Contro la menzogna

Indice

9.20 - Esame di casi problematici riportati nella Sacra Scrittura

Occorre qui confessare che effettivamente si legge di certi peccati "compensativi", di fronte ai quali la coscienza dell'uomo rimane turbata al punto da ritenerli meritevoli di lode o, quanto meno, da chiamarli azioni ben fatte.

Chi infatti potrà mettere in dubbio che sia un grave peccato se un padre prostituisce le figlie offrendole alle brame lussuriose di uomini empi?

Eppure ci fu un motivo sufficiente per cui un uomo giusto si ritenne autorizzato a comportarsi così, e fu perché i sodomiti, mossi da uno scellerato impulso di libidine, facevano ressa per abusare dei suoi ospiti.

Egli disse: Io ho due figlie non ancora maritate.

Vi concederò queste perché ne usiate come vi pare; voi però non dovete commettere iniquità su questi uomini, essendo entrati nella mia capanna. ( Gen 19,8 )

Che dire al riguardo? Non restiamo forse inorriditi di fronte al delitto che i sodomiti tentavano di compiere sugli ospiti di quell'uomo giusto, a tal segno da giustificare qualunque cosa che gli fosse stato possibile fare affinché quel male non si facesse?

A questa conclusione ci spinge fra l'altro la persona che compiva quell'azione: persona che appunto per la sua giustizia veniva liberata da Sodoma.

Siccome dunque è male minore lo stupro commesso su una donna rispetto a quello commesso su un uomo, si potrebbe dire che rientrava nella giustizia di quell'uomo giusto anche l'avere scelto che si abusasse delle sue figlie piuttosto che dei suoi ospiti.

E questa cosa egli non soltanto volle in cuor suo ma anche la suggerì a parole e, se loro avessero accettato la proposta, l'avrebbe compiuta nei fatti.

Se però noi apriamo questa via, che cioè noi possiamo commettere peccati minori perché gli altri non ne commettano di maggiori, passando per un'apertura così larga com'è questa, anzi essendo scomparsa ogni delimitazione e abbattuti e rimossi tutti i confini, tutti i peccati avranno libero ingresso e stabiliranno [ in noi ] il loro dominio.

Ammesso infatti che noi possiamo commettere un peccato più leggero per impedire che un'altra persona ne commetta uno più grave, sarà lecito impedire a un altro lo stupro con un furto commesso da noi, l'incesto con un nostro stupro; e se esiste un'empietà che [ a noi ] sembri peggiore dell'incesto, si dirà che noi possiamo commettere anche l'incesto se in questo modo si otterrà che quella empietà non venga perpetrata da quell'altra persona.

In questo modo, nell'ambito di ogni singolo peccato, si crederà lecito commettere furti per furti, stupri per stupri, incesti per incesti, sacrilegi per sacrilegi; crederemo lecito commettere noi i peccati anziché farli commettere agli altri, e non solo peccati più leggeri in luogo di più gravi ma anche ( venendo alle estreme e più gravi conseguenze ) un minor numero di peccati anziché un numero più considerevole.

Così, almeno, quando la piega dei fatti ci porta a concludere che gli altri non si tratterranno dal peccato se noi stessi non commetteremo peccati, magari più leggeri ma sempre peccati.

Ecco ad esempio, un nemico che, avendone il potere, viene a dirti in maniera risoluta: "Se tu non vorrai perpetrare quella scelleraggine, io ne combinerò una maggiore", ovvero: "Se tu non commetterai quel delitto, io ne commetterò parecchi di più".

In tal caso potrebbe sembrarci lecito commettere noi stessi il delitto volendo che l'altro si astenga dai suoi.

Ebbene, ragionare in questo modo cos'altro è se non sragionare o, meglio, vaneggiare?

Io infatti ho l'obbligo d'evitare la condanna che deriva a me dalla mia colpa, non dalla colpa altrui, sia che il male venga perpetrato contro di me che contro altri.

Dice infatti: L'anima che pecca, lei [ e non altri ] morrà. ( Ez 18,4 )

9.21 - Esempio di Lot e di Davide

È dunque certo che noi non dobbiamo peccare personalmente per impedire che gli altri commettano peccati più gravi contro di noi o contro qualunque altro.

Pertanto ci si impone una valutazione sull'operato di Lot, per stabilire se costituisca per noi un esempio da imitare o non piuttosto da fuggire.

E qui è da considerarsi e da notarsi in primo luogo - come sembra - il male spaventoso che incombeva sopra i suoi ospiti per la scelleratissima empietà dei sodomiti: male che Lot voleva impedire, ma non ci riusciva.

In tale frangente anche l'animo di quel giusto poté essere turbato al segno da voler fare un'opera che, stando non ai dettami dell'oscura procella causata dal timore umano ma alle esigenze della serena tranquillità della legge divina, questa, se da noi consultata, ci avrebbe gridato che non lo si doveva fare.

Ci avrebbe senz'altro comandato di astenerci da ogni peccato nostro personale e di non cedere in alcun modo al peccato per il timore dei peccati che potrebbero commettere altri.

In realtà quell'uomo giusto era spaventato per i peccati di altri ( sebbene essi deturpino la coscienza soltanto di colui che vi acconsente ), e nel suo turbamento non badò al peccato che egli stesso commetteva concedendo le proprie figlie alla lussuria di quegli empi.

Quando nella sacra Scrittura leggiamo cose come questa, non dobbiamo pensare che, siccome le riteniamo cose realmente avvenute, possiamo concludere che anche a noi sia lecito farle.

Ciò ammesso infatti, per imitare certe azioni, finiremmo col violare i comandamenti [ del Signore ].

E ora vediamo il caso di Davide, quando giurò d'uccidere Nabal, ma poi considerando la cosa con animo più pacato si astenne da quella uccisione. ( 1 Sam 25,22-35 )

Diremo dunque che dobbiamo imitare Davide giurando con leggerezza di fare una certa cosa che più tardi ci accorgiamo di non dover fare?

Ma osserviamo. Quando Lot si proponeva di prostituire le figlie, il suo animo era turbato dal timore; quando Davide giurò a cuor leggero, era turbato dall'ira.

E se ci fosse consentito d'indagare su tutt'e due i personaggi e domandare loro perché abbiano fatto quelle cose, il primo ci potrebbe rispondere: Sono piombati su di me timore e spavento e le tenebre mi hanno avvolto; ( Sal 55,6 ) e Davide ci direbbe: Il mio occhio era annebbiato dall'ira. ( Sal 6,8 )

E dopo ciò, non resteremmo meravigliati che l'uno nelle tenebre del timore e l'altro avendo l'occhio ottenebrato [ dall'ira ], non riuscirono a vedere ciò che era doveroso vedere per non compiere atti che non si dovevano compiere.

9.22 - Considerazione sull'operato di Lot e di Davide

Veramente a quel santo che era Davide bisognava dire, e molto giustamente, che non si doveva in alcun modo adirare, nemmeno contro quell'ingrato che gli ripagava il bene con il male; ma se in quanto uomo si lasciava prendere dall'ira, questa passione non doveva dominarlo al segno da fargli giurare una cosa che se fatta sarebbe stata una crudeltà, non facendola egli avrebbe commesso uno spergiuro.

Lot al contrario si trovava di fronte alle voglie insane di quei luridi sodomiti.

Orbene, in tale situazione chi avrebbe osato dirgli parole come queste: Ecco tu hai fatto entrare in casa tua questi ospiti, persuadendoli con la dolcissima violenza della tua disponibilità.

Ebbene, anche se li vedrai afferrati e oppressi da quella gente sfrenata e divenuti oggetto di abusi innominabili, tu non devi per nulla spaventarti, non ci devi far caso né allontanarti o inorridire o metterti a tremare?

Chi avrebbe osato dire cose come queste all'uomo timorato di Dio che ospitava quelle persone?

Neppure un connivente di quegli uomini scellerati!

Con perfetta ragionevolezza gli si sarebbe dovuto dire: "Fa' tutto il possibile per impedire che si compia il male che giustamente ti impaurisce, ma questo timore non deve spingerti a fare nelle tue figlie di tua iniziativa quel male che, se fossero loro stesse a volerlo fare, commetterebbero una disonestà; se invece spinte da te si rifiuteranno di farlo, dovranno subire una violenza da parte dei sodomiti.

Non crederti autorizzato a fare tu stesso un grave peccato per l'orrore che ti incute un peccato più grave commesso da altri.

Sebbene infatti sia diverso quello che fai tu e quello che fa l'altro, il primo è colpa tua, il secondo colpa di un altro".

Ma per discolpare quell'uomo virtuoso qualcuno potrebbe cacciarsi nella strada stretta dicendo: Siccome è preferibile subire un danno anziché farlo e quegli ospiti di Lot non erano loro a danneggiare gli altri ma subivano il danno, quell'uomo essendo giusto, preferì che il danno lo subissero le sue figlie anziché i suoi ospiti.

Un certo diritto infatti lo costituiva padrone delle sue figlie, ed egli sapeva che in quell'operato le figlie non commettevano peccato ma al contrario subivano la violenza dei peccatori, senza peccare personalmente in quanto ad essi non acconsentivano.

In realtà non erano loro che offrivano allo stupro, in luogo degli ospiti, il loro corpo femminile in vece del corpo maschile.

Se si fossero regolate così, sarebbero state colpevoli anche loro: non perché soggiacevano alla lussuria di quei prepotenti, ma perché loro stesse vi prestavano il consenso della propria volontà.

Quanto al loro padre, egli non avrebbe tollerato che l'abuso si commettesse contro lui stesso, se ciò avessero tentato di fare quegli sciagurati in balia dei quali egli ricusava d'abbandonare gli ospiti, sebbene fosse un male minore quello perpetrato contro un uomo solo anziché contro due.

Lo vediamo resistere con tutte le forze perché lui stesso non si macchiasse di colpa dando il proprio consenso; se al contrario non avesse consentito, sebbene lo avesse sopraffatto con la violenza fisica la ferocia libidinosa di quei forsennati, trattandosi d'un atto commesso da estranei egli non si sarebbe macchiato di colpa.

Egli non peccava nemmeno prestando le figlie, le quali non avrebbero commesso peccato.

Siccome sarebbero state violentate senza acconsentire, egli non le induceva a commettere il peccato ma a sopportare la malvagità dei peccatori.

Era come se avesse messo a disposizione di male intenzionati i suoi schiavi perché fossero picchiati e così ai suoi ospiti si risparmiasse il danno delle percosse.

Di questo argomento qui non voglio discutere, poiché si andrebbe per le lunghe a stabilire se un padrone agisca rettamente qualora, usando del diritto che lo costituisce padrone dei suoi schiavi, si permetta di fustigare lo schiavo innocente perché non venga bastonato da persone violente e perverse un suo amico, anch'egli innocente, che si trova in casa sua.

Quanto a Davide, certamente bisogna dire che in nessun modo fece bene ad affermare con giuramento una cosa che s'accorgeva di non poter poi attuare.

Da questo si conclude con certezza che noi non siamo autorizzati a ripetere nella nostra condotta tutte le azioni che nella Scrittura leggiamo essere state compiute dagli uomini, anche se santi e giusti.

Dobbiamo anzi imparare quanto ampia e universale sia la parola dell'Apostolo: Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza.

E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. ( Gal 6,1 )

Precedenti della colpa sono infatti tutte quelle cause per cui si pecca non vedendo lì per lì il da farsi, o quando uno, pur vedendolo, si lascia vincere: quando cioè si commette il peccato perché non si è raggiunta la verità o quando a peccare siamo sospinti dalla nostra fragilità.

Si può occultare il vero ma non si deve dire il falso.

10.23 - Abramo e Isacco non sono stati bugiardi

Fra tutte le nostre azioni quelle che più turbano anche i buoni sono quelle in cui peccato e buona azione si bilanciano al segno che, se ci sono motivi adeguati per compierle, non le si considera peccato, anzi si ritiene peccato il non farle.

Questa opinione si è affermata nella mentalità comune soprattutto per quel che concerne le diverse menzogne: le quali a volte sono ritenute non peccati ma azioni virtuose.

Così, ad esempio, quando si mente per recare dell'utile a uno che dall'inganno trae vantaggio o quando lo si fa per impedire che nuoccia uno che sembra intenzionato a nuocere se non lo si ostacolasse con la menzogna.

Per giustificare menzogne di questo tipo si crede di poter ricorrere all'appoggio di esempi ( sarebbero moltissimi ) tratti dalle Scritture.

Bisogna tuttavia ricordare che non è lo stesso nascondere la verità e proferire la menzogna.

Sebbene infatti tutti coloro che mentiscono vogliono nascondere la verità, non tutti coloro che vogliono nascondere la verità dicono menzogne, essendo numerosissimi i casi in cui per nascondere la verità non si mente ma si tace soltanto.

In questo senso non mentiva il Signore quando affermava: Avrei molte cose da dirvi ma voi adesso non siete in grado di portarle. ( Gv 16, 12 )

Taceva la verità, non diceva il falso, giudicando i discepoli non ancora capaci d'ascoltare ciò che era vero.

Se una tal cosa non l'avesse loro palesata, che cioè non erano in grado di accogliere quanto egli si rifiutava di dire, egli avrebbe naturalmente celato una parte della verità, ma noi forse non avremmo saputo che ciò può farsi innocentemente o, quanto meno, non avremmo potuto appoggiarci su un esempio di così grande autorità.

Ne segue che quanti propugnano che in qualche caso si debba mentire non fan bene a citare come esempio l'operato di Abramo quando di Sara disse che era sua sorella.

Egli infatti non disse: "Non è mia moglie", ma soltanto: È mia sorella; e ciò era vero poiché gli era così strettamente imparentata da poterla chiamare sorella senza incorrere nella menzogna.

Questo confermò più tardi quando la donna fu a lui ricondotta da quel tale che gliel'aveva prelevata.

Rispondendo a quell'uomo, disse: Veramente è mia sorella per parte di padre, sebbene non per parte di madre, ( Gen 20,2.12 ) cioè: Non appartiene alla famiglia di mia madre ma solo a quella di mio padre.

Quando dunque la chiamò sorella, senza dire che era sua moglie, tacque una parte della verità, ma non disse alcunché di falso.

Lo stesso fece suo figlio Isacco, che, come sappiamo, si prese in moglie una sua parente. ( Gen 26,7.24 )

Non si ha dunque menzogna quando si tace qualcosa per nascondere la verità ma quando nel parlare si proferisce una falsità.

10.24 - Quello che fece Giacobbe non è una menzogna ma un mistero

Riguardo a quello che fece Giacobbe per istigazione della madre al fine di trarre in inganno suo padre, se lo si considera con attenzione e sorretti dalla fede, non è una menzogna ma un mistero.

Se infatti diciamo che sono menzogna cose come questa, allora tutte le parabole e le figure che si usano per significare qualsiasi cosa da non intendersi in senso proprio, ma da quella cosa se ne deve ricavare un'altra, dovranno chiamarsi menzogne.

Ma questo evidentemente è un'assurdità.

In effetti, a pensare così, questa ingiusta denominazione si potrebbe riversare su molti nostri modi di parlare, e con fondatezza si potrebbe chiamare menzogna la stessa metafora, come la si chiama, cioè il traslato per cui una parola si porta arbitrariamente a significare una cosa impropria invece di quella sua propria.

Ad esempio: noi diciamo che le messi ondeggiano, che le viti emettono gemme, che la gioventù è nel fiore, che sulla testa del vecchio è nevicato.

Ora, siccome non riscontriamo né le onde né le gemme o il fiore o la neve in quei soggetti ai quali applichiamo le parole che abbiamo mutuato altrove, questo nostro modo di parlare potrebbe da qualcuno essere preso per menzogna.

E se si dice che Cristo è una roccia, ( 1 Cor 10,4 ) che i giudei ebbero un cuore di pietra, ( Ez 36,26 ) o, ancora, se di Cristo si dice che è un leone ( Ap 5,5 ) e che leone è anche il diavolo, ( 1 Pt 5,8 ) e così tante altre espressioni simili a queste, si dovrà dire che esse sono tutte menzogne.

E che dire poi di quell'uso linguistico che nel parlare traslato si spinge fino alla cosiddetta antifrasi, per cui di una cosa che non c'è diciamo che abbonda, di ciò che è acido diciamo che è dolce, di ciò che non riluce diciamo che è chiarore?

E non parliamo di Parche per il fatto che non perdonano?

Non diversamente suonano le parole che secondo la Scrittura il diavolo rivolse al Signore parlando di Giobbe, e cioè: [ Vedi ] se non ti benedirà in faccia. ( Gb 2,5 )

La quale parola è da intendersi: "Se non ti maledirà".

Si usa quindi la stessa parola che usarono gli accusatori di Nabot per presentare calunniosamente il delitto da loro inventato.

Dissero infatti che egli aveva benedetto il re, ( 1 Re 21,13 ) cioè che lo aveva maledetto.

Tutti questi modi di dire dovranno ritenersi menzogne se ogni detto o gesto figurativo va chiamato menzogna.

Se invece non sono menzogne, in quanto si riferiscono alla comprensione della verità prendendole in un significato diverso da quello ordinario, allora non è menzogna quanto disse o fece Giacobbe per essere benedetto dal padre. ( Gen 27,19 )

E non lo è nemmeno quanto Giuseppe disse ai fratelli prendendosi quasi gioco di loro, ( Gen 42,9 ) né l'operato di Davide quando simulò d'essere pazzo, ( 1 Sam 21,13 ) e così tante altre cose di questo genere.

Sono tutte espressioni o azioni profetiche, da riferirsi ad una [ più profonda ] comprensione della verità.

E se sono celate nel velo della figura, lo sono per esercitare l'interesse del pio ricercatore e perché non vi si passi sopra considerandole cose ovvie e a portata di mano.

È vero che in altri passi noi troviamo le stesse cose presentate con parole chiare e in modo palese, ma quando noi le estraiamo dai loro nascondigli, è come se nella nostra conoscenza si rinnovassero, e, così rinnovate, procurano maggiore dolcezza.

Per il fatto poi che tali cose vengono nascoste dall'oscurità, non è detto che vengano sottratte a chi le voglia apprendere, anzi le si inculca di più in quanto, essendo riposte nel segreto, le si fa desiderare con più ardore e, appunto perché desiderate, le si scopre con maggior godimento.

Ad ogni modo, le parole che si usano sono vere, non false, poiché significano cose vere, non false: e noi intendiamo certamente affermare quello che esse significano.

Le si dovrebbe ritenere menzogne se non le si intendesse dette per significare cose vere ma si pensasse che vi siano asserite delle falsità.

Per chiarire le cosa con degli esempi, poni mente all'operato stesso di Giacobbe.

Egli effettivamente coprì le mani con pelli di capretto.

E se badiamo alla causa prossima [ del suo comportamento ] dobbiamo dire che egli mentì; ma se il suo operato lo riferiamo al significato reale per cui fu compiuta quell'azione, ecco che nelle pelli di capretto troviamo un simbolo che rappresenta i peccati e nella persona che se ne coprì un simbolo di colui che prese su di sé non i peccati suoi ma i nostri.

Se dunque quanto significano le parole è vero, non si può in alcun modo parlare di menzogna.

E quanto si dice dell'operato va detto anche delle parole.

Il padre gli chiese: Chi sei tu, figlio?, ed egli rispose: Io sono Esaù, il tuo primogenito. ( Gen 27,16-19 )

Se queste parole le applichiamo a quei due gemelli, sono, almeno all'apparenza delle menzogne; ma occorre intendere con esse quanto con tali gesti e affermazioni si voleva significare allorché il racconto fu posto in iscritto.

E quindi vi intendiamo, presentato nel suo corpo che è la Chiesa, colui che parlando di tali cose diceva: Quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, mentre voi sarete cacciati fuori.

E verranno da Oriente e Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno e sederanno nel regno di Dio.

Ed ecco, i primi saranno ultimi e gli ultimi saranno i primi. ( Lc 13,28-30 )

In questo modo Giacobbe privò il fratello maggiore del diritto di primogenitura e se ne appropriò lui stesso.

Essendo dunque [ queste espressioni ] così vere in sé e così esatte nel loro significato, come pensare che in esse ci sia stata o sia stata narrata una menzogna?

Se infatti le cose significate non sono prive di verità, sia che riguardino il passato o il presente o il futuro, il loro significato è senza dubbio vero, e non c'è [ in esso ] alcuna falsità.

Sarebbe tuttavia assai lungo sviscerare tutte le cose in dettaglio in questo campo delle espressioni profetiche nelle quali la verità ottiene la palma, perché, come furono proferite per significare qualcosa in anticipo, così divennero chiare col succedersi degli avvenimenti.

11.25 - I priscillianisti mentono in verità che toccano la fede

Con il mio dire non mi sono proposto cose di questo genere.

Ciò riguarda piuttosto te, che ti sei messo a scovare i nascondigli dei priscillianisti in ciò che riguarda i loro dogmi falsi e aberranti.

Fa' in modo di non dare l'impressione che, quando noi indaghiamo su questi dogmi, lo facciamo quasi che volessimo insegnarli, mentre invece vogliamo confutarli.

Impégnati dunque affinché le dottrine che investigando hai portato alla luce siano debellate e stese a terra, poiché non deve succedere che, mentre vogliamo raggiungere quegli uomini mentitori, lasciamo sopravvivere le loro falsità considerandole ostacoli insormontabili.

In effetti noi dobbiamo distruggere le falsità che si celano nel cuore degli eretici più che non smascherare i falsari passando sopra ai loro falsi dogmi.

Tra questi dogmi, che noi dobbiamo abbattere, c'è sicuramente anche quello per cui affermano categoricamente che la persona di fede, per nascondere questa sua fede, è tenuta a mentire.

È doveroso mentire - dicono - non soltanto su cose che non riguardano la dottrina religiosa ma anche in fatto di religione quando occorre per non farla conoscere agli altri.

Cioè: affinché il cristiano possa rimanere nascosto in mezzo ai suoi nemici, gli è lecito rinnegare Cristo.

Ti scongiuro di voler estirpare anche quella dottrina empia e perversa in base alla quale gli eretici sogliono argomentare, e cioè quel loro collezionare dalle Scritture testimonianze da cui sembrerebbe che le menzogne vanno non solo accettate e permesse ma anche onorate.

Quanto poi a te stesso, nel confutare la loro setta detestabile devi mostrare come nelle citate testimonianze scritturali non si insegnano menzogne, nemmeno in quei testi che si potrebbero ritenere menzogne.

Basta intenderli nel senso come debbono essere intesi.

Se poi ci sono testi dove la menzogna è manifesta, tu insegnerai che non si tratta di cose da imitare.

E finalmente, per presentare anche questo caso estremo, almeno nei passi che riguardano la religione, tu insegnerai che lì non si deve assolutamente mentire.

In questo modo, mentre si distruggono i loro nascondigli, vengono sradicati completamente anche gli eretici: nel senso che facendoli confessare che sono bugiardi nell'occultare la loro eresia, con ciò stesso si dovrà concludere che non li si deve affatto seguire ma piuttosto evitare con somma cura.

Questa persuasione si deve abbattere in primo luogo; questa loro comoda roccaforte, diciamo così, si deve perforare con i colpi della verità; questa si deve rovesciare.

Né si deve fornire ad essi un nuovo ricettacolo per rifugiarvisi, nuovo perché prima non lo avevano.

Non deve accadere che, se vengono scoperti da quelli che essi cercavano di sedurre ma non ci riuscivano, dicano: Li abbiamo voluti tentare, poiché certi cattolici dotati di sapienza ci hanno insegnato che questo è un metodo legittimo per scoprire gli eretici.

Ed ora io voglio dirti in maniera più esplicita il motivo per cui mi sembra esser questo il metodo da usarsi nelle dispute contro quelli che per avallare le loro menzogne vogliono appoggiarsi sulle divine Scritture.

È un procedimento a tre risvolti: in primo luogo dobbiamo mostrare che certe affermazioni che sembrerebbero menzogne, a comprenderle bene non sono quello che sembrano essere.

Se poi è inequivocabile che si tratta di menzogne, [ la conclusione è che ] non le dobbiamo imitare.

In terzo luogo, opponendosi a tutte le opinioni di tutti gli uomini che pensano esser consentito, anzi doveroso, all'uomo perbene dire, a volte almeno, una qualche menzogna, dobbiamo a tutti i costi ritenere che, quando si tratta di dottrina religiosa, non è assolutamente lecito mentire.

Queste tre regole ti ho già prima raccomandato di seguire; anzi in certo qual modo te l'ho ingiunto.

12.26 - La simulazione di Pietro e Barnaba

Vogliamo dimostrare come quelle parole della Scrittura, che si pensa siano menzogne, in realtà, se le si comprende bene, non sono ciò che si crede.

Al riguardo non ti sembri argomento di poco valore contro gli eretici il fatto che tali esempi di menzogna li trovano non fra gli scritti degli apostoli ma in quelli dei profeti.

In realtà tutti quei passi che dettagliatamente essi elencano come contenenti menzogne si leggono in quei libri nei quali sono riportati non solo detti ma anche molti fatti figurativi, poiché realmente erano accaduti con valore di figure; e nelle figure quanto viene detto con parole che sembrerebbero menzogne, se lo si comprende bene s'avverte che è la verità.

Quanto poi agli apostoli, essi nelle loro lettere si sono espressi in un linguaggio del tutto diverso, e in maniera pure diversa sono stati scritti gli Atti degli Apostoli; e questo perché tutto quello che nei profeti era nascosto nel velo del simbolismo è stato svelato dal Nuovo Testamento.

Effettivamente, fra le tante lettere scritte dagli apostoli e in quell'ampio libro dove vengono narrate, con la verità propria dei libri canonici, le loro gesta, non si riscontra un solo personaggio da cui gli eretici possano trarre l'esempio per sostenere la legittimità della menzogna.

C'è al riguardo la ben nota simulazione di Pietro e Barnaba in forza della quale i pagani sarebbero stati costretti a comportarsi da giudei.

Essa però fu giustamente ripresa ed emendata, perché non recasse danno ai contemporanei e non fosse per i posteri un esempio da imitare.

Ecco infatti l'apostolo Paolo che, vedendo come i due non procedessero rettamente, cioè secondo la verità del Vangelo, disse a Pietro alla presenza di tutti: Se tu, che sei giudeo, vivi da pagano e non da giudeo, come puoi costringere i pagani a conformarsi ai giudei? ( Gal 2,13-14 )

E poi si cita anche l'operato dello stesso Paolo, quando si attenne ad alcune osservanze legali entrate nella consuetudine dei giudei, e così fece per non apparire come nemico della Legge e dei Profeti.

Lungi da noi il pensiero che egli lo abbia fatto cadendo nella menzogna.

A questo riguardo infatti ci è più che nota la sua sentenza, secondo la quale egli aveva deliberato che non si doveva proibire ai giudei divenuti credenti in Cristo di conservare le tradizioni dei loro antenati, ma non si doveva neppure costringere all'osservanza delle medesime i pagani passati al cristianesimo.

In altre parole, quei riti figurativi che risultavano ordinati dal Signore non dovevano essere schivati come pratiche sacrileghe, ma, dopo la rivelazione del Nuovo Testamento, non dovevano essere ancora considerati necessari a tal segno che chi si fosse convertito a Dio non poteva senza di essi conseguire la salvezza.

Alcuni infatti, pur avendo accolto il Vangelo di Cristo, ritenevano e insegnavano proprio questo; e ad essi, per quanto simulatamente, avevano aderito anche Pietro e Barnaba, i quali in tal modo costringevano i pagani a vivere da giudei.

Era infatti un costringere la gente il predicare che le osservanze giudaiche erano talmente necessarie che, anche accolto il Vangelo, non c'era per i convertiti alcuna salvezza in Cristo se si fossero escluse tali pratiche.

Questo pensavano erroneamente certuni; temendo costoro, Pietro si lasciò andare alla simulazione; di questo comportamento lo rimproverò Paolo, assertore della libertà.

Se poi egli ebbe a dire: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare tutti, fu per condiscendenza, non per [ voglia di ] mentire.

Uno infatti diventa pari a colui che vuol soccorrere quando lo soccorre con tanta carità quanta ne gradirebbe lui stesso se lo si dovesse soccorrere in una identica condizione di disagio.

Così facendo, egli s'immedesima con l'altro non perché lo inganna, ma perché mette se stesso alla pari di lui.

A ciò si riferisce anche quel detto dell'Apostolo da me sopra ricordato: Fratelli, se uno [ di voi ] viene sorpreso in qualche mancamento, voi che siete spirituali, istruitelo con spirito di mansuetudine, badando a te stesso per non essere tentato anche tu. ( Gal 6,1 )

Se poi disse: Io mi sono fatto giudeo con i giudei, e con coloro che erano sotto la legge come uno che si assoggetta alla legge, ( 1 Cor 9,20-21 ) non per questo si deve credere che egli con animo menzognero fece sue le simbologie dell'antica legge.

In caso contrario, si dovrebbe anche pensare che egli, sempre per mentire, accettò alla stessa maniera l'idolatria dei pagani, dal momento che dice d'essersi fatto un senza legge per coloro che non avevano ricevuto la legge, al fine di guadagnare anche costoro.

Ma è certo che una tal cosa egli non la fece.

Non risulta infatti in nessun luogo che egli abbia sacrificato agli idoli o che abbia adorato i simulacri; anzi, da vero testimone di Cristo, mostrò con estrema libertà che quegli idoli erano da detestarsi e fuggirsi.

Pertanto gli eretici non possono citare alcun detto o fatto degli apostoli che sia esempio da imitare per quanto riguarda il ricorso alla menzogna.

Quanto poi ai detti e ai fatti desunti dai profeti, essi immaginano d'avere del materiale probativo poiché ritengono menzogne le prefigurazioni simboliche, che con la menzogna hanno una qualche somiglianza.

Tuttavia se riferiamo questi atti o detti all'oggetto per cui furono effettivamente compiuti, riscontriamo che questi significati sono sempre conformi a verità, e quindi in nessun modo sono menzogne.

La menzogna infatti si ha quando si falsifica il significato [ delle parole ] con l'intenzione d'ingannare; ma questo significato falso non c'è quando, sebbene con una cosa se ne indichi un'altra, tuttavia quel che si vuol significare, se lo si comprende bene, corrisponde a verità.

13.27 - Passi del Vangelo addotti per giustificare la menzogna

Alcune cose di questo genere si trovano anche nel Vangelo, e a compierle è lo stesso nostro Salvatore, il quale, pur essendo il Signore dei profeti, s'è degnato di diventare lui stesso un profeta.

Tra queste si citano le parole che rivolse alla donna affetta da perdite di sangue: Chi mi ha toccato? ( Lc 8,45 ) e anche le altre dette al sepolcro di Lazzaro: Dove l'avete posto? ( Gv 11,34 )

Queste sue domande sembrano di uno che non sapesse quelle cose, mentre certamente le sapeva.

Finse quindi di non saperle per significare qualche altra cosa attraverso quella sua apparente ignoranza.

Ora siccome quel che egli intendeva significare era vero, non si può certo parlare di menzogna.

La donna affetta da emorragia e colui che era morto da quattro giorni erano infatti figure di coloro che per qualche verso sfuggivano alla conoscenza anche di colui che conosce ogni cosa.

La prima infatti era il simbolo del popolo pagano, del quale antecedentemente era stata pronunciata la profezia: Il popolo che non conoscevo mi ha servito; ( Sal 18,45 ) e, quanto a Lazzaro, egli con un avvicinamento allegorico, per il fatto che era segregato dai viventi, giaceva, per così dire, là dov'era anche colui che emette quella voce: Sono stato gettato lontano dai tuoi occhi. ( Sal 31,23 )

E quindi, quasi a dire che da Cristo non era conosciuto né chi fosse l'uno né dove fosse collocato l'altro, si è voluto presentare le cose con la figura dell'interrogazione, e mediante la verità della cosa significata viene esclusa ogni menzogna.

13.28 - Alcuni racconti del Vangelo, in sé fittizi ma reali nell'oggetto significato

Rientra in questo discorso anche quello che, stando alla tua relazione, sogliono dire i priscillianisti a proposito del Signore Gesù, quando dopo la resurrezione percorse un tratto di strada con due dei suoi discepoli e, arrivati ormai al villaggio dov'erano diretti, egli finse di voler andare oltre.

Dice infatti l'evangelista: Egli finse di voler proseguire, ( Lc 24,28 ) e usa precisamente la parola che piace moltissimo ai mentitori perché possano mentire con coscienza tranquilla, quasi che sia menzogna tutto ciò che si dice fingendo, mentre sono tante le finzioni che si usano, restando sempre nella verità, per indicare con parole diverse delle realtà diverse.

Se pertanto Gesù con il suo fingere di voler andare più lontano non avesse significato nient'altro, si potrebbe giustamente parlare di menzogna, ma se si comprende bene la cosa e la si riferisce a ciò che egli intendeva significare, c'è da concludere che si tratta di un mistero.

Altrimenti si dovrà dire che sono menzogne tutte le cose che si raccontano come realmente accadute, mentre non sono accadute ma somigliano in qualche modo a quelle che vogliamo indicare con esse.

Tale è quel racconto, assai ampio, dei due figli nati all'unico padre, dei quali il maggiore restò a casa con il padre mentre il minore andò vagando in terre lontane. ( Lc 15,11-32 )

In questo genere di racconti immaginari gli uomini sono andati anche più avanti, attribuendo fatti e detti umani agli animali, privi di ragione, e alle cose inanimate.

Con tali racconti, in sé fittizi ma reali nell'oggetto significato, si è voluto inculcare più marcatamente l'oggetto dell'insegnamento.

Così negli autori profani, come in Orazio, troviamo che il topo parla con il topo e la donnola con la volpe, evidentemente affinché attraverso il racconto inventato si colga il senso vero delle cose, come realmente accadono.1

Lo stesso è delle favole di Esopo,2 che sono raccontate con identica finalità.

Nessuno certo, per quanto possa essere ignorante, vorrà pensare che siano menzogne.

Così è dei libri sacri.

Ad esempio, nel libro dei Giudici gli alberi si cercano un re e rivolgono il discorso all'olivo, al fico, alla vite e al rovo. ( Gdc 9,8-15 )

È tutta una narrazione fittizia per giungere all'oggetto che si ha di mira.

A questo scopo si usa un linguaggio immaginario, il cui significato però non è menzogna ma risponde a verità.

Tutto questo discorso l'ho fatto in riferimento alle parole del Vangelo, dove parlando di Gesù è scritto: Egli finse di voler proseguire, affinché nessuno basandosi su queste parole pretenda d'affermare la liceità della menzogna e lo sostenga dicendo che lo stesso Cristo non rifuggì dal mentire.

Chi poi volesse approfondire che cosa egli con quel suo fingere abbia voluto significare, badi a ciò che egli compì nelle sue azioni successive, quando egli si spinse assai lontano, cioè al di sopra di tutti i cieli, senza peraltro abbandonare i suoi discepoli.

Per significare quest'azione che in seguito avrebbe compiuto con virtù divina, allora egli finse di compiere quel gesto a livello umano.

In quel fingere di Gesù fu anticipato questo senso reale dei fatti; nella successiva dipartita tenne dietro la verità di quanto prima raffigurato.

Si può quindi concludere che Cristo con quel suo fingere abbia mentito, solo se si nega che egli nella realtà compì quanto aveva voluto significare in antecedenza.

14.29 - Non tutti gli esempi di personaggi dell'A. Testamento sono da imitarsi

I nostri eretici, amanti del mentire, non trovano dunque negli scritti del Nuovo Testamento esempi di menzogna che possano imitare.

Per sostenere quindi la loro polemica a sostegno della tesi sulla liceità della menzogna si sentono quanto mai equipaggiati di materiale ricorrendo agli antichi libri profetici.

Immaginano di trovare in essi molte menzogne e le adducono come prove [ contro di noi ], per il fatto che l'oggetto significato da quei detti o fatti, in sé certo veritieri, non appare con chiarezza se non a quei pochi che riescono a capirlo.

Ma per il fatto che col desiderio rincorrono certi esempi di menzogna al fine di ricopiarli e così sentirsi in qualche modo protetti, ingannano se stessi, e l'iniquità perpetra menzogne a suo danno. ( Sal 27,12 )

Ci sono poi nella Scrittura persone di cui non siamo obbligati a credere che abbiano voluto presentarsi come profeti quando con volontà d'ingannare espressero qualcosa con detti o fatti.

Anche dai loro fatti o detti si può, è vero, desumere un qualche contenuto profetico, seminato e disposto in anticipo dall'onnipotenza di Colui che nella sua sapienza sa ricavare il bene anche dalle cattiverie degli uomini; tuttavia, per quanto riguarda loro personalmente, si deve dire senza esitazione che tali persone hanno mentito; e non si deve concludere che siano persone da imitarsi perché nominate in quei libri che giustamente chiamiamo libri santi e divini.

Questi libri infatti riportano azioni cattive e azioni buone compiute dagli uomini: le une perché le evitiamo, le altre perché le ricopiamo.

E nei riguardi di queste azioni, di alcune se ne dà anche la valutazione; di altre invece se ne omette il giudizio e vengono lasciate al giudizio della nostra coscienza, poiché noi non dobbiamo soltanto nutrirci con verità palesi, ma anche tenerci in allenamento con la [ ricerca delle ] verità nascoste.

14.30 - Evitare di aprire il varco sia ai peccati piccoli come anche a tutte le delinquenze

Gli eretici credono sia bene imitare Tamar nel dire menzogne.

Perché allora non si dovrebbe imitare anche Giuda nel fornicare con lei? ( Gen 38,14-18 )

Tutte e due le cose infatti si leggono nella Scrittura e, delle due, non è che una sia condannata e l'altra elogiata.

Il libro sacro si limita a raccontare i due fatti e lascia a noi il compito di valutarli; ma sarebbe certamente strano pensare che abbia permesso a noi di ripeterli senza che ne veniamo condannati.

Sappiamo infatti che Tamar mentì non per passione lussuriosa ma perché voleva avere figli.

E inoltre quanto alla fornicazione, sebbene non sia stata di questo genere quella di Giuda, si potrebbe pensare a quella che un uomo commette perché un altro sia liberato, come la menzogna di quella donna fu detta perché un uomo fosse concepito.

Cosa diremo dunque? Che all'uomo sia lecito fornicare per lo stesso motivo per cui alla donna fu lecito mentire?

Quale poi sia in concreto il giudizio che dobbiamo emettere in caso di peccati, non è cosa da prendersi in considerazione solo quando si tratta di menzogna ma sempre, in qualunque atto umano in cui capitano i cosiddetti "peccati di compensazione".

Dobbiamo sempre badare che non si apra il varco non solo ai peccati piccoli e ordinari nella vita, ma anche a tutte le delinquenze, e così non esista più alcun delitto o sconcezza o sacrilegio per i quali non si trovi un causa per giustificarli.

Ma con questa dottrina viene sovvertita ogni moralità nella vita dell'uomo.

Indice

1 Horatius, Serm. lib. 2, sat. 6; e Epist. lib. 1, ep.7
2 Aesopi, fab.