Questioni sulla lettera ai Romani

20 - [ 26 ] Né questo soltanto, ma ci gloriamo delle tribolazioni, ecc.

Procedendo per gradi porta il discorso fino all'amore di Dio.

Dice che tale carità noi l'abbiamo per un dono dello Spirito e dimostra che tutti quei beni che noi potremmo attribuire a noi stessi li dobbiamo invece attribuire a Dio, che attraverso lo Spirito Santo si è degnato elargire la grazia.

21 - [ 27 - 28 ] Fino alla legge ci fu il peccato nel mondo.

Sottintendi: [ Ci fu ] finché non venne la grazia.

Lo si dice contro coloro che ritengono che per togliere i peccati era sufficiente la legge, mentre l'Apostolo afferma che la legge non tolse ma mise in evidenza i peccati.

Ecco le sue parole: Quando non c'era la legge il peccato non veniva imputato.

Non dice che non c'era ma che non veniva imputato.

Quando poi fu data la legge, esso non venne eliminato ma cominciò ad essere imputato, cioè a manifestarsi.

L'affermazione poi fino alla legge non crediamo significhi che quando si giunse alla legge non ci fu più il peccato.

Intendi piuttosto le parole fino alla legge comprendendo in esse l'intero periodo della legge, finché essa non giunse al suo fine, che è Cristo.

22 - [ 29.1 ] Eppure regnò la morte da Adamo fino a Mosè anche in coloro che non peccarono con una prevaricazione simile a Adamo.

La frase può strutturarsi in due modi: primo, con una prevaricazione simile a Adamo regnò la morte, in quanto anche coloro che non commisero peccati dovettero morire a seguito della mortalità originaria derivante da Adamo.

Altrimenti lo si dovrà necessariamente leggere così: La morte regnò anche in coloro che non peccarono rassomigliandosi ad Adamo nella trasgressione, ma peccarono prima della legge.

Da cui seguirebbe che peccarono rassomigliandosi ad Adamo nella trasgressione coloro che ricevettero la legge perché anche Adamo peccò contravvenendo a una legge, o precetto, che aveva ricevuto.

Ovviamente poi l'aggiunta fino a Mosè è da prendersi come designazione di tutto il tempo in cui fu in vigore la legge.

E, quanto ad Adamo, se è chiamato figura di colui che doveva venire, è per motivi di contrasto: come per lui venne la morte, così per il nostro Signore venne la vita.

23 - [ 29.2 ] Ma non come il delitto così è anche il condono.

Il condono è superiore sotto due aspetti: primo, perché la grazia è molto più abbondante in quanto, se per la morte ereditata da Adamo la morte stessa ha regnato per un certo tempo, per la grazia si vive in eterno.

Secondo: se nella condanna di un unico delitto la morte incolse molti per la colpa di Adamo, per i meriti del nostro Signor Gesù Cristo viene data la grazia con cui i molti delitti vengono condonati e si consegue la vita eterna.

Paolo stesso espone questa seconda differenza dicendo: E non come per quell'unico che commise il peccato così è il dono.

La condanna infatti parte da uno e conduce alla condanna; la grazia al contrario da molti delitti conduce alla giustificazione.

Là dove si dice: Da uno occorre quindi sottintendere " delitto "; continua infatti: La grazia al contrario da molti delitti.

Questa pertanto è la differenza: in Adamo fu condannato un solo delitto, nel Signore invece sono stati da lui perdonati molti delitti.

Quel che segue conserva questa duplice differenza e lo si dovrebbe interpretare così: Se infatti per il delitto di un solo uomo ha regnato la morte a causa di quel solo, con molto maggior ragione coloro che ricevono l'abbondanza della grazia e della giustizia regneranno nella vita per l'opera di quel solo che è Gesù Cristo.

Pertanto le parole: Con molto maggior ragione regneranno si riferiscono alla vita eterna, mentre le altre: Ricevono l'abbondanza della grazia vanno riferite alla remissione dei molti delitti.

Spiegate queste distinzioni, torna al punto di partenza, cioè là dove aveva interrotto l'ordine delle idee e aveva detto: Infatti come per un solo uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte. ( Rm 5,12 )

Tornando dunque a quell'affermazione dice ora: Pertanto, come per il delitto di uno solo si giunse alla condanna per tutti gli uomini, così per la giustificazione operata da uno solo tutti gli uomini passano alla giustizia a alla vita.

Ancora: Come per la disobbedienza di uno solo molti sono diventati rei di peccato, così per l'obbedienza di uno solo molti diventeranno giusti.

Questa è l'immagine dell'Adamo che sarebbe venuto più tardi.

Di tale immagine aveva cominciato a parlare sopra ma poi aveva abbandonato il filo del discorso per inserirvi alcune note di differenziazione; ma ora tornando a quanto detto prima conclude: In effetti, come per il delitto di uno solo in tutti gli uomini, ecc.

24 - [ 30 ] La legge subentrò perché il delitto raggiungesse il colmo.

Ciò dicendo, lascia capire in modo abbastanza chiaro che i giudei non conobbero con quale funzione fosse stata data la legge.

Non fu data infatti perché gli uomini ottenessero la vita - ciò che vivifica è la grazia mediante la fede! -, ma fu data per mostrare quanto grandi e quanto stretti fossero i lacci del peccato che avvolgevano gli uomini che presumevano di conseguire la giustizia con le loro sole forze.

In realtà il peccato raggiunse il colmo sotto questi aspetti: primo perché a causa del divieto la concupiscenza divenne più ardente e, secondo, perché peccando l'uomo contro una legge, venne ad aggiungersi in lui la colpevolezza della trasgressione.

Capirà bene la cosa chi si ferma a riflettere sul secondo di quei quattro stadi.

25 - [ 31 ] Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato perché la grazia abbondi? Non sia mai!

Se infatti siamo morti al peccato, com'è possibile che viviamo in esso?

Così dicendo mostra che i peccati passati sono stati perdonati e che proprio in questa remissione dei peccati è consistita la sovrabbondanza della grazia.

Se pertanto qualcuno pensasse a un aumento di peccati per sperimentare così l'aumento della grazia mostrerebbe di non comprendere come un tale comportamento rende inefficace la grazia poiché l'efficacia della grazia sta proprio nel farci morire al peccato.

26 - [ 32 - 34 ] Noi sappiamo che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso insieme perché sia annientato il corpo del peccato.

Si riferisce a quanto detto da Mosè: Maledetto ogni uomo che sarà sospeso sul legno. ( Dt 21,23 )

Nella morte in croce del Signore si raffigura la crocifissione dell'uomo vecchio, come nella sua resurrezione la nascita dell'uomo nuovo.

È chiaro che noi conduciamo la vita dell'uomo vecchio, che fu maledetto, in quanto ci adeguiamo a colui dal quale [ ci fu trasmesso ] il peccato; nessuno potrà mettere in dubbio che tali parole furono dette anche del Signore, in quanto si caricò dei nostri peccati ( Is 53,11 ) e Dio lo ritenne peccato in vece nostra, ( 2 Cor 5,21 ) mentre egli diventando peccato portava la condanna del nostro peccato. ( Rm 8,3 )

Che significa poi " annientare il corpo del peccato "?

Lo spiega lui stesso dicendo: Affinché non siamo più servi del peccato, e anche con le parole: Se siamo morti con Cristo, cioè: Se siamo stati crocifissi con Cristo.

In un altro testo poi si esprime così: Coloro che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze. ( Gal 5,24 )

Non si tratta dunque di una maledizione che Mosè scaglia contro il Signore ma di una profezia che rivela il significato della sua crocifissione.

27 - [ 35 ] In voi il peccato non eserciterà il suo dominio, poiché non siete sotto la legge ma sotto la grazia.

Ci si trova evidentemente nel terzo degli stadi sopra ricordati, quando l'uomo con la mente serve la legge di Dio, pur essendo con la carne asservito alla legge del peccato. ( Rm 7,25 )

In quello stadio infatti l'uomo non asseconda i desideri del peccato, anche se le concupiscenze stanno ancora lì a sollecitarlo e a provocarne il consenso: cosa che succede finché il corpo non sia entrato anch'esso nella vita e la morte inghiottita nella vittoria. ( 1 Cor 15,54 )

Siccome dunque non consentiamo ai cattivi desideri, noi ci troviamo nella grazia e nel nostro corpo mortale non regna il peccato: ( Rm 6,12 ) per cui, a cominciare da quelle parole: Noi che siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? ( Rm 6,2 ) si descrive l'uomo in regime di grazia.

Viceversa colui nel quale il peccato spadroneggia sebbene gli si voglia resistere è un uomo che si trova sotto la legge, non ancora in regime di grazia.

28 - [ 36 ] Ora una annotazione sulle parole: La donna maritata, finché vive il marito, è soggetta alla legge; se invece suo marito muore è sciolta dalla legge che la univa al marito, ecc.

Il paragone differisce dalla realtà per illustrare la quale è stato composto, in quanto nella figura chi muore è il marito, per cui la donna, ormai libera dal vincolo che la legava a lui, può sposarsi con chi vuole, mentre la realtà illustrata dal paragone è diversa.

Lì Paolo suppone, su per giù, che la donna sposata sia l'anima e suo marito le passioni peccaminose che operano nelle membra producendo frutti di morte, sicché la prole che ne nasce è adeguata al connubio donde nasce.

Inoltre la legge venne data non per togliere il peccato o liberare dal peccato ma per rendere palese il peccato prima che giungesse la grazia: con la conseguenza che gli uomini sottoposti alla legge, furono presi da un'accresciuta voglia di peccare e, in più, divennero anche rei di trasgressione.

Nella realtà dei fatti dunque ci sono tre componenti: l'anima, raffigurata dalla donna; le passioni peccaminose, raffigurate dall'uomo; la legge, raffigurata dal vincolo tra uomo e donna.

L'Apostolo tuttavia non dice che l'anima viene liberata dai peccati, che sarebbero morti, come la donna quando muore il marito, ma dice che l'anima muore al peccato e viene liberata dalla legge per appartenere a un altro uomo, che poi è Cristo, quando muore al peccato, anche se il peccato in sé rimane, per così dire, ancora in vita.

Questo si verifica in noi quando, pur rimanendo in noi le passioni e gli stimoli a peccare, noi non cediamo ad essi né vi consentiamo con la mente, con la quale vogliamo restare al servizio di Dio, poiché al peccato siamo morti.

Il peccato in sé morirà in noi quando, nella resurrezione, avverrà la trasfigurazione del nostro corpo, di cui un po' più avanti dirà: Egli darà la vita anche ai vostri corpi mortali in grazia dello Spirito che dimora in voi. ( Rm 8,11 )

29 - [ 37.1 ] Prendendo occasione dal precetto, il peccato ha operato in me tutta la concupiscenza.

È quindi da supporsi che la concupiscenza non era totale prima che venisse la proibizione a farla crescere.

Con la proibizione infatti, mancando la grazia di colui che libera, la concupiscenza si accresce, sicché fin quando manca la proibizione la concupiscenza non è completa.

Quando invece arriva la proibizione ma, come si diceva, è assente la grazia, la concupiscenza aumenta fino a diventare, nel suo genere, totale.

Diventa cioè così assoluta [ nelle sue esigenze ] da far agire contro la stessa legge accrescendo con la trasgressione la gravità della colpa.

30 - [ 37.2 ] Senza la legge il peccato è morto.

Dice: È morto non perché non c'è ma perché è nascosto.

Lo chiarisce in seguito quando dice: Ma il peccato, per manifestarsi peccato, mediante una cosa buona mi ha causato la morte.

La legge infatti è una cosa buona, ma senza la grazia può solo evidenziare i peccati, non toglierli.

31 - [ 38 ] Le parole: Ma io un tempo vivevo senza la legge son da prendersi nel senso di " credevo di vivere ", in quanto prima che venisse il comandamento il peccato era nascosto.

E così le altre: Quando invece sopraggiunse il comandamento, il peccato riacquistò la vita e io divenni morto.

Occorre intenderle nel senso che allora il peccato cominciò a diventare una realtà palese e io mi accorsi di essere morto.

32 - [ 39 ] Il peccato infatti, prendendo occasione, mediante il precetto stesso mi ingannò e uccise.

Lo dice in quanto il frutto di un desiderio proibito è più dolce: e per lo stesso motivo i peccati occulti sono anch'essi più dolci, sia pure di una dolcezza che conduce alla morte.

Si comprende così quanto è scritto nel libro di Salomone là dove, volendosi raffigurare la falsa dottrina, si presenta una donna che, seduta, invita gli inesperti a recarsi da lei dicendo: Mangiate con gusto i pani nascosti e bevete furtivamente la dolce acqua. ( Pr 9,17 )

Questa dolcezza è l'occasione di peccare scoperta mediante il precetto: quando la si desidera non fa che ingannare e si cambia in più forte amarezza.

33 - [ 40 ] Che dunque? Una cosa buona è diventata morte per me?

Assolutamente no; ma il peccato, per apparire peccato, mediante una cosa buona mi ha causato la morte.

Con queste parole chiarisce all'evidenza quanto aveva detto sopra, e cioè: Senza la legge il peccato è morto. ( Rm 7,8 )

Diceva " morto " nel senso di " nascosto ": infatti adesso afferma non che quella cosa buona, che è la legge, è diventata per lui morte ma che il peccato mediante quella cosa buona cioè la legge gli ha causato la morte: e così quel peccato che senza la legge rimaneva nascosto è diventato palese.

L'uomo infatti s'accorge di essere morto quando non riesce ad adempiere quel comando che riconosce essere giusto; inoltre aggiungendo la malizia della trasgressione, pecca più gravemente che se la proibizione non esistesse.

È quanto afferma subito dopo: Affinché il peccare, o il peccato, a causa del comando oltrepassasse ogni limite, mentre prima del comando esso era meno grave poiché " dove non c'è la legge non c'è nemmeno trasgressione ".

34 - [ 41 ] Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono un uomo carnale.

Mostra con ciò che la legge non può essere osservata se non dagli spirituali, cioè da coloro che sono resi tali dalla grazia di Dio.1

Pertanto l'uomo diventato consimile alla stessa legge, facilmente ne osserva i precetti, e non è sotto la legge ma socio della legge: è quindi così progredito che non lo accalappiano i beni temporali né lo spaventano i mali temporali.

35 - [ 42 ] Sono venduto e assoggettato al peccato.

Intendi: ogni peccatore vende al diavolo la propria anima ricevendone come compenso, per così dire, la dolcezza del piacere temporale.

È per questo motivo, cioè perché noi eravamo schiavi venduti nel modo sopra accennato, che il nostro Signore è detto anche redentore.

36 - [ 43 ] La frase: Io non comprendo ciò che faccio a chi non sa penetrarla sino in fondo può sembrare contraria alle altre parole: Il peccato, per apparire peccato, mediante una cosa buona mi ha causato la morte.

Come può infatti apparire se non lo si conosce?

Ma non comprendo in questo passo è da prendersi nel senso di " non approvo ".

È come quando delle tenebre si dice che non si vedono ma ci si accorge di loro confrontandole con la luce: dove " accorgersi delle tenebre " equivale a " non vederle ".

Ugualmente è del peccato: mancando la luce della giustizia che lo illumini, lo si avverte perché esula dall'intelletto, come si diceva delle tenebre che le si avverte perché non le si può vedere.

Vi allude il salmo che dice: Le colpe chi potrà comprenderle? ( Sal 19,13 )

37 - [ 44 ] In effetti io non compio quello che voglio ma quello che odio.

Pertanto, se faccio quello che non voglio, riconosco alla legge che essa è buona.

Si difende certo, e a sufficienza, la legge da ogni accusa, ma bisogna stare attenti nel valutare queste parole e non pensare che con esse si tolga alla volontà il libero arbitrio, poiché non è davvero così.

Vi si descrive infatti l'uomo sotto il regime della legge ma ancora privo della grazia: egli, per quanto si sforzi di vivere nella giustizia con le sue sole forze, mancando l'aiuto della grazia liberatrice di Dio viene sopraffatto dal peccato.

In virtù del libero arbitrio tuttavia l'uomo ha la facoltà di credere nel Liberatore e riceverne la grazia, per cui, liberato e animato da colui che gli elargisce tale grazia, la tronca col peccato e così non è più sotto la legge.

Pur essendo con la legge, o nella legge, riesce ad osservarla animato dalla carità di Dio, mentre non ci riusciva prima sospinto dal timore.

38 - [ 45 - 46 ] Vedo nelle mie membra un'altra legge che si ribella alla legge delle mie membra e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.

Chiama legge del peccato quella legge che stringe ogni uomo avviluppato da abitudini carnali.

Di questa legge afferma che essa combatte contro la legge della sua mente e lo rende schiavo della legge del peccato: vi si descrive quindi l'uomo che non è ancora sotto la grazia.2

Non ci sarebbe infatti condanna se la consuetudine di vita carnale causasse ribellione, sì, ma non ci rendesse schiavi, poiché la condanna sta proprio nel fatto che noi obbediamo ai cattivi desideri della carne e ne diventiamo schiavi.

Se al contrario di tali desideri esperimentassimo solo l'esistenza e la pressione ma non obbedissimo, non saremmo certo loro schiavi ma saremmo sotto il dominio della grazia.

Di questa grazia l'Apostolo parlerà più tardi, dopo cioè aver elevato un grido di angoscia e aver invocato l'aiuto del Liberatore, ottenendo il dono della carità, per poter compiere, sorretto dalla grazia, quanto non aveva potuto col timore incusso dalla legge.

Ecco le sue parole: Uomo infelice che io sono!, chi mi libererà da questo corpo mortale?

E aggiunge: La grazia di Dio per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.

A questo punto comincia a descrivere l'uomo in regime di grazia: che è terzo dei quattro stadi sopra elencati.3

Ad esso dice relazione quanto aggiunge subito dopo: Io pertanto con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.

Il motivo è che, sebbene rimangano i desideri della carne, l'uomo entrato in regime di grazia non acconsente ad essi e non ne diviene schiavo commettendo peccati.

Egli, per quanto la sua carne sia asservita alla legge del peccato, con la mente serve la legge di Dio.

Per " legge del peccato " intende la condizione mortale derivante dalla trasgressione di Adamo a seguito della quale siamo diventati mortali.

È infatti di questa infermità della carne che la concupiscenza approfitta per lusingarci, e in riferimento ad essa dice l'Apostolo in un altro passo: Siamo stati anche noi un tempo per natura figli dell'ira come tutti gli altri. ( Ef 2,3 )

39 - [ 47 ] Nessuna condanna pertanto esiste più ora per quelli che sono in Cristo Gesù.

Fa capire con sufficiente chiarezza che per l'uomo non c'è più condanna, anche se rimangono i desideri della carne, quando ad essi non si obbedisce commettendo il peccato. Il contrario capita a coloro che si trovano sotto la legge e non hanno conseguito la grazia: costoro, soggetti appunto alla legge, non solo esperimentano le ribellioni della concupiscenza ma per il fatto che le obbediscono ne divengono schiavi.

La qual cosa ovviamente non capita a coloro che con la volontà servono la legge di Dio.


1 Retract. 1, 22,2 2 Retract. 1, 22,2 3 Sopra 13