Le nozze e la concupiscenza

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Libro I

9.10 - La poligamia dei patriarchi fu concessa in vista della moltiplicazione dei figli, non del piacere

Se infatti il Dio dei nostri padri, che è anche il nostro Dio, avesse approvato quella pluralità di mogli perché più copiose fossero le eccitazioni della libidine, anche le sante donne avrebbero potuto ugualmente servire ciascuna a più mariti.

Ma se qualcuna l'avesse fatto, cosa se non la turpe concupiscenza l'avrebbe spinta ad avere più mariti, dal momento che da questa licenza non avrebbe ottenuto più figli?

Nondimeno, che al bene del matrimonio convenga di più l'unione di un solo uomo con una donna sola che l'unione di un uomo con molte donne, è chiaramente indicato dalla stessa prima unione coniugale voluta da Dio, affinché i matrimoni da lì ricevessero inizio dove si riscontra l'esempio di maggior onestà.

Con il progredire dell'umanità, però, alcuni uomini si unirono singolarmente con più donne, senza scapito dell'onestà di nessuno.

Da dove appare come la monogamia rispondesse di più alla misura richiesta dalla dignità, mentre la poligamia fu concessa dall'esigenza della fecondità.

Anche il primato, d'altronde, se viene esercitato da uno solo su molti, è più conforme alla natura che se venisse esercitato da molti su uno.

Né possiamo mettere in dubbio che nell'ordine naturale gli uomini godano di una supremazia sulle donne piuttosto che le donne sugli uomini.

In ossequio a questo principio l'Apostolo disse: L'uomo è il capo della donna ( 1 Cor 11,3 ) e ancora: Donne, siate sottomesse ai vostri mariti. ( Col 3,18 )

Anche l'apostolo Pietro scrive: Come Sara ubbidiva ad Abramo, chiamandolo signore. ( 1 Pt 3,6 )

Sebbene dunque le cose stiano in modo che la natura preferisca l'unicità nel comando, mentre più facilmente vediamo la pluralità nei sudditi, tuttavia non sarebbe mai lecita l'unione di più donne con un solo uomo, se da essa non dovessero nascere più figli.

Per cui, se una donna si unisse con più uomini, poiché da una tale unione non risulterebbe un maggior numero di figli, ma solo piaceri più frequenti, essa non potrebbe più essere una moglie, bensì una meretrice.

10.11 - L'indissolubilità del matrimonio e divorzio

In verità, agli sposi cristiani non viene raccomandata soltanto la fecondità, il cui frutto sono i figli, né solo la pudicizia, il cui vincolo è la fedeltà, ma anche un certo sacramento del matrimonio, a motivo del quale l'Apostolo dice: Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa. ( Ef 5,25 )

Non c'è dubbio che la realtà di questo sacramento è che l'uomo e la donna, uniti in matrimonio, perseverino nell'unione per tutta la vita e che non sia lecita la separazione di un coniuge dall'altro, eccetto il caso di fornicazione. ( Mt 5,32 )

Questo infatti si osserva tra Cristo e la Chiesa che vivendo l'uno unito all'altro non sono separati da alcun divorzio per tutta l'eternità.

Tanto scrupolosa è l'osservanza di questo sacramento nella città del nostro Dio, sul suo monte santo, ( Sal 48,2 ) cioè nella Chiesa di Cristo, da parte di tutti gli sposi fedeli che senza dubbio sono membra di Cristo, che, sebbene la ragione per cui le donne prendono marito e gli uomini prendono moglie sia la procreazione dei figli, non è permesso abbandonare neppure la moglie sterile, per sposarne una feconda.

Che se qualcuno lo facesse, non secondo la legge di questo secolo, dove servendosi del ripudio è permesso di contrarre senza crimine nuovi matrimoni con altre persone ( cosa permessa agli Israeliti, secondo la testimonianza del Signore, anche dal santo Mosè a causa della durezza del loro cuore ), ( Mt 19,8; Mc 10,5 ) secondo la legge del Vangelo sarebbe responsabile di adulterio.

Lo stesso vale per la donna se si maritasse con un altro.

Tra persone viventi i diritti del matrimonio, una volta ratificati, sussistono a tal punto che coloro che si sono separati l'uno dall'altro rimangono più coniugi tra loro che nei confronti di quegli altri con cui si sono uniti.

Se non rimanessero coniugi l'uno dell'altro, non sarebbero adulteri quando stanno con altri.

Inoltre, solo alla morte dell'uomo, con il quale si era contratto un vero matrimonio, si potrà fare un vero matrimonio con colui al quale prima si era uniti in adulterio.

Permane così tra loro, finché sono in vita, un certo legame coniugale, che non può essere rimosso né dalla separazione né dall'adulterio.

Permane, però, in vista della punizione del crimine, non come un vincolo di un patto, come l'anima di un apostata che recede, per così dire, dall'unione sponsale con Cristo: anche quando ha perduto la fede, essa non perde il sacramento della fede, ricevuto con il lavacro della rigenerazione.

Se l'avesse perduto nell'allontanarsi, senza dubbio le sarebbe restituito al ritorno.

Ma chi si è allontanato lo possiede per accrescere la pena, non per meritare il premio.

11.12 - Nel matrimonio di Maria e Giuseppe si realizzarono i tre beni del matrimonio

Quanto agli sposi che di comune accordo decidono di astenersi per sempre dall'uso della concupiscenza carnale non rompono in alcun modo il vincolo coniugale che li lega l'uno all'altro.

Al contrario, tale vincolo sarà tanto più forte quanto più quell'accordo, che dev'essere osservato con più amorosa concordia, è stato da loro raggiunto non negli abbracci voluttuosi dei corpi, ma negli slanci volontari degli animi.

Non sono fallaci, infatti, le parole rivolte dall'angelo a Giuseppe: Non temere di accogliere Maria tua sposa. ( Mt 1,20 )

È chiamata sposa per il primo impegno di fidanzamento, senza che Giuseppe l'avesse conosciuta o stesse per conoscerla nell'unione carnale.

Non era venuto meno né era stato conservato fallacemente il titolo di sposa, nonostante che non ci fosse stata né ci sarebbe mai stata un'unione carnale.

Il motivo per cui la Vergine era ancora più santamente e meravigliosamente cara a suo marito consiste nel fatto che anche senza l'intervento del marito essa divenne feconda, superiore a lui per il Figlio, pari nella fedeltà.

A motivo di questo fedele matrimonio entrambi meritarono di essere chiamati i genitori di Cristo: non solo lei fu chiamata madre, ma anche lui, in quanto sposo di sua madre, fu chiamato suo padre; era sposo e padre nello spirito, non nella carne.

Tuttavia, sia Giuseppe, padre soltanto in spirito, sia Maria, madre anche secondo la carne, furono entrambi i genitori della sua umiltà non della sua grandezza, della sua debolezza non della sua divinità.

Non mentisce, infatti, il Vangelo, dove si legge: Suo padre e sua madre erano stupiti di quanto si diceva di lui ( Lc 2,33 ) né in un altro passo: Tutti gli anni i suoi genitori si recavano a Gerusalemme ( Lc 2,41 ) né poco dopo: Sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre ed io addolorati ti cercavamo. ( Lc 2,48ss )

Ma Gesù per mostrare di avere oltre ad essi un altro Padre, che lo generò senza il concorso di nessuna madre, rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?

E di nuovo, perché non si credesse che con quelle parole li rinnegasse come genitori, l'evangelista continua dicendo: Ma essi non compresero la parola che aveva detto loro.

E discese con loro e ritornò a Nazareth ed era loro sottomesso.

A chi era sottomesso se non ai genitori?

E chi era il sottomesso se non Gesù Cristo, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio? ( Fil 2,6-7 )

Perché dunque si sottomise ad essi che erano molto al di sotto della condizione divina, se non perché annichilò se stesso prendendo la condizione di servo, di cui essi erano i genitori?

Ma, avendolo lei generato senza l'intervento di lui, certamente non sarebbero entrambi neppure genitori della condizione di servo, se non fossero coniugi l'uno dell'altro, anche senza l'unione della carne.

Per questo motivo, quando vengono ricordati in ordine di successione gli antenati di Cristo, la serie delle generazioni doveva essere condotta preferibilmente fino a Giuseppe, come è stato fatto, perché in quel matrimonio non fosse fatto un torto al sesso virile, indubbiamente superiore, senza che venisse meno la verità, dal momento che sia Giuseppe che Maria erano della stirpe di David, dal quale, era stato predetto, doveva nascere il Cristo.

11.13 Nei genitori di Cristo, quindi, sono stati realizzati tutti i beni propri del matrimonio: prole, fedeltà e sacramento.

La prole, la riconosciamo nello stesso Signore Gesù; la fedeltà, nel fatto che non ci fu adulterio; il sacramento, perché non ci fu divorzio.

12 - Il piacere non è un bene del matrimonio, ma disonestà per chi pecca, necessità per chi genera

Soltanto l'atto coniugale vi fu assente, perché nella carne di peccato non poteva essere compiuto senza quella concupiscenza della carne che viene dal peccato e senza la quale volle essere concepito Colui che doveva essere senza peccato, non nella carne di peccato, ma nella rassomiglianza della carne di peccato. ( Rm 8,3 )

Così ci insegnava pure che ogni carne che nasce dall'unione carnale è carne di peccato, dal momento che solo la carne che non nacque da essa non fu carne di peccato.

Ciò nonostante, l'atto coniugale compiuto con l'intenzione di generare non è di per sé peccaminoso, perché la buona volontà dell'animo riesce a guidare il piacere corporale, che ne segue, senza farsi guidare da esso e senza che l'arbitrio dell'uomo venga soggiogato e trascinato dal peccato, quando la ferita del peccato è ricondotta, com'è giusto, all'uso della procreazione.

Un certo prurito di questa ferita signoreggia nella turpitudine degli adulteri, delle fornicazioni e di ogni altro genere di libidine e di impudicizia, nei rapporti coniugali invece è costretto a servire.

Là si condanna la turpitudine a causa di un tale padrone, qui l'onestà si vergogna di avere un tale compagno.

Non è dunque un bene del matrimonio cotesta libidine, ma disonestà per quelli che peccano e necessità per quelli che generano, ardore della dissolutezza e pudore del matrimonio.

Per quale motivo, dunque, non dovrebbero rimanere coniugi coloro che di mutuo accordo cessano di avere rapporti, se rimasero coniugi Giuseppe e Maria, i quali neppure incominciarono ad avere tali rapporti?

13.14 - Dopo Cristo la propagazione dei figli non è più necessaria come nell'antico testamento

Questa propagazione dei figli, che per i santi patriarchi era un dovere gravissimo per generare e conservare il popolo di Dio, nel quale doveva precedere l'annuncio profetico del Cristo, oggi non conosce più una tale urgenza.

Ormai ci si fa incontro da tutte le nazioni una moltitudine di figli che devono rinascere spiritualmente, qualunque sia la loro origine carnale.

Anche ciò che è scritto: C'è un tempo per gli abbracci e un tempo per astenersene ( Qo 3,5 ) lo riconosciamo suddiviso tra quell'antico tempo e il presente: quello fu il tempo degli abbracci, questo il tempo della astinenza dagli abbracci.

13.15 - Il tempo è breve: chi è sposato viva come se non lo fosse

Perciò anche l'Apostolo dice a questo proposito: Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve!

D'ora innanzi anche quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero; quelli che piangono come se non piangessero e quelli che godono, come se non godessero; quelli che comprano, come se non comprassero e quelli che usano di questo mondo come se non l'usassero: perché passa la scena di questo mondo!

Io vorrei che voi foste senza sollecitudini. ( 1 Cor 7,29-32 )

Questo testo, per farne una breve esposizione, credo che deve essere inteso nel modo seguente.

Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve! significa che ormai il popolo di Dio non si deve più propagare con la generazione carnale, ma che deve essere raccolto con la rigenerazione spirituale.

D'ora innanzi quindi, quelli che hanno moglie non si sottomettano al giogo della concupiscenza carnale e quelli che piangono per la tristezza del male presente si allietino con la speranza del bene futuro; quelli che godono per qualche bene temporale temano il giudizio eterno; quelli che comprano possiedano i loro averi senza che vi si attacchi il loro cuore, quelli che usano di questo mondo pensino che vi sono di passaggio e non per rimanervi, perché passa la scena di questo mondo!

Io vorrei che voi foste senza sollecitudini, cioè vorrei che voi aveste il cuore in alto, nelle cose che non passano.

Poi continua dicendo: Chi non è ammogliato ha cura delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi invece è ammogliato ha cura delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie. ( 1 Cor 7,32-33 )

E così in qualche modo spiega quello che aveva detto prima: Quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero.

In effetti, quelli che hanno moglie in modo che pensano alle cose del Signore, come possono piacere al Signore, e neppure nelle cose di questo mondo pensano di piacere alla moglie, costoro vivono come se non avessero moglie.

A questa condizione si giungerà facilmente se anche le mogli saranno tali che ameranno i mariti non perché sono ricchi, occupano un posto elevato, sono di nobile casato e di bell'aspetto, ma perché sono fedeli, religiosi, casti e virtuosi.

14.16 - Per evitare mali maggiori è tollerabile una certa intemperanza nel matrimonio

Tuttavia, nelle persone coniugate come dobbiamo auspicare e lodare questi comportamenti, così dobbiamo tollerarne altri, per evitare che si cada in deplorevoli turpitudini, quali la fornicazione e l'adulterio.

Allo scopo di evitare questo male anche quegli atti coniugali, compiuti non in vista della procreazione, ma in obbedienza alla concupiscenza dominante e dei quali hanno l'ordine di non privarsi a vicenda, perché, a motivo della loro intemperanza, non siano tentati da satana, tali atti, pur non essendo imposti da un comando, sono concessi non di meno per indulgenza. ( 1 Cor 7,5 )

Così infatti è scritto: Il marito compia il suo dovere verso la moglie, ugualmente la moglie verso il marito.

La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo il marito non ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie.

Non vi private l'uno dell'altro, se non di comune accordo per un certo tempo, per darvi alla preghiera e poi tornate a stare insieme, affinché satana non vi tenti a motivo della vostra intemperanza.

Ma dico questo per indulgenza, non per comando. ( 1 Cor 7,3-6 )

Dove si deve usare indulgenza, non si può certo negare che vi sia una colpa.

Poiché, dunque, l'unione sessuale compiuta con l'intenzione di generare non è colpevole, ed è questo propriamente che dobbiamo ascrivere al matrimonio, cosa concede l'Apostolo per indulgenza se non che gli sposi, che non riescono a contenersi, chiedano l'uno all'altro il debito coniugale non per desiderio di prole, ma per il piacere sensuale?

Questo piacere, tuttavia, non cade nella colpa a causa del matrimonio, ma a causa del matrimonio trova indulgenza.

Di conseguenza, anche sotto questo aspetto il matrimonio è degno di lode, perché per suo merito viene scusato anche quello che non gli appartiene.

A patto, però, che neppure questa unione, in cui si è schiavi della concupiscenza, venga compiuta in maniera da creare ostacoli al feto, che il matrimonio reclama.

15.17 - Severa condanna delle pratiche anticoncezionali, dell'aborto e dell'esposizione dei figli

Tuttavia, una cosa è avere rapporti soltanto con l'intenzione di generare, che non comporta alcuna colpa; altra cosa è ricercare in tali rapporti, avuti sempre con il proprio coniuge naturalmente, il piacere della carne, che comporta una colpa veniale, perché anche se non ci si unisce in vista della propagazione della prole, neppure ci si oppone nel soddisfare la passione né con un malvagio desiderio né con una azione malvagia.

Coloro, infatti, che così si comportano, anche se si chiamano sposi, in realtà non lo sono e non conservano niente del vero matrimonio: si fanno schermo dell'onestà di questo nome per coprire la loro turpitudine.

Si tradiscono però, quando giungono al punto da esporre i propri figli, nati contro la loro volontà.

Detestano di allevare e tenere presso di sé i figli che temevano di generare.

Quando, dunque, la tenebrosa iniquità incrudelisce contro i propri figli, generati contro il proprio volere, viene portata alla luce da una chiara iniquità e la segreta turpitudine viene messa a nudo da una manifesta crudeltà.

Talvolta, questa voluttuosa crudeltà o se vuoi questa crudele voluttà si spinge fino al punto di procurarsi sostanze contraccettive e, in caso di insuccesso, fino ad uccidere in qualche modo nell'utero i feti concepiti e ad espellerli, volendo che il proprio figlio perisca prima di vivere oppure, nel caso che già vivesse nell'utero, che egli sia ucciso prima di nascere.

Non c'è dubbio: se sono tutti e due di tale pasta, essi non sono sposi; e se si comportarono così fin dal principio, non si unirono in matrimonio ma nella lussuria.

Se poi non sono tutti e due a comportarsi così, io oserei dire che o lei è in un certo senso la prostituta del marito o lui è l'adultero della moglie.

16.18 - La concupiscenza non regni ma sia costretta a servire

Poiché, dunque, il matrimonio non può essere oggi tale quale poteva essere quello dei primi uomini, qualora non ci fosse stato il peccato, sia almeno simile a quello dei santi patriarchi.

Tale cioè che la concupiscenza carnale, inesistente nel paradiso prima del peccato e non permessa dopo il peccato, dal momento che la sua presenza è inevitabile in questo corpo di morte, ( Rm 7,24 ) non sia essa a dominare, ma piuttosto sia costretta a servire unicamente alla propagazione della prole.

Oppure, poiché il tempo presente, che già abbiamo indicato come il tempo dell'astinenza dagli amplessi, non conosce l'urgenza di questo dovere, mentre da ogni parte, in tutte le nazioni, è pronta una così grande fecondità di figli che devono essere generati nello spirito, chi può comprendere, comprenda ( Mt 19,12 ) piuttosto l'eccellenza di quel bene, costituito dalla continenza.

Se poi uno non la può comprendere, se si sposa non pecca; ( 1 Cor 7,28 ) anche la donna, se non riesce a contenersi, si mariti. ( 1 Cor 7,9 )

Certo, è un bene per l'uomo non toccare donna. ( 1 Cor 7,1 )

Ma poiché non tutti capiscono questa parola, ma solo quelli ai quali è stata concessa, ( Mt 19,11 ) non rimane che per evitare le fornicazioni ogni uomo abbia la sua donna e ogni donna il suo marito ( 1 Cor 7,2 ) e così la debolezza dell'incontinenza sia sostenuta dall'onestà del matrimonio, affinché non si cada rovinosamente nelle turpitudini.

Quello infatti che l'Apostolo dice delle donne: Voglio che le giovani si maritino ( 1 Tm 5,14 ) si può applicare anche agli uomini: Voglio che i giovani si sposino, in modo da riferire il seguito ad ambedue i sessi: Che generino figli, che siano padri e madri di famiglia e che non offrano all'avversario alcuna occasione di critica.

17.19 - La concupiscenza non dev'essere lodata nel matrimonio, perché è un male sopraggiunto a causa del peccato

Nel matrimonio tuttavia siano amati i beni propri del matrimonio: la prole, la fedeltà e il sacramento.

La prole non solo perché nasca, ma anche perché rinasca; nasce infatti alla pena, se non rinasce alla vita.

La fedeltà, poi, non come quella che hanno anche gli infedeli nella gelosia della carne: nessun marito, per quanto empio, vuole una moglie adultera e nessuna donna, per quanto infedele, vuole un marito adultero.

Tale fedeltà nel matrimonio è certamente un bene naturale ma carnale.

Chi è membro di Cristo deve temere l'adulterio del coniuge non per se stesso, ma per il coniuge e attendere da Cristo il premio della fedeltà, che egli serba al coniuge.

Quanto al sacramento, infine, che non si perde né con la separazione né con l'adulterio, gli sposi lo custodiscano nella concordia e nella castità.

È l'unico bene infatti che conserva anche il matrimonio sterile a motivo della pietà, quando si è perduta ormai ogni speranza di fecondità, fine per il quale era stato contratto.

Questi sono i beni del matrimonio che devono essere lodati nel matrimonio da chi vuol farne l'elogio.

La concupiscenza carnale, invece, non deve essere ascritta al matrimonio, ma vi deve essere tollerata.

Non è un bene proveniente dalla natura del matrimonio, ma un male sopravvenutogli dall'antico peccato.

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