La Genesi alla lettera

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Libro VIII

15.33 - Perché l'albero della conoscenza del bene e del male fu chiamato così

Senza ragione alcuni scrittori si sono rotti la testa nell'indagare come mai quell'albero potesse chiamarsi "albero della conoscenza del bene e del male" prima che l'uomo trasgredisse il divieto mangiandone il frutto e conoscesse - per averlo sperimentato - la differenza tra il bene perduto e il male compiuto.

Ora, l'albero ebbe quel nome affinché [ il primo ] uomo si astenesse dal toccarlo secondo il divieto ricevuto e così evitasse ciò che avrebbe provato toccandolo contro la proibizione che aveva ricevuta.

Quell'albero non divenne l'albero della conoscenza del bene e del male per il fatto che i progenitori ne mangiarono il frutto contro il divieto ricevuto; anche se fossero rimasti ubbidienti e non avessero trasgredito il precetto astenendosi dal prendersi alcun frutto, sarebbe stato chiamato correttamente così a motivo di ciò che sarebbe loro accaduto qualora se ne fosse preso il frutto.

Nell'ipotesi che un albero si chiamasse "l'albero della sazietà" per il fatto che gli uomini si sarebbero potuti saziare mangiandone i frutti, forse che, se nessuno vi si fosse accostato, quel nome non gli sarebbe stato appropriato, dal momento che accostandovisi e saziandosi con i suoi frutti avrebbero sperimentato quanto quell'albero meritasse quel nome?

16.34 - L'uomo avrebbe potuto capire cos'è il male prima di sperimentarlo

"E come mai - dicono essi - l'uomo avrebbe potuto comprendere ciò che gli veniva detto riguardo all'albero della conoscenza del bene e del male, dal momento che non sapeva assolutamente che cosa fosse il male?

Coloro che pensano così, non riflettono abbastanza come noi comprendiamo un gran numero di cose a noi ignote per mezzo di quelle contrarie che non conosciamo; tanto è vero che non c'è alcuno che, ascoltando, non comprenda chiaramente anche il significato dei nomi di cose che non esistono, quando si pronunciano nella conversazione.

Così, per esempio, si chiama nihil ( "niente" ) ciò che non esiste assolutamente, e tra quelli che capiscono e parlano il latino, non c'è alcuno che non intenda queste due sillabe.

Perché mai ciò se non perché l'intelligenza vede "ciò che è" e, mediante la negazione di "ciò che è", si forma anche l'idea di "ciò che non è"?

Lo stesso accade quando parliamo di "vuoto": noi, vedendo la pienezza d'un oggetto materiale comprendiamo che cosa si chiama "vuoto", dalla negazione di "pienezza", che è, per così dire, il contrario di essa.

Allo stesso modo che, mediante il senso dell'udito, noi giudichiamo solo le voci che sentiamo ma anche il silenzio, così mediante il senso della vita ch'era insito nell'uomo, questo avrebbe potuto evitare il suo contrario, cioè "la mancanza della vita" che si chiama "morte".

Anche quanto alla causa per cui avrebbe perso ciò che amava, ossia qualunque sua azione per cui avrebbe potuto perdere la vita, poteva essere indicata con un termine non importa di quante sillabe - come quando in latino si dice peccatum ( "peccato" ) o malum ( "male" ) - che l'uomo avrebbe potuto intendere come segno della realtà che la mente discerneva.

Come mai, infatti, noi comprendiamo che cosa sia la "risurrezione" quando sentiamo questa parola, pur non avendo mai sperimentato la risurrezione?

Non è forse perché noi comprendiamo che cosa sia "vivere" e chiamiamo "morte" la perdita della vita, e perciò chiamiamo "risurrezione" il ritorno alla vita, di cui abbiamo esperienza?

Inoltre qualunque altro termine possa essere usato per denotare la medesima cosa in qualsiasi altra lingua, la mente lo percepisce come segno nella voce di coloro che parlano e, mentre viene pronunciato, si può riconoscere ciò che si poteva pensare anche senza quel segno.

È sorprendente infatti come la natura, ancor prima d'averne esperienza, evita la perdita delle cose ch'essa possiede.

Chi mai infatti ha insegnato agli animali bruti ad evitare la morte se non il sentimento della vita?

Chi mai ha insegnato ad un bimbetto ad aggrapparsi a chi lo porta in braccio se gli si fanno minacce di gettarlo per terra?

Questa paura comincia ad un dato momento [ della vita ] ma tuttavia ancor prima che il bimbo abbia fatto esperienza di qualcosa di simile.

16.35 - Obiezione: come potevano intendere la parola di Dio i progenitori?

Così dunque per i nostri progenitori la vita era completamente piacevole e non volevano certamente perderla, anzi erano in grado di comprendere qualsiasi specie di segni o di parole con cui Dio lo faceva loro capire.

Inoltre non sarebbe stato possibile commettere il peccato, se prima non fossero stati persuasi che a causa di quell'azione non sarebbero stati condannati alla morte, cioè che non avrebbero perso il bene che possedevano e ch'erano assai contenti di perdere; ma di ciò parleremo a suo luogo.

Se alcuni dunque hanno difficoltà di capire come mai i nostri progenitori potessero comprendere le parole o le minacce di Dio relative a cose da essi non sperimentate, dovrebbero riflettere e riconoscere che noi comprendiamo senza alcun dubbio o esitazione i nomi d'ogni specie di cose estranee alla nostra esperienza soltanto perché conosciamo il correlativo contrario quando si tratta di parole significanti una privazione o perché conosciamo cose simili quando si tratta di cose della medesima natura.

Ma forse qualcuno potrebbe essere imbarazzato [ non riuscendo a spiegarsi ] come mai potessero parlare o capire un linguaggio persone che non l'avevano mai imparato col crescere tra altre persone che lo parlavano né apprendendolo da qualche maestro, come se a Dio fosse difficile insegnare a parlare a quelle persone, dal momento che le aveva create capaci d'imparare una lingua anche dagli uomini, se ne fossero esistiti altri dai quali apprenderla.

17.36 - La proibizione riguardo all'albero fu data anche alla donna?

È senza dubbio ragionevole porre il quesito se Dio diede questo precetto solamente all'uomo o anche alla donna.

Ma l'agiografo non aveva ancora narrato come fu creata la donna.

Era forse già stata creata? In questa ipotesi l'agiografo narra forse solo in seguito, quando riprende daccapo il racconto, come fu fatto ciò che era stato fatto in precedenza?

Ecco infatti come si esprime la Scrittura: Il Signore Iddio diede inoltre un ordine ad Adamo, dicendo; non dice "diede un ordine ad ambedue".

Soggiunge poi: D'ogni specie di alberi che si trovano nel paradiso tu potrai mangiare sicuramente; ( Gen 2,16-17 ) non dice: "potrete mangiare".

Di poi aggiunge: Ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non dovete mangiare.

A questo punto Dio parla al plurale come rivolgendosi ad ambedue e termina l'ordine usando il plurale quando dice: Ma il giorno in cui ne mangerete morrete sicuramente. ( Gen 2,17 )

Ma si potrebbe avanzare forse un'altra ipotesi.

Che cioè Dio, sapendo di accingersi a fare la donna per l'uomo, diede il precetto osservando l'ordine gerarchico quanto mai appropriato in modo che il precetto del Signore giungesse alla donna tramite l'uomo?

È questa la norma che l'Apostolo rispetta nella Chiesa dicendo: Se le donne desiderano imparare qualcosa lo domandino ai loro mariti in casa. ( 1 Cor 14,35 )

18.37 - In qual modo Dio parlò all'uomo?

Possiamo ugualmente chiederci come mai Dio parlò ora all'uomo da lui creato, ch'era certamente già dotato di senso e d'intelligenza perché fosse in grado di udire e di capire la parola di Dio.

L'uomo infatti non avrebbe potuto ricevere diversamente un precetto la cui trasgressione lo rendesse colpevole, se non avesse capito il precetto ricevuto.

In qual modo parlò dunque all'uomo? Gli parlò forse nell'intimo dell'anima sua, in un modo confacente alla sua intelligenza, in modo cioè che l'uomo capisse con la sua sapienza la volontà e il comando di Dio, senza bisogno d'alcun suono fisico o d'alcuna immagine di realtà fisiche?

Ma io non credo che Dio parlasse così al primo uomo, poiché il racconto della Scrittura ha tali caratteristiche da indurci a credere piuttosto che Dio parlò all'uomo come anche in seguito parlò ai Patriarchi, ad Abramo, a Mosè, vale a dire prendendo un aspetto corporeo.

Ecco perché i progenitori udirono la voce di Dio che verso sera passeggiava nel paradiso e si nascosero. ( Gen 3,8 )

19.38 - La duplice opera della Provvidenza

Ci si offre qui una magnifica occasione che non dovremmo trascurare: quella cioè di considerare - per quanto siamo in grado e Dio si degna d'aiutarci e di concederci - la duplice attività della Provvidenza, cui più sopra abbiamo accennato di sfuggita parlando dell'agricoltura, perché fin d'allora l'animo del lettore si abituasse a considerare quell'attività, poiché questa considerazione ci è d'immenso aiuto a non concepire alcuna idea indegna della natura di Dio.

Diciamo dunque che l'Essere supremo, il vero, solo e unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo - cioè Dio, il suo Verbo e lo Spirito d'ambedue, ossia la Trinità, senza confusione e senza separazione [ delle Persone ] - Dio che solo possiede l'immortalità e abita in una luce inaccessibile, che nessuno degli uomini ha mai visto né può vedere, ( 1 Tm 6,16 ) non è contenuto in alcun luogo finito o infinito dello spazio né è soggetto a mutamento per il volgere finito od infinito dei tempi.

Nella sua sostanza, per cui è Dio, non esiste alcuna parte che sia minore dell'intero, come è invece necessariamente il caso delle sostanze situate nello spazio, e neppure c'era, nella sua sostanza, qualcosa che ora non c'è più o vi sarà ciò che ancora non c'è, come accade invece nelle sostanze che possono esser soggette al cambiamento nel tempo.

20.39 - La creatura corporale, mutevole nel tempo e nello spazio, la spirituale nel tempo, Dio in nessun modo

Dio, dunque, che vive in un'eternità immutabile, ha creato simultaneamente tutte le cose, a partire dalle quali cominciassero a scorrere i secoli, a riempirsi gli spazi, a svolgersi i secoli con il movimento degli esseri soggetti al tempo e situati nello spazio.

Di questi esseri alcuni li fece spirituali, altri corporali, formando una materia che non fu creata da altri né era increata, ma da lui solo fu creata formata e formabile, in modo che la sua formazione fosse precedente non rispetto al tempo ma rispetto all'origine.

Le creature spirituali Dio le ha poste al di sopra di quelle corporali, poiché quelle spirituali possono cambiare solo nel tempo, quelle corporali invece nel tempo e nello spazio.

L'anima, per esempio, cambia nel tempo col ricordarsi di ciò che aveva dimenticato o con l'imparare ciò che non sapeva o col volere ciò che non voleva; il corpo invece si muove nello spazio o dalla terra verso il cielo o dal cielo verso la terra, o da Oriente verso Occidente o con qualunque altro simile movimento.

Ora, tutto ciò che si muove attraverso lo spazio non può farlo se non movendosi allo stesso tempo anche attraverso il tempo.

Per contro, non tutto ciò che si muove attraverso il tempo deve necessariamente muoversi anche attraverso lo spazio.

Come dunque la sostanza che si muove solo attraverso il tempo è superiore a quella che si muove nel tempo e nello spazio, così è superiore ad essa quella che è immobile sia nello spazio che nel tempo.

Allo stesso modo quindi che lo spirito creato, che si muove solo nel tempo, muove il corpo attraverso il tempo e lo spazio, così lo Spirito creatore, pur essendo immobile nel tempo e nello spazio, muove lo spirito creato attraverso il tempo; lo spirito creato invece muove se stesso attraverso il tempo e muove il corpo attraverso il tempo e lo spazio, mentre lo Spirito creatore muove se stesso fuori del tempo e dello spazio, muove lo spirito creato nel tempo ma fuori dello spazio, e muove il corpo attraverso il corpo e lo spazio.

21.40 - In che modo Dio immobile muove le creature si arguisce dall'esempio dell'anima

Se perciò uno si sforza di capire in qual modo Iddio eterno, veramente eterno e veramente immortale e immutabile, che non si muove né attraverso lo spazio né attraverso il tempo, muove le sue creature nel tempo e nello spazio, penso non riesca ad arrivarci qualora non abbia prima capito con l'anima, cioè lo spirito creato, che si muove non attraverso il tempo, muove il corpo attraverso il tempo e lo spazio.

Se infatti non è ancora in grado di capire ciò che si attua nell'interno di se stesso, quanto meno sarà capace di capire ciò che è al di sopra di lui!

21.41 - In che modo l'anima muove le membra del corpo

L'anima infatti, a causa del suo abituale legame con i sensi del corpo, immagina di muoversi anch'essa nello spazio insieme col corpo mentre lo muove attraverso lo spazio.

Ma se potesse conoscere con esattezza come sono disposti nelle articolazioni quelli che sono, per così dire, i perni delle membra del corpo sui quali quelle poggiano nel primo impulso dei loro movimenti, scoprirebbe che le membra le quali sono mosse attraverso lo spazio, non vengono mosse che da una parte del corpo che rimane ferma.

Così, per esempio, non si muove un sol dito se non a condizione che la mano sulla cui articolazione, come su di un perno immobile, si effettua il movimento, resti ferma.

Così l'intera mano, quando si muove, poggia sull'articolazione del gomito, il gomito su quella dell'omero e questo su quella della scapola; mentre i perni, su cui poggiano i vari movimenti, restano immobili, il membro che si muove si sposta attraverso lo spazio.

Così l'articolazione della pianta del piede è nel tallone che sta fermo perché essa possa muoversi; quella del femore sta nel ginocchio e quella dell'intera gamba nella coscia.

Nessun membro, quand'è mosso dalla volontà, può assolutamente muoversi se non poggiando sul perno di qualche articolazione che viene dapprima immobilizzato dall'ordine della medesima volontà affinché il membro, che non si muove attraverso lo spazio, possa imprimere l'impulso a quello che si muove.

Infine neppure un piede nel camminare può alzarsi senza che l'altro immobile non sopporti il peso di tutto il corpo fino a quando il piede in moto non sia portato dal luogo, d'onde si sposta, all'altro dove sta andando, poggiando sul perno fermo della propria articolazione.

21.42 - Il medesimo argomento

Orbene, la volontà non muove alcun membro [ del corpo ] attraverso lo spazio se non servendosi dell'articolazione d'un membro ch'essa tiene immobile, sebbene non solo la parte del corpo che viene mossa, ma anche quella che rimane ferma e permette il movimento dell'altra, abbiano le loro dimensioni corporee con cui occupano uno spazio corrispondente alla loro estensione.

A maggior ragione quindi resta immobile nello spazio l'anima che ordina il movimento alle membra soggette al suo volere: conforme a questo resta fermo il perno [ del membro ] su cui possa poggiare quello che dev'essere mosso.

L'anima infatti non è una sostanza corporea e non riempie il corpo con l'occupare uno spazio come l'acqua riempie un otre o una spugna; ma essa è misteriosamente unita al corpo, per vivificarlo, con l'impulso incorporeo del suo comando e governa il corpo mediante una - diciamo così - tensione spirituale, non mediante il peso d'una massa corporale.

Con tanta maggior ragione dunque la volontà che comanda non muove se stessa attraverso lo spazio, per muovere il corpo nello spazio, dal momento che lo muove tutto per mezzo delle sue parti senza muoverne alcuna nello spazio se non mediante le parti ch'essa tiene immobili.

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