Contro la menzogna

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6.10 - Rinnega Cristo dinanzi agli uomini colui che lo rinnega con la menzogna

In questioni come la presente occorre ricordare sempre con timore, fratello, le parole: Chiunque mi rinnegherà dinanzi agli uomini, io lo rinnegherò dinanzi al Padre mio celeste. ( Mt 10,33 )

O pensiamo forse che non rinneghi Cristo dinanzi agli uomini colui che lo rinnega dinanzi ai priscillianisti al fine di metterli allo scoperto e con una menzogna blasfema attirare coloro che volevano restare sconosciuti?

E chi potrebbe dubitare - dimmelo, per favore - che si rinnega Cristo quando di lui si dice che non è quello che è per davvero, e si dice che è quale lo credono i priscillianisti?

6.11 - Obiezioni e repliche

Mi replicherai: In altra maniera noi non potremmo mai scovare quei lupi nascosti che si vestono di pelli di pecora ( Mt 7,15 ) e dai loro nascondigli assaltano il gregge del Signore recandogli gravi danni.

Orbene, dimmi: Come si è giunti alla conoscenza dei priscillianisti prima che si escogitasse questa caccia basata sulla menzogna?

Come si è giunti alla tana del loro fondatore, certo più astuto e quindi più nascosto?

Come si è potuto mettere allo scoperto quei tanti loro personaggi ragguardevoli che poi sono stati condannati o quegli altri innumerevoli che in parte si sono corretti o, in parte, considerati come corretti sono stati misericordiosamente ammessi nella Chiesa?

In effetti, quando il Signore vuole usare misericordia offre molte vie per giungere alla loro identificazione, e, fra queste, due sono più meravigliose delle altre, e cioè quando a manifestarli sono i loro stessi compagni, a loro volta ravveduti e convertiti: quegli stessi, cioè, che essi volevano adescare o che di fatto avevano già attirato a sé.

Questo si ottiene con più facilità se per abbattere il loro errore pestilenziale si ricorre non a raggiri menzogneri ma a dispute basate sulla verità.

A mettere in iscritto opere di questo genere tu devi dedicarti, dal momento che il Signore ti ha dato la capacità di farlo; e vedrai come questi scritti salutari con cui si demolisce la loro insana aberrazione si divulgheranno con un continuo crescendo e diverranno di pubblico dominio fra i cattolici: tanto fra i vescovi, per i discorsi che tengono al popolo, quanto fra gli studiosi che hanno a cuore la causa di Dio.

Tali scritti saranno le reti sante con le quali gli eretici saranno presi per il loro vero bene, senza che debbano essere accalappiati in trame di menzogna.

Conquistati in tale maniera, confesseranno spontaneamente ciò che sono stati e, d'accordo [ con noi ], spingeranno al ravvedimento coloro che hanno conosciuti quand'erano nella loro setta o, mossi da sentimenti di pietà, ce li presenteranno.

Se poi per caso si vergogneranno di dire in pubblico ciò che per lungo tempo hanno simulato e nascosto, a risanarli ci penserà Iddio, che agendo occultamente con la sua mano arrecherà loro la medicina.

6.12 - Le menzogne sono da schivarsi per amore della verità, sono da uccidersi con le armi della verità

Risponderai: Ma è molto più facile per noi entrare nei loro meandri se fingendo diciamo d'essere dei loro.

Se questo fosse lecito o vantaggioso, Cristo avrebbe potuto comandare alle sue pecore di andare dai lupi vestite di pelle di lupo e scovarli ingannandoli con questo sotterfugio.

Eppure lui non ha detto così, nemmeno quando predisse che le avrebbe mandate in mezzo ai lupi.

Replicherai: Ma lì non si trattava di andarli a cercare, essendo lupi oltremodo palesi; si doveva piuttosto subire la ferocia dei loro morsi.

E cosa suggerì quando, annunziando i tempi successivi, disse che sarebbero venuti lupi affamati in veste di pecora? ( Mt 10,16 )

Non era forse lì il caso di suggerire quel che pensi tu e dire: Anche voi per riuscire a trovarli mettetevi addosso la veste dei lupi; internamente però restate pecore?

Ma egli non disse nulla di questo; anzi, dopo aver detto: Molti verranno da voi vestiti da pecore ma dentro sono lupi rapaci, non aggiunse: [ Li riconoscerete ] attraverso le vostre menzogne, ma disse: Li riconoscerete dai loro frutti. ( Mt 7,15-16 )

Le menzogne sono da schivarsi per amore della verità, sono da imbrigliarsi con la rete della verità, sono da uccidersi con le armi della verità.

Dio ci guardi dal vincere le chiacchiere blasfeme della gente ignorante ricorrendo consapevolmente a discorsi blasfemi; ci guardi dall'evitare il male dei mentitori imitando i loro comportamenti.

Come infatti eviteremo il male se per evitarlo lo commettiamo?

Se infatti per adescare colui che bestemmia nell'ignoranza mi metterò a bestemmiare nella consapevolezza, quello che io faccio è peggio di ciò che acquisto col farlo.

Se per catturare uno che nega Cristo senza saperlo io rinnegherò Cristo sapendo [ ciò che faccio ], colui che così conquisto sarà uno che mi segue nella perdizione.

Io già quando lo ricerco sono perduto, prima di lui.

6.13 - Rinnega Cristo anche chi con la bocca asserisce cose a cui nel cuore non crede

Dovrà dirsi per caso che chi s'adopera di scovare i priscillianisti ricorrendo alla menzogna non rinnega Cristo, perché con la bocca asserisce cose a cui nel cuore non crede?

Quasi che ( come notavo sopra ) dopo le parole: Con il cuore si crede [ per avere ] la giustizia, siano state aggiunte senza alcun significato le altre: Con la bocca si professa la fede per [ avere ] la salvezza! ( Rm 10,10 )

Non è forse vero che quasi tutti coloro che rinnegarono Cristo dinanzi ai persecutori conservarono nel cuore la fede in lui, e tuttavia, siccome con la bocca non lo confessarono per avere la salvezza, per questo andarono in rovina, almeno quelli che non tornarono in vita facendo penitenza?

Ci potrà essere qualcuno così insipiente da pensare che l'apostolo Pietro nel rinnegare Cristo avesse in cuore ciò che diceva con la bocca?

Non c'è dubbio che egli nella sua negazione conservò in cuore la verità, mentre all'esterno proferiva la menzogna.

E allora, perché volle lavare con le lacrime le parole uscite dalla sua bocca, ( Mt 26,69-75 ) se per essere salvo gli fosse bastato ritenere quel che aveva nel cuore?

Perché, pur conservando la verità con il cuore, volle punire con un pianto così amaro la falsità pronunziata con la bocca?

Non lo fece forse perché si rendeva conto della grande rovina che s'era procurato allorché, pur credendo con il cuore ( e così avere la giustizia ), con la bocca non aveva confessato la verità per avere la salvezza?

6.14 - Non giova avere la verità sulla bocca, se non si crede a ciò che si dice

In conseguenza di ciò, il detto scritturale: Colui che dice la verità nel suo cuore, non dev'essere inteso nel senso che sia sufficiente conservare la verità dentro il cuore, mentre con la bocca si possono dire menzogne.

Lo si dice, al contrario, perché potrebbe accadere che uno dica la verità solo con le labbra: la qual cosa non gli gioverebbe in alcun modo se non la conservasse anche dentro il cuore, se cioè quando parla non crede per fede a ciò che dice.

È quanto fanno gli eretici e segnatamente i priscillianisti, i quali non credono alla verità della fede cattolica, ma ne parlano per farsi credere che sono dei nostri.

Costoro certo dicono la verità con la bocca ma non l'hanno nel cuore, e per questo occorreva fossero separati da colui del quale si dice: Colui che dice la verità nel suo cuore.

Quanto invece al cattolico, egli ha nel cuore la verità perché realmente così crede; e pertanto deve averla anche sulla bocca per proclamarla.

Riguardo poi alla falsità, che alla verità si oppone, egli non può averla né in cuore né sulle labbra, se veramente in cuore crede al fine di ottenere la giustizia e con le labbra fa la professione di fede per conseguire la salvezza.

Non per niente infatti in quel medesimo salmo, dopo le parole: Colui che dice la verità nel suo cuore, si aggiunge subito: Non commette falsità con la sua lingua. ( Sal 15,2-3 )

6.15 - Nel proporre la verità occorre discernimento

Vanno ricordate anche le parole dell'Apostolo: Spogliandovi della menzogna, dite la verità ciascuno al suo prossimo, poiché siamo membra l'uno dell'altro. ( Ef 4,25 )

Non sia mai che le interpretiamo nel senso che ci sia permesso ricorrere alla menzogna quando trattiamo con coloro che ancora non sono, insieme con noi, membra del corpo di Cristo.

Esse al contrario vanno interpretate nel senso che ognuno di noi deve considerare l'altro come desidera che divenga, sebbene ancora non ci sia divenuto, come ci mostrò il Signore quando di quel samaritano, che era uno straniero, disse che fu il prossimo di colui al quale usò misericordia. ( Lc 10,30-37 )

È dunque da considerarsi prossimo, non estraneo, colui con il quale stiamo lavorando perché non rimanga a noi estraneo; e se, per il fatto che non è ancora partecipe della nostra fede e dei nostri sacramenti gli si debbono tener nascoste certe verità, tuttavia non è mai lecito dirgli delle imposture.

6.16 - Senso di Fil 1,15-18

Anche nell'epoca apostolica ci furono certuni che predicavano la verità non secondo la verità, cioè non con sincerità di cuore: gente di cui l'Apostolo dice che annunciavano Cristo non con animo casto ma mossi da invidia e voglia di litigare.

Anche allora dunque si dovettero tollerare alcuni che predicavano la verità con animo non retto; mai però risulta che siano stati lodati coloro che predicavano la falsità facendolo con animo retto.

Di loro è detto: Tanto se Cristo è predicato perché ci siano pretesti quanto se lo si fa per amore della verità; ( Fil 1,15-18 ) ma in nessuna maniera è detto: Si rinneghi pure Cristo; basta che poi lo si annunzi.

6. 17. Ci sono dunque molti modi per mettersi sulle piste degli eretici senza denigrare la fede cattolica e senza lodare l'empietà degli eretici stessi.

7.17 - Non c'è buona intenzione che giustifichi la menzogna

Ammettiamo per un istante che per tirar fuori dalle sue spelonche l'empietà degli eretici non ci sia assolutamente altro mezzo che l'uscire dal sentiero della verità da parte della lingua del cattolico.

Dico che sarebbe più tollerabile lasciar nascosta quell'empietà che non far cadere un fedele nel precipizio [ della falsità ]; sarebbe più tollerabile che le volpi restassero occulte nelle loro tane anziché, per prenderle, i cacciatori cadessero nel baratro della bestemmia; sarebbe più tollerabile che la perfidia dei priscillianisti rimanesse occultata dal velo della verità, piuttosto che la fede cattolica fosse rinnegata dai cattolici che la professano.

E questo, anche se viene fatto per impedire ai priscillianisti di lodarla con parole di menzogna.

Ma supponiamo che possano essere giustificate le menzogne, non dico quelle ordinarie ma quelle che suonano bestemmia, per il fatto che le si dicono allo scopo di smascherare gli eretici occulti.

In questo modo, se cioè li si commette con buona intenzione, dico che sarebbero onesti anche gli adultèri.

Che dire infatti se una delle tante male femmine dei priscillianisti s'incanti a guardare un Giuseppe cattolico e gli prometta di rivelargli i nascondigli degli eretici, se da lui otterrà di soddisfare la passione che le arde in corpo, né si possa dubitare che, ottenuto il consenso, lei manterrà il suo proposito?

Penseremo che sia cosa ben fatta? O non penseremo piuttosto che per un risultato di questo genere non sia lecito pagare un prezzo così alto?

Perché dunque non ci permettiamo di scovare gli eretici e catturarli abbandonando il corpo all'adulterio, mentre ci crediamo autorizzati a farlo consentendo alla bocca di prostituirsi con la bestemmia?

Infatti o dobbiamo difendere alla pari le due cose e non qualificarle come illecite, perché nessuna delle due è stata compiuta con l'intenzione che renderebbe gli uomini ingiusti; ovvero, se la verace dottrina della fede proibisce di aver con donne disoneste almeno rapporti corporali ( per non parlare della mente ), evidentemente non ci permetterà nemmeno di diffondere la sporca dottrina degli eretici o di incriminare la genuina fede dei cattolici ricorrendo a falsità dette a voce ( anche se non condivise con la mente ) allo scopo di attrarre gli eretici.

In effetti la decisione della mente, alla quale deve obbedire ogni atto inferiore dell'uomo, non sfuggirà alla disapprovazione che merita tutte le volte che fa qualcosa di illecito, lo si faccia con un organo del corpo o lo si faccia per mezzo della parola.

Infatti anche quando il male si compie con la parola, lo si compie con un membro del corpo, in quanto la lingua di cui ci si serve per parlare, è una delle nostre membra.

Non c'è azione che si effettui con una delle nostre membra che non sia stata prima concepita nel cuore; anzi, ogni nostro atto è una realtà concreta già quando lo si pensa dentro e dentro si acconsente ad esso, e poi, quando lo si compie con le membra, viene soltanto messo alla luce.

Pertanto l'anima non è scusata, quasi che non abbia commesso il fatto, se una cosa, sebbene non si compia direttamente con l'anima, tuttavia non la si farebbe se l'anima non avesse deliberato di farla.

7.18 - Le cose di cui si sa che sono peccati non si possono fare per nessun motivo

Di somma importanza è certamente stabilire il motivo, il fine e l'intenzione per cui ogni opera si compie; tuttavia le cose di cui si sa che sono peccati non si possono fare per nessun motivo: né per ottenere un buon risultato né per raggiungere un fine giudicato buono né quando esiste una qualche intenzione ritenuta buona.

In realtà, riguardo agli atti umani che di per sé non sono peccati, essi sono o buoni o cattivi secondo il motivo, buono o cattivo, che li determina.

Così, ad esempio, dare il cibo ai poveri è un'opera buona se la si compie per misericordia mossi da retta fede.

Così i rapporti sessuali fra coniugi: sono buoni se li si compie per procreare, intendendo inoltre procreare figli perché siano rigenerati [ nel battesimo ].

Queste azioni, e tante altre simili a queste, sono buone o cattive secondo le loro cause; e pertanto le stesse opere qui menzionate si cambiano in peccato se fatte con motivazioni cattive; se, ad esempio, si sfama il povero per mettersi in mostra, se si sta con la moglie per soddisfare la libidine o se si generano figli perché siano allevati non secondo Dio ma al servizio del diavolo.

Se poi si tratta di opere che di per se stesse sono peccato, come il furto, lo stupro, la bestemmia e così via, chi mai oserà dire che le si possa compiere per una giusta causa, ottenendo che esse non siano più peccato o, quel che è più assurdo, supponendo che possano essere peccati onesti e legittimi?

Supponiamo che uno dica: Andiamo a rubare ai ricchi per avere qualcosa da dare ai poveri, ovvero: Spacciamo false testimonianze, specialmente di quelle che non danneggiano gli innocenti e con le quali si possono sottrarre i colpevoli alla condanna dei giudici.

Che dire al riguardo? In realtà con la diffusione di tali menzogne si ottengono due risultati buoni: il denaro, lo si prende per sostentare il misero; il giudice viene tratto in inganno per impedire che un uomo sia punito.

Ma allora, se ci si dà la possibilità, perché non facciamo scomparire i testamenti legittimi e ne tiriamo fuori dei falsi, affinché le eredità o i lasciti non vengano in mano degli indegni, che non ci farebbero niente di bene, ma piuttosto li ottengano coloro che li useranno per nutrire gli affamati, coprire i nudi, accogliere i pellegrini, riscattare i prigionieri, costruire le chiese?

Perché, dico, in vista di tali beni non si dovranno compiere quelle cattive azioni, le quali, appunto perché ordinate a dei beni, non sono neppure cattive in se stesse?

Orbene facciamo il caso che delle donne corrotte e facoltose si mostrino pronte a sborsare denaro dandolo ai loro amanti e drudi.

Perché in tal caso un uomo dall'animo compassionevole non dovrebbe accettare le loro concessioni tanto ben congegnate, quando se ne può servire per una causa così buona com'è quella di soccorrere i bisognosi?

È evidente però che egli non darebbe ascolto all'Apostolo, che dice: Colui che rubava non seguiti a rubare ma al contrario si dedichi al lavoro, e con le proprie mani si procuri un capitale per avere di che soccorrere chi è nel bisogno. ( Ef 4,28 )

In effetti, se un'azione cattiva compiuta allo scopo di fare il bene fosse buona, non solo non sarebbe cosa cattiva ma buona il furto; e lo sarebbero anche la falsa testimonianza, l'adulterio e ogni altra azione cattiva.

Ma chi oserà affermare cose come questa all'infuori di coloro che si propongono di sconvolgere la vita dell'uomo e ogni sorta di morale e di legalità?

In effetti, ammesso che in ogni mala azione umana si debba ricercare non l'atto che si compie ma il motivo per cui lo si compie, di quale delitto, anche il più efferato; di quale sconcezza, anche la più turpe; di quale sacrilegio, anche il più esecrando, non si dirà che è giusto e normale che lo si compia?

E lo si compirà non solo sfuggendo alla pena ma anche ottenendone gloria, e perpetrandolo non solo non si avranno supplizi da temere ma ci saranno premi da sperare!

Tutto questo ogni volta che trovandoci di fronte ad azioni cattive ma compiute per motivi buoni, per questo le riteniamo non più cattive [ ma buone ].

Ecco tuttavia che la giustizia umana punisce, e giustamente, il ladro, anche quello che afferma e dimostra d'aver preso al ricco soltanto roba a lui superflua e d'averlo fatto per dare al povero quanto gli era necessario.

E punisce ancora e giustamente il falsario, anche quello che proclama d'aver modificato l'altrui testamento, perché diventasse erede non colui che non avrebbe fatto nessuna elemosina ma colui che avrebbe largheggiato in elemosine.

E [ la stessa giustizia ] punisce giustamente l'adultero anche quando riesca a dimostrare d'aver commesso l'adulterio per motivi di misericordia, ad esempio perché mediante l'opera della sua ganza egli può liberare dalla morte una persona.

E finalmente, per avvicinarci all'argomento che c'interessa, ecco che la giustizia condanna, e giustamente, un uomo che ha relazioni adulterine con una donna consapevole della depravazione dei priscillianisti, anche se egli lo fa per individuare i loro nascondigli.

Ma, per favore, non dice forse l'Apostolo: Non offrite le vostre membra al peccato perché siano armi di iniquità? ( Rm 6,13 )

Ne segue che non dobbiamo usare per delle azioni illecite, neanche con l'intenzione di identificare i priscillianisti, né le mani né gli organi della generazione né qualsiasi altro membro del corpo.

Qual è dunque il torto che ci ha fatto la nostra lingua, o la bocca, o gli organi della voce perché li mettiamo al servizio del peccato, e di peccato così grande qual è quello di bestemmiare il nostro Dio, senza l'attenuante dell'ignoranza, col pretesto di sottrarre alle bestemmie che nell'ignoranza dicono i priscillianisti che siamo riusciti a catturare?

8.19 - La diversa gravità dei diversi peccati

Qualcuno obietterà: Non c'è dunque differenza fra il ladro comune e il ladro che ruba con l'intenzione di compiere opere di misericordia?

Non è questo che si afferma, ma soltanto che dei due l'uno non è buono perché l'altro è peggiore.

È certamente peggiore colui che ruba per avidità di denaro che non colui che ruba per motivi umanitari; ma se è vero che ogni furto è peccato, bisogna evitare ogni furto.

Chi infatti oserà dire che si può peccare perché, mentre un peccato merita condanna [ eterna ], un altro è suscettibile di perdono?

Ecco ora della gente che ha commesso questo o quel peccato, e noi vogliamo appurare non chi abbia commesso una colpa più grave e chi una più leggera, ma chi abbia peccato e chi non abbia peccato.

In effetti, considerando i vari furti, non c'è dubbio che il furto, qualunque esso sia, è dalla legge punito con minore severità che non lo stupro.

Sono, è vero, tutti e due peccati, ma ci sono peccati più leggeri e peccati più gravi; e pertanto il furto, anche quello commesso per la voglia d'arricchire, è colpa più leggera che lo stupro commesso per soccorrere [ chi è in necessità ].

Se si rimane sulla stessa specie di peccati, quelli che, a quanto pare, si commettono con buona intenzione sono più lievi degli altri della stessa specie; ma paragonati con peccati di altra specie, essi risultano più gravi di quelli che nella loro specie sono di minore gravità.

È pertanto colpa più grave commettere un furto per avidità di danaro che commetterlo per motivi di compassione; è più grave commettere uno stupro mossi da lussuria che mossi da motivi di filantropia; comunque, è più grave commettere l'adulterio, magari a scopo di beneficenza, che non rubare per avarizia.

E noi al presente non discutiamo sulla gravità maggiore o minore dei vari peccati, ma su che cosa sia peccato e che cosa non lo sia.

Nessuno infatti oserà dire che è lecito peccare quando risulta chiaro che una cosa è peccato.

Quel che vogliamo asserire noi è soltanto questo: ammesso che questa o quella cosa sia peccato, la si deve tollerare o no?

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