La storia della Chiesa

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§ 11. Le cause del conflitto con lo stato

1. Gesù aveva predetto che i suoi Apostoli sarebbero stati perseguitati dai giudei e dai pagani ( Mt 10,17ss ).

Ma il paganesimo romano era tollerante in linea di principio.

Esso lasciava indisturbato persino il monoteismo giudaico che rifiutava ogni culto idolatrico e perciò anche la venerazione degli dèi nazionali di Roma.

E fu proprio all'ombra di questo monoteismo, in quanto veniva considerato una setta del giudaismo, che crebbe il Cristianesimo.26

Ma come mai lo Stato passò dalla tolleranza alla persecuzione contro i cristiani?

2. Tanto il decorso delle persecuzioni contro i cristiani, quanto la loro intima problematica sono di analisi difficile.

La prima causa: noi possediamo soltanto poche dichiarazioni autentiche di autorità statali a questo proposito.

Ci mancano quasi completamente i testi degli editti degli imperatori contro i cristiani,27 il rescritto dell'imperatore Adriano ( vedi sotto ) è una rara eccezione.

- Secondo: la maggior parte delle notizie pervenuteci sono espressioni cristiane di autodifesa e di accusa contro lo Stato, fonti quindi di una sola parte, e pertanto fortemente indiziate.

Di conseguenza non possiamo neppure stabilire, con assoluta certezza, la motivazione legale in base alla quale lo Stato romano perseguitava i cristiani: era una legge straordinaria emanata appositamente contro i cristiani?

Oppure era l'applicazione di diverse leggi che proteggevano il culto pagano degli dèi nazionali?

O era soltanto il diritto superiore di sorveglianza della polizia dello Stato ( diritto di coercizione )?

Oggi si è propensi in generale a non supporre una legge straordinaria.

Come documento legale ci rimane in primo luogo l'« Institutum Neromanum », del quale ci parla Tertulliano, un documento giuridico, dunque, che sarebbe la risultante della prassi giudiziale dei processi neroniani e si sarebbe imposta; e in secondo luogo il rescritto dell'imperatore Traiano a Plinio il Giovane28 ( cfr. § 12 ).

Di fatto, la procedura seguita nelle persecuzioni corrisponde abbastanza esattamente al fondamento giuridico, in sé inconseguente, fissato da Traiano.29

Per quanto i cristiani dopo il rescritto di Traiano fossero indubbiamente nell'illegalità, le persecuzioni, perlomeno fino a Decio ( ma anche più tardi, addirittura fino alla persecuzione di Diocleziano ), sono caratterizzate da una

sorprendente disuguaglianza di procedura e da una disparità di motivazioni affatto comprensibili.

Di conseguenza, nel quadro generale della Roma antica, le persecuzioni contro i cristiani costituiscono un'eccezione.

Esse non turbano affatto la coscienza dei contemporanei, nemmeno dei cristiani, ad eccezione delle comunità e delle classi direttamente interessate allo sterminio e per i periodi di tempo corrispondenti.

Documentazioni: scrittori cristiani, come per esempio Tertulliano, mettono vigorosamente in rilievo che i cristiani collaborano, nella vita quotidiana, dove ciò può avvenire senza idolatria e immoralità ( cfr. § 12,1 ); la compagine interna dello Stato romano dopo la fine delle prove, quale si rileva negli scritti di Ambrogio e Gerolamo, è in tutto e per tutto quella di una struttura disciplinare e giuridica essenzialmente tranquilla.30

Il modo sporadico con cui esplosero le persecuzioni - perciò l'effettiva libertà dei cristiani anche nei primi secoli - spiega anche dei fatti come i seguenti: dal II secolo in poi fu possibile a comunità di cristiani acquistare dei fondi ed erigere chiese, intentare perfino una causa, e con successo ( la Chiesa di Roma nel 230 contro gli osti romani ); Giustino nella metà del II secolo dirigeva a Roma una propria scuola pubblica; poté sorgere una vasta letteratura cristiana.

Il cosiddetto periodo delle catacombe fu un'eccezione.

3. La causa generale più importante delle persecuzioni è da ricercarsi nell'opposizione radicale, intrinseca tra la « nuova religione straniera » ( questa motivazione figura nella lettera delle Chiese di Vienne e di Lione ), la « Alleanza di Cristo » e il paganesimo incarnato nello Stato romano; nonostante le varie predisposizioni spirituali che facilitarono la diffusione del Cristianesimo fra i pagani, quest'opposizione continuò a sussistere.

Un urto doveva quindi verificarsi con ogni probabilità.

Poiché lo Stato romano possedeva la forza, questo urto, appena scoppiato, si trasformò in oppressione violenta del Cristianesimo: di qui le persecuzioni contro i cristiani.

Ma poiché l'Impero romano era eminentemente uno Stato basato sul diritto, non possono venirgli facilmente addebitate illegalità e specialmente crudeltà illegali.

In questo senso ci previene la circostanza che le persecuzioni peggiori furono attuate non da mostri come Nerone, ma da nobili imperatori del II secolo e da notevoli sovrani del III secolo.31

Lo Stato aveva dei motivi che, dal suo punto di vista, erano validi.

4. Con questa parziale riabilitazione degli organi del paganesimo, la gloria dei martiri non viene sminuita, ma accresciuta: la loro causa vince non soltanto uomini spregevoli, che non erano oggetto della simpatia di nessuno, ma anche figure preminenti del II e del III secolo; essi riuscirono vittoriosi non solo su delle favole senza consistenza, ma su concezioni fondamentali che avevano creato e sostenevano il potente Impero romano; essi convertirono al Cristianesimo un mondo che non era unicamente marcio, ma che possedeva in sé ancora delle sane energie.

a) D'altra parte sappiamo dagli atti dei martiri e anche dagli scritti di difesa degli apologeti ( § 14 ) che talvolta anche l'infima massa della plebe partecipò attivamente alle persecuzioni.

Qui il movente principale fu l'odio suscitato dalle calunnie messe in giro: odio la cui responsabilità ricade in parte anche su singoli imperatori e governatori ( specialmente in quanto essi non si opposero con sufficiente energia alle diffamazioni e alle accuse tumultuarie ).32

Questa pratica limitazione del diritto fondamentale della sicurezza non deve essere presa alla lettera.

Sono autenticamente testimoniate denunce anonime e pressioni tumultuarie sulla conduzione del processo o la collaborazione della massa all'esecuzione capitale.

Agitazioni come quella di Lione nel 177 sono espressione di una opposizione al nuovo, molto dura e reale in ceti socialmente molto diversi, opposizione che talora fu rafforzata da una crescente opera di istigazione e anche dalla polemica letteraria contro la religione cristiana ( per es. attraverso il maestro di Marco Aurelio; cfr. Gelso e Luciano di Samosata ).

Settimio Severo in un primo tempo prese la protezione della Chiesa contro tali agitazioni tumultuarie.

b) Sotto questo aspetto è importante il fatto che proprio la prima persecuzione fu l'effetto di un odio istintivo e non il risultato di una decisione presa nell'ambito dello stato di diritto.

Essa fu scatenata da quell'uomo senza coscienza che fu Nerone.

Egli cercò, con successo, di attribuire ai cristiani la colpa dell'incendio di Roma ( nel 64 ).

Di qui il furore della plebe contro di essi.

Ma nel processo giudiziario che allora venne intentato contro i cristiani, il capo d'accusa fu « l'odio del genere umano », che non rappresenta un titolo giuridico realmente configurabile.

Di questa persecuzione, sorta da un odio ingiustificato, rimane tuttavia la formula giuridica, che ebbe vigore di legge per tutta l'epoca posteriore: non licet esse vos ( la vostra esistenza non è lecita ); il Cristianesimo è religio illicita cioè proibita per legge.

5. L'ostilità piena di odio della plebe contro i cristiani, ostilità che ebbe un peso fatale per il destino della nuova religione, aveva varie cause che operavano da lungo tempo e in modo tenace:

a) L'innato bisogno della gente ignorante, e di molti in genere, di trovare un capro espiatorio per ogni avversità.

Così i cristiani furono fatti responsabili di tutte le calamità pubbliche; contro questa concezione dovette combattere ancora sant'Agostino.

b) Il bisogno, così fortemente vivo nei romani, di pubblici divertimenti sfrenati e crudeli al circo, nel teatro e nell'arena, avvertì, come atto di biasimo, l'astensione dei cristiani da manifestazioni del genere.

c) Ma soprattutto furono le voci, provocate da calunnie e malintesi, sulle pretese pratiche contro natura dei cristiani nelle loro segrete assemblee, che nutrirono l'odio, o che l'odio assunse come pretesto per infierire maggiormente.

Inoltre c'imbattiamo in accuse formulate genericamente come per es. « follia », « mania », o « superstizione smodata », « caparbietà » ( di fronte agli inviti del giudice a ritornare alle istituzioni romane ) e « disubbidienza ».

Le considerazioni di principio, che indussero lo stato di diritto di Roma, tollerante in materia religiosa, a perseguitare i cristiani dipendono essenzialmente dalla posizione assunta dai cristiani nei confronti dello Stato.

Questa posizione non era univoca: i cristiani riconoscevano lo Stato come potenza d'ordine politico, ma la loro aspra critica al suo modo di agire al servizio degli dèi non era formulata con chiarezza; la loro fedeltà allo Stato romano non poteva dunque sembrare sempre superiore ad ogni dubbio.

La conoscenza che lo Stato aveva del Cristianesimo e del suo atteggiamento politico era in un primo tempo scarsa e il suo comportamento verso di esso veramente oscillante.

Non dobbiamo dimenticare inoltre che ancora per lungo tempo la setta cristiana, ristretta quanto al numero, socialmente insignificante, politicamente impotente, non ebbe alcuna importanza degna di rilievo nel vasto Impero romano, e solo di tanto in tanto attirò su di sé in forma limitata l'attenzione dei dominatori del mondo.

6. Lo stato romano era essenzialmente legato alla religione nazionale romana.

I cristiani invece pretendevano di possedere soltanto essi la vera religione; rifiutavano gli dèi, il culto idolatrico e il culto dell'imperatore.33

Ciò provocò contro di essi l'accusa di ateismo.

Questo ateismo rappresentava nello stesso tempo un attentato contro lo stato e implicava per i cristiani l'accusa di nemici dello stato.

a) Ciò che diede alle due accuse il peso praticamente decisivo fu l'impulso del Cristianesimo ad estendersi a tutto il mondo ( tendenza universalistica ) e il suo impeto irresistibile d'espansione.

Il Cristianesimo sentiva in sé la vocazione e la forza di conquistare il mondo.

Non si trattava di una piccola setta nazionale come il giudaismo, o di una delle numerose comunità religioso-filosofiche politicamente insignificanti; lo Stato - un volta conosciuta la natura della nuova religione - poteva piuttosto vedere nel Cristianesimo il tentativo di distaccare la totalità del popolo dagli dèi e dalla forma dello Stato ad essi legata in maniera apparentemente indissolubile.

Tanto più che importanti portavoce dei cristiani, come Giustino e Tertulliano, facevano rilevare che il cristiano in primo luogo è appunto cristiano e poi romano.

Invece le autorità romane dovettero costatare che i cristiani erano dei sudditi leali; mancava loro tutto ciò che avrebbe potuto qualificarli come rivoluzionari nel senso comune della parola.

Essi, al contrario, erano amanti della pace, cittadini onesti, che pagavano le loro tasse più puntualmente di altri e che pregavano per il bene dell'Imperatore e la stabilità dello Stato.

E che questo facessero con intenzione seria, lo garantiva la loro generale e, nonostante le voci, riconosciuta straordinariamente alta moralità.

b) Il rapporto dei cristiani con lo Stato, sotto taluni aspetti, si presentava dunque come nuovo.

È comprensibile che Roma non trovasse subito una linea di condotta ben definita nei loro riguardi.

In effetti anche le vicende si svolsero dapprima, come abbiamo già accennato, con lievi conseguenze: finché il dominatore del mondo si occupò in genere del Cristianesimo, il suo atteggiamento, fino alla persecuzione di Decio rimase equivoco e perciò oscillante.

O si partiva dalla considerazione teoretica che ci fossero dei delitti perseguibili ( ateismo, delitto di lesa maestà ) e allora, in base all'Institutum Neronianum, si decideva la repressione; oppure si agiva maggiormente sotto l'immediata sensazione destata dal pacifico comportamento dei cristiani e si lasciavano veramente indisturbati.

Denunce anonime erano proibite; Adriano decretò addirittura per esse delle pene.

I governanti talvolta si schieravano dalla parte dei cristiani contro la plebaglia; già Paolo aveva avuto questa protezione.

Quest'atteggiamento ondeggiante aveva trovato molto presto una espressa formulazione e un riconoscimento nella ordinanza ufficiale, da noi già ricordata, dell'imperatore Traiano al governatore Plinio.

7. La condanna portò ai cristiani prigione, flagellazione e pena di morte in forma diversa ( decapitazione, condanna all'arena [ con torture diverse e sempre nuove, per esempio fino all'arrostire sulla sedia metallica; cfr. la lettera di Lione-Vienne ] ).

Talvolta ( come a Lione ) era proibito il seppellimento, i cadaveri venivano esposti, oltraggiati o anche gettati ai cani, i resti venivano gettati in un fiume.

Di taluni martiri, come per esempio del Vescovo di Smirne, Policarpo, è riferito che andassero alla morte cantando un inno di lode.

Un tale comportamento non deve far dimenticare la durezza della prova.

La parola martirio è presto detta.

Ma se vogliamo parlare adeguatamente del martirio dei primi cristiani, dobbiamo tener presente la brutale tortura che esso talvolta implicava e i dolori e le prove che sempre comportava.

Possediamo alcune descrizioni dettagliate autentiche, per esempio nella lettera delle Chiese di Vienne e di Lione ai cristiani dell'Asia Minore, sul martirio dei loro fratelli sotto Marco Aurelio.

Nonostante qualche espressione esagerata, quale pacata fortezza in mezzo alle torture fino al trionfo col Signore crocifisso, come nel martirio umano-inumano di Potino e di Blandina.34

Non dobbiamo nemmeno lasciarci trarre in inganno dal lirismo con cui le sofferenze vengono talora narrate.

Il fatto che in tempi recenti in Europa e in Asia si siano ideate delle torture ancora molto più raffinate, indicibili, nel vero senso della parola, non cancella i tormenti sofferti dai martiri cristiani dei primi secoli.

In tutti e due i casi il solo fattore decisivo per una riflessione cristiana è il soffrire per Cristo e nella Sua forza.

Del vero quadro delle persecuzioni contro i cristiani fa parte la reazione umanamente e cristianamente vera dei perseguitati, quale la incontriamo nella lettera, spesso citata, delle Chiese di Vienne e di Lione: una tranquilla certezza di vittoria sul signore del paganesimo, Satana; tristezza per coloro che divengono deboli e cadono; e una grande umiltà di coloro che, resistendo alle torture, « avevano reso testimonianza della verità »; essi confessavano la propria debolezza fintanto che erano in questa vita e rifiutavano il titolo onorifico di « martiri » che essi volevano fosse riservato a coloro che dopo aver patito, attraverso la morte, erano andati ad unirsi al Signore.

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26 Nel corso dei secoli seguenti le relazioni esterne fra Giudaismo e Cristianesimo nell'Impero romano andarono complicandosi.
L'antipatia che il basso popolo, specialmente nella parte greco-orientale dell'Impero, nutriva verso i giudei fu spesso trasferita anche ai cristiani perché erano considerati come una setta giudaica.
D'altra parte i giudei, perlomeno stando alla testimonianza di scrittori cristiani dei primi quattro secoli, furono spesso i promotori di locali persecuzioni contro i cristiani.
Ciò fu possibile anche per il fatto che essi talvolta godevano molta stima alla corte imperiale ( per esempio presso Nerone e per qualche tempo presso Domiziano ).
27 Gli accenni tramandatici da Eusebio nella sua storia ecclesiastica ( per esempio nel libro IV ) sono inattendibili.
28 Questi aveva illustrato la situazione nei seguenti termini: « Finora ho proceduto così contro coloro che mi erano stati indicati come cristiani: chiedevo loro se erano cristiani.
Se lo confessavano, ponevo loro, minacciando la pena di morte, due, tre volte la stessa domanda.
Se rimanevano ancora ostinati, li facevo giustiziare.
Non dubitavo infatti che, qualsiasi fossero le loro mancanze, si dovesse in ogni caso punire la loro caparbietà e la loro inflessibile ostinazione.
Di altri, colpiti dalla stessa pazzia, essendo cittadini romani, facevo prender nota per mandarli a Roma… coloro che negavano … e offrivano sacrifici … credevo bene di lasciarli liberi ».
29 « Se accusati e ostinati, i cristiani devono essere giudicati; se rinnegano hanno la libertà.
Essi non debbono essere ricercati da parte dello Stato ».
30 Ciò si ricava in forma addirittura drastica dal modo con cui valutano i barbari che stavano irrompendo nell'Impero; durarono fatica a considerare come veri uomini questi rappresentanti del disordine.
31 Furono proprio imperatori deboli, anzi indegni, come Commodo e Gallieno, che tollerarono il Cristianesimo.
32 Il rescritto di Traiano trasferiva al governatore una certa autonomia; pertanto molto dipendeva dall'atteggiamento personale di quest'ultimo.
A Lione il governatore, contro quanto aveva stabilito l'imperatore, emanò una « ordinanza generale che obbligava a dare la caccia a noi tutti » ( Lettera della Chiesa di Lione ).
33 Policarpo per esempio si rifiuta di dire « Signore Imperatore » ( Kyrios ) e il popolo crede bene di muovergli l'accusa: « È l'annientatore dei nostri dèi ».
34 Il loro martirio alla fine viene illustrato con queste parole piene di significato e particolarmente belle: lei, la piccola, debole cristiana disprezzata, doveva abbattere, rivestita di Cristo, il grande invincibile lottatore, l'avversario e nella lotta essere cinta con la corona dell'immortalità.