Lettere

Indice

Lettera 145

Scritta probabilmente nel 413/14.

Agostino risponde volentieri all'amico Anastasio, mostrandogli quanto siano pericolose le attrattive del mondo e la concupiscenza, dalla quale ci libera solo la grazia ( n. 1-2 ); dimostra che per adempiere la giustizia è necessaria la grazia cioè l'amor di Dio, non bastando la Legge ( n. 3 ), la quale si adempie appunto con l'amore e non col timore ( n. 4-7 ); precisa che la difesa della grazia è diretta contro i Pelagiani ( n. 8 ).

Agostino saluta nel Signore Anastasio, suo fratello santo e desiderabile

1 - Agostino occupatissimo all'amico carissimo

Mi si presenta un'occasione assai favorevole di salutare la tua Sincerità per mezzo dei degni servi di Dio Lupiciano e Concordiale nostri fratelli, per mezzo dei quali, anche se non ti scrivessi, la tua Carità potrebbe apprendere tutto quello che si fa qui da noi.

So quanto mi ami in Cristo, poiché tu pure sai quanto io a mia volta ti ami in Lui.

Per questo non ho dubitato che ti saresti potuto dispiacere se avessi visto i nostri fratelli senza una mia lettera, dal momento che non avresti potuto ignorare che erano partiti di qui e sono a me legati da intima amicizia.

Aggiungi che ti ero debitore di una risposta, poiché da quando ricevetti la tua lettera non sono sicuro di averti risposto se non ora per la prima volta, essendo impegnato e sovraccarico da tali e tante preoccupazioni, che non sono sicuro nemmeno di questo.

2 - Dalle passioni libera solo la grazia di Dio

Io d'altra parte desidero vivamente di conoscere come state e se il Signore vi ha concesso un po' di requie, per quanto è possibile su questa terra; poiché " se un membro è onorato, si rallegrano con esso tutti i membri ". ( 1 Cor 12,26 )

Capita spesso che, quando in mezzo alle nostre ansietà pensiamo che i nostri fratelli godono di una sia pur piccola tranquillità, ci rallegriamo anche noi non poco, come se noi pure vivessimo con loro in una pace e calma maggiore.

Del resto anche quando aumentano le molestie inerenti alla fragilità di questa vita, esse spingono a desiderare la pace eterna.

Poiché questo mondo offre maggiori pericoli nei godimenti che nelle afflizioni e bisogna guardarsene di più quando ci adesca per farsi amare, che quando ci ammonisce e costringe a disprezzarlo. In realtà tutto ciò che c'è nel mondo è " concupiscenza della carne e degli occhi e ambizione mondana"; ( 1 Gv 2,17 ) spesso persino nelle persone che antepongono a questi beni mondani quelli spirituali, invisibili ed eterni, s'insinua un senso di terrena dolcezza e accompagna con i suoi piaceri i nostri doveri.

Quanto più capaci sono i beni futuri a favorire la carità, tanto più esercitano la loro tirannia i beni presenti sull'umana fragilità.

E volesse il cielo che quelli, che hanno imparato a vedere questi pericoli e a gemerne, meritassero di vincerli e di liberarsene!

Ma senza la grazia di Dio non può riportare una tale vittoria la volontà umana la quale non può chiamarsi libera finché è soggetta alle passioni che la vincono e l'avvincono.

Poiché ognuno è schiavo di colui dal quale è stato vinto. ( 2 Pt 2,19 )

E lo stesso Figlio di Dio dice: Se il Figlio vi libererà, allora veramente sarete liberi. ( Gv 8,36 )

3 - La Legge e la grazia

La Legge pertanto, con l'insegnarci e il prescrivere ciò che si può osservare solo con la grazia, mostra all'uomo la sua infermità affinché, convinto della propria debolezza, chieda aiuto al Salvatore, affinché la volontà risanata da lui acquisti la capacità di fare ciò che non potrebbe essendo inferma.

La Legge dunque ci conduce alla fede; questa a sua volta ottiene con la preghiera una maggiore effusione dello Spirito; lo Spirito diffonde la carità: ed è questo amore che rende possibile l'adempimento della Legge.

Perciò la Legge è chiamata " pedagogo ", ( Gal 3,24 ) e sotto le terribili minacce della sua severità sarà salvo chi avrà invocato il nome del Signore.

Ma " in qual modo invocheranno Colui nel quale non hanno creduto? ". ( Rm 10,14 )

Affinché dunque la lettera, senza lo spirito, non sia morta, è necessario lo Spirito che vivifica ( 2 Cor 3,6 ) dato a chi crede e lo invoca; allora la carità di Dio si diffonde nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato, ( Rm 5,5 ) affinché si adempia quello che dice l'Apostolo: Compimento della Legge è l'amore. ( Rm 13,10 )

In tal modo la Legge è buona per chi ne fa un uso corrispondente alla natura di essa; ( 1 Tm 1,8 ) e se ne serve secondo la sua natura di legge chi comprende per quale scopo gli è stata data, e sotto la sua minaccia si rifugia nella grazia che lo libera.

Chiunque si mostra ingrato verso questa grazia, da cui l'empio è giustificato, e per adempiere la Legge fa affidamento nelle sue forze ignorando la giustizia di Dio e pretendendo di stabilire la propria, non è sottomesso alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

Perciò la Legge non costituisce un aiuto alla sua liberazione dal peccato, ma un legame che lo tiene attaccato alla colpa.

Non perché la Legge non sia cosa buona, ma perché il peccato, come sta scritto, mediante una cosa buona procura morte ( Rm 7,13 ) a siffatte persone.

Difatti per cagione del comandamento pecca più gravemente chi, proprio in forza del comandamento, sa quanto sia cattiva l'azione che commette.

4 - Non ama la giustizia chi non pecca per paura della pena

È in errore chi crede di essere vincitore del peccato se si astiene dal peccato per timore del castigo; poiché anche se non si compie esternamente l'atto della passione cattiva, questa è come un nemico che portiamo dentro di noi.

Come può risultare innocente al cospetto di Dio chi desiderasse fare ciò che è proibito, se gli fosse sottratto il castigo temuto?

Perciò è colpevole nella sua propria volontà chi vorrebbe fare ciò che non è lecito e si astiene dal farlo solo perché non lo può impunemente, poiché, per quanto sta in lui, preferirebbe che non ci fosse la giustizia che proibisce e castiga i peccati; e se preferisce che non ci fosse la giustizia, chi metterebbe in dubbio che, avendone la possibilità, la sopprimerebbe?

Come può essere dunque giusto un nemico così accanito della giustizia che, se glie ne si offrisse l'occasione, ne sopprimerebbe i precetti per non sopportarne le minacce o il giudizio?

Concludendo, è nemico della giustizia chi non pecca per timore del castigo: sarà invece amico della giustizia chi non pecca per amore di essa, poiché allora veramente avrà timore del peccato.

Mi spiego meglio: chi teme la geenna, non ha paura di peccare ma di bruciare.

Teme invece di peccare chi odia il peccato stesso come la geenna.

Ecco qual è il timore casto di Dio e che resta per tutti i secoli. ( Sal 19,10 )

Il timore del castigo invece ha il suo tormento e non è insito nell'amore: l'amore perfetto lo caccia lontano. ( 1 Gv 4,18 )

5 - L'autentica norma della morale è la carità

Orbene, si odia il peccato nella misura in cui si ama la giustizia, e ciò non sarà possibile per mezzo della Legge che atterrisce con la lettera, ma per mezzo dello Spirito, che guarisce con la grazia.

Allora avviene ciò che richiama alla nostra mente l'Apostolo: Io uso un linguaggio umano a causa della debolezza della vostra carne: come avete offerto le vostre membra quali schiave all'impurità e all'iniquità, per vivere nell'iniquità, così offrite le vostre membra quasi schiave alla giustizia, per la santificazione. ( Rm 6,19 )

Che cosa vogliono dire questi due membri della similitudine " come… così ", se non: come a peccare non v'induceva il timore ma la passione e il piacere del peccato stesso, così a vivere santamente non vi spinga la paura del castigo, ma vi guidi il piacere e l'amore della giustizia?

Questa poi, a mio giudizio, non è ancora la perfezione ma solo, per così dire, l'adolescenza della giustizia.

Paolo infatti non avrebbe fatto una simile premessa: Uso un linguaggio umano a causa della debolezza della carne umana, se non avesse voluto far capire che avrebbe dovuto dire qualche cosa di più grave, se gli uomini fossero stati in grado di sopportarlo.

Poiché alla giustizia si deve porgere maggiore sottomissione di quanta ne sogliono porgere gli uomini al peccato.

Il castigo fisico infatti ci ritrae, se non dalla volontà, dal commettere materialmente il peccato.

È difficile trovare uno che commetta in pubblico un peccato per trarne un illecito e immondo piacere, se è sicuro che ne seguirà subito dopo il tormento della punizione.

La giustizia però deve essere amata in modo che neppure le pene corporali ci devono ritrarre dal compiere le sue opere, e che anche tra le mani di crudeli nemici devono risplendere le nostre opere agli occhi degli uomini, affinché coloro ai quali esse possono piacere glorifichino il Padre nostro che è nei cieli. ( Mt 5,16 )

6 - A Cristo unisce la carità, non la paura del castigo

Ecco perché Paolo, l'amico tanto coraggioso della giustizia, esclama: Chi mai ci separerà dall'amore di Cristo?

Forse la tribolazione o l'angoscia o la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?

Come sta scritto: Per amor tuo siamo tratti a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. ( Sal 44,22 )

Però in tutte queste cose noi riportiamo piena vittoria in virtù di Colui che ci ha amati.

Poiché io sono convinto che né morte né vita né angeli né principati né cose presenti o future né potenza né altezza né profondità né alcuna altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio, che si è rivelato in Cristo Gesù, nostro Signore. ( Rm 8,35-39 )

Bada che l'Apostolo non dice genericamente: " Chi ci separerà da Cristo ", ma per mostrare con che cosa dobbiamo essere uniti a Cristo, precisa: Chi ci separerà dall'amore del Cristo?

Noi dunque ci teniamo uniti a Cristo con l'amore, non col timore del castigo.

L'Apostolo infine, ricordate le cose che sembrano avere in sé della forza, ma non hanno la capacità di separare, conclude chiamando amore di Dio quello che prima aveva detto amore di Cristo.

E cosa vuol dire amore di Cristo, se non " amore della giustizia "?

Di Lui sta scritto: Egli per volere di Dio è divenuto per noi sapienza e santificazione e redenzione, affinché come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31; Ger 9,24 )

Per concludere, come è sommamente iniquo chi non si tiene lontano dalle immonde opere della lurida voluttà, così è sommamente giusto chi, neppure dal terrore dei castighi corporali, si lascia distogliere dalle opere della luminosissima carità.

7 - Chiedere assiduamente l'amore di Dio

Questo amore di Dio - bisogna tenerlo ognora presente al nostro pensiero - si diffonde nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato, ( Rm 5,5 ) affinché colui che si vanta, si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )

Quando dunque ci accorgiamo d'esser poveri e bisognosi di questo amore, col quale si adempie verissimamente la Legge, non dobbiamo reclamarne la ricchezza in base alla nostra povertà, ma dobbiamo chiedere, cercare, bussare a forza di preghiere, affinché Colui presso il quale è la sorgente della vita, ci conceda d'inebriarci dell'opulenza della sua casa e ci disseti facendoci bere al torrente delle sue delizie. ( Sal 36,9 )

Inondati e rinvigoriti da esso, non solo non saremo sommersi dalla tristezza, ma potremo gloriarci nelle tribolazioni sapendo che la tribolazione produce la pazienza, questa la prova, e la prova infine la speranza; la speranza poi non delude, ( Rm 5,4 ) non perché ne siamo capaci da noi stessi, ma perché l'amore di Dio è diffuso nei nostri cuori, mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.

8 - È diretta contro i Pelagiani la difesa della grazia

Ho provato una gran gioia a parlare di queste cose con te almeno per lettera, dato che non ho potuto farlo in tua presenza.

Ciò che scrivo non è diretto a te che, non avendo pensieri di superbia, ti accompagni con gli umili, ( Rm 12,16 ) ma a certuni i quali ripongono eccessiva fiducia nella volontà umana.

Essi credono che, data la Legge, per adempierla sia sufficiente la volontà, senza che essa, sia aiutata dalla grazia della santa ispirazione oltre all'insegnamento della Legge.

Costoro con le loro dispute cercano di persuadere gli uomini deboli, miseri e bisognosi, che non dobbiamo nemmeno pregare di non cadere in tentazione.

Non osano dirlo apertamente ma, vogliano o no, è questa la conseguenza di ciò che pensano.

A che scopo infatti ci si dice: Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione? ( Mt 26,41 )

A che scopo Gesù, insegnandoci a pregare, conforme a questa esortazione ci ordinò di dire: Non ci indurre in tentazione, ( Mt 6,13 ) se ciò non si compie con l'aiuto della grazia divina, ma dipende completamente dall'arbitrio della volontà umana?

Salutami i fratelli che sono con te e pregate per me, affinché io sia salvo conforme alla salvezza, della quale è detto: Non le persone sane hanno bisogno del medico, ma gli infermi; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Mt 9,12-13 )

Pregate dunque per me, affinché io sia giusto.

Un uomo non può certo diventare giusto se non lo sa né lo desidera, mentre lo sarà di sicuro chi lo vorrà con tutte le sue forze; ma in lui ciò non si compirà, se non verrà risanato dalla grazia dello Spirito e aiutato ad esserne capace.

Indice