Imitazione di Cristo

Indice

Il riconoscimento delle nostre miserie

Capitolo 20

1 - Il discepolo

« Andrò dal Signore a confessare il mio peccato » ( Sal 32,5 ); confesserò a te, Signore, la mia debolezza.

Spesso è una cosa da poco quella che mi deprime e mi contrista.

Propongo di agire da forte, ma appena sorge una lieve tentazione, la mia angustia, si fa grande.

Alle volte da un motivo assai lieve proviene un grave turbamento.

E mentre mi stimo un tantino sicuro, non accorgendomi del pericolo, ecco che un filo di brezza quasi mi rovescia.

2 - Strappami dal tempo

« Vedi, Signore, la mia sventura e la mia pena » ( Sal 25,18 ); la mia fragilità è a te nota in tutta la sua estensione.

Abbi pietà di me, « tirami su dal pantano, ch'io non affondi » ( Sal 69,15 ) e non vi rimanga sommerso per sempre.

È questo che frequentemente mi avvilisce e mi confonde dinanzi a te, il vedermi tanto cedevole e fiacco nella resistenza alle passioni.

Benché non arrivino fino a strapparmi il consenso, tuttavia quella persecuzione mi è fastidiosa; mi è greve e di tanto tediò vivere quotidianamente in lotta con me stesso.

E ho conoscenza della mia debolezza, perché le abbominevoli fantasie irrompono sempre più facilmente che non se ne partano.

3 - Non predomini il vecchio uomo

Fortissimo Dio di Israele, difensore delle anime fedeli, vorrei che tu guardassi alla fatica e all'afflizione del tuo servo e lo assistessi in tutte le cose che sto per intraprendere.

Corroborami con la celeste fortezza perché non predomini il vecchio uomo, cioè la misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito; contro di essa bisognerà sempre combattere fino a quando c'è fiato in questa infelicissima vita.

Ahimè, che vita è mai questa, sempre intessuta di dolori e di miserie, dove tutto è popolato di insidie e di nemici?

Una tentazione o una tribolazione se ne va e ne viene un'altra, anzi mentre dura ancora il conflitto con la prima, all'improvviso ne sopraggiungono altre.

4 - Come si può chiamare vita?

E come si può amare questa vita, colma di tante amarezze, soggetta a tante sventure e calamità?

Che anzi, come si può chiamar vita una vita che genera tante morti e rovine?

Tuttavia è amata e molti ripongono in essa la loro felicità.

Si rimprovera sovente il mondo d'essere fallace e vano, tuttavia non lo si abbandona facilmente, perché si è troppo dominati dai desideri del senso.

Senonché altre ragioni inducono ad amare il mondo, altre a disprezzarlo.

Traggono ad amarlo la febbre della carne, la cupidigia degli occhi e la superbia della vita; mentre i castighi e le miserie che giustamente ne conseguono producono l'odio e il disgusto.

5 - È delizia lo stare fra le ortiche

Ma purtroppo i piaceri malvagi vincono l'anima schiava del mondo, la quale « stima delizia lo stare fra le ortiche » ( Gb 30,7 ), perché non conobbe e non gustò mai la soavità di Dio e l'interno godimento della virtù.

Quelli invece che totalmente disprezzano il mondo e si studiano di vivere per Iddio con una regola santa non ignorano le divine dolcezze promesse ai saggi rinunciatari; essi vedono con tutta chiarità quanto gravemente il mondo erri e in quanti modi s'inganni.

Indice