La storia della Chiesa

Indice

§ 64. L'esilio avignonese dei Papi

( Da Clemente V fino a Gregorio XI, 1305-1378 )

1. Filippo il Bello non era contento della sua vittoria di fatto.

Egli voleva un riconoscimento di principio: la Chiesa stessa, la sua suprema rappresentanza nel concilio, come il suo Capo supremo, il Papa, dovevano dargli atto della giustezza dei suoi procedimenti sediziosi e condannare il morto Bonifacio VIII.

Che il rè potesse concepire un piano simile, mostra già che tipo di autocrate egli fosse e quanto fosse aumentata la schiavitù del Papato sotto il potere del rè francese.

Questa situazione era naturalmente maturata, come abbiamo già potuto costatare, attraverso un lungo processo e aveva la sua origine, almeno in parte, nelle misure pur se necessarie adottate da buoni Papi ( in lotta contro gli Hohenstaufen ).

Nessun Papa poteva liberarsi d'un colpo da queste intricate situazioni.

Questo va tenuto presente se si vogliono giudicare rettamente le molte debolezze dei pontificati che ora si susseguono.

La tragedia si rivela sempre più angosciosa nella lotta del Papato medievale: il Papato non può desistere dal rivendicare i suoi diritti di potere tipicamente medievali, ma proprio queste rivendicazioni lo portano nella ( già « moderna » ) « cattività babilonese » ad Avignone.

2. a) Il successore di Bonifacio VIII, il religioso Benedetto XI ( 1303-1304 ), fu molto accondiscendente di fronte al rè francese, revocò i decreti del suo predecessore e concesse a Filippo le imposte.

Lo fece però senza ignobile debolezza; prosciolse il rè dalla scomunica, annullò anche le troppo severe condanne contro la famiglia Colonna, ma scomunicò anche gli autori dell'attentato di Anagni.

Ma la realtà storica non si sviluppa, o si sviluppa solo in parte, secondo categorie morali soggettive.

La debolezza oggettiva soggiacque alla più vitale realtà politico-nazionale.

L'eredità lasciata all'interno della Chiesa era una Curia divisa ( accanto a un partito francese ce n'era uno romano assertore di una politica alla maniera di Bonifacio VIII ).

Filippo, da parte sua, non era ancora soddisfatto: il Papato doveva mettersi sotto la permanente dipendenza della Francia.

Anche questo parve riuscire al rè.

b) Infatti, quando dopo una vacanza durata undici mesi, fu eletto Papa un francese, già arcivescovo di Bordeaux, il debole Clemente V ( 1305-1314 ), Filippo non solo lo indusse a farsi incoronare a Lione in sua presenza, ma ( nonostante il Papa avesse più volte promesso il contrario ai cardinali ) a stabilirsi definitivamente in territorio francese: dal 1309 Clemente V risiedette ad Avignone.

c) Avignone era un feudo imperiale tedesco ( passato agli Angioini ) e appartenente allora a Napoli; più tardi Clemente VI ( 1342-1352 ) lo acquistò e ne fece un possedimento papale; ma era circondato da territorio francese, e in pratica si trovava completamente nella sfera d'influenza del rè francese.

Clemente V pensò, invero, anche a un ritorno a Roma, lo stesso dicasi di Giovanni XXII e di Benedetto XII all'inizio del suo pontificato; ma ciò che essi fecero decise il corso avignonese; con Clemente V e Clemente VI fu l'aumento del numero dei cardinali francesi che ora avevano una maggioranza di due terzi, con Benedetto XII la costruzione della sede papale in Avignone.

Nel complesso i pontificati dei due successori di Bonifacio VIII significano ne più ne meno che il riconoscimento di fatto dell'indipendenza politico-ecclesiastica della Francia.

Essa esisteva già, di fatto, attraverso la sospensione della bolla « Unam sanctam ».

Ciò significava in concreto l'effettiva rinuncia alla sostanza della pretesa papale alla supremazia politica.

È vero che i Papi del tardo Medioevo non abbandonarono, in teoria, questa pretesa, specialmente nei confronti della Germania.

Ma lo sviluppo giocava dappertutto in favore della superiorità dell'elemento nazionale.

Questo vale anche per la Germania dove si giunse alla Bolla d'Oro ( 1356 ) di Carlo IV, sebbene i rapporti fra il Papa e Carlo IV fossero di per sé buoni.

3. a) Filippo insisteva sulla condanna di Bonifacio.

Desiderava avere perfino la corona tedesca per il fratello, cioè per la Francia ( fu eletto Enrico VII di Lussemburgo, 1308-1313 ) ed esigeva la soppressione del ricco Ordine dei Templari.

Il processo contro il Papa morto fu realmente aperto, con assurde accuse ( 1310 ).

Solo facendo qualche concessione nella questione dei Templari, il Papa riuscì a liberarsi dell'increscioso e impossibile processo a carico del suo predecessore, e inoltre a riservare la questione al suo giudizio.

Clemente V ebbe quel tanto di dignità, per opporsi a una condanna di Bonifacio VIII, sebbene il rè avesse raccolto « testimonianze » addirittura mostruose.

Dopo l'annullamento di altri decreti di Bonifacio VIII e l'assoluzione di Nogaret, il quindicesimo Concilio ecumenico di Vienne nel 1312 potè dichiarare innocente Bonifacio.

b) Nella questione dei Templari ( che non avevano più grandi compiti e la cui residenza parigina si era trasformata in una specie di banca internazionale ) vinse il rè.

Qui però egli si rivelò per quel che era nel suo aspetto più basso.

In base a sospetti privi di fondamento, spinto unicamente dalla bramosia di impossessarsi dei beni dell'Ordine, fece arrestare tutti i Templari ( 1307 ) e intentò loro un processo per eresia.

Entrò in azione l'Inquisizione e la tortura strappò loro « confessioni » invalide.

54 cavalieri che ritrattarono in seguito tali confessioni, furono condannati al rogo quali recidivi ( 1308 ).

Infine il Concilio di Vienne ( ma senza emettere alcuna condanna ) stabilì con un decreto della santa Sede la soppressione dell'Ordine ( 1312 ), « perché godeva di poca buona fama ed era divenuto inutile ».

È certissimo che l'Ordine nell'insieme, e in tutte le cose essenziali, era innocente.

4. a) Anche il successore di Clemente V fu eletto soltanto dopo due anni di vacanza della Sede papale: Giovanni XXII ( 1316-1334 ).

Egli si decise infine per la permanenza stabile ad Avignone.

Il suo successore, Benedetto XII ( 1334-1342 ), un Cistercense austero e fervoroso di riforma, vi costruì il palazzo papale.

Clemente VI ( 1342-1352 ), abate benedettino e vescovo francese, illustra nuovamente, in modo particolare, la crisi alla quale fu condotta la Chiesa dal Papato avignonese.

L'atmosfera dell'esistenza fastosa e agiata nella quale egli visse si può avvertire ancora oggi in un affresco della sua stanza nel palazzo papale di Avignone.

b) Nel frattempo Roma abbandonata, fu dilaniata dalle fazioni nobiliari.

Già nel 1305 si era formato per la prima volta un governo popolare; l'ufficio di primo senatore fu conferito al Papa.

Nel 1312 il rè tedesco Enrico VII, lottando contro gli Orsini, riuscì ad entrare in Roma, fu incoronato, per incarico del Papa, nel Laterano appena ricostruito, perché gli Orsini occupavano il quartiere Vaticano.

E proprio il giuramento di questo sovrano potente e cosciente del suo potere fu considerato dall'imbelle Clemente V in Avignone, lui stesso schiavo del rè francese, come giuramento di vassallaggio!

Contro la volontà del Papa, Lodovico il Bavaro ( § 65,3 ) nel 1328 entrò in Roma, chiamato e sostenuto dai Colonna.

La dignità imperiale gli fu conferita allora da un parlamento cittadino in nome del popolo; il cardinale Colonna, assistito da due vescovi, eseguì l'incoronazione.

Rivestito dei paramenti imperiali, seduto sui gradini di san Pietro, il rè tedesco scomunicato pronunciò la condanna a morte ( ! ) contro il Papa ( allora Giovanni XXII ), « l'eretico responsabile di tradimento ».

Il popolo bruciò un fantoccio rappresentante il Papa.

Contemporaneamente però i fautori del Papa affissero la bolla di scomunica contro Lodovico.

Quale quadro desolante!

c) Innocenzo VI ( 1352-1362 ) visse personalmente in maniera semplice, fu un uomo religioso.

Egli si adoprò anche per la riforma della Chiesa, successi però, in questo senso, non ne ebbe.

Importante invece e determinante per il futuro fu qualcos'altro.

Il cardinal Egidio Albornoz ( + 1367 ) restituì la supremazia del Papa nello Stato della Chiesa e in Roma contro le famiglie nobili ( conosciamo la continua lotta condotta dagli Orsini e dai Colonna ) creando così il presupposto per il ritorno dei Papi nella loro città.

Con gli stessi obiettivi, almeno in parte, agì il risveglio, ancora poco chiaro, ma già potente, della volontà popolare ( con e contro il tribuno popolare Cola di Rienzo ), e in questo fatto si manifestano certi inizi del Rinascimento.

d) Nel 1365 lo stesso Carlo IV si recò ad Avignone.

Alle sue preghiere, affinché il Papa ritornasse a Roma, si unirono quelle del Petrarca, di santa Brigida, di santa Caterina da Siena.

Ed effettivamente Urbano V ( 1362-1370 ) ( che la Chiesa ha accolto tra la schiera dei Beati ) ritornò a Roma; nel 1367 vi entrò trionfalmente.

Nel 1369 venne l'Imperatore romano-orientale Giovanni V Paleologo per chiedere aiuti contro i Turchi e offrì, contro la volontà della Chiesa bizantina, rinnovate trattative di unione.

Ma il caos che vi regnava dopo la morte di Albornoz, « scacciò » nuovamente il Papa.

Urbano V morì poco dopo.

Solo Gregario XI, l'ultimo Papa francese ( 1370-1378 ), morì a Roma, e precisamente in Vaticano che da allora è rimasto la residenza pontificia.

Ma i gravi sconvolgimenti nello Stato della Chiesa non erano ancora placati; ci furono nuovamente delle insurrezioni contro la burocrazia pontificia francese « importata », mercenari bretoni al servizio del Papa avevano provocato delle devastazioni; il bando contro il principale partito romano dette nuova vita alle forze antipapali.

Insomma, la confusione in Roma e nello Stato della Chiesa era tale, che anche Gregorio XI si disponeva ancora una volta a ritornare ad Avignone.

5. In Avignone avevano regnato sette Papi, tutti francesi.

Esclusi Benedetto XII e Innocenzo VI, gli altri erano stati veramente « vescovi della corte francese ».

Questo esilio fu un terribile colpo inferto sia alla forza interna, che al prestigio esterno del Papato.

a) Per la forza interna: esso era separato dal suo terreno naturale, Roma e quindi in parte dalle radici della sua forza morale, e in massima parte dalle fonti della sua forza materiale.

Abbiamo già visto come l'ordine nello Stato pontificio e in Roma fosse decaduto; la potenza politica del Papa diminuì in modo minaccioso.

La pressione del rè francese fece sì che il Papa nominasse nel supremo senato della Chiesa una maggioranza di cardinali francesi, i quali perciò ( e attraverso essi il regno francese ) divennero i padroni del Papato.

L'ideale della « libertas » ecclesiastica, ottenuta con la lotta e difesa quindi per secoli, si era quasi capovolto nel suo contrario ( e in quale minore formato! ).

Il succedersi degli eventi ha qualcosa di fatale in sé: la trasformazione dell'idea papale medioevale non avviene, per iniziativa propria, per opera delle competenti istanze ecclesiastiche; si realizza invece piuttosto a causa di forze ostili una demolizione e una riedificazione che è una specie di distruzione; essa si concluderà appena nell'Età contemporanea con la rinuncia spontanea allo Stato della Chiesa.

Ora, nel tardo Medioevo, il Papato perdette enormemente la sua libertà e la sua iniziativa perché non viveva sufficientemente dell'intimo della propria spiritualità.

La ricerca di un « protettore » ( che la Chiesa non riuscì a trovare ) e al tempo stesso il persistere su certe pretese, che mai si poterono realizzare, avevano portato il Papato ad Avignone e lo avevano sottoposto a una volontà straniera.

Il decadere dell'autorità interna si rivela anche nel modo di procedere nell'ambito del collegio dei cardinali.

Il diritto al voto e la partecipazione al governo pontificio portano a concepire una ripartizione dei poteri e presto perfino all'idea di una autonomia dei cardinali, derivante loro direttamente da Dio.346

La paralisi progressiva della forza interiore è ancora più evidente nel fatto che i Papi sono sempre meno in grado di esercitare con sufficiente successo il loro ufficio dottrinale e pastorale; non sarebbe stato possibile altrimenti la incresciosa controversia di Giovanni XXII con i Francescani nella cosiddetta « controversia teoretica sulla povertà » ( § 65,2 ).

b) Il prestigio esterno del Papato decadde

1) quanto più esso, che ha valore appunto per tutti i popoli, sembrava servire alle mire dispotiche di un singolo Paese; la vecchia questione relativa al potere dell'Imperatore sull'Italia settentrionale e meridionale e dei suoi rapporti politici col Papa continuò a rimanere insoluta.

2) La lotta senza scrupoli di Filippo il Bello e poi di Lodovico il Bavaro ( § 65 ) e la condotta mondana della Curia papale fecero diminuire la devota venerazione religiosa dei popoli per il Papa; ci si abituò, ancor più di prima, a vedere nel Papa un sovrano politico ( in lotta per il raggiungimento di fini politici ) accanto agli altri sovrani e a combatterlo perciò con mezzi politici.

Di conseguenza si rende evidente l'attenuarsi dell'autorità del Papa in campo dottrinale e del prestigio spirituale che finora era rimasto intatto.

La ipotesi ammessa in teoria dai canonisti, tradotta poi in pratica dai legisti nel processo contro Bonifacio VIII, per la quale il Papa può essere eretico, condusse ad una critica sempre crescente.

Giovanni XXII, sul letto di morte, deve addirittura ritrattare certi insegnamenti escatologici.

Sempre più forti si fanno gruppi che si sottraggono alla giurisdizione del Papa.

c) I mezzi dell'interdetto e della scomunica furono applicati con troppa frequenza ( specialmente nella lotta con Lodovico il Bavaro ); e regolarmente se ne abusò.

Molto spesso alle minacce della Chiesa mancò la forza che potesse attuarle.

Le bolle di scomunica di Giovanni XXII erano bensì affisse alle chiese di Avignone, ma in Germania non ci si faceva tanto caso.

Conseguenze ancora più disastrose ebbe la spada a doppio taglio dell'interdetto, che de facto isolava notevolmente, talvolta per molti anni, delle grandi masse di popolo dalla vita sacramentale della Chiesa, favorendone in tal modo la decadenza morale.

Addirittura assurda si presentò la situazione quando per esempio i luoghi santi di Palestina furono colpiti dall'interdetto.

L'interdetto proclamato contro i vari luoghi di residenza di Lodovico il Bavaro e la conseguente disgregazione ecclesiastica era già durata per 20 anni, quando finalmente la dichiarazione di Rense del 1338 e una legge imperiale di Lodovico stabilì che fosse proibita l'ulteriore osservanza di tale interdetto.

La specifica debolezza delle censure spirituali stava nel fatto che esse ben raramente venivano comminate a causa di interessi veramente spirituali.

Troppo spesso ne erano la causa il potere, le pretese politiche o il denaro.

Molti, piccoli scismi particolari ( parti delle diocesi e degli Ordini erano per l'Imperatore, altre per il Papa ) sembravano anticipare il futuro scisma occidentale.

Nel 1339 iniziò la « guerra dei Cento anni » tra la Francia e l'Inghilterra, la quale perciò è ostile al Papato « francese », che a sua volta è in contrasto col collegio dei grandi principi elettori tedeschi.

Gli anni 1348 e 1352-53 videro delle gravi epidemie di peste, tumultuarie persecuzioni di Ebrei, viaggi di flagellanti, sommosse di carattere intellettuale e religioso: l'impressione del disordine, anzi della catastrofe, arriva da varie parti in maniera davvero inquietante.

6. a) Nella Curia papale di Avignone si sviluppò una economia finanziaria indegna di ecclesiastici e di grave danno per la Chiesa.

Connessa spesso alla simonia e al favoritismo ingiustificato e smodato verso i parenti del Papa ( nepotismo ), essa divenne una delle forze di dissolvimento in seno alla Chiesa e una delle grandi cause che prepararono il terreno alla Riforma.347

Infatti, ne Clemente V, ne il Concilio di Vienne, che a questo scopo era stato convocato, avevano fatto qualcosa per la riforma divenuta seriamente urgente.

Con quale disinvoltura la logica curiale cercasse di esimersi, proprio in questo punto, dal dovere della riforma, si può dedurlo dalla teoria disgustosa secondo la quale alla Curia romana ( data la potestà del Papa di disporre di ogni cosa ) non è affatto possibile la simonia.

Purtroppo però la simonia in senso più lato divenne addirittura un marchio degli usi curiali in Avignone e poi un'eredità anche della Curia romana fino al punto che Bonifacio IX « colpevole della massima avarizia e della peggiore simonia » ( Teodorico da Niem ) prendeva denaro da tutti coloro che aspiravano ad una carica e assegnava i relativi benefici al maggior offerente.

b) L'esazione di imposte di vario genere da parte della Curia era in sé pienamente legittima, come già vedemmo.

Proprio allora ad Avignone vennero a mancare le rendite dello Stato della Chiesa, i tentativi di riportarvi l'ordine e la guerra del Papa contro le città dell'Italia settentrionale importarono invece nuove grandi spese.

Il Papato poteva sovvenire ai suoi bisogni solo reperendo nuove fonti di entrate.

Ma con ciò non è affatto giustificato l'esoso fiscalismo quale realmente fu praticato ad Avignone.

Poiché: a) i bisogni sovraccennati furono eccessivamente moltiplicati dalla sfarzosa vita di corte che si conduceva ad Avignone;

b) le imposte stesse furono aumentate a dismisura ( nel senso irreligioso accennato ) e ottenute mediante una pratica moralmente deteriore della provvisione canonica;

c) inoltre furono fatte servire a degli scopi che non erano sempre quelli d'obbligo.

La colpa principale non ricade sui singoli Papi, che talvolta procedettero contro le irregolarità o, come Giovanni XXII, instaurarono un rigido ordine nelle finanze o anche, come Benedetto XII, posero un freno a tutti quegli abusi di collazione dei benefici che ora incontreremo ad ogni pie sospinto: vendita e accumulazione di benefici; nepotismo; aumento delle tasse; inadempienza dell'obbligo di residenza; decadenza della disciplina degli Ordini.

La colpa ricade sulla corte pontificia, sui curiali che di essa vivevano.

Qui era sorto un grande apparato amministrativo, dove troppo spesso si pensava con criteri commerciali e secondo questi si agiva, e i cui impiegati compivano molte irregolarità a loro proprio beneficio.

Il monito di san Bernardo di guardarsi dal trasformare la casa del Sommo Sacerdote in una Curia e in una vita di corte ( § 50,IV,5 ) si manifestò purtroppo, ai fatti, fin troppo giustificato.

7. Più tradizionali fonti di entrate della Curia papale erano i beni dentro e fuori dello Stato della Chiesa, l'obolo di san Pietro ( Polonia, Ungheria, Inghilterra ), tributi di stati vassalli, tributi per esenzioni, decime, soldi del pallio degli arcivescovi, le imposte dei prelati per le loro visite a Roma, i « servitia communio » ( ossia le tasse di riconoscimento di vescovi e abati per la loro nomina ),347a tasse straordinarie ( per esempio per « crociate » di vario genere ), tasse per il conferimento di privilegi e dispense.

La base delle nuove entrate era costituita dalla riserva.

I Papi avevano rivendicato in maniera sempre crescente il diritto di nomina alle sedi delle Chiese della cristianità.

Un inizio in questo senso si era avuto con l'esenzione e l'appello a Roma ( per esempio in una elezione controversa, dalla quale poi risultava la conferma ).

Poi la dottrina del potere assoluto del Papa aveva dato la possibilità di disporre direttamente di uffici e benefici di Chiese straniere.

In base a questa concezione i Papi, in un primo tempo, si erano riservato il diritto di nomina alle singole sedi.

Poi fu la volta dei riservati generali, cioè riserva di intere categorie di benefici: tutti gli uffici che si rendevano vacanti, mentre il loro occupante si trovava presso la Curia romana ( Bonifacio VIII estese questo concetto a un lasso di otto giorni di viaggio ) dovevano essere riservati alla Curia, che li occupava.

Questo diritto venne notevolmente esteso ad Avignone.

Giovanni XXII stabilì che dovevano essere riservati alla Sede apostolica tutti quegli uffici al cui espletamento essa fosse in qualche modo interessata sia per ricorso, sia per trasferimento, per deposizione o per promozione.

Fu Benedetto XII, animato da propositi di riforma, che raccolse e perfezionò nel 1335 le disposizioni al riguardo.348

Agli uffici cui si doveva provvedere erano connessi dei benefici.

Con la concessione di tali benefici i Papi ottenevano una parte delle entrate annuali, diversamente scaglionate a seconda che si trattasse di benefici maggiori o minori.

Da Giovanni XXII in poi furono riservate alla Curia pure le entrate di benefici vacanti e anche il lascito dei religiosi.

Le tasse furono elevate, le collette straordinarie si fecero più frequenti.

Sorse anche la pessima consuetudine, che, dietro versamento di una determinata somma, si acquistasse il diritto di aspettativa di un beneficio, pur essendo questo ancora in possesso del beneficiario = aspettative.

In seguito avvenne poi che un simile diritto fosse conferito a più persone.

Un abuso di particolare gravità si verificava quando, contro le disposizioni canoniche, più benefici vincolanti alla cura d'anime venivano conferiti ad una unica persona ( cumulus ).349

In tal caso, o la cura d'anime da una parte o dall'altra veniva completamente trascurata, oppure il beneficiario procurava un vicario.

Poiché questo Io pagava il peggio possibile, si ebbe un clero intellettualmente, moralmente e socialmente insufficiente, un proletariato spirituale che nel tardo Medioevo compromise l'autorità dei sacerdoti e spesso contribuì a far sì che il popolo prestasse orecchio, troppo facilmente, alla critica anticlericale allettante, ma anche giusta; è fin troppo comprensibile perciò che la cura d'anime presentasse delle gravi lacune a causa della suddetta procedura.

Questi abusi di vario genere furono favoriti dalla crescente centralizzazione nella Curia pontificia; essa rese possibile in modo particolare la corruzione e il mercato di uffici sacri.

Causò anche un indebolimento interno delle diocesi, per il fatto che gli occupanti un posto ecclesiastico si resero sempre più indipendenti dal vescovo diocesano o dal metropolita.

Favorì inoltre un sensibile trasferimento della giurisdizione religiosa verso Roma, cosa che, accanto a vantaggi ( lo svolgersi della procedura in modo più oggettivo ), comportava anche gravi lacune.

8. Si ebbe nel complesso un impressionante sconvolgimento del punto di partenza e del senso della riforma gregoriana, che nella lotta contro la simonia aveva combattuto contro il denaro.

È vero che i danni qui manifestatisi, tanto in passato, quanto in tempi più recenti, sono spesso enormemente esagerati.

Quando un cacciatore di prebende, come Petrarca, inveisce contro il commercio di benefici della Curia, la sua invettiva non ha molto peso.

Ma qui nessun ritocco ingiustificato può attenuare la forza di una descrizione conforme a verità.

Una volta abbiamo visto come queste cose siano maturate, in certo qual modo, con una loro logica consequenzialità coll'andar del tempo; e non è possibile che noi respingiamo, come ingiustificate, la massa delle tristi accuse che, a partire dal secolo XII, risuonano da quasi tutti i Paesi.350

Anche informazioni e giudizi provenienti da uomini di insospettata fedeltà al Papa, come le forti espressioni dell'eremita agostiniano curialista ( ! ) Ago-stino Trionfo, e del Minorità, pure curialista, Alvarez Pelayo ( testimoni oculari ), i quali non temono di paragonare i capi della Chiesa a lupi rapaci che si nutrono del sangue dei fedeli, e descrivono in modo spietato l'avarizia e la venalità del clero della Corte papale, ci dimostrano in modo fin troppo chiaro quale ampiezza avessero preso gli abusi.

Si pensi ancora ai rimproveri di santa Brigida di Svezia e di santa Caterina da Siena, la quale ricordò al Papa che egli non poteva essere soltanto sovrano, ma doveva essere anche pastore!

Esiste certamente, come abbiamo già spiegato, una serie di cause che, in certo qual modo, possono spiegare perché questi fenomeni si siano manifestati proprio sotto i Papi avignonesi e dopo l'esilio avignonese; ricordiamo ancora alcune voci: passaggio dall'economia di scambio all'economia monetaria, le crescenti spese per il mecenatismo, costruzioni ( ma anche lusso, vita cortigiana, nepotismo ); la politica: il governo di Bonifacio VIII aveva mandato quasi in rovina la Curia; nella catastrofe di Anagni andò perduto tutto il denaro liquido in oro e argento; lotte carissime con la Francia e l'Inghilterra che inoltre non mandava più denaro; mancavano le entrate nello Stato della Chiesa …

Da tali cause però non si possono dedurre delle giustificazioni a favore dell'ufficio spirituale.

Vedremo che la situazione durante lo scisma d'Occidente e durante il Rinascimento si inasprì maggiormente, a danno della Chiesa.

Si tratta di uno sviluppo, purtroppo abbastanza continuo.

Proprio il cattolico che nella Chiesa venera la sua madre, non ha alcun interesse a trovar scuse per la colpa che esiste.

I mali dimostrano che la Chiesa santa, secondo quanto dice il Vangelo, è anche una Chiesa di peccatori.

Il futuro superamento di questi mali lascia poi intravvedere la realtà imperitura della Chiesa.

La sua intima essenza infatti è divina ed è rimasta intatta in mezzo alla corruzione.

Per ogni critica rivolta ai fatti della storia della Chiesa è senz'altro fondamentale la distinzione tra ufficio e persona.

I critici ispirati l'hanno sempre saputo: così un san Bernardo, un san Francesco, una santa Brigida di Svezia, una santa Caterina da Siena.

Se si prendono sul serio i valori religiosi della Chiesa, attingendo ai quali queste figure vissero eroicamente, non si può proprio, cambiando per così dire arbitrariamente metro, accantonare la conseguenza per loro più importante, ossia l'accettazione nel dolore e nella fede proprio di questa Chiesa biasimata.

Gli abusi nella Chiesa non diminuirono, anzi infiammarono la loro fedeltà alla Madre dei santi.

Essi iniziarono la riforma da se stessi, e quando biasimarono non lo fecero mossi da interessi personali, ma solo spinti dallo zelo del missionario, che vuoi essere servitore della buona causa.

Questo cumulo di lacune ebbe delle conseguenze molto reali nella storia della Chiesa: lo sfruttamento finanziario delle Chiese da parte della Curia divenne uno degli argomenti più solidi per far progredire l'istituzione delle Chiese territoriali e nazionali.

E la funzione di questo fattore nell'apostasia della Riforma e nei movimenti ecclesiastico-nazionali cattolici avremo occasione di conoscerla a sufficienza.

9. Le condizioni che abbiamo riscontrato nei supremi uffici della Chiesa avevano un sottofondo che era andato maturando da lungo tempo: lo sviluppo dell'organizzazione di tutto l'alto clero aveva obbedito in maniera considerevole a leggi economiche.

a) La potenza crescente dei Capitoli delle cattedrali nei confronti del vescovo che si era sviluppata da diversi secoli, la loro parte nei beni ecclesiastici e nelle rendite che erano annesse, rappresentava una certa tendenza decentratrice nella costituzione ecclesiastica che contrastava con la tendenza centralizzante dell'ufficio episcopale.

Nello stesso tempo però essa contribuiva a imprimere un carattere più saliente all'unico vertice episcopale.

E quanto più forte era l'influenza del Capitolo della cattedrale, per esempio attraverso capitolazioni elettorali, tanto più ambiti erano i relativi posti o benefici.

Questi divennero in maniera crescente privilegio della nobiltà.

Purtroppo con la decadenza accennata, per tutti i posti ecclesiastici prende sempre più piede questa convinzione: l'ufficio è il beneficio.

Si tendeva all'ufficio per il beneficio.

b) La storia di tutte le diocesi nel Medioevo ci parla dell'illimitata importanza dei Capitoli delle cattedrali, sia nel bene come nel male.

Dal punto di vista della storia della Chiesa però, conseguenze molto più importanti - perché più centrali - ebbe la evoluzione in seno al collegio dei cardinali.

In molteplici forme essa limita il curialismo universalistico per il fatto che i cardinali rappresentano la loro patria.

D'altra parte, per tutto il secolo XIV e XV ( e perfino il XVI ), il Papato stesso e i cardinali fanno di tutto per organizzare il curialismo nel modo più forte possibile.

Due tendenze caratterizzano in questo senso lo sviluppo; tendenze che si combattono a vicenda, mercanteggiano, per così dire, il premio, e avanzano in direzioni diverse.

L'ascesa della potenza dei cardinali si effettuò parallelamente all'ascesa della potenza del Papa a partire dalla fine del secolo XI.

Da allora essi si organizzarono anche come collegio.

La legge del 1059 sull'elezione del Papa conferiva ai cardinali il diritto decisivo di voto.

Il decreto relativo all'elezione papale del 1179 conferì loro il diritto decisivo di elezione; nel periodo della sede vacante erano soltanto essi i detentori del potere ( significative sono le lunghe sedi-vacanti alla fine del XIII secolo ).

I cardinali presero pertanto il posto dell'antica burocrazia pontificia nell'amministrazione economico-politica e nella cura degli interessi ecclesiastico-religiosi.

A partire dal secolo XII e in particolare dal XIII possedevano anche, e in quantità notevole, benefici esterni.

Sotto Niccolò V ( 1289 ) fu loro assegnata la metà della maggior parte delle entrate regolari della Curia romana.

Un mezzo per mantenere e per aumentare questa potenza erano anche le capitolazioni elettorali.

Con questa ampliata influenza i Papi dovevano ora fare i loro conti in campo ecclesiastico, politico ed economico, e i cardinali divennero un fattore importante anche nei piani delle grandi potenze politiche.

Come la Francia per prima abbia sfruttato tutto ciò in senso vero e proprio, lo sappiamo dallo sviluppo a partire dalla seconda metà del secolo XIII, sotto Bonifacio VIII e in Avignone.

Nelle fazioni che andavano costituendosi trovarono espressione i contrasti fra le antiche famiglie nobili, sia economici che politici, sia ghibellino-guelfi che romano-francesi.

Nella lotta dei Colonna alleati di Filippo IV contro Bonifacio VIII li abbiamo visti esprimersi quasi in sintesi.

Anche lo scisma occidentale fu possibile soltanto attraverso questa forza decentralizzante e separatistica.

Il Rinascimento porterà un ulteriore, radicale cambiamento di struttura; il collegio dei cardinali diverrà il bacino collettore delle grandi famiglie rivalizzanti: Della Rovere, Colonna, Orsini, Borgia, Farnese, Medici: mentre aumentavano, e aumentavano esageratamente, le pretese economiche su tutta la Chiesa, il Papato si evolverà in dinastia principesco-territoriale.

La grande linea dell'universalismo del potere papale, specificamente medievale, muta direzione e contemporaneamente ( in dimensioni notevoli ) viene continuata in maniera egoistico-mondana.

10. L'epoca di Avignone ha pure i suoi lati positivi.

Certo, i meriti relativi allo sviluppo delle finanze e perfino quelli riguardanti l'arte, non possono chiarire sostanzialmente il quadro.

Il Papato infatti è un'istituzione essenzialmente religiosa, e non culturale.

E, del resto, proprio la forte piega in questa direzione portò al Papato politico-culturale del Rinascimento, che tanti danni ha causato alla Chiesa.

a) D'altro canto però, anche in Avignone ci fu una serie di Papi personalmente religiosi, e riformatori zelanti, che abbiamo già fatto rilevare: Benedetto XII, Innocenzo VI, Urbano V, Gregorio XI.

È soprattutto consolante, dal punto di vista cristiano, che in quest'epoca di egoismi nazionali e sociali, sia la Chiesa che si prende notevolmente cura del bene materiale e spirituale dei singoli cristiani, caduti nelle mani degli infedeli ( evangelizzazione nell'estremo Oriente ), e che organizza in vario modo le missioni fra i pagani dell'India, dell'Asia centrale e della Cina.

Nel XIII e XIV secolo furono soprattutto Francescani e Domenicani che attraverso l'Asia centrale si spinsero fino ai Mongoli ( Giovanni del Pian del Carpine, Guglielmo di Rubruck ), e attraverso l'India fino alla Cina ( Giovanni da Monte Corvino, Odorico da Pordenone ), in qualità di legati del Papa e insieme del rè.

b) II risultato complessivo rimane purtroppo negativo: il sistema dei benefici ( col fiscalismo ) e il malcontento da esso generato causano un dissolvimento della mentalità medioevale e una preparazione a quella moderna: una certa nazionalizzazione nel senso accennato, antiecclesiastico, forte secolarizzazione, discredito del concetto di Chiesa nella coscienza dei popoli.

Ciò significa un processo di progressivo allontanamento dal Papato di quel tempo e il rafforzamento delle Chiese nazionali in rapporti tesi con Roma.

Il processo di sovvertimento, in sé naturale durante la necessaria crescita dei popoli, diviene effettivamente già in Avignone un movimento che si stacca dall'autorità ecclesiastica.

Lo sviluppo decorre ancora, invero, nell'ambito della fede cattolica e in una fedeltà di fondo verso il Papa come supremo maestro, facilita però attacchi dogmatici, provenienti da ogni parte, contro il Papato, anzi li rende possibili.

Merita particolare menzione soprattutto un pericolo che durante lo scisma si manifesterà in forma più grave.

Poiché il Papato - anche solo sotto il profilo storico - è una rappresentazione essenziale e sintetica della Chiesa, un attacco contro il Papato sarà sempre un attacco contro la Chiesa.

Attraverso lo sviluppo delineato questo pericolo che qui si annidava aumentò senza necessità e in maniera straordinariamente pericolosa.

Già la crescente centralizzazione di tutto il potere ecclesiastico nella persona del Papa ne fa parte.

Tuttavia questo fu il prezzo pagato storicamente per la conseguente maturazione del primato fondato nella scelta di Pietro a pietra umana basilare.

Ciò che senza necessità rese così minaccioso lo sviluppo finora illustrato ( e che seguiremo ancora ) della centralizzazione del potere il più totale possibile nella persona del Papa, fu il fatto che in questo sviluppo era stata inclusa anche la pretesa al potere sulle cose temporali, contro lo sfruttamento delle quali poteva e doveva levarsi una legittima opposizione.

Nel caso di Wiclif per esempio, vedremo come essa, purtroppo, quasi spontaneamente, si trasformò in un attacco contro la dottrina del primato.

Indice

346 Cfr. per esempio la prima capitolazione elettorale dei cardinali all'elezione di Innocenzo VI.
347 Dopo alcuni inizi nel XIII secolo con Innocenzo III, più ancora con Niccolò III e specialmente con Bonifacio VIII, il XIV secolo portò un grave inasprimento del nepotismo.
Clemente V se ne macchiò in maniera incredibile, facendo cardinali cinque suoi parenti; lasciò ai suoi parenti, con disposizioni testamentarie, un milione di fiorini d'oro che dovevano servire per una via crucis.
Anche Giovanni XXII e, in modo particolare, Clemente VI, si sono macchiati di nepotismo.
E all'ultimo Papa residente in Avignone, Gregorio XI, santa Caterina rimproverò pure il suo nepotismo.
347a A partire dal secolo XIII la Chiesa cerca sempre più di appropriarsi del diritto di conferma.
L'ultima tappa di questo sviluppo medioevale a sfavore dei metropoliti ( v. già la lotta di Incmaro di Reims, § 41 ) si avrà poi con il terzo periodo del Tridentino.
348 Durante lo scisma ( § 66 ) e durante il pontificato dei Papi rinascimentali le possibilità si svilupparono ancora attraverso le norme di cancelleria.
349 Contro il cumulus si volgono alcuni sinodi già dalla fine del secolo XI.
I divieti aumentano sempre più sino alla fine del Medioevo: il loro ripetersi dimostra quanto profondamente fosse penetrato l'abuso.
Nonostante tutte le lamentele, e anche nonostante tutte le riforme, il cumulus rimarrà il grande male della Chiesa, perfino dopo il Tridentino, fino alla secolarizzazione.
350 La critica di Walter von der Volgelweide era viziata dalla sua presa di posizione politica; ma la sua osservazione riguardante la donazione di Costantino ( per essa è stato sparso veleno nella cristianità ) ha dei paralleli in Dante ( Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre - non la tua conversion, ma quella dote - che da tè prese il primo ricco patte!
Inf. XIX, 115-117; inoltre l'aspro biasimo nel XI e XII canto del Paradiso ), in Freidank ( la rete romana prende oro, argento, città, paesi ), in alcune cronache ( per esempio una francese: il Papa è il più insaziabile dei mortali ); nell'« Evangelìum Pasquillì secundum marcus argenti » dei Carmina Burana che riapparve al tempo dei Concili di Basilea e di Costanza con altre rozze derisioni delle compere e delle vendite romane.