La Trinità

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Libro X

7.10 - L'errore procede da questo: lo spirito pensando se stesso aggiunge a sé qualcosa di estraneo

In questa varietà di opinioni, ognuno vede che lo spirito per sua natura è sostanza, e non è corporea, cioè non occupa nello spazio un luogo minore con una parte minore di sé, né un luogo maggiore con una parte maggiore; deve comprendere ugualmente che coloro che ritengono che lo spirito è corporeo sbagliano non perché siano privi di conoscenza su di esso, ma perché aggiungono degli elementi senza i quali non possono pensare nessuna natura.

Tutto ciò che siano spinti a pensare facendo astrazione da ogni rappresentazione corporea, lo reputano assolutamente inesistente.

Perciò lo spirito non si cerchi, come se fosse assente a se stesso.

Che c'è infatti di così presente alla conoscenza come ciò che è presente allo spirito e che cosa vi è di così presente allo spirito come lo spirito stesso?

Così la parola "invenzione" ( inventio ), se noi ricorriamo alla sua origine etimologica, che altro significa se non "venire in" ( in venire ) ciò che si cerca?

Perciò le cose che vengono quasi spontaneamente nello spirito, non diciamo di solito che sono trovate ( inventa ), sebbene si possono dire conosciute, perché non tendevamo ad esse con la ricerca per venire in esse, cioè per trovarle ( invenire ).

Dunque allo stesso modo in cui ciò che cercano gli occhi o gli altri sensi del corpo è lo spirito che lo cerca - perché è esso che dirige l'attenzione del senso della carne ed è esso che trova ( invenit ) quando il senso giunge sugli oggetti cercati -, così per le realtà che lo spirito deve conoscere di per se stesso, senza l'intervento dei sensi corporei, esso le trova ( invenit ), quando giunge in esse ( in venit ), si tratti della sostanza trascendente, cioè di Dio, o delle altre parti dell'anima ( anima ), come quando giudica delle immagini corporee; esso infatti le trova all'interno dell'anima ( anima ) dove sono state impresse attraverso i sensi del corpo.

8.11 - Per conoscersi lo spirito deve separarsi dal sensibile

È dunque una strana questione l'indagare come lo spirito si cerchi e si trovi, verso che cosa tenda per cercarsi, o dove venga ( veniat ) per trovarsi ( inveniat ).

Che c'è infatti che sia altrettanto nello spirito quanto lo spirito?

Ma, poiché esso è nelle cose che pensa con amore - le cose sensibili, cioè le cose corporee - con le quali con l'amore si è familiarizzato, esso non è più capace di essere in se stesso senza le immagini dei corpi.

L'origine del suo errore umiliante è nella sua impotenza di separarsi dalle immagini delle cose sentite per vedersi solo.

Quelle infatti si sono unite ad esso in modo straordinario con il legame dell'amore ed è questa la loro impurità, perché quando si sforza di pensare sé solo, si identifica con ciò senza cui non può pensarsi.

Quando dunque gli si comanda di conoscersi, non si cerchi come se fosse sottratto a se stesso, ma sottragga ciò che gli si è aggiunto.21

Esso infatti è più interiore a se stesso non soltanto di questi oggetti sensibili che sono manifestamente al di fuori, ma anche delle loro immagini che sono in quella parte dell'anima ( anima ) che hanno anche le bestie, sebbene manchino dell'intelligenza, che è propria allo spirito.

Pur essendo dunque lo spirito interiore a se stesso esce in qualche modo da se stesso, gettando le affezioni del suo amore su queste immagini che sono come le vestigia dei suoi molteplici atti d'attenzione.

Queste vestigia si imprimono, per così dire, nella memoria, quando vengono percepite tali cose corporee che sono al di fuori, di modo che, anche quando queste cose sono assenti, le loro immagini sono presenti a coloro che vi pensano.

Lo spirito dunque conosca se stesso;22 non si cerchi come assente, ma fissi su se stesso l'attenzione della volontà che errava alla ventura sulle altre cose e si pensi.

Esso vedrà allora che non ha mai cessato di amarsi, mai cessato di conoscersi, solo che, amando con sé altre cose, da esso diverse, si è con esse confuso e ha preso con esse consistenza in qualche modo; e così abbracciando tutta questa diversità in un solo tutto, ha immaginato che vi sia una sola realtà là dove ve ne sono molte.

9.12 - Lo spirito si conosce appena intende il precetto di conoscersi

Lo spirito dunque non cerchi di attingersi come assente, ma procuri di discernere sé come presente, né si conosca come se fosse a sé sconosciuto, ma si distingua da ciò che esso conosce come diverso da sé.23

Questo stesso comando che ode: Conosci te stesso,24 come si prenderà cura di metterlo in pratica, se non sa che cosa significhino conosci o te stesso?

Ma se conosce tutte due queste cose, conosce anche se stesso, perché non si dice allo spirito conosci te stesso, come gli si dice: "conosci i Cherubini e i Serafini"; infatti essi sono assenti e sono per noi oggetto di fede, la quale ci insegna che sono delle potestà celesti.

Né gli si dice di conoscersi come gli si dice: "Conosci la volontà di quell'uomo", perché quella volontà non ci è presente per poterla percepire o comprendere se non grazie alla manifestazione di segni corporei e l'apporto di questi segni è tale che più che comprenderla vi crediamo. ( Is 7,9b )

Non gli si dicono queste parole nemmeno come si dice ad un uomo: "Guarda la tua faccia", cosa che non può avvenire se non mediante uno specchio.

Infatti la nostra stessa faccia sfugge alla nostra vista, perché essa non si trova là dove si può dirigere il nostro sguardo.

Ma quando si dice allo spirito: Conosci te stesso,25 nello stesso istante in cui comprende le parole te stesso, esso si conosce e questo per la sola ragione che è presente a se stesso.

Se al contrario non comprende ciò che gli si dice, non lo fa di certo.

Dunque gli si comanda di fare ciò che fa, mentre comprende il comando.

10.13 - Ogni spirito sa di sé, con certezza, di comprendere, di esistere e di vivere

Lo spirito dunque non aggiunga nulla al fatto che conosce se stesso, quando ode il comando di conoscere se stesso.

Esso infatti sa con certezza che questo comando è rivolto a sé, a sé che esiste, che vive, che comprende.

Ma esiste anche il cadavere, anche gli animali vivono: ma né il cadavere né gli animali comprendono.

Sa dunque di esistere e di vivere nel modo stesso in cui esiste e vive l'intelligenza.

Quando perciò, ad esempio, lo spirito ritiene di essere aria, ritiene che l'aria comprenda, ma esso sa di comprendere; però di essere aria esso non lo sa, se lo immagina.

Respinga ciò che si immagina e consideri ciò che sa; si tenga a quella certezza che non hanno mai messo in dubbio nemmeno coloro che hanno opinato che lo spirito fosse questo o quel corpo.26

Infatti non ogni spirito pensa di essere aria, ma alcuni pensano di essere fuoco, altri cervello, ed altri un corpo, altri un altro, come ho ricordato sopra.

Tuttavia tutti sanno di comprendere, di esistere e di vivere, ma essi rapportano il comprendere all'oggetto che comprendono,27 ma l'esistere ed il vivere a se stessi.

E nessuno dubita che per comprendere bisogna vivere, che per vivere bisogna essere.

Di conseguenza ciò che comprende esiste e vive, ma il suo essere non è come quello del cadavere che non vive, né la sua vita come quella dell'anima ( anima ) che non comprende, bensì esiste e vive in un modo che gli è proprio e più nobile.

Così sanno di volere e sanno ugualmente che per volere bisogna esistere e vivere; ma allo stesso modo rapportano la volontà ad un oggetto che vogliono mediante la volontà.

Sanno anche di ricordarsi e nello stesso tempo sanno che nessuno ricorderebbe, se non esistesse e vivesse; ma rapportiamo anche la memoria a qualcosa che per mezzo di essa ricordiamo.

Dunque di queste tre potenze ve ne sono due, la memoria e l'intelligenza, che contengono in sé la conoscenza e la scienza di molte cose; la volontà c'è invece per fruire di esse e farne uso.

Fruiamo infatti di quelle cose conosciute nelle quali la volontà, provandone diletto per quello che sono in sé, si riposa; facciamo invece uso di quelle che noi rapportiamo come mezzi ad un'altra cosa che deve costituire oggetto di fruizione.

E la sola cosa che rende cattiva e colpevole la vita umana è il cattivo uso e la cattiva fruizione.

Ma non è qui il luogo per parlare di questo.

10.14 - Chi dubita, vive

Ma poiché si tratta della natura dello spirito, rimuoviamo dalla nostra considerazione tutte le conoscenze che ci provengono dall'esterno per mezzo dei sensi del corpo e consideriamo con più diligenza ciò che abbiamo stabilito, cioè che tutti gli spiriti conoscono se stessi con certezza.

Gli uomini hanno dubitato se attribuire la facoltà di vivere, ricordare, comprendere, volere, pensare, sapere, giudicare all'aria o al fuoco o al cervello o al sangue o agli atomi o ad un quinto ignoto elemento corporeo al di fuori dei quattro elementi conosciuti, oppure se tutte quelle operazioni le possa compiere la struttura e l'armonia del nostro corpo; chi si è sforzato di sostenere un'opinione, chi un'altra.

Di vivere, tuttavia, di ricordare, di comprendere, di volere, di pensare, di sapere e giudicare, chi potrebbe dubitare?

Poiché, anche se dubita, vive; se dubita, ricorda donde provenga il suo dubbio; se dubita, comprende di dubitare; se dubita, vuole arrivare alla certezza; se dubita, pensa; se dubita, sa di non sapere; se dubita, giudica che non deve dare il suo consenso alla leggera.

Perciò chiunque dubita di altre cose, non deve dubitare di tutte queste, perché, se non esistessero, non potrebbe dubitare di nessuna cosa.

10.15 Coloro che ritengono che lo spirito è o un corpo o la coesione e l'equilibrio di un corpo vogliono che tutti questi atti dello spirito siano degli accidenti la cui sostanza sarebbe l'aria, il fuoco o qualche altro corpo che essi identificano con lo spirito.

L'intelligenza si troverebbe dunque nel corpo come un suo attributo; il corpo sarebbe il soggetto, questa un accidente del soggetto.

Il soggetto cioè sarebbe lo spirito, che essi ritengono sia un corpo, l'intelligenza sarebbe un accidente del soggetto; così come tutte le altre cose di cui abbiamo certezza, come abbiamo ricordato.

Vicina a questa è l'opinione di coloro che ritengono che lo spirito non sia un corpo, ma lo considerano la coesione e l'armonia del corpo.

La differenza consiste nel fatto che i primi dicono che lo spirito è una sostanza come soggetto, nel quale l'intelligenza si radica quale accidente, mentre gli altri affermano che lo spirito stesso si radica quale accidente in un soggetto, cioè nel corpo di cui è la coesione e l'armonia.

Di conseguenza possono pensare l'intelligenza diversamente che come un accidente radicato nello stesso soggetto, cioè nel corpo?

10.16 - Lo spirito, conoscendo se stesso, conosce la sua sostanza

Tutti costoro non avvertono che lo spirito si conosce anche quando si cerca, come abbiamo già mostrato.

Ora è del tutto illogico affermare che si conosce una cosa di cui si ignora la sostanza.

Perciò mentre lo spirito si conosce, conosce la sua sostanza e, se si conosce con certezza, conosce con certezza la sua sostanza.

Ora esso si conosce con certezza, come lo provano le cose che abbiamo detto prima.

Ma al contrario non ha alcuna certezza di essere aria, fuoco, corpo o qualche cosa di corporeo.

Dunque non è nessuna di queste cose, ed il comando di conoscersi si riconduce a questo: che esso sia certo di non essere alcuna delle cose di cui non è certo e che sia certo solo di essere ciò che esso è certo di essere.

Così esso pensa il fuoco o l'aria e pensa a qualsiasi altra realtà corporea.

E a ciò che esso è non potrebbe affatto pensare nella medesima maniera in cui pensa a ciò che esso non è.

È mediante rappresentazioni immaginarie che esso pensa tutte queste cose: il fuoco, l'aria, questo e quest'altro corpo, tale parte o coesione ed armonia del corpo; però non si dice, certo, che lo spirito è tutte queste cose insieme, ma una di esse.

Ora, se fosse una di queste cose, esso penserebbe questa cosa in modo diverso da tutte le altre, cioè non per mezzo di una rappresentazione immaginaria, come vengono pensate le cose assenti, che sono state in contatto con i sensi del corpo, sia che si tratti di questi oggetti stessi, o di altri dello stesso genere, ma con una presenza interiore reale, non simulata per mezzo dell'immaginazione ( perché non c'è nulla di più presente allo spirito dello spirito stesso ), nella maniera in cui pensa di vivere, di ricordare, di comprendere, di volere se stesso.

Esso conosce infatti queste cose in sé, non se le rappresenta per mezzo dell'immaginazione come se esso le attingesse al di fuori di sé, con i sensi, alla maniera in cui attinge tutti gli oggetti corporei.

Se esso non si assimila falsamente a nessuno di questi corpi, che si rappresenta, al punto di credersi qualcuna di queste cose, ciò che di sé gli resta, questo solo esso è.

11.17 - Memoria, intelligenza e volontà

Lasciando per il momento da parte le altre cose che lo spirito riconosce in sé con certezza, consideriamo in modo del tutto particolare queste tre: la memoria, l'intelligenza, la volontà.28

È da questo triplice punto di vista infatti che si è soliti esaminare le doti naturali dei fanciulli per farsi un'idea del loro temperamento.

Quanto più un fanciullo ha la memoria tenace e facile, quanto più la sua intelligenza è penetrante ed il suo gusto al lavoro ardente, tanto più ci si dovrà felicitare delle sue doti naturali.

Quando invece si tratta del sapere di un uomo, non si esamina con quanta tenacia e facilità ricordi, con quanto acume comprenda, ma che cosa ricordi e che cosa comprenda.

E poiché l'uomo non è solo da lodarsi in base al suo sapere, ma anche alla sua bontà, si deve tener conto non soltanto di ciò che ricorda e di ciò che comprende, ma anche di che cosa vuole; non dell'ardore con cui lo vuole, ma anzitutto dell'oggetto e poi dell'energia del volere.

Infatti l'anima che ama con ardore è degna di lode quando ciò che ama deve essere amato con ardore.

Nella prima dunque di queste tre cose: capacità, dottrina, uso,29 si considera di che cosa sia capace ciascuno con la sua memoria, intelligenza, volontà.

Nella seconda, la dottrina, si considera che cosa ciascuno abbia raccolto nella memoria e nell'intelligenza lavorando con amorosa volontà.

La terza cosa, l'uso, è proprio della volontà e consiste nel servirsi delle cose contenute dentro la memoria e l'intelligenza, sia per riferirle come mezzi ad altre cose, sia per compiacersi e riposarsi in esse come in un fine raggiunto.

Infatti far uso di una cosa è porla a disposizione della volontà, fruirne invece è usarne con la gioia non già della speranza, ma del possesso.30

Perciò chiunque fruisce di una cosa, ne fa uso, ne dispone infatti ad arbitrio della volontà, tenendo per fine il diletto.

Invece non sempre chi fa uso di una cosa ne fruisce, se la cosa che pone a libera disposizione della sua volontà non la desidera per se stessa, ma per un altro fine.

11.18 - Memoria, intelligenza e volontà sono una sola essenza, tre secondo la relazione

Queste tre cose dunque: memoria, intelligenza, volontà, non sono tre vite, ma una vita sola; né tre spiriti, ma un solo spirito; di conseguenza esse non sono tre sostanze, ma una sostanza sola.31

La memoria, in quanto si dice vita, spirito, sostanza, si dice in senso assoluto; ma come memoria si dice in senso relativo.

Lo stesso si può affermare per l'intelligenza e la volontà perché anche l'intelligenza e la volontà si dicono in senso relativo.

Ma considerata in sé ognuna è vita, spirito ed essenza.

E queste tre cose sono una cosa sola, ( 1 Gv 5,7-8 ) per la stessa ragione per la quale sono una sola vita, un solo spirito, una sola essenza.

Ed ogni altra cosa che si dice di ciascuna di esse in senso assoluto, anche di tutte insieme la si predica non al plurale ma al singolare.

Invece esse sono tre cose per la stessa ragione per cui sono in reciproca relazione tra loro.

E se non fossero uguali, non solo ciascuna a ciascuna, ma anche ciascuna a tutte, esse non si includerebbero a vicenda.

Infatti non soltanto ciascuna è contenuta in ciascuna, ma anche tutte sono contenute in ciascuna.

Infatti ho memoria di aver memoria, intelligenza e volontà.

Ho intelligenza di intendere, volere e ricordare.

Ho volontà di volere, di ricordare, di intendere.32

Con la mia memoria abbraccio insieme tutta la mia memoria, intelligenza e volontà.

Infatti ciò che della mia memoria non ricordo, non è nella mia memoria.

Ma niente è tanto nella memoria, come la memoria stessa.

Dunque me la ricordo tutta intera.

Così tutto ciò che intendo so di intenderlo e so di volere tutto ciò che voglio, ora tutto ciò che so, lo ricordo.

Dunque mi ricordo di tutta la mia intelligenza, di tutta la mia volontà.

Allo stesso modo quando intendo queste tre cose, le intendo tutte intere insieme.

Non c'è infatti cosa intelligibile che io non intenda, se non ciò che ignoro.

Ma ciò che ignoro nemmeno lo ricordo, neppure lo voglio.

Tutto ciò che di intelligibile invece ricordo e voglio, per questo fatto stesso lo intendo.

Anche la mia volontà contiene la mia intelligenza tutta intera, e la mia memoria tutta intera quando faccio uso di tutto ciò che intendo e ricordo.

In conclusione quando queste tre cose si contengono reciprocamente, e tutte in ciascuna e tutte interamente, ciascuna nella sua totalità è uguale a ciascuna delle altre nella sua totalità e ciascuna di esse nella sua totalità è uguale a tutte considerate insieme e nella loro totalità: tutte e tre costituiscono una sola cosa, ( 1 Gv 5,7-8 ) una sola vita, un solo spirito, una sola essenza.

12.19 - Lo spirito immagine della Trinità nella memoria, intelligenza e amore di sé

Dobbiamo noi, dunque, da questo momento con tutta la forza dell'attenzione, qualunque essa sia, elevarci a quell'essenza suprema ed altissima di cui lo spirito umano è un'immagine imperfetta, ma tuttavia sempre immagine?

O dobbiamo studiare ancora più chiaramente queste tre potenze dell'anima ricorrendo agli oggetti che si percepiscono all'esterno con i sensi del corpo, dove in maniera transitoria si imprime la conoscenza delle cose corporee?

Lo spirito ci è apparso, nella memoria, nell'intelligenza, e nella volontà che ha di sé, tale che, intendendo noi che non cessa di conoscersi, che non cessa di volersi, intendessimo nello stesso tempo che non cessa di ricordarsi di sé, che non cessa di intendersi e di amarsi sebbene non sempre si pensi distinto da quelle cose che non sono ciò che esso è; ma è questo che rende difficile distinguere in esso la memoria di sé e l'intelligenza di sé.

Che esse non siano quasi due cose, ma una sola espressa con due nomi differenti, è ciò che sembra quando sono molto congiunte tra loro e l'una non precede temporalmente l'altra; l'esistenza dell'amore stesso non è così percettibile, dato che non lo svela l'indigenza, perché ciò che si ama è sempre presente.

Perciò queste cose possono diventare chiare anche ai più tardi d'ingegno quando si tratta delle cose che all'anima sopraggiungono nel tempo ed accadono nel tempo, quando ricorda un oggetto che prima non ricordava e quando vede un oggetto che prima non vedeva, e quando ama un oggetto che prima non amava.

Ma questa trattazione esige che si inizi un nuovo libro, a causa delle dimensioni di questo.

Indice

21 Plotino, Enn. 1, 6, 9; 5, 1, 1;
Cicerone, Tuscul. 1, 16, 38
22 Cicerone, De fin. bon. mal. 3, 22, 73; 5, 16, 44;
Tuscul. 1, 22, 59; De leg. 1, 22, 58 - 23, 61
23 Cicerone, Tuscul. 1, 22, 52
24 Pizio Apollo Delfico, gnwqi seauton
25 Cicerone, Tuscul. 1, 22, 52;
De fin. bon. et mal. 3, 22, 73; 5, 16, 44;
De leg. 1, 22, 58-23, 61
26 Cicerone, Tuscul. 1, 22, 53
27 Cicerone, Tuscul. 1, 29, 70
28 Agostino, De div. qq. 83 31, 1: NBA, VI/2;
Ep. 169, 2, 6: NBA, XXII;
Cicerone, De invent. 2, 53, 160
29 Protagora, Fragm. 3;
Isocrate, C. soph. 13, 17;
Platone, Men. 70a; Phaed. 269 d;
Cicerone, De orat. 2, 39, 162; 3,20, 77;
Quintiliano, Instit. orat. 6, 2, 3
30 Agostino, De civ. Dei 19,1,27
31 Sopra 5,2,3;
Sopra 5,8,9;
Sopra 5,9,10;
Sopra 7,4,8
32 Agostino, Ep. 169, 2, 6