De sacerdotio

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Libro II

I - L'inganno diede occasione a Basilio di manifestare il suo amore a Gesù Cristo

Avrei potuto dire molto di più per dimostrare che si può usare l'efficacia dell'inganno anche in bene, e che questa non dovrebbe chiamarsi frode, ma piuttosto una certa mirabile economia.

Ma poiché le cose dette sono ormai sufficienti per darne la prova, sarebbe importuno e noioso il protrarre più a lungo il discorso.

Toccherebbe ora a te il dimostrare che io ho usato un tal mezzo contro al tuo vantaggio.

E Basilio: Ma quale vantaggio, disse, mi recò questa tua economia o saggezza o come meglio ti piaccia di chiamarla, perché io debba credere che in realtà non fui da te ingannato?

E qual maggior guadagno, soggiunsi, che l'essere veduti a compiere quelle opere che Cristo stesso disse essere segni dell'amore a Cristo.

E per vero, rivolgendosi al corifeo degli Apostoli: Pietro, dice, mi ami tu? e affermandolo questi, soggiunge Cristo: Se mi ami, pascola le mie pecore.

Il maestro interroga il discepolo se lo ama, non già per esserne informato, come ne avrebbe avuto bisogno colui che penetra i cuori di tutti? ma per insegnare a noi quanto gli stesse a cuore il governo di questo gregge.

Ora, essendo ciò palese, sarà pur palese la conseguenza, cioè che grande e incomparabile mercede sarà serbata a chi si dedica a quest'impresa, che tanto è apprezzata da Cristo.

Che se noi, qualora vediamo alcuno prendersi cura dei nostri armenti, consideriamo come segno di affezione verso di noi la cura usata verso di quelli, sebbene si tratti di cose acquistate con denaro; colui che ha riscattato questo gregge non con ricchezza od altro valore, ma con la sua propria morte e ne diede in prezzo il suo stesso sangue, con qual mercede ricambierà quelli che si occupano nel pascolare questo gregge stesso?

Per ciò appunto, avendo il discepolo risposto: Tu sai, o Signore, che io ti amo, chiamando l'amato stesso in testimonio del suo amore, il Salvatore non si accontentò solo di questo, ma aggiunse la dimostrazione dell'amore.

Non voleva già Egli allora che Pietro gli significasse la proporzione dell'amor suo, ciò è a noi noto per molti indizi, ma Voleva dimostrare piuttosto quanto Egli ami la sua Chiesa; e volle che Pietro e tutti noi lo apprendessimo, affinché ancor noi le dedicassimo tutte le nostre cure.

Per qual ragione infatti Dio non risparmiò il suo unigenito figliolo, ma quel solo che aveva lo donò? certo per riconciliare a sé coloro che gli s'erano inimicati e formare un popolo scelto.

Per qual motivo poi Cristo versò il suo sangue? certo per riacquistare quelle pecore che ha affidate a Pietro e ai suoi successori.

A buon diritto e giustamente pertanto disse Cristo: « Chi é mai quel servo fedele e prudente, che il suo padrone preporrà alla sua casa? »

Di nuovo le parole sono come di chi dubita; però Colui che le pronunziava non dubitava punto, ma siccome quando chiese a Pietro se lo amava, non lo fece per bisogno che avesse di scrutare i sentimenti del discepolo, ma perché voleva dimostrare la grandezza del suo proprio amore, così pur ora dicendo: Chi é mai il servo fedele e prudente?

Non lo dice perché ignori in realtà chi sia il fedele e saggio servitore, ma volendo far rilevare quanto scarso ne sia il numero e quanto grande sia questo ministero.

Vedi ora quanto ne sia il premio: « Lo preporrà a tutte le sue sostanze » ( Mt 24,47 ).

II - Il ministero pastorale é la miglior prova d'amore a Cristo, Esso non é impresa da tutti, ma solo di pochi eletti

Dunque dubiterai ancora che io non t'abbia felicemente ingannato, mentre stai per esser posto a capo di tutti gli interessi di Dio e compiere quelle opere, compiendo le quali Pietro, a detta di Cristo, avrebbe sorpassato gli altri Apostoli?

Dice infatti: « Pietro, mi ami tu più di costoro? pascola le mie pecore ».

Poteva per altro dirgli: « Se mi ami, pratica il digiuno, il sonno su nuda terra, le vigilie ininterrotte, assumi la difesa degli oppressi, sii come padre agli orfani e come marito alle madri loro »; invece, lasciando da parte tutte queste cose, che dice? Pascola le mie pecore.

E per vero le altre opere che sopra ho dette, possono compierle agevolmente anche molti fra i sudditi, non solo uomini, ma donne ancora; trattandosi invece di soprastare alla comunità dei fedeli e d'essere incaricati della guida di tante anime, ceda il posto tutto il sesso femminile e anche la maggior parte degli uomini, di fronte alla grandezza dell'impresa; si traggano innanzi quelli che di gran lunga superano tutti gli altri e sono tanto più eccelsi per virtù dell'anima, quanto Saul superava nella statura tutto il popolo Ebreo, anzi, assai più.

Ché non si deve in tal caso cercare solamente se alcuno emerga dagli omeri in su, ma quale è la distanza che corre fra i bruti e gli esseri ragionevoli, tale è la proporzione fra il pastore e la greggia; per non dir di più, ché il rischio versa intorno a cose ben maggiori.

Poiché colui che perde le pecore per rapina di lupi o per sopraggiungere di ladri, o in causa di qualche morbo o per altro qualsiasi accidente, riceverebbe pur qualche perdono dal padrone della greggia; e qualora fosse richiesto di ammenda, il danno si limita alle sostanze.

Ma quegli a cui vennero affidati gli uomini, il gregge razionale di Cristo, in pena per la rovina delle pecore deve anzitutto sottostare non a danno di sostanze, ma della sua propria anima.

Inoltre deve durare una lotta assai maggiore e più fiera.

Non deve egli infatti combattere contro lupi, né ha a temere di predoni, né a darsi pensiero d'allontanare dal gregge qualche morbo; ma contro chi è la sua guerra? con chi la sua battaglia? ascolta ciò che dice il beato Paolo: « Non abbiamo da lottare con la carne e col sangue, ma con i prìncipi e colle potestà, con i dominanti di questo mondo tenebroso, con gli spiriti maligni dell'aria » ( Ef 6,12 ).

Vedi la moltitudine terribile dei nemici e le feroci falangi, non corazzate di ferro, ma tali a cui è sufficiente la propria natura invece d'ogni arma?

Vuoi tu vedere un altro esercito orribile e feroce che assedia questo gregge?

lo scorgerai dalla stessa vedetta; colui che ha parlato di quei nemici, colui stesso ci svela questi altri, così dicendo, in altro luogo, che sono palesi le opere della carne quali siano: prostituzione, adulterio, impurità, sfrontatezza, idolatria, sortilegio, inimicizie, contese, invidie, iracondia, sedizioni, oltraggi, maldicenze, orgoglio, sommosse e altre più ancora, poiché non le nominò tutte, ma da queste lasciò intravedere le rimanenti.

III - Non si possono trattare gli uomini come le pecore

E quanto al pastore di bestie, quelli che mirano alla strage del gregge, qualora vedano fuggire il custode, smessa la lotta contro di lui, si accontentano della rapina degli animali; qui invece, se pur abbiano presa tutta la greggia, neanche allora risparmiano il pastore, ma vie più gli sono sopra e vie più imperversano, né cessano prima d'averlo vinto o d'esserne stati vinti.

Aggiungi a tutto questo, che le malattie degli animali sono palesi, siano essi offesi da morbo o da fame o da ferita o da checché altro; né ciò conferisce poco a togliere di mezzo la cagione del male.

Un'altra circostanza poi v'è, che agevola la rapida liberazione da quelle infermità; quale? i pastori costringono con molta padronanza le pecore ad accogliere la medicazione, qualora quelle non vi sottostessero di buon grado; onde torna facile il legarle quando sia d'uopo cauterizzare o tagliare; facile parimenti il farle stare a lungo rinchiuse, quando ciò sia di giovamento; il porgere un cibo invece d'un altro, il trattenerle da certi paschi, e tutte le altre cure che giudicassero conferire alla loro guarigione, viene loro fatto di applicarle con grande facilità.

Invece le infermità degli uomini, non è anzitutto agevole ad uomo lo scorgerle, poiché « nessuno conosce le cose dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo che è in lui » ( 1 Cor 11,11 ).

Or come potrebbe uno applicare la medicina a un male di cui non conosce la natura, e mentre spesso non gli è dato neppur di sapere se altri sia o no ammalato?

E quando pure ciò sia divenuto palese, allora appunto gli offre le massime difficoltà; poiché non è possibile curare tutti gli individui con la stessa libertà con la quale il pastore cura una pecora: v'è bene anche qui la facoltà di legare, d'interdire l'alimento, di bruciare e tagliare; ma la facoltà di accogliere il rimedio risiede non in chi porge la medicina, sebbene nell'infermo stesso.

Ciò ben sapendo quel mirabile uomo disse ai Corinzi: « Non perché noi facciamo da padroni sopra la vostra fede, ma cooperiamo alla vostra consolazione » ( 2 Cor 1,24 ).

Soprattutto poi ai Cristiani non è permesso di correggere a forza gli errori dei colpevoli.

I magistrati civili, quando sottopongono i malfattori alla norma delle leggi, fanno mostra di grande potestà e sforzano i riluttanti a mutare i loro costumi; qui invece tali individui debbono essere corretti con la persuasione anziché con la violenza.

Perocché non ci è conferita dalle leggi questa facoltà per ritrar dal male i colpevoli, e quand'anche ce l'avessero conferita non avremmo dove usare la forza, dando Dio la corona non a chi lascia il male per necessità, ma a chi lo lascia per sua libera scelta.

Onde v'è bisogno di grande abilità per far sì che gl'infermi si persuadano a sottoporsi volentieri alle cure dei sacerdoti, né questo solo, ma ancora perché vedano il vantaggio che la cura loro arreca.

Ché se alcuno legato ricalcitra, ed è in suo potere il farlo ne viene un male peggiore; e se non farà conto di certe parole taglienti come ferro, con lo spregio viene ad aggiungere un'altra piaga, onde il pretesto della cura diviene occasione di più grave malattia.

Poiché non vi è chi lo possa costringere e curarlo contro sua voglia.

IV - Il rimedio deve essere proporzionato al male

Che dunque s'avrà da fare?

Poiché se usi troppa delicatezza con chi ha bisogno di molti tagli, e non fai un'incisione profonda a chi n'ha d'uopo, avrai asportato solo una parte della ferita lasciandovi l'altra parte.

Se poi senza esitazione applichi il taglio necessario, spesso l'ammalato disperando del suo male, gettata via in un fascio ogni cosa, e medicina e fasciature, finì per gettarsi a capofitto, spezzando il giogo e rompendo i legami.

Potrei narrare di molti che dettero in mali estremi per essere stati sottomessi alla pena dovuta alle loro colpe.

Poiché non si deve applicare il castigo soltanto in ragione della grandezza dei falli, ma si deve pur tenere conto dell'intenzione dei colpevoli, affinché non t'accada, volendo rattoppare uno squarcio, di produrne uno più grande e che, tentando di rialzare ciò che è caduto, tu produca una caduta peggiore.

I deboli, divagati e per lo più schiavi della mollezza mondana, e che inoltre hanno di che inorgoglire per nascita e potenza, corretti dei loro mancamenti dolcemente e poco per volta, potrebbero pure, se non in tutto almeno in parte, purgarsi dei vizi da cui sono dominati; se invece uno applica loro d'un tratto l'ammonizione, li avrà privati anche di quel minore miglioramento.

Ché l'anima, spinta una volta all'impudenza, diventa insensibile, né più si lascia muovere dalle parole dolci, né piegare dalle minacce, né eccitare dai benefici, ma diviene assai peggiore di quella città a cui il profeta, riprovandola, dice: « Hai assunto aspetto di meretrice, né alcuno più tifa arrossire » ( Ger 3,3 ).

Per ciò il pastore ha bisogno di molta prudenza e di infiniti occhi onde scrutare in ogni parte le condizioni di un'anima.

Perocché come molti salgono in arroganza e cadono in disperazione della propria salvezza, non potendo adattarsi a medicine amare; così vi sono di quelli che per non aver subìto un castigo proporzionato ai loro mancamenti, cadono nell'indifferenza, diventano molto peggiori di prima e sono incitati a commettere colpe più gravi.

Bisogna pertanto che il sacerdote non trascuri di esaminare ognuna di queste circostanze, ma tutto diligentemente scrutando, faccia quanto è in suo potere secondo l'opportunità affinché la sua cura non gli divenga inutile.

Come ricondurre all'ovile le pecorelle smarrite

Né soltanto in questo, ma anche nel riunire i membri separati dalla Chiesa uno si troverà ad aver molto da fare.

Il pastore di pecore ha il gregge seguace dovunque esso venga condotto: che se qualche capo si svia dal retto cammino, e lasciato il buon pascolo, va a cibarsi in luoghi infecondi e ripidi, gli basta dar un grido più forte, per raccogliere di nuovo e riunire al gregge la parte che se n'era divisa; se invece un uomo viene trascinato lungi dalla retta fede, fa d'uopo al pastore di molto lavorio, di fortezza, di tolleranza.

Non deve trascinarlo a forza né costringerlo con timore, ma per via di persuasione egli dev'essere ricondotto a quella verità dalla quale prima s'era allontanato.

V'è bisogno quindi di un'anima generosa, onde non si smarrisca né disperi della salvezza degli erranti, onde consideri e ripeta continuamente quel detto: « … nella speranza che Dio conceda loro la vera conoscenza e si liberino dalla rete del diavolo » ( 2 Tm 2,25 ).

Per questo il Signore parlando ai discepoli disse: « Chi è dunque il servitore fedele e prudente? » ( Mt 24,45 ).

Poiché colui il quale attende a sé solo, converte a sé tutto il vantaggio, mentre invece l'utilità del ministero pastorale si estende a tutto il popolo.

Colui poi che largisce denaro ai bisognosi, o in altra guisa assume la tutela degli oppressi, costui per certo reca qualche utilità al prossimo, ma tanto minore del sacerdote, quanta è la distanza che corre fra il corpo e l'anima.

A ragione dunque il Signore disse la cura prodigata al gregge essere segno dell'amore verso di Lui.

Intermezzo I

Perché Giovanni fuggì la dignità e vi spinse invece l'amico.

V - Virtù di Basilio proclamate da Giovanni

 « Ma tu, disse, non ami Cristo? »

« L'amo ( risposi ) né mai cesserò di amarlo; ma temo di muovere a sdegno il mio Diletto ».

« E quale enigma, soggiunse, potrebbe darsi più oscuro di questo?

Ché mentre Cristo a chi lo ama impose di pascolare le sue pecore, tu dici di non volerle pascolare, appunto perché ami Colui che ciò ha comandato ».

« Non è un enigma, ripresi io, il mio discorso, ma anzi è al tutto chiaro e semplice.

Ché se io avessi fuggito questa dignità pur avendo le qualità necessarie per esercitarla come vuole Cristo, allora potrebbe nascere dubbio su quanto io ho detto; ma poiché la debolezza dell'anima mi rende inetto a questo ministero, come possono le mie parole suscitare discussione?

E per vero io temo che ricevendo il gregge di Cristo prosperoso e ben nutrito, e facendolo deperire con la mia inettitudine, non ecciti contro di me quel Dio che tanto l'amò, fino a dare se stesso per la sua salvezza e per il suo riscatto ».

« Tu scherzi dicendo tali cose, mi disse, ché se fai sul serio non so come avresti potuto in altro modo dimostrare la giustezza delle mie ansietà, meglio che con queste parole, con le quali tentavi di rimuovere la mia trepidazione.

Già prima convinto che tu m'avevi ingannato e tradito, ora che t'accingesti a scagionarti dalle accuse, io comprendo ancor meglio in quale abisso di sciagure m'hai gettato.

Ché se tu ti sottraesti da questo ministero perché conoscevi l'insufficienza delle tue forze a sopportarne il peso, io per il primo dovevo esserne allontanato, anche se per caso me ne avesse preso gran desiderio; oltre di che io avevo pur rimesso a te ogni divisamento riguardo a queste cose.

Ora invece, solo curandoti dei fatti tuoi trascurasti la mia sorte; e almeno l'avessi proprio trascurata, ché mi sarebbe stato caro: ma invece sei ricorso all'insidia per rendermi facile preda di coloro che m'avevano appostato.

Né puoi ricorrere al pretesto che la fama circolante fra i più ti trasse in inganno e ti fece concepire una grande e mirabile opinione di me; io non sono del numero di quelli che destano meraviglia e attirano l'attenzione; né, se anche ciò fosse, è da preporre l'opinione del volgo alla realtà delle cose.

Se io non t'avessi fornito mai l'esperienza della mia compagnia, pare che un ragionevole pretesto l'avresti avuto per giudicare a norma dell'opinione comune; ma dal momento che nessun altro conosce siffattamente le cose mie, ma a te è nota l'anima mia più ancora che a quelli che mi hanno generato e allevato, quale ragione tanto persuasiva potresti addurre per convincere chi t'ascolta, che contro tua intenzione mi hai spinto a questo cimento?

Ma lasciamo ora da parte ciò; non voglio per questi fatti sottoporti a rigoroso giudizio.

Dimmi ormai: che cosa risponderemo ai nostri accusatori? ».

« Per certo, risposi io, non verrò a quest'argomento, fino a che non avrò terminato quanto riguarda te, anche se mille e mille volte mi richiedessi di purgarmi dalle altre accuse.

Tu dicesti che l'ignoranza mi otterrebbe perdono e mi assolverebbe da ogni accusa, se non conoscendo i fatti tuoi t'avessi spinto nella tua presente condizione, e che ogni giusto pretesto e ogni legittima difesa mi è interdetta, avendoti tradito, non già perché fossi al buio delle cose tue, ma essendone pienamente edotto.

Io dico invece affatto il contrario: e perché? perché simili faccende richiedono lunga ricerca, e chi intende proporre un candidato degno del sacerdozio, non deve appagarsi unicamente dell'opinione del volgo, ma insieme deve egli stesso, più di tutto e prima di tutto, investigare la vita di quello.

E per vero, il beato Paolo dicendo: « Fa d'uopo ancora che egli sia in buona riputazione presso gli estranei » ( 1 Tm 3,7 ), non esclude l'indagine diligente e minuziosa né propone il criterio della buona fama come indizio capitale nel giudicare dell'idoneità di tali candidati.

Infatti dopo aver discorso di molte cose, alla fine aggiunge questa norma, per mostrare che non di essa sola conviene appagarsi in tali scelte, ma questa si deve adottare insieme alle altre.

Non raramente avviene che la comune opinione s'inganni; ma con la scorta d'una diligente indagine, non v'è più a temere da quella alcun pericolo.

Perciò dopo gli altri indizi pone anche quello della altrui opinione; non dice infatti semplicemente: « Fa d'uopo che egli sia in buona riputazione », ma aggiunge quell'anche presso gli estranei, volendo mostrare che prima d'affidarsi all'opinione di quei di fuori, bisogna diligentemente esaminarlo.

Poiché dunque io conoscevo i fatti tuoi meglio dei tuoi parenti, come tu stesso ammettesti, sarebbe giusto che io fossi sciolto da ogni accusa.

VI - Giovanni fa l'elogio della virtù di Basilio

« Ma appunto per questo, disse, non puoi difenderti, se alcuno voglia accusarti; o non ricordi la pochezza della mia anima, della quale io tante volte ebbi a parlarti e che potesti apprendere dalle mie opere? e non mi schernivi tu sempre, tacciandomi di pusillanimità, perché io mi smarrisco anche nelle incombenze comuni? »

« Ricordo, risposi, d'aver ciò udito sovente volte da te, né potrei negarlo; ma se io ti schernivo, lo facevo per gioco, non sul serio ».

Ma tuttavia non starò ora a discutere di questo; ti prego invece di accordarmi eguale benevolenza quando io venga rammentando alcuna delle doti che tu possiedi.

Ché se anche tenterai d'accusarmi di menzogna, non cederò, ma dimostrerò che tu lo dici per modestia e non per la verità; né mi varrò d'altro testimonio, se non delle tue stesse parole e delle opere tue per confermare la verità delle mie asserzioni.

E anzitutto questo ti voglio dire: Sai tu qual sia la potenza dell'amore?

Cristo, lasciando da parte tutti gli altri portenti che dovevano esser compiuti dagli Apostoli: « Da questo, dice, conosceranno gli uomini che siete miei discepoli, se vi amerete reciprocamente » ( Gv 13,35 ).

Paolo poi dice che esso è la pienezza della legge e che a nulla giovano i carismi dov'esso faccia difetto.

Or questo bene ch'è il più eccellente, la tessera dei discepoli di Cristo, quello che sta sopra i carismi, io scorsi profondamente radicato nell'anima tua e fecondo di molti frutti.

« Che io ponga in ciò molto studio, disse, e molta sollecitudine dedichi a questo precetto, lo confesso io pure; che poi non lo abbia soddisfatto neppure per metà, potrai tu stesso farmene fede, qualora lasciando da parte le parole cortesi, voglia tenere conto solo della verità ».

« Orbene, risposi, verrò alle prove; e come minacciai ora farò, dimostrando che tu parli per modestia anziché per dire il vero.

Narrerò un fatto testé accaduto, onde non nasca sospetto che, narrando cose vecchie, cerchi di adombrare la verità, facendo si che l'oblio non permetta di protestare contro le cose da me narrate per cortesia.

Dunque, quando uno dei nostri amici, calunniato con accusa di oltraggio e insubordinazione, stava per incorrere nelle pene estreme, allora tu senza che alcuno ti chiamasse, neanche quegli a cui la condanna soprastava, ti gettasti da te nel mezzo del pericolo.

Questo sarebbe il fatto.

Per convincerti poi anche dalle tue parole, quando gli uni non approvavano questo tuo zelo, gli altri invece assai lo lodavano e ammiravano: « E che? ( dicesti ai tuoi biasimatori ) io non mi so altro modo d'amare, se non col dare anche la mia vita, quando si tratti di salvare un amico che versa in pericolo »; dicendo in altri termini, ma con eguale sentimento, le parole che Cristo rivolse ai discepoli quando determinò la misura del perfetto amore: « Non si può dare, dice, amore più grande di questo, che uno dia la propria vita per i suoi diletti » ( Gv 15,13 ).

Se adunque non è dato trovare amore più grande, tu hai raggiunto la perfezione di esso e ne hai asceso il culmine, sia con le opere, sia con le parole.

Per questo ti ho tradito; per questo t'ho ordito quell'inganno; ti persuado ora che t'ho spinto in questa carriera non per mala intenzione, né col proposito di esporti a un pericolo, ma perché sapevo che ciò era cosa utile?

« Ma tu credi, disse, che la forza dell'amore sia sufficiente per la correzione del prossimo? ».

« Senza dubbio, risposi, essa può contribuire a ciò in massima parte.

Ma se vuoi ch'io rechi esempi anche della tua assennatezza, verrò anche a questo, e dimostrerò che sei ancor più prudente che caritatevole ».

A queste parole arrossendo e facendosi colore della porpora: « Orsù, dice, si lascino ormai da parte le cose mie; non t'ho chiesto simili parlate io in principio.

Piuttosto, se hai qualche opportuna ragione da poter addurre a quei di fuori, questo discorso ascolterò volentieri.

Poni dunque fine a simile vaniloquio e dimmi che cosa addurremo agli altri in nostra difesa, sia a chi ci prescelse all'onore sia a chi si rammarica tenendosi offeso per quelle faccende ».

VII - a) Seconda parte della difesa di Giovanni. Risposta alle accuse di oltraggio agli elettori, disprezzo del sacerdozio, vanagloria

Ora io proseguendo soggiunsi: A ciò appunto mi affretto.

Poi che ho dato fine a quanto riguarda te, di buon grado mi rivolgerò ora a quest'altra parte della mia difesa.

Qual è dunque l'accusa di costoro, e quali le loro querele?

Essi si chiamano oltraggiati da noi, e dicono d'aver sofferto uno smacco, perché noi non accettammo l'onore che vollero conferirci.

Ebbene, io dico anzitutto che non si deve far alcun caso dell'oltraggio che si possa recare agli uomini, quando per far onore a questi siamo costretti a far offesa a Dio.

Onde neppure per quelli che se ne adontano è senza pericolo il menare tanto scalpore su ciò, ma anzi, torna loro molto dannoso; io mi penso infatti che le persone consacrate a Dio e che solo a Lui riguardano, debbano comportarsi tanto cautamente da non ritenere ciò come un oltraggio, quando anche mille e mille volte ne uscissero privi d'onore.

Ma che io non abbia fatto nulla di simile neppur col pensiero, si fa palese da questo: se io, come hai tante volte ripetuto che taluni vanno calunniando, venni al punto di votare per i miei accusatori, per arroganza e vanagloria, sarei pur da annoverare fra i peggiori malfattori, avendo dispregiato personaggi ammirandi e augusti e per di più benefattori.

Ché se il far ingiuria a chi non te n'ha arrecato nessuna è degno di condanna; a quelli che spontaneamente si proponevano di onorarti ( ché nessuno potrebbe dire che essi, avendo prima ricevuto qualche favore o piccolo o grande da me, volessero pagarmi la ricompensa di quelle mie grazie ), come non sarebbe degno d'ogni castigo il corrispondere col rendere loro l'opposto?

Ma se questo non mi passò neppure per la mente e con ben altra intenzione mi sottrassi al grave peso, quand'anche non volessero approvarmi, perché in luogo di darmi perdono, m'accusano per aver io provveduto alla salvezza dell'anima mia?

Di fatto io ero tanto lontano dal voler fare ingiuria a quei personaggi, che anzi, direi, col mio rifiutare, di averli onorati; né ti meravigliare se ciò ha del paradosso, ché presto te ne darò la soluzione.

S'io avessi accettato, non tutti, ma quelli che trovano gusto nelle maldicenze, avrebbero messo in campo molti sospetti e calunnie, sia a carico di me consacrato, sia a carico di quelli che mi scelsero; come: che essi guardano solo alla ricchezza e s'inchinano solo allo splendore dei natali; che mi condussero a quest'onore perché furono da me lisciati.

Non saprei dire se alcuno non li avesse pure sospettati corrotti con denaro.

Ed ancora: Cristo chiamò a questa potestà i pescatori, i manovali e i gabellieri; costoro invece schifano quelli che vivono del lavoro quotidiano, ma se alcuno è infarinato di dottrine profane e vive tra gli agi, questo solo approvano, a questo fanno la corte.

Per qual motivo trascurano coloro che hanno durato innumerevoli sudori a vantaggio della Chiesa, mentre uno che non ha mai pur anco libato il peso di simili fatiche e ha perduto sempre il suo tempo nei vaniloqui dei profani, d'un tratto te l'innalzano senz'altro a tanta dignità?

Queste ed altre più cose sarebbero andati blaterando, se io avessi accolto la potestà; ora invece non possono.

Ogni pretesto di maldicenza è loro troncato, e non hanno motivo d'incolparmi, né d'adulazione né di servilità verso di quelli, tranne se taluni volessero proprio far pazzie.

Come mai infatti, uno che per raggiungere quest'onore avesse adulato e sborsato quattrini, l'avrebbe lasciato ad altri proprio mentre era sul punto d'ottenerlo?

Sarebbe come se uno, dopo aver durato grandi fatiche nel coltivare un campo, affinché la messe gli si aumentasse di copioso frutto e i tini traboccassero di vino, dopo gli infiniti travagli e le molte spese, giunto il tempo di mietere e vendemmiare, si astenesse dal cogliere i frutti, in favore di altri.

Tu vedi adunque che in tal caso, benché le loro dicerie fossero lungi dalla verità, tuttavia quelli che avessero voluto calunniarli avrebbero ben trovato pretesti, per insinuare che avevano fatta la scelta senza averne rettamente vagliate le ragioni.

Io invece non ho dato loro il modo di spalancare la bocca, e neppure di aprirla.

Questo e più altro avrebbero detto sul principio; ma poi, dato mano al ministero, non sarei bastato a difendermi ogni giorno dagli accusatori, anche se ogni cosa mi fosse riuscita senza difetti.

Se non che per la mia età e inesperienza avrei necessariamente commesso molti mancamenti; e mentre ora ho potuto impedire loro di rivolgermi quest'accusa, allora avrei offerto loro innumerevoli motivi di rimprovero.

Che non avrebbero essi detto? ( Hanno affidato un ministero si grande e ammirando a fanciulli insensati; hanno dato alla rovina il gregge di Dio; le istituzioni dei Cristiani sono divenute giocattoli e oggetti di riso ).

Ora invece « ogni ingiustizia chiuderà la sua bocca » ( Sal 107,42 ).

Che se poi dicessero tali cose di te, ben presto tu insegnerai loro con le opere, che non si deve giudicare la prudenza dall'età e non si deve approvare il vecchio per la canizie, né escludere senz'altro il giovine da questo ministero; ma s'ha da interdirlo solo al neofita: e fra i due v'è gran differenza.

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