Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

Indice

Capitolo quarto - II

II. La dialettica de « L'azione »

Cerchiamo ora di rilevare la struttura e l'itinerario de L'Azione.

Ma perché studiare l'azione?

Nel 1886, nei suoi Quaderni infimi, Blondel risponde sotto forma di meditazione: « Mi propongo di studiare l'azione perché mi sembra che, nel Vangelo, è attribuito soltanto all'azione il potere di manifestare l'amore e di raggiungere Dio.

Studierò l'azione perché in questo tempo non sappiamo più soffrire per agire e produrre.

Manca la voglia.

Si sa, si capisce, si sottilizza, si contempla, si gode; non si vive.

In ipso vita erat et vita erat lux hominum.

Vita innanzi tutto; vivere e agire col cuore, per vedere con lo spirito.

Voglio dimostrare che la maniera più elevata di essere è agire; che la più completa maniera d'agire è soffrire e amare, che la vera maniera d'amare è aderire a Cristo » ( CI: 85 ).

Il cristianesimo non è una gnosi, una pura speculazione, ma una vita, un fatto di amore.

La filosofia dell'azione sarà una filosofia delle esigenze dell'amore.

Più tardi, nell'Itinerario filosofico, definisce il suo progetto in opposizione all'ambiente che lo circonda e di cui voleva liberarsi: « Un ambiente dove gli estremi opposti si provocavano e non si compensavano, un ambiente dove si oscillava dal dilettantismo allo scientismo; dove il neo-cristianesimo alla russa si urtava alla dura virtuosità dell'idealismo radicale alla tedesca; dove nell'arte e nella letteratura come in filosofia, per non dire nella stessa pedagogia religiosa, mi sembrava trionfasse il nozionale, il formale, vedi l'irreale; dove gli sforzi stessi che si tentavano per riaprire le sorgenti di una vita profonda e di un'arte nuova non sfociavano che nel simbolismo, senza arrivare a riabilitare il concreto, il diretto, il singolare, l'incarnato, la lettera vivente che prende tutto il composto umano, la pratica sacramentale che insinua nelle nostre vene uno spirito più spirituale che il nostro spirito, il senso popolare e il realismo cattolico.

Si credeva di arricchirsi attraverso l'inflazione di tutte le ideologie fiduciarie; come se le interpretazioni grafiche e le altere speculazioni dei semi-abili portassero più lontano e avessero più valore che le umili e sublimi realtà dei semplici e dei saggi!

Ora, l'azione mi sembrava essere il « legame sostanziale » che costituisce l'unità concreta di ogni essere assicurando la sua comunione con tutti.

Non è essa infatti la confluenza in noi del pensiero e della vita, dell'originalità individuale e dell'ordine sociale e anche totale, della scienza e della fede?

Traducendo ciò che vi è di singolare, d'inedito, d'iniziativa in ciascuno, essa subisce tuttavia le influenze del mondo inferiore, del mondo interiore, del mondo superiore: essa viene dall'universale e vi fa ritorno, ma introducendovi il decisivo; essa è il luogo geometrico dove si incontrano il naturale, l'umano, il divino ».7

L'azione per Blondel è ciò che i moderni chiamano l'esistenza concreta dell'uomo totalmente impegnato.

La sostanza dell'uomo è l'azione: egli è ciò che fa.

L'originalità di Blondel è di situarsi al di qua dell'intelligenza e della volontà, alla sorgente comune, in questo dinamismo originale dell'essere spirituale, dove esse attingono la loro forza.8

Studia l'azione non mediante la descrizione psicologica, ma attraverso l'analisi riflessiva, per capire ciò che implica: è una dialettica delle implicazioni dell'azione: « L'azione è travagliata da una legge immanente e creatrice, un progetto che le da forma e di cui è possibile discernere il significato.

Vi è una intenzionalità immanente, una specie di mira che opera all'interno dell'azione umana ».9

Fin dalle prime righe dell'opera Blondel pone il problema dell'azione in termini che ricordano Pascal: « La vita umana ha, sì o no, un senso, e l'uomo un destino?

Agisco, ma senza neppure sapere che cosa è l'azione, senza aver desiderato vivere, senza conoscere esattamente chi sono e persino se esisto » ( A: VII ).

E, d'altra parte, sento dire che i miei atti portano in essi una responsabilità che impegna o la vita o la morte.

Non posso nemmeno rifugiarmi nel nulla.

Se vi è qualcosa da capire, lo voglio capire.

Voglio sapere se questo mistero che io sono per me stesso, ha qualche consistenza.

« Scoprirò senza dubbio ciò che si nasconde nei miei atti, in questo estremo fondo dove, senza me, nonostante me, io subisco l'essere e mi vi attacco » ( A: VII ).

Ne ho l'evidenza, sottolinea Blondel, l'azione nella mia vita è più che un fatto: è una « necessità » alla quale non posso sfuggire.

Anche il suicidio è un atto.

Più che una necessità, l'azione è spesso un obbligo: « essa si deve produrre attraverso me » ( A: VIII ).

Anche se mi impone delle scelte dolorose, non posso sfuggirvi.

E quando mi impegno in una dirczione, elimino per il fatto stesso un'infinità di atti possibili.

Non ho nemmeno la possibilità di fermarmi, di non agire.

Se non agisco di mia spontanea volontà, vi è qualche cosa in me o fuori di me, che agisce senza di me e spesso contro di me.

Se tento di sottrarmi a delle opzioni decisive per la mia vita, sono asservito, perché non ho agito; se invece agisco sono assoggettato a ciò che ho fatto.

In pratica nessuno sfugge all'azione e al problema che essa pone.

E agendo, ciascuno risolve il problema nel senso della vita o della morte.

Per capire il senso della condizione umana, si deve quindi affrontare il problema dell'azione umana, cioè studiare la dialettica della vita reale, percepire ciò che è inevitabile e necessario nello svolgimento dell'azione umana considerata nella sua totalità.

« Mi sono posto, per così dire, all'interno dell'azione umana, dice Blondel … per riconoscere quali ne sono le esigenze, per misurarne tutta l'espansione irresistibile ».10

Perché l'itinerario sia rigoroso, occorre non presupporre nulla e non tralasciare nulla.

Gli uomini hanno inventato una gran quantità di atteggiamenti per sfuggire alle esigenze dell'azione.

Dobbiamo considerarle tutte, per vedere se portano in esse la loro giustificazione o la loro condanna.

« Alla radice delle più impertinenti negazioni o delle più folli stravaganze della volontà, occorre quindi cercare se non c'è un movimento iniziale che persiste sempre, che si ama e che si vuole, anche quando si rinnega o se ne abusa.

È in ciascuno che è necessario trovare il principio del giudizio da portare su ciascuno » ( A: XX ).

Il problema dell'azione non è « una questione particolare, una questione come un'altra che si offre a noi.

È la questione, quella senza la quale non ce ne sono altre» ( A:XXI-XXII ).

In tutti gli atteggiamenti attraverso i quali l'uomo cerca di sfuggire alle esigenze dell'azione, Blondel dimostrerà che esiste sempre una « sproporzione » ( A: XXIII ); una « discordanza » ( A: XXIV ) tra ciò che si crede di volere e ciò che si vuole profondamente, tra l'oggetto voluto e il movimento « spontaneo » del volere.

Vi è sempre inadeguatezza tra il termine dell'azione e lo slancio del volere, tra la volontà volente e la volontà voluta.

Per volontà « volente », si deve intendere qui il dinamismo spirituale che anima l'uomo tutto intero, compresa la sua intelligenza: è l'essere dinamizzato.

Dopo aver percorso tutta la serie degli itinerari umani, e osservato dovunque questa sproporzione, questa discordanza che rinasce sempre tra il voluto concreto e il dinamismo spontaneo dell'uomo, noi misuriamo l'ampiezza di questo dinamismo e siamo condotti a capire che l'uomo non può completarsi che aprendosi a un'altra azione che non è la sua.

Si dimostra così che, nel suo profondo, alla sua radice, il volere umano, sempre « scalpitante », sempre insoddisfatto, è attesa e desiderio di qualcosa in più.

Possiamo infine mostrare che il cristianesimo sembra essere la risposta appropriata a questo appello, a questo bisogno.

Tale è già l'itinerario dell'Azione.

La molla del metodo di Blondel è la dialettica della volontà voluta e della volontà volente, del movimento riflesso e del movimento spontaneo del volere.

Essa è una tematizzazione riflessa del vissuto dell'azione.

Diamo subito qualche precisazione.

1. Quando si parla di una sproporzione tra la volontà voluta e la volontà volente, si deve intendere con ciò una specie di discordanza inerente alla stessa volontà voluta, una specie di falla all'interno della volontà voluta.

In altre parole, la volontà volente non esiste a lato della volontà voluta: si esercita in essa e, in se stessa, sfugge a ogni introspezione.

Non appare che attraverso un'analisi regressiva, come una condizione di esercizio della volontà voluta, che sola è oggetto di conoscenza diretta.

2. L'intenzione fondamentale di Blondel è di dimostrare che noi vogliamo effettivamente, di fatto, in actu exercito, il soprannaturale ( senza poter tuttavia darcelo ), nel senso che è iscritto nel nostro dinamismo spirituale più profondo: in realtà, è l'essere elevato e dinamizzato dalla grazia.

Questo volere effettivo del soprannaturale che Blondel intende manifestare, non è quindi quel volere esplicito che si esercita in seno alla fede, ma un volere implicito che solo l'analisi riflessa ( non l'introspezione psicologica ) conduce a riconoscere al princìpio dell'attività spontanea, in ogni uomo, fosse egli non credente.11

Attraverso il suo metodo d'immanenza, Blondel vuole condurre il non credente a riconoscere che vuole suo malgrado il soprannaturale, e ciò perfino nell'atto stesso mediante il quale lo rifiuta.

Lo sforzo di Blondel consiste nel dimostrare che vi è, fin dall'origine, immanenza del trascendente in noi.

3. Notiamo che l'oggetto di questo soprannaturale non è ancora il soprannaturale sotto la forma positiva e determinata della rivelazione cristiana, ma sotto una forma ancora indeterminata.

La dimostrazione di Blondel resta anteriore all'atto di fede e non esce dal campo della filosofia.

4. Infine Blondel non vuole stabilire che Dio deve donarsi, ma che l'uomo deve accogliere il suo libero dono, se si manifesta.

Questo obbligo, senza dubbio, è proclamato dal Vangelo, ma occorre che questa notifica esteriore del dono appaia come una risposta a una attesa, a un volere implicito.

L'Azione si compone di cinque parti.

Le prime tre possono intitolarsi: « L'uomo nel mondo » e portano a concludere dell'insufficienza dell'ordine naturale.

La quarta parte, intitolata « L'essere necessario dell'azione », conclude con la necessità di aprirsi all'azione divina.

La quinta parte, intitolata, « Il compimento dell'azione », conclude con la necessità di prendere sul serio l'idea della rivelazione e dell'ordine soprannaturale, come lo definisce il cristianesimo.

Le due ultime parti ci interessano particolarmente.

1. Parte prima: esiste un problema dell'azione?

Per essere fedele al suo metodo, che consiste nel non supporre nulla, non tralasciare nulla, Blondel incomincia col domandarsi se questa questione ha un senso, se vi è motivo di porla.

Incontra innanzi tutto l'atteggiamento negativo del dilettante e dell'esteta.

Il dilettante elimina il problema, facendo coesistere in lui, se si può dire, diverse vite contrarie: « saggismo in azione » ( A:8 ).

Egli pretende di gustare il piacere relativo di tutto, senza mai impegnarsi a fondo.

Ma di fatto il suo atteggiamento rivela una contraddizione, perché pretendere di godere di tutto, senza niente volere, senza mai impegnarsi è volere se stessi: « Niente prima di me, niente dopo di me, niente al di fuori di me » ( A: 16 ).

Non voler nulla è rifiutarsi ad ogni oggetto, ma per riservarsi interamente e proibirsi ogni dono di sé, ogni abnegazione.

Si vorrebbe che l'essere non esistesse, ma si è felici di esistere per negarlo: egoismo radicale.

Il dilettante vuole essere, al punto di annientare tutto di fronte al suo capriccio personale e sovrano.

In fondo, ha un sistema come gli altri, perché ha la pretesa « di essere al di fuori e al di sopra di tutti gli altri » ( A: 17 ).

« La sua dottrina, è di non averne allatto, e ne è una » ( A: 18 ).

Il suo scopo è sostituire al dogmatismo assoluto, l'anarchia deliberata; all'obbligo morale, la fantasia infinita; all'unità dell'azione, il capriccio personale.

In fondo sostituisce l'oggetto col soggetto, coll'Io ( A: 18 ).

L'analisi dell'atteggiamento del dilettante manifesta due cose:

1) Sotto lo stesso sforzo che fa per non impegnarsi in nulla, vi è il proposito sottile e positivo di non volere che sé per oggetto ( A: 19-20 ).

2) Se pretende di perseverare nel non volere nulla, deve, per logica, annientare se stesso.

Ma, in realtà, osserva Blondel, « ha sputato sulla vita solo per ubriacarsi di essa e di sé.

Si ama abbastanza per sacrificare tutto al suo egoismo; si ama abbastanza male per dispendersi, sacrificarsi e perdersi con tutto il resto » ( A: 20 ).

In breve, il dilettante pretende che il problema del destino umano non esiste.

Ha un bel pretendere di non impegnarsi in nulla, si getta sul suo io, che diventa il suo oggetto.

Non voler nulla è amare il proprio essere; e, d'altra parte, affermare il nulla è annientare se stesso.

È volere e non volere nello stesso tempo ( A: 21 ).

È mantenersi nella contraddizione.

Si pretende sopprimere ogni problema della vita: in realtà, lo si pone.

2. Parte seconda: la soluzione del problema dell'azione è negativa?

Quanto sopra conduce Blondel a considerare la soluzione negativa del problema della vita: quella del pessimismo e del nihilismo.

Di fronte al problema del destino umano, che non si può eludere, vi è una soluzione: quella che pretende di fare del nulla la conclusione dell'esperienza umana, il termine della scienza e lo scopo dell'ambizione umana.

I partigiani di questa soluzione preferiscono una soluzione radicale ai giochi del dilettante: « Perché tante storie per allontanare un problema chimerico?

Una franca e brutale negazione vai di più che tutti i sotterfugi ipocriti e tutte le sofisticazioni del pensiero.

Gustare la morte in tutto ciò che è perituro prima di essere sepolti anche noi, sapere che saremo annientati e volerlo essere, ecco per le menti chiare, libere e forti, l'ultima parola della liberazione, del coraggio e della certezza sperimentale: alla morte, tutto è morto » ( A: 23 ).

Del resto, tutti quelli che hanno fatto l'esperienza della vita sotto le forme più svariate ( fortuna, ambizione, successi ), lo sanno: non ne ricavano che disgusto e vuoto.

Ciò che si deve uccidere non è l'essere che non esiste, ma la volontà chimerica di esistere.

Non si deve attendere nulla dalla vita, perché nulla può dare.

La scienza conduce allo stesso risultato: conoscere è vano, perché la conoscenza mette in evidenza la vanità dell'essere umano.

Essa non fa che allargare la zona del mistero.

Così, « poiché la volontà di esistere non riesce a esistere, e in questo è il dolore supremo …, ciò che occorre, è uccidere in sé, non l'essere che non c'è, ma la volontà chimerica di essere, consentire al non essere della persona umana, recidere alle estreme radici il desiderio e ogni amore della vita: svelare la furberia di ogni istinto di conservazione e di sopravvivenza, è procurare all'umanità e al mondo la salvezza nel nulla, questo nulla che si deve definire l'assenza del volere » ( A: 29 ).

A questa soluzione negativa del problema dell'azione mediante il pessimismo e il nihilismo, Blondel risponde: non si può concepire ne volere il nulla assoluto.

Non si concepisce che affermando un'altra cosa.

Non si afferma il nulla se non perché si ha bisogno di una realtà più sicura di quella che non si vuole accettare.

« Si può pure stimolare il pensiero e il desiderio: nel voler essere, nel volere non essere, nel voler non volere, sussiste sempre questo termine comune, volere, che domina con la sua inevitabile presenza tutte le forme dell'esistenza o dell'annientamento e dispone sovranamente dei contrari » ( A:37 ).

In realtà, la volontà del nulla procede da un amore assoluto dell'essere, deluso dall'insufficienza del fenomeno, dell'apparente ( A: 38-39 ).12

Così, la critica del dilettantismo dimostra che non si può eludere il problema del destino umano.

La critica del nihilismo dimostra che non si può attenersi a una soluzione negativa: la volontà del nulla implica contraddizione.

In realtà « ciò che si vuole è che ci sia qualche cosa, ma che questo qualche cosa basti a se stesso veramente ».

Si vuole che ci sia qualche cosa di consistente.

« Si vuole che il fenomeno esista, che la vita sensibile, che la scienza, che tutta questa immensità dell'universo conosciuto e da conoscere di cui riempiamo il nostro sguardo è il nostro cuore, esista, ed esista per noi.

E dietro questo schermo del fenomeno, si spera che la vita sarà chiara, completa e soddisfacente; si vuole che l'azione vi si sviluppi e vi si concluda.

C'è qualche cosa: questa semplice e vaga proposizione … finisce per diventare evidente e rassicurante tanto quanto lo è poco quell'ambigua e terribile parola: « non c'è nulla » …

Queste parole ( vi è qualche cosa ) traducono il movimento ingenuo della vita che si innamora di se stessa e di tutto quanto la sostiene senza sapere ciò che è.

Nei miei atti, nel mondo, in me, fuori di me, non so ne dove ne cosa, vi è qualche cosa » ( A: 40-41 ). « È su questa convinzione che la maggior parte della gente vive: è la strada lunga e larga su cui cammina il grosso dell'umanità » ( A: 41 ).

« Da questo dato consentito, sorgerà, continua Blondel, mediante una segreta iniziativa, tutto l'ordine sensibile, scientifico, morale e sociale …

E seguendo fino al termine delle sue esigenze lo slancio del volere, si saprà se l'azione dell'uomo può essere definita e limitata in questo campo naturale » ( A: 41 )".

« La vita dell'uomo si ridurrà, sì o no, a ciò che è dell'uomo e della natura, senza ricorso a nulla di trascendente? » ( A: 42 ).

Si tratta di sapere se la volontà dichiarata ( la volontà di superficie, voluta ) di limitare l'uomo al campo dell'attività naturale, è accordata alla sua volontà più profonda ( la volontà volente ), da dove procede tutta l'attività spirituale.

Blondel arriva così alla terza parte della sua opera.

3. Parte terza: il fenomeno dell'azione

Questa parte, molto sviluppata ( A: 43-323 ), corrisponde a ciò che si può chiamare la prima tappa della genesi del soprannaturale, secondo Blondel.

Trova la sua analogia in Pascal nell'analisi della condizione umana; in Teilhard nell'analisi del fenomeno umano.

Blondel vi sviluppa successivamente le diverse sfere dell'attività umana, considerando nello stesso tempo le dottrine .o gli atteggiamenti che vorrebbero limitare, circoscrivere il destino dell'uomo a qualche aspetto o settore dell'attività umana: per esempio, lo scientismo, il nazionalismo.

Riassumiamo a grandi linee l'itinerario di Blondel.

1. Il dato umano più elementare è la sensazione ( il sensibile, lo sperimentale ).

Ma la sensazione porta in essa un'incostanza che conduce l'uomo a superarla, creando la scienza.

La scienza è necessaria, ma possiamo limitarci alla scienza?

Può essa risolvere il problema della condizione umana, come lo pensa l'atteggiamento positivista?

Vi è nella scienza e nelle certezze delle sue conquiste successive e indifinite, quella sufficienza assoluta, che fissa l'uomo nella certezza e nella pace?

La scienza può ridurre alle sue leggi il mistero profondo dell'uomo?

Blondel fa allora la critica dell'atteggiamento positivista.

La scienza non basta, perché essa non basta a se stessa.

Infatti nel suo lavoro di integrazione continua, mediante l'analisi e la sintesi, essa fa costantemente appello all'attività sintetizzante del soggetto conoscente.

Ora chi è questo soggetto, questa coscienza organizzatrice?

Non è un semplice determinismo psicologico, riducibile, anch'esso a leggi rigide.

Perché la coscienza del determinismo dell'universo fisico si realizza tramite la coscienza del soggetto in quanto libero, cioè di un soggetto che sfugge al determinismo.

La libertà esiste, « poiché mediante il punto in cui si pone ciò che il determinismo ha di vero, vi si sfugge » ( A:121 ).

Non vi è coscienza del determinismo che attraverso la libertà, che è non-determinismo.

L'idea di libertà sorge dal concetto stesso di determinismo.

2. Una volta apparsa, la libertà non può fermarsi qui.

« Occorre infatti che la libertà si esprima e s'incarni per esistere e svilupparsi » ( A: 144 ).

Il progetto, l'intenzione, hanno bisogno di realizzarsi attraverso l'azione.

Concepire è aver agito, agire ancora e dover di nuovo agire.

La libertà è progetto.

È vero che passando all'atto il progetto sembra « limitarsi » perché, per esercitarsi, la volontà deve necessaria mente restringersi.

La scelta obbliga a escludere altre possibilità d'azione.

Inoltre, nel suo esercizio l'azione incontra degli ostacoli, sente delle resistenze.

Ma occorre notare subito che, da questi ostacoli stessi, l'azione trae una sostanza di cui si nutre.

« Agendo, è non soltanto la volontà dichiarata che trionfa in ciò che ha voluto …; è ancora la volontà che trionfa in ciò che non voleva, e che estrae dalle resistenze stesse l'oscuro desiderio che in essa cospirava » ( A: 195 ).

Attraverso l'azione alle prese con le resistenze del corpo e dell'universo, la vita individuale si determina, il carattere si profila, la persona riceve la sua forma, « poiché a volte un solo atto basta a trasformarla » ( A: 196 ).

La persona nasce dall'azione: l'uomo è ciò che si fa ( A:197 ).

3. Ma l'azione non si limita al cerchio della vita individuale: essa si impone al di fuori.

Non c'è azione che non cerchi di esercitare una influenza.

« L'uomo non basta a se stesso; occorre che agisca per gli altri, con gli altri, attraverso gli altri …

Le nostre esistenze sono talmente legate che è impossibile concepire una sola azione che non si estenda in ondulazioni infinite, ben al di là dello scopo al quale sembra mirare » ( A: 198 ).

« La coscienza individuale, che lo sappia o no, è una coscienza dell'universale » ( A: 198 ).

L'azione è la funzione sociale per eccellenza.

L'individuo, infatti, vuole contrarre una unione intima con un altro se stesso.

È il movimento profondo della volontà individuale che vuole la società e che accetta in anticipo le suggestioni che impone.

Blondel dimostra così, mediante l'analisi riflessiva, come la volontà genera la famiglia, la patria, la società umana tutta intera.

4. Tuttavia l'uomo proietta la sua intenzione più lontano ancora.

Da una parte, ha bisogno di « solidarietà universale » per arricchire se stesso, ma, nello stesso tempo e attraverso lo stesso movimento, sente il bisogno di sottomettervisi, perché ha bisogno di un ordine da osservare che sia un appoggio alla sua condotta.

Blondel fa qui la genesi della metafìsica e della morale.

L'analisi delle condizioni dell'attività morale sfocia nella seguente conclusione: « Il termine al quale l'azione riflessa sembra sentire l'imperioso bisogno di attaccarsi, è un assoluto, qualche cosa d'indipendente e di definito che sia fuori dal concatenamento dei fenomeni, un reale fuori dal reale, un divino » ( A: 303 ).

Da dove nasce questo bisogno « se non da ciò che, nello slancio primitivo della volontà, vi è di più di quanto non si sia ancora impiegato?

Non essere affatto soddisfatti dell'effetto, è ammettere la superiorità della causa » ( A: 303 ).

5. Per completare la sua azione e perfezionarsi, l'uomo infine tenta di assimilare il divino e di fabbricarsi un dio a modo suo e di accaparrarsi mediante la sua sola forza di che bastare a se stesso.

È il fenomeno della superstizione ( A: 304 ).

« Questa infinitezza che sente oscuramente in sé e di cui ha bisogno per essere ciò che vuole essere », l'uomo la proietta in un idolo ( A: 306 ).

Vuole in qualche modo captare l'infinito, imprigionarlo in un oggetto finito e dominarlo ( A: 306 ). « L'infinito finito, l'infinito posseduto e impiegato », ecco il culto superstizioso.

Questa superstizione va più lontano del culto degli idoli.

Blondel la scopre in molte pratiche dell'uomo civilizzato, ogni volta che « assolutizza » una sfera del finito: scienza, nazione, umanità.

« Quando il metafisico, pretendendo di alloggiare nel suo pensiero l'oggetto infinito che persegue, s'immagina che, attraverso i suoi concetti e i suoi precetti, attraverso i suoi sistemi e attraverso la sua religione naturale, metterà le mani sull'Essere trascendente, per conquistarlo e padroneggiarlo in qualche modo, non è idolatra a modo suo? » ( A: 314 ).

Perché è sempre una supertizione porre l'infinito e l'assoluto in un oggetto finito di cui l'uomo dispone, non fosse che mediante il suo pensiero.

Quest'atteggiamento di ricerca dell'infinito è contraddittorio.

Esso consiste infatti nel voltarsi verso tale o tale fenomeno, per farne qualcosa di più di ciò che è.

Ora Blondel ha dimostrato, dopo aver studiato tutte le sfere dell'attività umana che nessuna di esse, ne la loro totalità, bastano a esaurire il volere profondo dell'uomo.

E la prova è che l'uomo tende a conferire un valore assoluto ( che non ha ) all'una o all'altra di queste sfere.

6. La conclusione s'impone: « È impossibile non riconoscere l'insufficienza di ogni ordine naturale e non sentire affatto un ulteriore bisogno; è impossibile trovare in sé di che accontentare questo bisogno religioso.

È necessario ed è impraticabile: ecco allo stato grezzo, le conclusioni del determinismo dell'azione umana » ( A:319 ).

Blondel usa ancora un linguaggio indeterminato.

Conclude semplicemente, in questa terza parte, che la condizione necessaria del compimento dell'azione umana, è inaccessibile all'azione umana.

« Con la sua azione volontaria, l'uomo supera i fenomeni; non può uguagliare le proprie esigenze; vi è in lui più di quanto può impiegare da solo; non riesce, con le proprie forze, a mettere nella sua azione voluta tutto ciò che è al principio della sua attività volontaria » ( A: 321 ).

Blondel osserva ancora: « Ogni tentativo di compimento dell'azione umana fallisce; ed è impossibile che l'azione umana non cerchi a completarsi e a bastarsi.

Questo le occorre, e non lo può …

Il sentimento dell'impotenza come del bisogno che l'uomo ha di completamento infinito, rimane incurabile.

Così, tanto quanto ogni religione naturale è artificiale, altrettanto l'attesa di una religione è naturale » ( A:321 ).

In quale inestricabile difficoltà la volontà umana si è impegnata e si è ficcata da se stessa! « Dove camminare? il fenomeno non basta all'uomo; non si può ne accontentarsene, ne negarlo.

Si troverà, con una soluzione che sembra necessaria e tuttavia inaccessibile, la salvezza? » ( A: 322 ).

4. Parte quarta: l'Essere necessario dell'azione

Questa parte corrisponde alla seconda tappa -della genesi dell'idea del soprannaturale in Blondel.

La dialettica abbozzata nella terza parte ci conduce poco a poco all'idea dell'« unico necessario ».

Il necessario inaccessibile riceverà allora il nome di soprannaturale.

Ma questo termine, si vedrà, è inteso in un senso ancora molto generale, non specificamente cristiano.

All'inizio della quarta parte, Blondel raccoglie tutto quanto ha sviluppato nella parte precedente e ripone il problema dell'azione, ma a partire dall'uomo che si interroga su se stesso.

Il fatto, ormai verificato, che l'uomo pretende trovare la sua sufficienza nell'ordine naturale e che non vi riesce, costituisce per lui una crisi.

Questa crisi appare non soltanto nel cuore dei suoi progetti particolari: essa è immanente alla sua stessa condizione umana.

Infatti noi vorremmo bastare a noi stessi, e non lo possiamo.

E d'altra parte, in quello che vuole, l'uomo incontra dovunque resistenza e sofferenza; in ciò che fa si insinuano debolezze o errori di cui non può riparare le conseguenze; infine, la morte viene a consacrare tutti questi fallimenti ( A: 324-332 ).

Tuttavia, sottolinea Blondel, questo aborto apparente dell'azione voluta ( A: 325 ) manifesta l'indistruttibilità del dinamismo dell'attività volente, perché non avrei coscienza di questo aborto se non ci fosse in me una volontà superiore a tutte le contraddizioni della vita.

La presenza in noi, di ciò che non è voluto ( errore, fallimento ), mette in evidenza la volontà volente in tutta la sua purezza.

Tale è la condizione dell'uomo: ho coscienza che la mia vita è un fallimento, perché non posso darmi l'essere da me stesso, per essere pienamente.

« Diviso tra ciò che faccio senza volerlo e ciò che voglio senza farlo, sono sempre come escluso da me stesso.

Come quindi entrare e mettere nella mia azione ciò che vi si trova già senza dubbio, ma a mia insaputa e fuori dal mio tiro?

Come uguagliare il soggetto al soggetto stesso?

Per volermi io stesso pienamente devo volere più di quanto non abbia saputo trovare finora …

Da me a me vi è un abisso che non posso colmare » ( A: 337-338 ).

Se considero la strada percorsa sotto la costrizione del determinismo inflessibile, sono obbligato a concludere: non posso ne fermarmi, ne indietreggiare, ne avanzare da solo ( A: 339 ).

« Nella mia azione, vi è qualcosa che non ho ancora potuto capire e uguagliare; qualche cosa che le impedisce di ricadere nel nulla e che è qualche cosa solo perché è nulla di ciò che ho voluto finora.

Ciò che ho volontariamente posto non può quindi ne essere soppresso, ne durare » ( A: 339 ).

« È questo conflitto, prosegue Blondel, che spiega la presenza forzata, nella coscienza, di un'affermazione nuova; ed è la realtà di questa presenza necessaria che rende possibile in noi la coscienza di questo stesso conflitto.

Vi è un unico necessario » ( A: 339 ).

E niente di tutto il resto è necessario.

Riassumiamo la dialettica di Blondel.

Finora ( terza parte ) tutto il campo in cui si svolge l'attività umana è stato inventariato, ma senza che il problema dell'azione sia stato risolto.

« Impossibile fermarsi », dice Blondel, perché la volontà continua sempre a volere mentre non ha più nulla da volere ( come contenuto particolare ).

« Impossibile indietreggiare », perché il problema rimane posto.

« Impossibile avanzare solo », perché ciò che vi è al di là mi è inaccessibile.

Davanti a questa triplice affermazione, si prova il sentimento di uno sconosciuto « inaccessibile », la cui presenza è « presentita » senza essere riconosciuta.

Blondel dice a proposito di questo sconosciuto inaccessibile: « Senza conoscerne il nome e la natura, si può indovinare il suo approccio e quasi sentire il suo contatto, così come nel silenzio della notte, si sentono i passi e si tocca la mano di un amico che ancora non si riconosce » ( A: 340 ).

Ma la dialettica prosegue sempre.

Non avendo più oggetti finiti da volere, la volontà non può più tuttavia non volere.

Dopo aver fatto l'inventario di tutto ciò che può essere voluto, rimane sempre uno iato, un'inadeguatezza tra il volontario e il voluto.

Ne risulta che l'azione volontaria, che è andata di fallimento in fallimento, si vede costretta a un ripiegamento su se stessa: ricondotta al centro del soggetto, là dove il movimento della volontà è nato, e ciò in vista di un « supplemento d'inventario ».

È qui che Blondel introduce le prove dell'esistenza di Dio: prove che riprende in modo nuovo, e non isolatamente, ma unendo mediante convergenza gli argomenti classici chiamati cosmologico, teologico, ontologico.

Non si tratta di tre strade diverse ( alla maniera delle cinque vie di S. Tommaso ), ma piuttosto di tre forme diverse di un solo e stesso itinerario; si tratta di un solo corso che cambia tre volte di nome.

Inoltre Blondel insiste: non si tratta « di una sterile soddisfazione dello spirito », « di argomento puramente logico » ( A: 340-341 ).

Si tratta piuttosto di riconoscere « una presenza » in noi; si tratta di afferrare, nell'azione volontaria, ciò che già vi si trova ( A:340 ).

L'argomento cosmologico degli scolastici parte dalla constatazione della contingenza delle cose sensibili e conclude con l'esistenza di una Causa prima, necessaria e fuori serie.

Blondel parte dal mondo dei fenomeni.

Esercitandosi in tutti i settori dell'azione umana, la volontà ha fatto l'esperienza della insufficienza di tutto ciò che esiste nel mondo finito: dell'effimero, del perituro.

Non si può rinunciare a quest'ordine dei fenomeni e tuttavia non vi si può fermare: è un trampolino per prendere slancio e saltare più lontano.

Se ne sente insieme il bisogno e l'insufficienza.

Se quindi i fenomeni sono necessari alla volontà, senza tuttavia bastarle e bastarsi, vi deve essere, per sostenere questo perituro nell'essere, qualche cosa « che non è ne il nulla, ne il fenomeno » ( A: 344 ).

In questa argomentazione, osserva Blondel, invece di cercare il necessario fuori dal contingente, come un termine ulteriore, lo si mostra nel contingente stesso, come una realtà già presente.

Invece di farne un supporto trascendente, ma esteriore, si mostra che è immanente al centro stesso di tutto ciò che è » ( A:343 ).

« La necessità relativa del contingente ci rivela la necessità assoluta del necessario » ( A: 344 ).

A questo qualcosa tuttavia Blondel non da un nome.

L'argomento teologico degli scolastici parte dall'armonia delle cose esistenti per concludere con l'esigenza di una Causa intelligente, responsabile dell'ordine dell'universo.

Blondel invece parte dalla sproporzione che esiste tra l'ideale perseguito e il reale raggiunto dall'azione.

L'ideale supera sempre il reale, e rinasce sempre.

Non arriveremo mai a far coincidere il reale con l'ideale voluto.

Il movimento mediante il quale noi cerchiamo di realizzare l'ideale e di idealizzare il reale, non potrebbe essere perseguito e svolgersi sempre se non fosse alimentato dalla presenza di una « inaccessibile perfezione » in cui l'ideale e il reale coincidono.

« L'unico necessario » è questa identità del reale e dell'ideale che noi attraversiamo quando agiamo ( A: 344-348 ).

Infine, l'argomento ontologico ( di Anselmo o di Descartes ) parte dall'idea in noi di un Essere assolutamente perfetto, per concludere all'esistenza reale di un tale Essere.

Blondel parte dalla realtà del movimento stesso dell'azione in noi.

« È quindi vero che, per raggiungere l'unico necessario, noi non lo afferriamo in se stesso, dove noi non siamo; ma noi partiamo da lui in noi, dove egli è, alfine di meglio vedere che è ( che esiste ) comprendendo un po' ciò che è » ( A: 348 ).

« A mano a mano che, tramite un'esperienza più completa e una riflessione più penetrante, definiamo meglio a noi stessi ciò che noi non siamo, vediamo più chiaramente ciò senza di cui noi non saremmo » ( A: 349 ).

Ciò che appare poco a poco non è un'idea che si elabora, ma una presenza che emerge.

La mente progredisce verso un incontro.

I tre argomenti proposti, Blondel vi insiste, sono tutti collegati tra loro e non fanno che dichiarare ciò che vi è nel movimento dell'azione.

Sono elaborati sotto la pressione dell'azione che si riflette su se stessa.

È la totalità del fenomeno dell'azione ( sotto i suoi diversi aspetti ) che impone poco a poco l'indiscutibile presenza dell'Assoluto personale.

La prova ( tramite approcci convergenti ), è la totalità dell'azione esposta dialetticamente; essa « risulta dal movimento totale della vita » ( A: 341 ).

Da qui viene la sua forza costringente.

È soltanto al termine di questa dialettica che Blondel introduce il nome di Dio.

« Al termine, presto raggiunto di ciò che è finito, dice, … eccoci quindi in presenza di ciò che il fenomeno e il nulla racchiudono e manifestano ugualmente, di fronte al quale non si può mai parlare come di un estraneo o di un assente … Dio » ( A: 350 ).

Ma l'originalità di Blondel, è nel pensare che la prova ci invita ad andare molto più lontano.

Non si può restare in presenza di questo Assoluto personale, di Dio, senza essere condotti nello stesso tempo a prendere posizione, a optare per la vita o per la morte dell'azione.

Il conflitto che abbiamo osservato nell'uomo, vale a dire io non posso darmi l'essere necessario e tuttavia non posso rinunciare alla necessità del volere, non si risolve che in una inevitabile alternativa ( A: 353 ). « Vorrà, sì o no, l'uomo vivere, fino a morirne, se si può dire così, consentendo ad essere soppiantato da Dio? oppure pretenderà di bastare a se stesso senza di lui, approfittare della sua presenza necessaria senza renderla volontaria, prendere da lui la forza di fare a meno di lui e volere infinitamente senza volere l'infinito?

Volere e non potere, potere e non volere, è l'opzione stessa che si offre alla libertà …

Non che questa opzione si riveli a tutti con questa chiarezza e questo rigore.

Ma se il pensiero che c'è qualcosa da fare della vita si offre a tutti, ce n'è abbastanza perché anche i più rozzi siano chiamati, anch'essi, a risolvere il grande affare, l'unico necessario » ( A: 354-355 ).

Blondel esamina allora i termini dell'alternativa, in vista di esplicitare le conseguenze inevitabili di ciascuna delle due opzioni possibili.

Egli analizza innanzitutto l'atteggiamento del rifiuto o opzione negativa.

Se l'uomo pretende di trarre da sé ciò di cui ha bisogno, si priva del princìpio stesso della sua vita e si condanna.

Ponendo il tutto della sua vita là dove non vi è nulla per colmarla, l'uomo si condanna alla morte eterna.

« Credere di trovare in sé la verità necessaria alla propria coscienza, l'energia della sua azione e il successo del proprio destino, è, non solo privarsi di un dono gratuito e facoltativo che, respinto o disprezzato, non comprometterebbe tuttavia la felicità di una vita media; è, in verità, mentire alla propria aspirazione e, col pretesto di non amare che sé, odiarsi e perdersi …, perdersi, senza sfuggire a se stessi.

Perché, uccidendo per sempre in essa l'ambizione dei beni imperituri, la volontà che si è limitata ai fini passeggeri, non rimane pertanto meno indistruttibile; e questa volontà immortale che ha messo il suo tutto in beni effimeri, è come morta appena ne prova la brutale nullità.

Il suo desiderio perisce, essa avrà quindi voluto per sempre ciò che non può mai essere, ciò che vuole le sfuggirà eternamente, ciò che non vuole le sarà eternamente presente » ( A: 372 ).

È questo essere senza essere.

Se l'uomo sceglie la seconda opzione, come insediare Dio liberamente al cuore dell'azione umana?

Come lasciare la Causa prima riprendere il primo posto?

Come aprirsi all'azione di Dio?

« Quale può essere la maniera pratica ed efficace di fare infine ciò che noi non possiamo fare da soli?

E, poiché l'atto non si può compiere se Dio non si da a noi, come sostituire in qualche modo la sua azione alla nostra?

Come, senza sapere se ha parlato, senza forse conoscerlo direttamente, partecipare alla sua mediazione segreta?

Come … prepararsi, se ve n'è una, a una rivelazione più chiara del destino umano? » ( A: 375 ).

Blondel risponde a questa questione in tre punti, che definiscono le disposizioni di una volontà sincera che si vuole conseguente con se stessa.

Come Pascal, Blondel da una estrema importanza a queste disposizioni interiori.

1. Che l'uomo faccia tutto ciò che crede essere bene, tutto ciò che gli sembra conforme alla sua coscienza: « adempiendo ciò che si sa, … si rimane aperti, pronti, docili a ogni verità più completa; agire secondo la luce e la forza che si hanno, senza limitare la generosità e l'ampiezza del desiderio, ecco la disposizione di una volontà retta » ( A: 375 ).

« L'essenziale e il faticoso, è di far bene quello che si fa, cioè con spirito di sottomissione e di distacco, di farlo perché vi si sente l'ordine di una volontà alla quale si deve subordinare la nostra » ( A: 376 ), anche se non si conosce esplicitamente questo Assoluto al quale ci si dona e ci si sottomette.

2. Se il distacco è all'inizio della buona azione, non è sorprendente che la vita morale sia accompagnata dal sacrificio e dalla rinuncia.

La misura del cuore dell'uomo è l'accoglienza fatta alla sofferenza ( A: 380 ).

La sofferenza ci distacca e ci invita ad aprirci agli altri: « La sofferenza è il nuovo, l'inspiegabile, lo sconosciuto, l'infinito, che attraversa la vita come una spada rivelatrice » ( A: 381 ).

« Ciò che allora muore in noi, è quello che ci impedisce di vedere, di fare, di vivere; ciò che sopravvive è già ciò che rinasce » ( A: 383 ).

« Se nessuno ama Dio senza soffrire, nessuno vede Dio senza morire.

Niente lo tocca che non sia già risorto, perché nessuna volontà è buona se non è uscita da sé, per lasciare tutto il posto all'invasione totale della sua » ( A : 384 ).

3. Agire con abnegazione, accettare la sofferenza, questo non basta ancora.

« Dopo aver fatto tutto come se non si aspettasse nulla da Dio, occorre attendere tutto da Dio, come se non si fosse fatto nulla da sé » ( A: 385 ).

Blondel formula così la conclusione di questa quarta parte: « Assolutamente impossibile e assolutamente necessaria all'uomo, è questa la nozione propria del soprannaturale: l'azione dell'uomo supera l'uomo; e ogni sforzo della sua ragione, è di vedere che non può, che non deve limitarsi a questo sforzo.

Attesa cordiale del messia sconosciuto; battesimo di desiderio, che la scienza umana è impotente a provocare: perché questo stesso bisogno è un dono.

Essa può mostrarne la necessità, ma non può farlo nascere » ( A: 388 ).

Questa nozione del soprannaturale ha fatto molto discutere.

L'affermazione di Blondel sarebbe difficile da difendere se, per soprannaturale, si dovesse intendere il dono che Dio fa di se stesso in Gesù Cristo.

Ma questa interpretazione sembra superare il pensiero di Blondel.

Questi infatti nella sua genesi dell'idea del soprannaturale, procede per tappe.

Alla fine della prima tappa, conclude che il compimento dell'azione è insieme necessario e inaccessibile all'uomo solo.

Nella tappa attuale ( la seconda ), non introduce ancora, come farà nella terza, l'idea del soprannaturale che presenta il cristianesimo.

Si limita per il momento a un'idea più generale, sprovvista di ogni determinazione positiva.

La parola soprannaturale, qui, indica semplicemente l'azione divina che, in ogni uomo, è all'origine del movimento volontario e che ciascuno deve, almeno implicitamente, riconoscere come tale, se vuole che questo movimento possa raggiungere il suo termine, la sua perfezione.

« Il nostro ruolo è di fare sì che Dio sia tutto in noi, come lo è in sé, e di ritrovare, al principio stesso del nostto consenso alla sua azione sovrana, la sua presenza efficace » ( A: 387 ).

Ciò che Blondel vede sorgere dal determinismo dell'azione umana, è l'idea indeterminata di un soprannaturale, cioè di un Assoluto, che ogni uomo, anche senza conoscere il cristianesimo, vuole oscuramente, ma che non si acquista come una Cosa.

In altre parole, è l'idea dell'unico necessario che non si acquista che abbandonandosi a lui; è l'idea dell'azione divina alla quale ci si deve aprire, qualunque sia la figura sotto la quale si presenta.

5. Parte quinta: il compimento dell'azione

Questa parte corrisponde alla terza tappa della genesi dell'idea di soprannaturale in Blondel.

L'introduzione netta e chiara della nozione cristiana di soprannaturale appare all'inizio di questa quinta parte.

L'ordine soprannaturale che Blondel vuole ormai considerare, è « ciò che, dal di fuori, i dogmi ci propongono » ( A: 391 ), accettati a titolo d'ipotesi.

L'idea del soprannaturale è quindi quella che propone il cristianesimo storico.

Blondel si chiede se il cristianesimo storico, con i suoi dogmi e le sue pratiche, non sarebbe la determinazione e l'identificazione cercata del rapporto dell'uomo all'Assoluto.

A coloro che vorrebbero scartare senza esame il soprannaturale cristiano, Blondel risponde che questo atteggiamento è contrario al vero spirito filosofico.

Infatti, l'itinerario della riflessione sull'agire umano ci conduce « alla coscienza di un'incurabile sproporzione tra lo slancio della volontà e il termine umano dell'azione » ( A: 390 ).

Si è visto che l'uomo non può completarsi che aprendosi a un'altra azione che la sua ( A: 401 ).

Sarebbe quindi irragionevole sottrarsi alla nozione cristiana di soprannaturale rivelato.

Cosciente, sia della sua impotenza che delle sue esigenze, la ragione si deve chiedere se il rivelato cristiano non sarebbe conforme al voto profondo, originale della volontà umana.

Non si tratta di ricostruire razionalmente il dato cristiano.

Altrimenti il cristianesimo non sarebbe rivelazione.

« Nel suo principio, nel suo oggetto e nella sua fine, la rivelazione, per essere ciò che deve essere, se essa è, deve sfuggire alla ragione; e nessuno sforzo umano puramente umano potrebbe penetrarne l'essenza » ( A: 406-407 ).

Nel suo contenuto essenziale, infatti, la rivelazione, è la vita intima del Dio-Trinità, comunicata all'uomo per grazia ( A: 407 ).

Ma se è interdetto il voler scoprire questo mistero altrimenti che mediante la rivelazione, è legittimo, spiega Blondel, spingere la ricerca filosofica « fino al punto in cui sentiamo che dobbiamo desiderare intimamente qualche cosa di analogo a ciò che, dal di fuori, i dogmi ci propongono.

È legittimo considerare questi dogmi, non subito come rivelati, ma come rivelatori; cioè di confrontarli con le profonde esigenze della volontà e di scoprirvi, se vi si trova, l'immagine dei nostri bisogni reali e la risposta attesa.

È legittimo accettarli, a titolo di ipotesi, come fanno i geometri, supponendo il problema risolto e verificando la soluzione fittizia mediante l'analisi » ( A: 391-401 ).

Questo testo definisce bene la posizione e l'itinerario di Blondel in questa ultima tappa.

Si tratta quindi di considerare la rivelazione cristiana come una ipotesi che permetterebbe di veder chiaro nelle esigenze del volere.

Se il tentativo riesce, non si sarà tuttavia affermata la realtà storica della rivelazione cristiana; non si sarà neppure stabilita la sua possibilità intrinseca ( A:406 ), perché il suo contenuto come pure la sua esistenza sfuggono alla ragione lasciata a se stessa.

Ma si sarà fatto vedere che « qualche cosa di analogo a ciò che i dogmi propongono » ( l'espressione è prudente ) sembra necessaria per spiegare la discordanza della volontà volente e della volontà voluta; si sarà anche stabilito l'obbligazione pratica di accogliere il soprannaturale notificato attraverso la predicazione cristiana, se mai la rivelazione cristiana si manifestasse come una realtà storicamente, effettivamente data.

Blondel vuole quindi mostrare che l'attesa del volere umano va verso qualche cosa di analogo all'ordine soprannaturale cristiano.

Di modo che, il soprannaturale resta insieme inaccessibile ( gratuito, come dono libero dell'iniziativa divina ) e tuttavia necessario ( di una necessità pratica: si deve accettare, se di fatto è donata ).

Blondel dedica due capitoli alla sua dimostrazione.

Nel primo studia i caratteri formali che deve presentare la rivelazione divina, se essa esiste, e soprattutto le disposizioni richieste perché sia ravvisata e accolta come merita: « È quindi soltanto nel vuoto del cuore, è nelle anime di silenzio e di buona volontà che una rivelazione si fa utilmente ascoltare dal di fuori …

Il suono delle parole e lo splendore dei segni non sarebbero nulla senza dubbio, se non ci fosse interiormente un disegno di accettare la luce desiderata …

Per riconoscere la verità, ci si deve aspettare che essa sia, non come la si vorrebbe, ma come essa è » ( A: 398 )

Nel secondo capitolo, Blondel studia filosoficamente la necessità della pratica religiosa, perché l'accoglienza della verità non può sussistere senza la sottomissione alla verità.

La religione « ipotetica » dovrebbe avere dei dogmi e imporre una pratica.

Che il cristianesimo sia questa religione e che permetta alla volontà di volersi pienamente, e all'azione di completarsi, solo l'esperienza religiosa integralmente vissuta può testimoniarne.

Ma alla fine della sua opera, Blondel ha tenuto a dare questa testimonianza personale, pur sottolineando ancora una volta che supera infinitamente la filosofia.

« Tocca alla filosofia dimostrare la necessità di porre l'alternativa: È o non e?

Tocca ad essa provare che non si può, in pratica, non pronunciarsi prò o contro questo soprannaturale: È o non e?

Tocca alla filosofia esaminare le conseguenze dell'una o dell'altra soluzione e di misurarne l'immensa differenza: essa non può andare oltre ne dire nel solo suo nome, che sia o che non sia.

Ma, se è permesso aggiungere una parola, una sola, che supera il campo della scienza umana e la competenza filosofica, l'unica parola capace, di fronte al cristianesimo, di esprimere questa parte, la migliore, della certezza che non può essere comunicata perché essa non viene che dall'intimità dell'azione strettamente personale, una parola che sia essa stessa un'azione, si deve dire: È » ( A:492 ).

Indice

7 M. BLONDEL, L'itinéraire philosophique, pp. 35-36.
8 J. LACROIX, M. Blondel, sa vie, son oeuvre, Paris, 1963, p. 15.
9 Ibid., p. 20.
10 Ibid., p. 20.
11 Dicendo « ordine naturale », Blondel indica semplicemente il campo dell'attività umana.
12 J.-C. DHÓTEL, « Action et Dialectique. Les preuves de Dieu dans L'Action de 1893 », Archives de Philosophie 26 (1963), pp. 5-26.