Meditazioni per le domeniche dell'anno

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MD 13

Domenica di settuagesima
( Mt 20,1-16 )

Le persone consacrate a Dio hanno bisogno di essere esercitate nella pratica dell'obbedienza

1 Ci sono molte persone impegnate nella Comunità alle quali si potrebbe chiedere con maggior meraviglia e con più giustizia che a quelle che bighellonavano sulla piazza pubblica: Perché ve ne state qui tutto il giorno a fare nulla? ( Mt 20,6 )

Esse si sono consacrate a Dio e fanno professione di lavorare al perfezionamento del proprio stato ma, a conti fatti, non fanno alcun progresso nella virtù, soprattutto nell'obbedienza.

Benché si siano particolarmente impegnati ad osservarla, non si vede compiere loro alcun esercizio di essa, anzi capita spesso che il superiore debba aderire alle loro disposizioni o alle loro inclinazioni.

Così facendo, non praticano affatto l'obbedienza, o la praticano imponendo condizioni, o vanno alla giornata ovvero essa è puramente umana.

Si può quindi affermare che questi religiosi non compiono alcun esercizio della vera obbedienza.

Come sono da compiangere! non esercitandosi nell'obbedienza essi restano sempre bambini nella pratica della virtù.

2 Questo disordine ha forse una duplice ragione.

La prima proviene dai religiosi stessi che, pur essendosi impegnati a vivere sotto l'obbedienza, non intendono affatto essere esercitati in questa virtù, dicendo che si contentano di seguire le pratiche comunitarie e di compiere esteriormente, e talvolta molto fiaccamente, i loro piccoli doveri.

Capita che quando viene dato loro un ordine che non si aspettavano, non si decidono a eseguirlo, affermando che è troppo difficile per essi e che non riescono a superare una tale prova.

Arrivano così alla conclusione che l'ordine ricevuto è al di sopra delle loro possibilità e della loro virtù, perché non hanno mai voluto esercitarsi in questa virtù.

Ovvero questo disordine è in essi, perché intendono vendere a un prezzo troppo caro la loro obbedienza, accettando di obbedire solo a certe condizioni, che magari impongono al Superiore, e si decidono a farlo solo quando si sentono disposti.

Se credete di essere costretti a obbedire non sarete certo felici perché non facendolo volentieri, la pratica dell'obbedienza vi diventerà sempre più difficile.

3 La seconda origine di questo disordine è da ricercarsi nei Superiori che, lasciando i loro religiosi in una specie di ozio continuato, non li esercitano affatto nella pratica dell'obbedienza.

È questo che affermano gli operai oziosi: nessuno ci dà lavoro ( Mt 20,7 ).

Così non acquistano questa virtù, perché la pratica di essa non è loro facilitata - come del resto non lo è quella delle altre virtù - dall'esercizio di essa.

La pratica dell'obbedienza è anche più difficile perché, per esercitarvisi bene, bisogna vincere se stessi e rinunziare al proprio modo di vedere le cose e alle proprie inclinazioni naturali.

Se viene impartito un ordine a inferiori di questo tipo, alcuni eseguono l'ordine parzialmente o solo esteriormente; altri replicano o portano mille motivi per esserne esentati; c'è, infine, chi rifiuta apertamente di obbedire.

Sono da considerare veramente sfortunati quei religiosi che hanno un Superiore che non dà loro occasione, o lo fa solo di rado, di praticare l'obbedienza, perché è assolutamente necessario che chi ne ha fatto voto accetti di essere esercitato tutti i giorni nella pratica di essa.

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