), un saggio orientamento della pastorale della Chiesa nei confronti delle devozioni e delle forme della religiosità popolare, manifesta il suo apprezzamento per i valori di fede e di pietà, di apertura a Dio e al prossimo che sono insiti nelle forme tradizionali.

Vede in esse anche una manifestazione dell'unico culto cristiano, reso al Padre per Cristo e nello Spirito, in forza della grazia del battesimo e dell'eucaristia.

Affinché tale culto sia sempre più autentico, la Chiesa propone di evangelizzare la religiosità popolare in maniera che sia sempre più conforme alla parola della Rivelazione e ai genuini contenuti della fede.

Orienta i fedeli verso la sorgente del vero spirito cristiano, che è la celebrazione liturgica dei sacramenti, specialmente dell'eucaristia, anche in occasione delle manifestazioni tradizionali della religiosità ( feste patronali, tempi caratteristici, come quelli legati al mondo agricolo, riti di passaggio ).

Favorisce inoltre un'integrazione del vero spirito religioso in una celebrazione della liturgia viva, sentita e popolare.

In tal modo promuove il rinnovamento delle forme, la purezza dei sentimenti, l'unità fra la celebrazione e la vita cristiana, aperta alla vera solidarietà e all'impegno dei cristiani nel mondo.

Magistero

La nostra religione svela la verità, il senso della vita; la nostra religione le conferisce, con le sue speranze, il suo vero valore, la sua provvida ragione di viverla coraggiosamente in onestà, ed in pienezza …

Catechesi Paolo VI
17-12-1975