Religiosità

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… popolare

Sommario

I. La religiosità popolare nell'attuale contesto socio-culturale.
II. Analisi descrittiva della religiosità popolare:
1. Caratteri della religiosità popolare;
2. Forme della religiosità popolare;
3. Funzioni della religiosità popolare;
4. Valori spirituali presenti nella religiosità popolare:
a. Aspetti peculiari e valori della festa religiosa popolare,
b. Significati cristiani dei pellegrinaggi popolari ai santuari,
c. Valori emergenti in altre forme della pietà popolare.
III. Interpretazioni sociopsicologiche della religiosità popolare meridionale:
1. Interpretazione della magia;
2. Ipotesi interpretativa della religiosità popolare meridionale;
3. Rapporti tra religiosità popolare e religiosità "ufficiale";
4. Rapporti tra religiosità popolare e potere politico.
IV. Avvio ad una lettura teologica della religiosità popolare:
1. Alla luce del vangelo;
2. Nel quadro del rinnovamento teologico;
3. Apporto di una religiosità popolare rinnovata alla comunità ecclesiale e civile.

I - La religiosità popolare nell'attuale contesto socio-culturale

Le correnti culturali contemporanee non manifestano atteggiamenti univoci nei confronti della religiosità popolare.

Là dove la cultura borghese è predominante, come in taluni paesi protestanti, o perdura come subcultura entro la quale, peraltro, il cristianesimo ufficiale si è "acculturato", i modelli sottesi alla religiosità popolare vengono in genere respinti: essi, infatti, privilegiano valori di estemporaneità, fantasia creatrice, ricchezza gestuale e narrativa, festosità, anticonformismo, comunione sociale, fusione stretta tra culto e vita quotidiana, che singolarmente contrastano coi modelli culturali dei ceti che invece accreditano razionalità, efficienza, pianificazione, conformismo ed estetismo, anche sul piano religioso e liturgico, con il conseguente rifiuto dell'inedito e delle sorprese e la netta separazione tra il momento del culto e la complessa trama dell'esistenza feriale e "laica".

Di qui la tendenza ai meccanismi di rigetto nei confronti delle manifestazioni cultuali a carattere popolare o, quanto meno, a nutrire preoccupazioni che impediscono approcci "empatie!" a quelle culture subalterne, di cui la religiosità popolare, secondo un modo abbastanza diffuso d'intendere questo termine, sarebbe significativa espressione.

Ma anche le culture che pretendono di essere antagonistiche alla cultura borghese, spesso manifestano atteggiamenti analoghi, sia pure in forza di altre motivazioni.

Da un lato, ad es., i marxisti ortodossi - con qualche eccezione, come quella di Gramsci, che è stato tra i primi marxisti ad evidenziare le potenzialità positive della religiosità popolare - coinvolgono nella critica alla religione anche le sue manifestazioni popolari, in quanto alienanti dall'impegno politico e rivoluzionario; non pochi cattolici, d'altro lato, rimproverano alla religiosità popolare involuzioni magico-sacrali, esteriorità festaiole e consumistiche, ibridismi pagano-cristiani.

Apprezzamenti negativi che già troviamo in L. A. Muratori,1 in non poche comunicazioni episcopali, antiche e recenti, e in tutti quelli che, badando soprattutto agli aspetti più vistosi e folkloristici di tale religiosità, hanno buon gioco nell'accusarla di favorire l'interiorizzazione di un'antropologia dominata dalla fatalità e dalla rassegnazione, di una teologia centrata sul Dio-tappa-buchi, di una pietà del tutto ignara del rinnovamento liturgico, avviato dal Vat II.

Attualmente però, a tutti i livelli, si va diffondendo un atteggiamento profondamente diverso che, prendendo le mosse da analisi socio-culturali più raffinate, perviene a valutazioni sostanzialmente positive della religiosità popolare.

Anziché bloccare l'indagine ad aspetti arcaici e, in certo senso, astorici, come le pratiche magiche e superstiziose, o alle manifestazioni vistose e folkloristiche, si tenta di evidenziare il rapporto della religiosità popolare con i ceti proletari e subproletari e, in particolare, con quella "cultura della miseria" che sembra contrassegnarli.2

Con tali analisi, mentre viene facilitata la comprensione dei valori, manifesti e latenti, che si riscontrano all'interno di tale cultura, si evita il pericolo di un rifiuto globale e preconcetto della religione dei poveri, rifiuto che potrebbe ridurci ad essere tutti più poveri di religione.

C'è tuttavia il rischio di mitizzare le classi subalterne e canonizzare tutte le loro manifestazioni religiose, dimenticando o sottotacendo gli innegabili limiti e negatività che queste presentano.

II - Analisi descrittiva della religiosità popolare

Definire in modo preciso e circoscritto la religiosità popolare è tutt'altro che agevole, in quanto le accezioni in cui questo termine viene usato sono alquanto diverse: religiosità tipica delle classi subalterne; religiosità tradizionale e folkloristica; religiosità dell'uomo medio, sfornito di speciale formazione teologica, piuttosto marginale nei confronti della religiosità ufficiale e delle sue indicazioni più impegnative.

La prima di queste accezioni sembra da preferirsi in quanto coloro che più intensamente e in prima persona vivono la religiosità che, appunto, dicesi popolare, sono i ceti esclusi dall'avere, dal potere e dal sapere.

Gesti rituali, atti di culto, pellegrinaggi e feste, racconti e celebrazioni sono realtà che tali ceti popolari avvertono come "proprie" e "altre" da quelle che cadenzano la religiosità ufficiale o di altre classi, per quanto concerne linguaggio, concretezza gestuale, intensità emozionale e partecipativa.

Infine il carattere popolare di tale religiosità emerge anche dall'analisi dei suoi modelli organizzativi che sono quelli della cultura tradizionale ( associazioni di mestiere e confraternite ) e dalle forme di gestione laicale che, pur non escludendo negli atti cultuali a carattere sacramentale la mediazione sacerdotale, rifiuta ingerenze clericali.3

1. Caratteri della religiosità popolare

La religiosità popolare appare "altra" dalla religiosità ufficiale perché in sintonia con l'alterità e gli stigmi caratteristici dei poveri: le sue note specificanti, quindi, risentono della discriminazione, dell'impossibilità di scelta e della scarsa fruizione di beni culturali che appunto contrassegnano la "cultura della miseria", sia pure con notevoli variazioni in proporzione delle maggiori o minori disponibilità economiche.

Sembra però innegabile che simili caratteristiche si riscontrino in tutti i discriminati dalle classi egemoni a livello di linguaggio, abbigliamento, comportamento feriale e festivo.4

Sociologi ed antropologi mettono in evidenza le profonde differenze che intercorrono tra la festività di tipo borghese e quella popolare, tra il culto a carattere conservativo e le espressioni cultuali del popolo, dalle quali emergerebbe una protesta profonda contro il potere oppressivo.5

Ma, più che insistere su questi aspetti, abbastanza discutibili, in quanto in dette analisi non sempre il concetto di religiosità popolare è rigoroso e viene spesso a mancare la diagnosi critica, dopo una breve elencazione di forme e funzioni della religiosità popolare vorremmo metterne in luce profili e valori spirituali.

2. Forme della religiosità popolare

Senza pretesa di farne un elenco esaustivo, e riserbandoci un approfondimento ulteriore della magia e della festività, sembra che le forme della religiosità popolare, specie di tipo latino-meridionale, siano riconducibili alle seguenti: pratiche magico-superstiziose, non di rado unite a riti cristiani ( fatture, malocchio e simili ); accentuato culto alla Vergine e ai santi, che trova la sua tipica espressione in feste talora protratte nel tempo ( "feste lunghe" ); pellegrinaggi ai santuari; culti e riti a carattere sacramentale, prevalentemente interpretati e vissuti come atti celebrativi dei grandi avvenimenti biologici dell'esistenza ( nascita, fecondità, morte ); culti extraliturgici, indirizzati a persone morte o ancora viventi cui si attribuiscono particolari poteri.6

3. Funzioni della religiosità popolare

Gli atti, attraverso i quali la pietà popolare si esprime, manifestano l'esigenza di entrare in rapporto con Dio e quindi hanno in primo luogo una funzione cultuale.

Tuttavia si fa osservare che più che essere considerato come Sommo Valore: e principio incondizionato, Dio è visto dal popolo come un Potere che può essere piegato a proprio vantaggio mediante certi accorgimenti e mediazioni.

Tale atteggiamento utilitaristico, se pur non esclude quello più genuinamente spirituale e religioso della dedizione disinteressata che, assieme ad altri profili spirituali, è assai presente nella religiosità popolare ( come tra breve illustreremo ), favorisce una gestione magico-sacrale della religione con le correlative deviazioni.

Altra manifesta funzione della religiosità popolare è da ravvisarsi nella risposta che essa dona all'esigenza, molto avvertita dai ceti poveri, dell'impetrazione di favori, materiali e spirituali, e della prorompente manifestazione di gratitudine quando si ritiene di essere stati esauditi e di avere ottenuta la "grazia".

A queste istanze rispondono tempi e luoghi, cioè feste, pellegrinaggi, santuari ed ex-voto.

Infine la religiosità popolare risponde ad un complesso molto vario ed intenso di esigenze, tipiche dei ceti che in essa si esprimono e si realizzano: esigenza di rassicurazione contro le incertezze che contrassegnano la vita del povero, per quanto concerne lavoro e salute; esigenza di svago e di contatto comunitario a ricupero della routine avvilente di ogni giorno e dell'isolamento di classe; esigenza - spesso latente o atrofizzata da quelle esterne manipolazioni che H. Cox qualifica come "seduzione dello spirito" e stigmatizza quale peggiore "abuso della religione"7 - di innovazione sociale e religiosa,

4. Valori spirituali presenti nella religiosità popolare

Dopo un lungo periodo di oblio se non di disprezzo, a seguito di un cambiamento di sensibilità religiosa e politica, di amare delusioni che si accompagnano alla crisi della civiltà tecnologica e delle ricerche di nuove sintesi antropologiche e teologiche, la religiosità popolare suscita oggi enorme interesse proprio per i valori umani e religiosi che in essa si evidenziano.8

Giustamente anche un importante e recente documento ufficiale, l'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, sottolinea che nella pietà popolare si manifesta « una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere ».

Inoltre tale pietà « rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso profondo degli attributi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione ».9

Come si può agevolmente notare, ci troviamo di fronte a valori di autentica e profonda spiritualità cristiana che tuttavia non esistono mai disgiunti da altri aspetti che, se talora li esaltano, non di rado li obnubilano.

Ciò emerge particolarmente dall'analisi delle feste e dei pellegrinaggi che costituiscono le più importanti forme celebrative della pietà popolare.

a. Aspetti peculiari e valori della festa religiosa popolare

Mentre in un primo momento l'attenzione degli studiosi è stata attratta da aspetti folkloristici e da sopravvivenze pagane delle feste religiose popolari, oggi l'analisi si è fatta più profonda: sociologi, antropologi e teologi ci hanno aiutato a comprendere che le feste religiose dei poveri, lungi dal risolversi in superficialità esterioristica, rispondono a loro profonde esigenze e costituiscono una "celebrazione" ricca di simboli, di fantasia creatrice, di "teologia narrativa" che sarebbe vera iattura ignorare o rigettare per quegli aspetti spuri, innegabili ma non isolabili in astratto, presenti nelle feste dei poveri.

A differenza del modo di festeggiare borghese - il cui decadimento e squallore è stato messo in luce da saggisti di grande valore, come Huizinga, H. Cox, H. Rahner e Moltmann10 - la festa popolare non rappresenta una "fuga" dal quotidiano, dal dolore e dal lavoro di cui esso si intesse.

Un numero rilevante di feste religiose popolari è infatti a carattere penitenziale: nell'esodo pellegrinale verso il santuario, lungi dall'ignorare l'aspetto negativo della vita, il popolo lo riconosce e l'afferma.

I gesti e i comportamenti dei partecipanti sono rivelatori di situazioni culturali familiarizzate con il dolore: di qui il camminare a piedi scalzi, portare pesi ai santuari, gridare, piangere, flagellarsi, strisciare la lingua per terra.

Mentre la festa "borghese" nasce dall'opposizione tra festivo e feriale, tra tempo del lavoro e tempo libero, nella cultura popolare il festeggiare non si sgancia dal lavoro ( ad es. fiere paesane ), ma diviene il tempo idoneo a sviluppare capacità di convivenza e rapporti nuovi.

Nella festa il popolo ritrova la forza di vivere e la capacità di ritornare con rinata speranza alla lotta quotidiana.

La festa è l'esplosione di una solidarietà profonda; è il ricupero della consapevolezza di non essere soli a lottare e ad operare per una convivenza umana diversa.11

Nella festa religiosa popolare, in modo peculiare, questa dimensione di gioia, di speranza, di solidarietà viene esaltata dal fatto di sentire i santi e, soprattutto, la Madonna vicina e familiare.

Ecco come una bambina ingenuamente evidenzia il carattere intensamente partecipativo di una festa religiosa popolare a Napoli ( Madonna dell'Arco al quartiere Traiano ): « La gente ci tiene molto a questa festa… il giorno di pasquetta mettono le bandiere in tutto il rione, poi costruiscono un carro dove ci mettono la Madonna sopra, poi si vestono di bianco e fanno la processione.

La mattina la squadra, che è composta di vecchi, giovani e bambini gira per i quartieri e poi vanno al santuario della Madonna insieme a tutta la gente del quartiere.

Fanno pure una grande festa e pure noi bambini ci divertiamo molto…

La gente è molto legata a questa Madonna perché credono ai miracoli che fa; infatti la gente che ci va vuole le grazie, perché nel mio quartiere c'è una chiesa ma la gente non ci va quasi mai, invece alla Madonna dell'Arco ci vanno quasi tutti ».12

La festa costituisce una rivincita della fantasia - pur nell'iterazione di gesti rituali arcaici - sulla routine quotidiana della vita.

Novità il viaggio, novità il modo di vestire, spesso rituale, le modalità dei pasti e del riposo, quando le feste si protraggono a lungo, novità l'intercomunione tra genti lontane e il sentirsi uniti nelle aspirazioni e nei moventi.13

Quando infine non siano ancora del tutto invischiate nelle panie del consumismo, nelle feste popolari emergono non solo latenti energie aperte al rinnovamento sociale, ma anche autentici valori spirituali.

In esse, infatti, trovano spazio atteggiamenti di rapporto fiducioso e filiale verso Dio, di devozione familiare ai santi e, in particolare a Maria, Vergine e Madre, con quella intensità di cui solo i semplici e i poveri sono capaci.

b. Significati cristiani dei pellegrinaggi popolari ai santuari

È vero che la fede cristiana supera la sacralizzazione dei luoghi: tuttavia la chiesa, come popolo in cammino, si serve, oltre che dei sacramenti, di molte altre motivazioni per evangelizzare e portare la fede alla sua maturazione.

L'istituzione cultuale e la teologia non sono mai riuscite ad esprimere o ad interpretare tutta la vita della chiesa.

Il santuario è un'efflorescenza popolare che non nasce dall'istituzione, anche se rimane al suo interno: la preghiera che vi si svolge è spontanea, semplice, a carattere devozionale; difficile dire se si tratta di forme non ancora cristianizzate o piuttosto di forme creative, non previste dall'istituzione ".14

Nel salire al santuario è già presente un'innegabile spiritualità, una sorta di ascesi, una prefigurazione del "salire alla celeste Gerusalemme", una "fuga mundi", una nostalgia di cielo, unita alla nostalgia di un tipo di convivenza umana "diversa".

Non sempre questo gesto del pellegrinare viene compreso nella sua giusta luce, ne va esente da ambiguità: ricerca del consolatorio, del miracoloso, evasione dalla realtà per ricercare quello che c'è di più gratificante nella fede, individualismo che sfugge agli impegni, sentimentalismo emotivo, e simili.

Tuttavia, accolto e guidato, il pellegrinaggio può diventare una preziosa esperienza che sviluppa autentici valori di spiritualità, creatività, aggregazione e partecipazione.15

L'enfatizzazione dei difetti reali che accompagnano le manifestazioni della pietà popolare nei santuari, deficienze rilevate anche in documenti ufficiali,16 non deve far dimenticare la ricchezza di apporti, di correttivi e integrazioni equilibratrici che dalle preghiere, racconti e celebrazioni pellegrinali derivano alla vita della chiesa.

Impossibile non rilevare, ad es., la funzione spirituale che la maternità di Maria, onnipresente nella religiosità popolare, ha avuto in tutti i popoli cristiani, particolarmente quelli più segnati dallo stigma dell'oppressione ( Polonia, America Latina… ).

Significativa, in proposito, l'esperienza religiosa di Guadalupe per la gente messicana e per tutti i poveri del Sudamerica: « Come a Betlemme l'incarnazione del Figlio di Dio nella persona di Gesù segnò il declino della potenza dell'Impero romano, così a Tepeyac Cristo ha fatto il suo ingresso nella terra delle Americhe e ha segnato il crollo della dominazione europea sopra la gente di queste terre.

Tepeyac segna l'inizio della riconquista e la nascita del cristianesimo messicano.

È tra i poveri che è iniziato il processo di conversione.

I poveri sono divenuti precursori di una nuova umanità.

La sfida storica lanciata dalla nostra madre compassionevole e liberatrice contro i potenti di ogni tempo e di ogni paese delle Americhe continua oggi nella voce potente e nella forza dei poveri e degli oppressi delle Americhe che gemono e soffrono sospirando un'esistenza più umana.

La sua presenza non è un tranquillante per la conservazione della pace, è stimolante e da energia, significato, dignità e speranza agli emarginati ed alle vittime della società attuale…

Questa è la continuazione del miracolo di Tepeyac, la vera madre e regina delle Americhe!

Ora i sogni, le attese e le attività per la nuova chiesa e il nuovo mondo hanno avuto un inizio decisivo ».17

c. Valori emergenti in altre forme della pietà popolare

Oltre che in queste più vistose e diffuse forme della religiosità popolare, valori spirituali, degni di attenzione, si riscontrano anche nei racconti, così frequenti specie nella religiosità rurale, nei quali prende particolare rilievo l'umanità di Cristo e di Maria e si caratterizza con fervida fantasia il temperamento dell'apostolo Pietro; nella sceneggiata napoletana che, in qualche modo, continua e attualizza l'antico mistero o rappresentazione sacra medievale; nelle edicole, cappelle ed ex voto che, a torto, vengono ostracizzati, mentre una più attenta analisi consentirebbe di evidenziare in essi, non solo vivacità di fantasia artistica, ma anche intensa pietà spirituale.

Al limite, poi, elementi religiosi e spirituali sono riscontrabili anche tra quei ceti popolari che, spinti dalla necessità e dalla ignoranza, conducono regimi di vita immorali, come prostituzione e furto.

Gli studi più recenti sugli elementi religiosi presenti nell'esperienza delle prostitute napoletane e nella storia della camorra sono al riguardo particolarmente istruttivi.18

III - Interpretazioni socio-psicologiche della religiosità popolare meridionale

Una realtà così complessa postula un approccio interdisciplinare: una lettura esclusivamente sociologica, ad es., specie se di tipo illuminista o positivista, corre seri rischi di gravi incomprensioni e lacune, soprattutto quando prende, in esame fenomeni "diversi", "altri" e "strani" rispetto alla cultura di cui si è parte e della quale, almeno per quanto riguarda le componenti religiose, non si ha esatta comprensione.19

Ora, secondo l'opinione di non pochi studiosi, la religiosità popolare, specie se di tipo meridionale, presenterebbe caratteri diversi, non solo rispetto alla cultura nazionale, ma anche a quella occidentale: basti pensare all'alterità delle feste e dei pellegrinaggi popolari.

Alle carenze della sociologia, troppo preoccupata degli aspetti materiali ed oggettivi della società, e condizionata dai modelli occidentali, sopperiscono l'antropologia culturale che, dopo aver raccolto una gran messe di materiale sulla religiosità dei primitivi, si va sempre più interessando della religiosità popolare, e la psicologia sociale che, essendo più slegata da atteggiamenti positivistici, offre migliori possibilità interpretative di fenomeni che fuoriescono dai moduli occidentali.

1. Interpretazione della magia

Nella religiosità popolare prevale una modalità dell'esperienza del sacro dove l'umano e il naturale tendono a perdere la loro autonomia e ad essere assorbiti nel metastorico.

Si crea di conseguenza la convinzione che ci si possa "servire" del divino - attraverso intermediari -, per manipolarlo a propria utilità e piacimento.

La religiosità che ne risulta è tendenzialmente magico-superstiziosa, utilitarista e strumentale: il divino appare a portata di mano in determinati tempi e luoghi, è rievocabile mediante l'iterazione rituale di gesti religiosi, si fa presente in oggetti e persone privilegiate.20

Ernesto De Martino, partendo dall'esame di un ricco materiale documentario relativo alle sopravvivenze magiche lucane raccolto negli anni '50, ha tentato un'interpretazione delle forme magiche presenti nella religiosità meridionale e un'ipotesi esplicativa dei rapporti intercorrenti tra magismo e chiesa cattolica del mezzogiorno, nella formula del sincretismo pagano-cattolico.

Il clero meridionale cioè avrebbe assolto ad una funzione di raccordo tra gli esorcismi cristiani ( e i grandi temi mitici che stanno al centro del cristianesimo ) e gli esorcismi pagani, realizzando così una sorta di egemonia religiosa e culturale entro il contesto di una società arretrata come la meridionale.21

Secondo questo autore, che inserisce la magia in una dinamica di rassicurazione dal negativo e di destorificazione dell'accadere in quanto negativo attuale o possibile, le sopravvivenze magiche della religiosità popolare meridionale, e cioè fascinazione, possessione, esorcismo, fattura e controfattura « sono da ricondurre all'insicurezza della vita quotidiana, all'enorme potenza del negativo e alla carenza di prospettiva di azione realisticamente orientata per fronteggiare i momenti critici dell'esistenza, e soprattutto al riflesso psicologico di essere-agito-da con i suoi connessi rischi psichici.

In queste condizioni il momento magico acquista particolare rilievo, in quanto soddisfa il bisogno di reintegrazione psicologica mediante tecniche che fermano la crisi in definiti orizzonti mitico-rituali e occultano la storicità del divenire e la consapevolezza della responsabilità individuale, consentendo in tal modo di affrontare in un regime protetto la potenza del negativo nella storia ».22

Gabriele De Rosa riconosce le suggestioni profonde di queste tesi interpretative, ma ritiene che il sincretismo pagano-cattolico, accettabile a livello di storia del folklore religioso meridionale, rimanga elemento secondario rispetto alla realtà storica e istituzionale della chiesa meridionale.

Attraverso una puntuale analisi delle relazioni di vescovi campani, a partire dal '700, questo studioso tenta di dimostrare che, se esiste una storia del sincretismo pagano-cattolico del sud, appartenente al folklore, esiste altresì « una storia istituzionale della pietà che muove da una concezione religiosa e cristiana dell'uomo e che è storia di liberazione dalla magia per l'affermazione di una razionalità fondata sull'esperienza dell'assoluto ».23

Anche per il De Rosa tuttavia la magia, vista nei suoi rapporti con la società, appare quale spia di un'aspirazione delle popolazioni rurali, protese alla ricerca di sicurezza e in fuga da una realtà dura e senza prospettive.24

2. Ipotesi interpretativa della religiosità popolare meridionale

Tra i paesi del cosiddetto "terzo mondo", in particolare dell'America Latina, e la situazione meridionale italiana esistono, anche a livello di religiosità popolare interessanti analogie.

Analisi sociopsicologiche hanno, infatti, evidenziato motivazioni primarie e secondarie simili nelle aree del sottosviluppo.

Tra le motivazioni primarie della religiosità popolare latino-americana si configurano: motivazioni cosmologiche, cioè il profondo senso del limite che il povero, vincolato alla terra e ai ritmi stagionali, avverte di fronte alle forze naturali che lo sovrastano; motivazioni psicologiche, rispondenti alle istanze di rassicurazione e reintegrazione di fronte alla potenza del negativo; motivazioni escatologiche, che lo spingono all'attesa consolatoria dell'al di là, inteso come ricupero di un al di qua mortificante e spersonalizzante, e ad una gestione dei riti religiosi, visti come polizza di assicurazione per questa nuova e definitiva situazione consolatoria.

Le motivazioni secondarie, invece, sono identificate nella fedeltà al gruppo, ascrivibile a ragioni socioculturali di tipo ora spontaneo, ora razionalizzato.

Da questo ordine di motivi non sarebbero da escludere motivazioni più profonde a carattere religioso e spirituale, sospingenti al rinnovamento socioreligioso.25

Dagli elementi emersi nei rapidi cenni relativi agli aspetti magico-sacrali della religiosità popolare, è facile rendersi conto dell'analogia esistente tra la situazione latino-americana e quella meridionale.

A proposito tuttavia di quest'ultima recentemente sono state avanzate delle ipotesi interpretative a carattere psicologico che, se pur espresse e calzanti in ordine alla religiosità napoletana, appaiono estensibili alla religiosità popolare meridionale in genere, tenendo però presenti le modalità diverse dell'ambiente rurale.

Nella cultura meridionale hanno un ruolo fondamentale la simbiosi madre-bambino e la pluralità dei volti, costatabile nella casa superaffollata e nel vicolo dove, rumorosa e senza molte tutele privatistiche, si svolge la vita e perdura quel "vicinato" che le megalopoli anonime tendono a far scomparire in modo definitivo.

Su questi volti, quando la loro presenza risulta per lui gratificante, il bambino fa scivolare l'immagine materna.

L'attaccamento e la fedeltà al gruppo si concretizzano quando egli, abbandonato all'economia del vicolo, viene sostenuto prima dalla sorella maggiore e poi, in modo pressoché esclusivo, dal vicinato.

Per l'intera durata della sua vita, il bambino divenuto adulto, pur essendo da questo ambiente sollecitato al gruppo, continuerà a desiderare la madre.

In tale nostalgia del fortissimo rapporto empatico, vissuto solo nei primi anni con la madre, sarebbe, secondo questa ipotesi che si riaggancia all'archetipo di tipo junghiano, da ricercare la fonte della fantasia e del senso del trascendente, tipica del napoletano e del meridionale in genere.

Per quanto attiene la religiosità napoletana si fa notare che la struttura sociale della città è costruita su di una complessa rete di rapporti di potere tra potenti e subordinati, per cui, nell'assenza di grosse attività produttive, il collegamento affiliato di ogni individuo con la madre viene concretizzato nella società come rapporto di dipendenza nel sistema di organizzazione del potere.

La persona raggiunge una sua maturità nel momento in cui riesce ad avere un minimo di potere, non sulle cose, ma sugli uomini che possono garantirgli la fruizione dei beni necessari alla vita.

Da questo tipo peculiare di maturazione psichica e sociale anche la religiosità prenderebbe i suoi connotati: Dio e la chiesa appaiono come espressione di un potere, che ci si deve accaparrare - tramite opportuni intermediari - con rapporti concreti di affiliazione.

In quanto poi fatto immanente al tipo di società delineato e fenomeno vitale, la religione meridionale non può non rappresentarsi teatralmente ( barocchismo, processioni imponenti, "botti" per soggiogare lo spettatore, fasto, ricchezza gestuale, ecc. ).26

3. Rapporti tra religiosità popolare e religiosità "ufficiale"

Gesti rituali, specie se non liturgici, edifici e feste hanno nel popolo un diretto protagonista: esso "gestisce" la sua religiosità.

Per quanto, lungi dall'escludere il clero, ne richieda la presenza per gli atti sacramentali di sua competenza, al fine di avere nella mediazione sacerdotale la garanzia che domanda di favori e suppliche di ringraziamento troveranno benevola accoglienza presso Dio, il popolo non ama la sua diretta intromissione nella gestione del rituale festivo, delle proprietà e dei risvolti economici del culto.

Di qui - e non certo l'ultima - una delle ragioni dei frequenti contrasti di cui è segnata la storia della religiosità popolare nei suoi rapporti con la religiosità ufficiale: conflitti tra clero e confraternite, clero e "bizzocche", chiese diocesane e chiese "ricettizie" ( di patronato laicale ) e così via.

Con atteggiamenti oscillanti tra la benevola ( e talora non disinteressata ) condiscendenza e l'intransigenza più ferma, la chiesa ufficiale ha tentato di amministrare e istituzionalizzare le forme di religiosità popolare, per regolarne le spinte ambigue e favorirne l'evoluzione verso atteggiamenti di pietà più autentici, perché liberati dalle sopravvivenze magico-superstiziose e dai profili festaioli e paganeggianti delle manifestazioni esteriori.

Una più attenta analisi storica distingue, in linea di massima, tra gli atteggiamenti dei vescovi e il comportamento dei preti, più prossimi alla vita e al sentire delle popolazioni rurali e urbane.

Tra i primi, già a partire dal '600 e '700, troviamo pastori che, pienamente convinti delle norme tridentine, manifestano molta severità nei confronti della religiosità popolare e dei sacerdoti che indulgono a tale mentalità.27

A livello sociologico, le interpretazioni del rapporto tra religiosità popolare e religiosità ufficiale non sono univoche: a taluni studiosi, di ispirazione marxista o non, gli atteggiamenti della chiesa appaiono come una mistificazione e strumentalizzazione del messaggio religioso ad opera del potere ecclesiastico: questi, infatti, in nome della prudenza, della gradualità, ad onta di certi gesti formali, finirebbe con lo scendere a compromessi con la religiosità popolare per non turbare l'ordine sociale stabilizzato e correre il rischio di diventare minoranza.28

Secondo altri, lo scontro conflittuale tra le due forme di religiosità sarebbe da addebitare prevalentemente al fatto che, mentre la pietà popolare, più vicina alla religiosità "statu nascenti", ha un carattere carismatico, quella ufficiale sarebbe invece contrassegnata dalla prevalenza dell'ufficio sul carisma.

In sintonia con questa linea, che risale all'interpretazione weberiana della religione,29

F. Alberoni, polemizzando con Bellah, sottolinea il fatto che nella religiosità popolare italiana non vi è solo continuità, iterazione di gesti arcaici prestabiliti, ma anche potente innovazione, dovuta a personalità sante e taumaturgiche, che entrano in conflitto con la chiesa ufficiale.

Anche quasi tutti i santuari sono espressione della religiosità popolare, per quanto in gran parte riassorbiti dalla chiesa cattolica romana.

Infine, Alberoni avanza l'ipotesi che i dissensi non divengono conflitti se non quando le comunità religiose popolari, anziché restare movimenti, pretendono di diventare istituzioni e chiese alternative a quella ufficiale: in quest'ultimo caso il conflitto aperto diviene inevitabile.

La chiesa tuttavia cerca di uscirne attraverso un modus vivendi che può assumere la forma di un concordato.30

4. Rapporti tra religiosità popolare e potere politico

Consapevole del potenziale innovativo e rivoluzionario insito nella fantasia e utopia del cristianesimo popolare, il potere politico ha cercato in tutti i modi di far rientrare quest'ultimo nella dinamica del consenso e ridurlo alla tregua di instrumentum regni per finalità conservatrici.

A tale scopo le sopravvivenze magico-superstiziose, presenti nella religiosità popolare, riuscivano particolarmente gradite ai sovrani e ai ceti dominanti in quanto, anziché sospingere alla contestazione e alla lotta politica per risolvere i problemi dell'al di qua, le pratiche magiche, come si è visto, destorificavano il negativo, alienando da ogni ricerca delle vere matrici dell'ingiustizia e dal conseguente impegno storico.

Perciò, nel suo insieme, la religione popolare, mentre in certa misura rappresentava un elevamento verso il divino, concorreva a mantenere la gente « quieta e disciplinata ».31

Oggi tuttavia, anche sotto questo profilo le cose stanno cambiando: da una parte lo stato moderno contemporaneo dispone di altri mezzi per ottenere il consenso popolare, come ad es. i mass media, per cui dimostra minore interesse per il vecchio instrumentum regni e può mostrarsi disponibile anche ad una sua scomparsa, in nome di un progresso neoilluministico.

D'altro lato, la religiosità popolare si dimostra più allergica alle strumentalizzazioni per finalità conservative e, dietro l'azione di animatori socio-religiosi, diviene più consapevole delle sue possibilità innovatrici, sul piano sociale e religioso, anche in seguito al successo di leaders prestigiosi come Gandhi e M. Luther King.32

Al termine di questa rapida rassegna di ipotesi interpretative, avanzate dalle scienze dell'uomo, oltre agli interrogativi sempre aperti sulla loro verificabilità o eventuale falsificabilità, urgono le istanze di una lettura più profonda della religiosità popolare che, alla luce della parola di Dio e delle sue autentiche interpretazioni, ci consenta di meglio fondare, attraverso la riflessione teologica contemporanea, quei valori di spiritualità già emersi nella nostra analisi dell'esperienza religiosa vissuta all'interno della "cultura dei poveri".

IV - Avvio ad una lettura teologica della religiosità popolare

L'attuale tendenza a rivalutare da parte delle scienze dell'uomo i valori manifesti o latenti della religiosità popolare rappresenta un significativo segno dei tempi.

Non va tuttavia sottaciuto il fatto che, in talune delle prospettive socio-psicologiche brevemente richiamate, sono presenti precomprensioni e atteggiamenti, che non possono non destare perplessità e dissensi.

Spesso la religiosità popolare viene vista, infatti, in maniera troppo esclusiva come fenomeno di classi subordinate e oppresse, e polemicamente inalberata quale vessillo di liberazione e di rivolta nei confronti della religiosità "ufficiale", ritenuta del tutto asservita agli interessi delle classi egemoni.33

Tuttavia, a prescindere da queste radicalizzazioni polemiche, esorbitanti una rigorosa interpretazione dei dati, lo stimolo è degno di essere recepito e meglio approfondito a livello teologico.

A questa lettura ci sospingono e soccorrono il messaggio evangelico e l'attuale riflessione teologica postconciliare.

1. Alla luce del Vangelo

Gesù ha condannato, senza ambiguità, la religiosità formale, esterioristica e ipocrita delle classi e dei ceti che allora erano in posizione dominante.

All'incontro ha avuto accenti di ammirazione commossa e, talora, entusiasta nei confronti della fede degli umili, dei quali - a prescindere da ogni perimetro nazionale o religioso - ha accettato l'esuberanza gestuale, la liricità fantasiosa del linguaggio, l'ingenuità delle richieste, le appassionate domande di liberazione dalla malattia e dalla morte e, soprattutto, l'incantevole disponibilità interiore al Dio dei poveri che fa di essi gli anawihm ( poveri di Dio o poveri "di spirito" ).

Per quanto le recenti ( e discusse ) letture "materialistiche" dei vangeli possano in qualche modo aiutarci a comprendere i contesti socioculturali del tempo di Gesù e meglio valutarne gli atteggiamenti, sembra assodato che il primo macarismo ( « beati i poveri… » ) non sia da intendersi come esaltazione di una classe proletaria modernamente intesa.34

In coerenza col messaggio biblico-profetico, Gesù sottolinea con parole e gesti che l'atteggiamento di autentica fede e pietà si riscontra e fiorisce più facilmente tra le classi umili e oppresse che non a livelli superiori, ove solo eccezionalmente è dato ritrovare ( Mc 10,23ss ).

Se da queste premesse evangeliche appare logica conseguenza dedurne che, anche al presente, gli atteggiamenti di fede e culto dei ceti emarginati e oppressi debbono essere presi in attenta considerazione e letti in profondo, oltrepassando gli spessori che la situazione secolare di alienazione vi ha cristallizzato, non ne segue che tutto debba essere accettato in blocco e canonizzato senza processo.

Ritornando, senza biblismi ingenui, al paradigma evangelico, si fa notare, infatti, che anche Gesù non ha avvallato tutti i comportamenti degli umili, a cominciare dal rifiuto opposto all'invito che questi gli proponevano, dopo la moltiplicazione dei pani, di diventare il loro re ( Gv 6,15 ), per giungere alle frequenti contestazioni di Pietro e di quanti del popolo non accettavano la prospettiva messianica includente la croce ( Mc 8,33 ).

L'invito evangelico alla conversione, al cambiamento profondo di mentalità religiosa e, quindi, degli schematismi artificiosi, di cui anche i rivoluzionari del tempo restavano prigionieri,35 è rivolto indistintamente a poveri e ricchi, a ceti subalterni e dominanti.

Una fede rinnovata interpella incessantemente la religione in cui essa s'incarna, come complesso di credenze, riti e comunità, sia che tale religione sia vissuta dal popolo minuto o da ceti più elevati; la fede è stimolo all'incessante riforma della religione perché è transculturale e inesauribile nelle forme storiche, di cui pur abbisogna per poter essere vissuta dall'uomo.

Ciò posto, un'altra indicazione sembra emergere dalla buona novella, e cioè che nessuna istituzione religiosa può fare della fede un suo monopolio esclusivo.

In quanto dono gratuito di Dio, la fede oltrepassa gli steccati umani.

Anche nel perimetro della chiesa, che pure è sacramento di salvezza, i custodi del "deposito" della fede ( 1 Tm 6,20 ), gli interpreti autorizzati dei carismi ( 1 Cor 12,10 ), non possono considerare la fede loro monopolio.

In questo senso Paolo afferma: « Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede» ( 2 Cor 1,24 )

2. Nel quadro del rinnovamento teologico

Le nuove correnti teologiche offrono un humus propizio alla riscoperta dei valori spirituali insiti nella religiosità popolare, nonché al suo ripensamento e alla sua innovazione pastorale.

L'antico disprezzo dei gruppi elitari e le troppo facili o radicali condanne della pietà del popolo non possono trovare alcun appoggio in una riflessione teologica che resti fedele alle suggestioni del Vat II.

Nei suoi documenti infatti il concilio riconosce l'anima di verità delle varie religioni ( NA 2 ), a certe condizioni accetta la validità del pluralismo liturgico e cultuale ( AG 22 ), sospinge a ricercare nuove sintesi tra fede e religione, profano e sacro, vita feriale e festiva.

Pertanto si può giustamente dire con Metz che « non c'è nulla di cui la teologia ha così urgente bisogno quanto l'esperienza religiosa contenuta nei simboli e nei racconti popolari.

Ad essi deve riferirsi se non vuole morire di fame…

Più che mai la teologia ha bisogno del pane della religione, della mistica e dell'esperienza religiosa della gente semplice ».36

Infatti, mentre la religiosità ufficiale tende ad obliterare dimensioni narrative e celebrative della religione, la pietà popolare sollecita teologia e pastorale liturgica a mettere nella giusta luce il rapporto tra storia della salvezza e storia particolare di quelli che partecipano al culto.

Stimola inoltre a non dimenticare che la celebrazione non consiste soltanto nello svolgimento di un'azione secondo determinate rubriche, ma è soprattutto festeggiare, per mezzo di riti e simboli, una realtà già vissuta, una fede in atto.

Sulla scia di queste considerazioni, la teologia contemporanea tende a rimarcare il valore liberatorio della religiosità popolare, in quanto sotto le ceneri di riti, talora inficiati da residui magico-superstiziosi, cova la fiamma di un'autentica fede in Cristo liberatore dalla ingiustizia e dall'oppressione.

La teologia che muove dalla "prassi di liberazione" trova qui appunto il suo locus theologicus: nell'uomo, o meglio nel non-uomo, sfruttato, oppresso nelle sue aspirazioni.

Perciò anche la religiosità popolare, esaminata nel suo contesto, aiuta a rileggere in nuova luce la parola di Dio, stimola ad un nuovo modo di fare teologia ed alimenta una nuova spiritualità.

Questa spiritualità, secondo un autorevole esponente della teologia della liberazione, è una forma concreta, suscitata dallo Spirito santo, di vivere l'evangelo: un modo preciso di vivere "davanti al Signore" in solidarietà con tutti gli uomini, "con il Signore" e davanti agli uomini.

Si tratta di una spiritualità "nuova" in quanto riordina i grandi perni della vita cristiana in funzione di un presente storico che non può essere ulteriormente disatteso.

Tale spiritualità incontra una sfida: « proprio da dove l'oppressione e la liberazione sembrano aver dimenticato Dio - un Dio passato attraverso la nostra lunga indifferenza di fronte a questi problemi - debbono scaturire la fede e la speranza in colui che viene a strappare alla radice l'ingiustizia e a portare, in maniera imprevedibile, la liberazione totale ».37

3. Apporto di una religiosità popolare rinnovata alla comunità ecclesiale e civile

Oltre che nei riguardi della teologia, il rapporto tra religiosità popolare e religiosità ufficiale si rivela fecondo e necessario ai fini di una crescita di fede per tutto il popolo di Dio e per la stessa comunità civile.

A contatto con la pietà popolare, riscoperta e compresa nei suoi valori spirituali, i ceti medio-borghesi si rendono conto delle loro ipocrisie e formalismi, del distacco peccaminoso dalla prassi di liberazione, delle flagranti contraddizioni tra una presunta ortodossia e l'ortoprassi.

L'intera religiosità ecclesiale è spinta, come avviene in questo scorcio di tempo, a ricercare più solida e coerente connessione tra evangelizzazione e promozione umana.

D'altro lato anche la religiosità popolare nella rinnovata liturgia e, particolarmente, nell'esperienza viva e comunitaria di una scrittura riletta in prima persona, mentre si viene purificando delle scorie alienanti a carattere magico-superstizioso, in forza della riconquistata consapevolezza della "dimensione politica" della fede, può aprirsi ad una fede più autentica, cristologicamente pregnante, perché in sintonia con le impegnative, ma esaltanti, prospettive della liberazione integrale.

Una religiosità popolare, così rinnovata, è di prezioso aiuto a tutta la chiesa per meglio comprendere ed attuare i valori di liberazione del vangelo.

Essa fa emergere la speranza di una condizione umana diversa da quella che gli oppressi condividono, un'ansia profonda di giustizia, una tensione verso una comunità "conviviale", l'aspirazione ad una festa che non sia soltanto evasione dal "regno della necessità", ma anche partecipazione autentica al "regno della libertà", un'espressione di fede che coinvolga tutto l'uomo, senza fratture.

L'impatto di una tale religiosità, ricca di questi valori spirituali, non può non risultare positivo nella comunità dei credenti e suscitarvi benefiche reazioni a catena, soprattutto se le comunità di base e i gruppi cristiani più sensibili alle istanze conciliari e al rapporto fede-politica riusciranno ad attuare un interscambio ed una saldatura anche con la coscienza religiosa popolare affinché il suo processo di purificazione e maturazione si acceleri.

La più attenta considerazione, e il rinnovamento della religiosità dei ceti popolari non interessano esclusivamente il discorso di fede dei credenti ma interferiscono positivamente anche su tutta la comunità civile.

Già in passato la religiosità popolare è stata feconda matrice di innovazioni e fermenti che hanno contribuito ad innescare nuove dinamiche religiose e civili come, ad esempio, si evince dalla storia degli ordini religiosi mendicanti del periodo medioevale.

Anche oggi in una comunità che così fortemente avverte l'istanza partecipativa, non si vede perché la religiosità del popolo non possa egualmente lievitare dal basso l'esigenza di un tipo di convivenza politica e sociale sintonizzata all'ideale evangelico, alla profonda coesione tra fede e vita, tra liturgia festiva e quotidianeità dell'impegno, tra evangelizzazione e promozione umana.

In una società dove la rapidissima evoluzione scompiglia i tradizionali equilibri tra le classi sociali, non è presunzione, del tutto infondata ipotizzare che le classi ora subalterne, liberate da questa loro condizione, possano a tempi non troppo lunghi influire positivamente sulla evoluzione e superamento della mentalità borghese anche in forza della spiritualità sottesa alla loro esperienza religiosa.

Già disprezzata e ripudiata per le sue scorie magico-superstiziose, l'ignoranza e l'enfatico barocchismo gestuale, proprio questa pietà popolare potrà contribuire alla "conversione" di quei ceti che, dopo aver esorcizzato orgogliosamente la natura e il "negativo" ( da cui nasceva la "magia" dei poveri ), tentano ora di esorcizzare le nuove paure, emergenti dallo smisurato e disumano sviluppo tecnico, con nuovi riflussi verso l'irrazionalismo e la stregoneria.38

Mentre però il ricorso alla magia da parte dei poveri manteneva una certa tensione religiosa, questo nuovo ritorno allo stregone si innesta in un clima culturale di secolarismo avanzato.

Conseguentemente solo una nuova, forte e genuina esperienza spirituale potrà consentirne il superamento.

Liturgia
Religiosi
Nella storia salvifica Celebrazione I,1
Nel vangelo Esperienza sp. Bib. II
Esperienza sp. Bib. II,1b
Forme di … Celebrazione I
Patologia III,1
… giovanile Giovani I,6
… e utopia Sociologia III,3
Utopia II,1
Idolatria Esperienza sp. Bib. I,8h

… popolare

… e Gesù Gesù I,2
Verso i santi Celebrazione I,2c
Ambivalente Chiesa I,5
… e i segni dei tempi Segni VI,2
Spiritualità IV,3
… e contesto sociologico Sociologia I,2

1 Lamindo Pritanio (pseudonimo di A. L. Muratori), Della regolata devozion de' cristiani, Venezia 1747 (nuova ed., Roma, Edizioni Paoline 1957)
2 Con tale espressione Oscar Lewis indica un modello concettuale specifico per descrivere in termini positivi una subcultura della civiltà occidentale.
La cultura della povertà, a suo dire, non è semplicemente un fatto di privazioni e disorganizzazioni, termini tutti che significano l'assenza di qualche cosa, ma è « una vera cultura nel senso antropologico tradizionale, in quanto offre ad esseri umani un modello di vita, un insieme di situazioni precostituite, di problemi umani ed ha, quindi, una funzione significativa di adattamento. Questo stile di vita trascende i confini nazionali e regionali e le differenze urbano-rurali all'interno delle nazioni ». (O. Lewis, La cultura della povertà in Centro Sociale 14 (1967) n. 74-75, 2
3 D. Pizzuti, Religiosità popolare e classi subordinate nel mezzogiorno in Il Tetto 11 (1974), n. 64-65, 395ss
4 A. Rossi, Le feste dei poveri, Bari, Laterza 1971, 186ss
5 Questa idea circola nelle opere di H. Cox (La festa dei folli. Saggio teologico sulla festività e la fantasia, Milano, Bompiani 1971; La seduzione dello spirito. Uso ed abuso della religiosità popolare, Brescia, Queriniana 1975) ed è presente in tutti gli articoli apparsi in Aa. Vv., Religiosità popolare nel meridione in Idoc Internazionale 1976, n. 5, 1-96
6 D. Pizzuti, a. c., 398ss
7 H. Cox che anni fa esaltava la secolarizzazione e disprezzava la religiosità popolare, oggi manifesta un entusiasmo di segno opposto.
Nella sua opera, già ricordata, La seduzione dello spirito, denuncia la tentazione permanente dei potenti (conquistatori, chiese e culture) di servirsi della religiosità popolare per farne uno strumento di oppressione.
Pervertire gli istinti religiosi sani e naturali della gente a fine di controllo e dominio, costituisce, a suo avviso, il peggiore abuso della religione perché astutamente fa le persone partecipi della loro stessa manipolazione (pp. 17-18)
8 J. Liopis. Religiosità popolare in Spagna. Natura dell'attuale discussione teologica in Con 1977/2, 173ss dove si fa riferimento alle importanti opere di L. Maldonado relative alla religiosità popolare
9 Vedi il testo del Documento in Regno Documenti 21 (1976) n. 1, 9
10 Per ampi riferimenti bibliografici sul tema homo ludens: Aa. Vv., in Vita e Pensiero 55 (1973), n. 5; G. Mattai, voce Gioco in Dizionario teologico interdisciplinare, Torino, Marietti 1977
11 V. Paglia, Dimensioni sociali antiche e nuove: festa, liturgia, pellegrinaggio, santi in Evangelizzare, 1977, n. 4, 211
12 Cit. da V. Paglia, a. c., 212
13 Per ulteriori sviluppi sulle caratteristiche delle feste religiose popolari cf Aa. Vv., Religiosità popolare nel meridione (nota 6); C. Gallini, Il consumo del sacro. Feste lunghe in Sardegna, Bari, Laterza 1971; A. Rossi, o. c.; L. Sciascia, Feste religiose in Sicilia, Bari, Leonardo da Vinci 1965
14 S. Rosso, Il culto nei santuari mariani in Rivista liturgica 1976, n. 3, 383ss
15 V. Paglia, a. c., 215ss
16 Dopo alcuni rilievi sul valore positivo delle festività religiose popolari, un Documento dei vescovi campani si esprime in questi termini: « Il più delle volte assumono più sembianze paganeggianti che forme di autentici atti di culto. Per questo motivo le feste, svuotate del loro contenuto cristiano, non rendono credibile la fede da parte dei lontani e delle persone più evolute, mentre i giovani le rifiutano perché prive di ogni valore di autentica testimonianza cristiana e i poveri le giudicano più una provocazione che un annuncio religioso della salvezza.
Non si può perciò non prestare ascolto alla voce di tutti gli operatori della pastorale che auspicano la riforma globale delle feste religiose.
Le stesse processioni frequentemente si risolvono in estenuanti maratone di questuanti che offendono il decoro e il sacro, evidenziando lo scadimento dei vari contenuti religiosi e non sono certo segno della chiesa peregrinante.
Il santo è visto in maniera quasi pagana: presiede ai vari avvenimenti della vita; è il talismano che ognuno porta con sé con superstiziosa fiducia; è l'amico alleato contro le forze del male e contro le ingiustizie sociali.
Anche alla base di tanti pellegrinaggi della nostra regione si nota un assillante desiderio di protezione e rassicurazione da parte dei pellegrini che non hanno altre alternative sul piano economico, politico e sociale »: Conferenza Episcopale Campana, Il culto popolare e la comunità cristiana in Regno Documenti 19 (1974), n. 3, 122
17 V. Elizondo, Nostra Signora di Guadalupe simbolo di una cultura: "la forza dei deboli" in Con 1977/2, 46-47
18 Aa. Vv., Religiosità popolare nel Meridione, o. c.
19 A. Drago, Ipotesi sulla religiosità popolare napoletana e meridionale in RasT 1974, n. 4, 273
20 G. Milanesi, Sociologia della religione, Torino, LDC 1973, 98ss
21 E. De Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli 1971, L'autore, mentre sottolinea l'importanza dell'intuizione che il clero ebbe della funzione pedagogica di questo raccordo, si mostra avvertito di quanto esso abbia contribuito ad avvicinare la magia al « cuore della religione cattolica » (p. 88).
A suo dire, tale impostazione metodologica dei rapporti tra magia lucana e cattolicesimo meridionale comporta una valutazione critica assai severa della concezione protestante di un sud pagano, « terra elettiva da cui trarre materiale per la polemica anticattolica » (p. 92): « ora è da dire subito - afferma con netta chiarezza il De Martino - che ogni riduzione della vita magico-religiosa del mezzogiorno al paganesimo del mondo antico è destinata a restare un semplice argomento polemico confessionale, o un impressionismo turistico superficiale: il più elementare senso storico rende avvertiti che il paganesimo antico, col suo complesso mondo mitico-rituale, con le sue articolazioni e differenziazioni in diverse e distinte civiltà religiose, è ben morto dovunque, e vano sarebbe credere di averlo ritrovato nel sud e nel cattolicesimo meridionale con le sue particolari determinazioni e sfumature » (p. 94)
22 E. De Martino, o. c., Epilogo, 137
23 G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli, Guida 1971, 11
24 Ibid., 230ss
25 A. J. Buntig, Dimensioni del cristianesimo popolare latino-americano e suo inserimento nel processo di liberazione: diagnosi e riflessioni personali in Aa. Vv., Fede e cambiamento sociale in America Latina, Assisi, Cittadella 1975, 148ss
26 A. Drago, a. c., 274ss
27 Nell'o. c. di G. De Rosa la documentazione relativa all'azione pastorale di mons. Angelo Anzani (1736-1777) e di altri vescovi del Mezzogiorno.
Da questa analisi si evince che la liberazione della religiosità meridionale dalla panie magico-superstiziosa è stata lentissima
28 La religiosità in Sardegna (a cura di U. Allegretti) in Il Tetto, 12 (1975) n. 67, 53ss; A. Drago, a. c., 272ss; A. Nesti-C. Prandi, La religiosità popolare in Italia, in Idoc Internazionale, 1973, n. 3, 36
29 Della vasta produzione di M. Weber in merito all'analisi sociologica della religione, cf M. Weber, Sociologia delle religioni, Torino, UTET 1976, 2 voll
30 F. Alberoni, Carisma d'ufficio e movimenti spontanei in Il caso italiano (a cura di F. L. Gavazza e S. R. Graubard), Milano, Garzanti 1974, II, 470-477.
Il Bellah (autore dell'importante saggio Al di là delle fedi. Le religioni in un mondo post-tradizionale, Broscia, Morcelliana 1975) nello stesso volume Il caso italiano (o. c., I, 440-469) sostiene che la religione di fondo in Italia consisterebbe nell'adesione alla famiglia, al clan, ai gruppi parentali, alla clientela, alla fazione e alla magia
31 B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari, Laterza 1956, 120. All'incontro L. Sturzo non accettò mai che il devozionaiismo napoletano fosse strumentalizzato politicamente, auspicando il miglioramento della condizione religiosa delle plebi rurali (vedi citazioni in G. De Rosa, o. c., 266)
32 A. Drago, a. c., 273
33 Atteggiamenti del genere emergono nelle indagini che il movimento Cristiani per il Socialismo ha sollecitato sul tema della religiosità popolare in occasione di vari convegni.
Ora, che la religiosità popolare sia il grido della creatura oppressa è riconosciuto anche da Marx; tuttavia la critica più severa che da parte di non pochi le viene indirizzata è che essa « non sollecita nessuna speranza, non promuove nessuna liberazione autentica » (D. Power, Cultura e espressione religiosa in Con 1977/2, 137)
34 Per un approfondimento del significato religioso e spirituale della prima beatitudine cf F, Vattioni, Beatitudini, povertà, ricchezza, Milano, Ancora 1966, 305ss
35 Anche F. Belo nella sua tanto discussa e discutibile opera La lecture materialiste de l'Evangile de Mare, Parigi, Cerf 1974, sottolinea con forza che la logica di Gesù sovverte quella dei suoi avversari, della folla e degli zeloti; questi ultimi volevano l'indipendenza dai romani ma, congiuntamente a questa, auspicavano il ritorno alle vecchie dialettiche, contestate da Gesù, del puro e dell'impuro, nonché al primato del tempio e della legge
36 J. B. Metz, Chiesa e popolo, ovvero il prezzo dell'ortodossia in Ancora sulla teologia politica: il dibattito continua, Queriniana, Broscia 1975
37 G. Gutiérrez, Teologia della liberazione, Brescia, Queriniana 1973, 202ss; vedi anche S. Galilea, Spiritualità della liberazione, Brescia, Queriniana 1974
38 È noto che il magismo e il satanismo si stanno affermando nei paesi altoindustriali, compreso il nostro, con fatturati annui di svariati miliardi.
Per una interpretazione sociologica di questo ritorno al magico da parte dell'uomo moderno cf E. De Martino, Il mondo magico, Torino, Boringhieri 19732; A. M. Greeley, L'uomo non secolare.
La persistenza della religione, Broscia 1975. Da un punto di vista cristiano il ritorno alla magia rappresenta un fenomeno di regressione ad uno stadio precristiano che ignora la signoria cosmica "sdemonizzante" della risurrezione di Cristo [ v. Diavolo/Esorcismo ]