Le diverse questioni a Simpliciano

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Libro 2 - Questione 2

2.1 - Nessun linguaggio è degno di Dio

Esaminiamo ora il senso delle parole: Mi pento di aver costituito re Saul. ( 1 Sam 15,11 )

Mi chiedi infatti, non certo perché tu ignori il significato di tali parole ma per mettere alla prova, con paterna sollecitudine e benevola premura, le mie forze, come Dio, in cui c'è prescienza assoluta, possa pentirsi di qualcosa.

Invero io ritengo indegno di Dio questo modo di dire, ammesso che si trovi qualche espressione degna di lui.

Ma poiché la sua eterna potenza e divinità supera meravigliosamente e infinitamente tutte le parole di cui si compongono i discorsi umani, qualunque cosa si dice di lui alla maniera umana, che risulta spregevole anche agli uomini, è un ammonimento alla nostra stessa debolezza che anche le cose, che nelle Sacre Scritture essa ritiene convenientemente applicate a Dio, sono più conformi alla capacità umana che alla sublimità divina; e di conseguenza anch'esse devono essere superate con più serena intelligenza, come sono state sorpassate queste, qualunque sia il modo.

2.2 - Prescienza e scienza di Dio

Infatti a quale uomo non viene in mente che in Dio, che tutto prevede, non ci può essere pentimento?

Certamente queste sono due parole, pentimento e prescienza, di cui crediamo che una, cioè la prescienza, conviene a Dio, e neghiamo che in lui vi sia pentimento.

Ma quando uno, esaminando queste cose con attenzione più accurata, ricerca in che modo la stessa prescienza si attribuisca a Dio e scopre che anche il concetto di questo termine è immensamente superato dalla sua ineffabile divinità, non si meraviglia più che, a causa degli uomini, si siano potuti impiegare, parlando di Dio, due termini che, riferiti a lui, risultano inadeguati.

Cos'è infatti la prescienza se non la conoscenza del futuro?

Ora c'è qualche futuro per Dio che trascende tutti i tempi?

Se la conoscenza di Dio abbraccia tutte le cose, esse per lui non sono future ma presenti; ne deriva che non si può parlare tanto di prescienza quanto di scienza.

Se invece, come nell'ordine delle creature temporali, così anche in lui le realtà future non sono ancora ma le prevede conoscendole, allora le conosce in due maniere: una secondo la prescienza del futuro, l'altra secondo la prescienza del presente.

Dunque alla scienza di Dio si aggiunge qualcosa nel tempo; il che è assolutamente assurdo e falso.

Non sa infatti quando accadranno le cose che prevede come future, a meno che non siano conosciute due volte: prevedendole prima che siano e conoscendole quando sono.

Ne deriva una conseguenza ben lontana dalla verità, che nel tempo si aggiunge qualcosa alla scienza di Dio, quando le cose temporali, oggetto di prescienza, sono percepite anche presenti: prima di esistere non erano oggetto di esperienza ma solo di prescienza.

Se invece anche quando le cose, che si prevedevano future, si realizzano, niente di nuovo si aggiungerà alla scienza di Dio, ma la sua prescienza rimarrà com'era prima che si realizzassero le cose previste: come si potrà parlare ancora di prescienza, quando non è di cose future?

Ora infatti sono presenti le cose che prevedeva come future e poco dopo saranno passate.

Non si può assolutamente parlare di prescienza a proposito di cose passate e neppure delle presenti.

Si ritorna quindi a dire che diventa scienza delle cose presenti quella che era prescienza delle stesse cose future.

E quando ciò che in Dio prima era prescienza poi diventa scienza, allora è soggetto al mutamento ed è temporale; mentre Dio, che è essere vero e supremo, è assolutamente immutabile e per nulla soggetto all'oscillazione del tempo.

Ci piace quindi parlare non di prescienza ma solo di scienza di Dio: cerchiamo il perché.

Noi infatti di solito diciamo di avere scienza quando teniamo a mente sensazioni ed idee, così da poter richiamare quando vogliamo quello che ricordiamo di aver provato e compreso.

Se lo stesso accade in Dio in modo che si possa dire a proposito: Egli comprende e ha compreso, sente e ha sentito, allora è soggetto al tempo e quindi s'infiltra quella mutabilità, che è assolutamente da escludersi dall'essenza divina.

E tuttavia Dio sa e prevede in modo ineffabile: ugualmente si pente in modo ineffabile.

Sebbene poi la scienza divina disti enormemente dalla scienza umana, così da rendere ridicolo il confronto, l'una e l'altra tuttavia si chiamano scienza.

Tale invero è anche quella umana, di cui l'Apostolo dice: La scienza sarà distrutta; ( 1 Cor 13,8 ) cosa che in nessun modo può ragionevolmente dirsi della scienza divina.

Analogamente la collera dell'uomo è violenta e non senza turbamento dell'anima; invece la collera di Dio, di cui parla il Vangelo: Ma la collera di Dio rimane in lui; ( Gv 3,36 ) e l'Apostolo: La collera di Dio infatti si rivela dal cielo contro ogni empietà, ( Rm 1,18 ) esercita con mirabile giustizia la vendetta sulla creatura che gli è soggetta, mentre Dio rimane sempre tranquillo.

Anche la misericordia dell'uomo comporta una certa miseria del cuore, da cui ha ricevuto anche il nome latino.

Per questo l'Apostolo esorta non solo a gioire con chi è nella gioia, ma anche a piangere con chi è nel pianto. ( Rm 12,15 )

Ora quale uomo sano di mente oserà dire che Dio è afflitto da qualche miseria?

Di lui la Scrittura attesta ad ogni passo che è misericordioso.

Ugualmente riconosciamo che la gelosia dell'uomo non è senza la peste dell'invidia, mentre la gelosia divina non è così: identica è la parola, ma non il significato.

2.3 - Il linguaggio umano è inadeguato alla realtà divina

È lungo registrare le altre espressioni - sono innumerevoli - con le quali si dimostra che molte cose divine hanno lo stesso nome delle umane, sebbene siano separate da una distanza incomparabile.

Eppure non è inutile riferire gli stessi vocaboli alle une e alle altre, perché queste espressioni conosciute, che si ritrovano nell'uso quotidiano e sono notificate dalla pratica più consueta, offrono una via ad intendere le verità più sublimi.

Infatti quando avrò eliminato dalla scienza umana la mutabilità e quei passaggi transitori da un pensiero all'altro e ci sforziamo di cogliere con la mente ciò che poco prima era nascosto e così passiamo da una rappresentazione all'altra con frequenti atti di memoria - il che fa dire all'Apostolo che la nostra conoscenza è parziale ( 1 Cor 13,9 ) -: quando dunque avrò eliminato tutte queste imperfezioni e avrò sprigionato la vitalità unica della verità certa e inalterabile che intuisce tutto con uno sguardo unico ed eterno, o meglio non l'avrò isolata, perché questo sorpassa la scienza umana, ma l'avrò pensata secondo le mie forze, allora mi si disvela in qualche modo la scienza di Dio.

Ecco perché questo nome, dal fatto che mediante la conoscenza una cosa cessa di essere nascosta all'uomo, ha potuto essere applicato comunemente a entrambi [ a Dio e all'uomo ].

Anche se tra gli uomini si suole distinguere la scienza dalla sapienza, come dice anche l'Apostolo: A uno è dato per mezzo dello Spirito un discorso di sapienza, ad un altro un discorso di scienza secondo il medesimo Spirito: ( 1 Cor 12,8 ) in Dio però queste non sono due ma una sola.

Certamente anche tra gli uomini si fa di solito questa distinzione: la sapienza riguarda probabilmente la conoscenza delle realtà eterne, la scienza invece ciò che sentiamo con i sensi del corpo.

Ad altri è però lecito proporre un'altra distinzione: tuttavia, se non fossero diverse, l'Apostolo non le avrebbe distinte così.

Se poi è vero che il nome di scienza si riferisce alle cose che conosciamo per esperienza, allora in Dio non c'è assolutamente scienza.

Perché in se stesso Dio non si compone di anima e di corpo, come l'uomo.

Ma è meglio dire che la scienza di Dio è diversa e non è dello stesso genere di quella dell'uomo, come il nome stesso di Dio è molto diverso da quello usato in questo passo: Dio sta in piedi nell'assemblea degli dèi. ( Sal 82, 1 )

La comunanza stessa del vocabolo arriva tuttavia fino a qualche forma comune di sapere.

Così se anche dall'ira dell'uomo elimino l'agitazione disordinata, sì che rimanga la forza della giustizia vendicativa, allora pervengo in qualche modo alla nozione di ciò che si chiama " collera di Dio ".

Ugualmente, se dalla misericordia togli la compassione della miseria, condivisa con colui di cui hai pietà, e rimanga la serena benevolenza di soccorrere e sollevare dalla miseria, viene suggerita una certa cognizione della misericordia divina.

Neppure rifiutiamo né disprezziamo la gelosia di Dio, perché la troviamo scritta ma eliminiamo dalla gelosia umana l'oscuro tormento dell'irritazione e la morbosa perturbazione dell'animo, e rimanga soltanto il giudizio, che non permette di lasciare impunita la violazione della castità, e ci eleviamo per iniziare ad intendere in qualche maniera la gelosia di Dio.

2.4 - Pentimento di Dio

Perciò, quando leggiamo che anche Dio dice: Mi pento, ( 1 Sam 15,11 ) dobbiamo considerare che cosa di solito comporti negli uomini il fatto di pentirsi.

Si riscontra senz'altro la volontà di cambiare; ma nell'uomo si accompagna al dolore dell'animo, perché rimprovera a se stesso di aver agito temerariamente.

Eliminiamo quindi queste imperfezioni derivanti dall'infermità e ignoranza umana e rimanga solo la volontà di non lasciare più le cose com'erano prima, così potremo far penetrare un pochino nel nostro spirito in che senso bisogna intendere il pentimento di Dio.

Quando infatti si dice che Dio si pente, manifesta la volontà che una cosa non sia più quella che aveva fatto che fosse; ma che tuttavia, quand'era così, doveva essere così e ora, perché non le si permette di restare tale, non deve più essere così, secondo il giudizio eterno, tranquillo e giusto con cui Dio ordina con volontà immutabile tutte le cose mutevoli.

2.5 - Pentimento e gelosia di Dio

Ma siccome noi siamo abituati a lodare la previsione e la scienza negli uomini e l'umanità suole piuttosto paventare che biasimare la stessa collera nei potenti, crediamo opportuno attribuire a Dio tali espressioni.

Ma poiché chi è geloso e chi si pente di qualcosa, è solito o sentirsi colpevole o correggere la propria colpa, e di conseguenza queste cose si dicono degli uomini con un tono di rimprovero, per questo restiamo sorpresi quando leggiamo che in Dio c'è qualcosa di simile.

Ma per questo motivo la Sacra Scrittura, che tutto prevede, impiega queste espressioni perché le cose che piacciono non si attribuiscano a Dio allo stesso modo che si riferiscono abitualmente agli uomini.

Infatti per queste cose, che dispiacciono e che non osiamo riferire a Dio come si ritrovano negli uomini, noi impariamo così a purificare anche quelle che ritenevamo adatte e convenienti a Dio.

Se infatti non dobbiamo dire di Dio una cosa, perché ci spiace nell'uomo, allora neppure diremo che Dio è immutabile, perché degli uomini è stato detto con tono di rimprovero: Per essi non c'è conversione. ( Sal 55,20 )

Vi sono inoltre alcune qualità che sono lodevoli nell'uomo e non possono essere in Dio, come il pudore che è lo splendido ornamento della gioventù, o il timore di Dio, lodato non solo dagli antichi Libri ma anche dall'Apostolo che dice: Portiamo a compimento la santificazione nel timore di Dio. ( 2 Cor 7,1 )

È evidente che non c'è in Dio.

Come dunque certe qualità lodevoli degli uomini non si applicano correttamente a Dio, così certe altre colpevoli degli uomini si attribuiscono rettamente a Dio: non però allo stesso modo che si ritrovano negli uomini ma solo nell'uso di vocaboli comuni, mentre il significato e il modo sono totalmente diversi.

Infatti poco dopo lo stesso Samuele, al quale Dio aveva rivelato: Mi pento di aver fatto re Saul, ( 1 Sam 15,11 ) dice a costui a proposito di Dio: Egli non si pente perché non è come l'uomo. ( 1 Sam 15,29 )

Con questo mostra a sufficienza che anche quando Dio dice: Mi pento, non bisogna intenderlo alla maniera umana, come abbiamo sostenuto in precedenza secondo le nostre capacità.

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