Gli stati di vita del cristiano

Indice

Recenti prese di posizione

Le encicliche sul sacerdozio degli ultimi papi tracciano decisamente un sentiero nella fitta boscaglia di concetti, accennando semplicemente alla necessità di una corrispondenza tra funzione oggettiva del prete e la sua forma di vita, riallacciandosi a Tommaso, che malgrado la sua tendenza a ricacciare il basso clero nello stato laicale doveva ammettere: « Se uno con l'ordinazione sacra è stato prescelto per il sommo servizio, che ha da servire Cristo persino nel sacramento dell'altare, ciò esige un'interiore santità, più alta persino di quella dello stato religioso ( status religionis ) » ( S Th II II q 184 8 e ).

Pio X esorta il clero cattolico ( Haerent animo, 1908, Acta Pii X, vol. TX, 237ss. ) a ciò che egli stesso coltivava eccellentemente: il legame con Cristo nella preghiera, la contemplazione, la lettura spirituale, per essere così uno specchio per il popolo, al quale esso possa guardare per imitarlo.

Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney furono esempi tali, da cui brillava ciò che per la Chiesa la funzione presbiterale può essere e deve essere.

Pio XI nella sua enciclica sul sacerdozio ( Ad catholici sacerdotii, 20 dicembre 1935 ) diventa molto più chiaro dove si tratta della figura della santità sacerdotale.

« Malgrado ciò ( cioè malgrado l'opus operatum ) proprio la dignità del sacerdote richiede nel suo portatore un senso elevato, una purezza di cuore e santità di vita quale corrisponde all'elevatezza e santità del ministero sacerdotale ( … )

Per questo Dio comandò già nell'Antico Testamento ai suoi sacerdoti e leviti: « Siate santi, come anch'io, il Signore, sono santo » ».

Infatti per una degna pratica dell'Ordine Sacro non è sufficiente, come insegna S. Tommaso, un grado di perfezione qualsiasi, bensì viene richiesto un eccellente grado di virtù; come infatti col grado dell'Ordine colui che lo riceve viene posto al di sopra del popolo, così egli deve stare al di sopra di esso anche col merito della sua santità ( … )

« Insegnate ciò che credete, e mettete in pratica ciò che insegnate » dice la Chiesa tramite il vescovo ai diaconi che devono venir consacrati presbiteri.

E nel Codex luris Canonici sta scritto ( C. 124 ): « I chierici hanno il dovere di configurare la loro vita interiore e il loro comportamento esteriore più santamente che i laici e in virtù e retto agire illuminare ad essi la strada col loro esempio ».

Questa santità viene chiarita in cinque direzioni.

Come prima cosa essa esige pietà, quel legame con Dio che è il fine e l'essenza di ogni santità.

La seconda, terza e quarta cosa sono però nient'altro che verginità, povertà e obbedienza.

Il papa descrive dapprima la tendenza, nei primi secoli sempre crescente, al consiglio evangelico della verginità: « Tutto ciò doveva avere l'effetto quasi necessario che i preti del Nuovo Testamento sentissero il celeste incanto di questa elevata virtù, che essi si preoccupassero anche di appartenere al numero di coloro « ai quali è dato di comprendere queste parole », che essi si autoimponessero liberamente l'osservanza della verginità, la quale poi presto fu resa un obbligo in tutta la Chiesa latina anche con una precisa legge canonica: « Anche noi dobbiamo praticare » come chiariva il 2° Concilio di Cartagine alla fine del quarto secolo « ciò che già gli Apostoli insegnavano e che già l'epoca antica osservava ».

S. Epifanie attesta verso la fine del medesimo secolo che il celibato si estendeva già fino al suddiaconato: « Nessuno che viva nel matrimonio e che abbia figli viene ammesso dalla Chiesa all'Ordine di diacono, presbitero, vescovo o di suddiacono, anche se il matrimonio era solo il primo; la Chiesa è disposta a consacrare solo colui che ha rinunciato alla comunione di vita con la sua prima e unica moglie, oppure la ha già persa con la morte di lei.

Questo accade soprattutto nei luoghi dove i canoni ecclesiastici vengono osservati con precisione ».

( … ) Uno spettacolo degno di essere ammirato, che i giovani leviti ( … ) liberamente rinuncino alle gioie e piacevolezze che potrebbero permettersi in maniera onorabile in un altro stato di vita!

Dopo l'ordinazione, però, essi non sono più liberi di contrarre un matrimonio terreno.

Tuttavia usiamo la parola « libero », poiché essi non sono costretti a entrare nell'Ordine Sacro da una qualche legge o persona, ma lo fanno per propria libera volontà ».

La terza cosa che viene esigila dal prete è la povertà.

A dire il vero, non la povertà evangelica, ma lo spirito che corrisponde a questa: « In mezzo alla corruzione del mondo, in cui tutto è comprabile e vendibile, egli deve camminare libero da ogni egoismo, in santo disprezzo per ogni bassa brama di guadagno terreno, alla ricerca di anime e non di denaro ( … )

« Chiamato a far parte col Signore » come il suo nome « chierico » accenna, egli non si aspetta alcun altro guadagno all'infuori di quello che Cristo promise ai suoi Apostoli: « La vostra ricompensa è grande nei cieli » ( … )

Se si pensa che Giuda, un Apostolo di Cristo, « uno dei dodici », come gli evangelisti tristemente notano, proprio per lo spirito di avidità di beni terreni fu precipitato nell'abisso della sua malvagità, si comprende allora come lo stesso spirito nel corso dei secoli abbia potuto portare tante disgrazie sulla Chiesa ( … )

Al contrario un autentico altruismo guadagna al prete i cuori di tutti.

Ciò vale tanto più allorché a questa rinuncia ai beni terreni, che scaturisce dall'intima forza della fede, è collegata anche quella tenera condivisione con gli infelici di ogni sorta, che fa del prete un vero padre dei poveri ( … )

Questo zelo deve consumarlo, deve spingerlo a dimenticare se stesso e tutti gli interessi terreni, ed essere per lui un potente incitamento a consacrarsi interamente alla sua alta missione ».

Se nella povertà si tratta più dello spirito interiore, nell'obbedienza sarà richiesta invece una tale forma di realizzazione che non si distingue quasi per niente da quella dei religiosi.

Il papa parla della sua « necessità ».

« L'obbedienza dovrà sempre unire l'uno all'altro i diversi membri della gerarchia ecclesiastica, e collegarli col Capo, ( … )

Indicare a ciascuno il suo posto e il suo compito, e ognuno dovrà seguire senza resistenza, ( … )

Ognuno dovrà vedere nelle istruzioni dei superiori ecclesiastici quelle del vero e unico Capo al quale tutti obbediamo, Gesù Cristo, nostro Signore, che per noi fu obbediente fino alla morte, anzi fino alla morte in croce.

In effetti il divino Sommo Sacerdote volle che la sua completamente perfetta obbedienza nei confronti del Padre celeste divenisse a noi manifesta in modo del tutto speciale, e per questo le testimonianze dei profeti e degli evangelisti su questa integrale e perfetta sottomissione del Figlio di Dio al volere del Padre sono così numerose ( … )

Persino anche sulla croce egli non volle consegnare la sua anima nelle mani del Padre, prima di aver chiarito che tutto era compiuto di ciò che la Scrittura di lui aveva predetto: tutta la missione che gli era stata affidata dal Padre, fino all'ultimo, profondamente misterioso « Ho sete ».

Egli volle con ciò mostrare quanto anche il più ardente zelo dovesse essere sempre perfettamente subordinato al volere del Padre, vale a dire sempre regolato dall'obbedienza verso chi rappresenta per noi il posto del Padre celeste e ci comunica la sua volontà: il superiore ecclesiastico conforme al diritto canonico»".

Come quinto contrassegno dell'atteggiamento sacerdotale viene nominato e raccomandato l'essere navigati nella dottrina.

Il prete è infatti, secondo Dionigi, purificatore, illuminatore e perfezionatore, ed ha perciò ancor più del monaco l'obbligo, commisurato allo stato, dello studio.

Pio XII, che frequentemente intervenne sul tema, parte nella sua esortazione apostolica « Menti nostrae » dalle sue encicliche sul Corpo Mistico e sul Redentore: il sacerdozio è inserito nel luogo in cui la Chiesa viene assunta nel sacrificio del Capo, la qual cosa richiede al prete, che celebra l'Eucaristia per il popolo e insieme con lui, che egli « diventi per così dire un'immagine vivente del nostro Redentore ».

Di nuovo si preme sull'obbedienza ecclesiale: « Cristo ha istituito nella comunità da lui fondata una autorità legittima; chi perciò obbedisce alle guide della Chiesa, obbedisce al divino Redentore ».

Corrispondentemente viene sottolineato che i preti « devono allontanare sempre più il loro spirito dalle ricchezze e dai piaceri terreni »; anche se essi non pronunciano alcun voto di povertà « devono lasciarsi guidare dall'amore per questa povertà ».

Solo così è possibile conformarsi ai sentimenti del Capo della Chiesa, che donò se stesso.

È questo l'auspicio fondamentale del Papa.

Giovanni XXIII esordisce con decisione nella sua prima enciclica « Sacerdotii nostri primordia » ( 1959, in occasione del 100° anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vianney ) riprendendo certe espressioni del suo predecessore, secondo cui il chierico non è legato per diritto divino ai consigli evangelici della povertà, della castità e dell'obbedienza: « Misconoscerebbe però indubbiamente il vero spirito di questo papa, che fu così preoccupato della santità dei preti, e contraddirebbe il magistero ecclesiale, che in questo rimase sempre uguale a se stesso, colui che osasse concludere da ciò che i preti, in base al loro ufficio, sono meno obbligati dei religiosi a tendere alla perfezione evangelica.

Le cose stanno invece in tutt'altro modo.

Infatti per il dovuto giusto adempimento delle funzioni sacerdotali « viene richiesta una santità interiore più grande persino di quella che viene richiesta nello stato religioso » ( S. Tommaso ).

Se il prete per il conseguimento di tale santità non è obbligato in base al suo stato ad abbracciare i consigli evangelici, tuttavia la strada di questi consigli è aperta a lui, come a tutti i cristiani, come la più sicura per raggiungere la meta della perfezione cristiana.

È per noi una grande consolazione il fatto che oggi così tanti sacerdoti generosi sono di questa medesima opinione, nella misura in cui essi, come chierici diocesani, cercano assistenza e aiuto in comunità presbiterali ecclesiasticamente riconosciute! sulla qual cosa Giovanni XXIII sviluppa un'affascinante immagine dell'estrema povertà, della « castità che brillava dal suo volto » e della completa obbedienza ecclesiale del Curato d'Ars.

Verso la fine egli acclude una frase del Santo al suo vescovo: « Se Lei vuole convertire tutta la diocesi a Dio, si preoccupi che tutti i parroci divengano santi ».

È importante che il Vaticano Secondo nel suo decreto sulla vita ministeriale del sacerdote ( Presbyterorum ordinis, 7 ) va avanti sulla pista di queste istruzioni.

Se adesso la particolare funzione presbiterale viene fatta derivare più dal sacerdozio universale della Chiesa ( PO 2 ) o più dall'alto, dall' « ufficio di Cristo unico Mediatore » ( Lumen Gentium 28 ), è importante tuttavia che ambedue conducano al fatto ( con la consacrazione ) e all'esigenza di una « conformità » ( PO 12 ) a Cristo, la quale sola permette al prete di rappresentare efficacemente Cristo fra gli uomini.

« La santità del sacerdote contribuisce in alta misura alla maggior fecondità del suo speciale servizio ».

Essa viene abbozzata, laddove vengono descritte le virtù specialmente necessarie ai preti, ancora una volta in base ai consigli evangelici: come « intima prontezza a non cercare la volontà propria », ma « accettare ed eseguire con spirito di fede ciò che il Papa e il proprio vescovo » prescrivono ( PO 15 ), come celibato, che è « sotto molteplici aspetti adeguato per il sacerdozio » ( PO 16 ), come povertà, dapprima nello spirito, ma oltre a questo i preti vengono « incoraggiati alla povertà volontaria, nella quale essi divengono simili a Cristo e disponibili per il servizio sacro ».

« Anche un certo uso comunitario dei beni ( … ) può spianare la strada in maniera eccellente all'amore pastorale … » ( PO 17 ).

Paolo VI sottolinea nella sua enciclica « Sacerdotalis Caelibatus » ( 24 giugno 1967 ) il punto in cui funzione sacerdotale e vita secondo i consigli sono annodati in modo particolarmente visibile, la distinzione di funzione e consiglio ( C. 15,42 ), ma anche l'unità della chiamata originaria di Gesù al ministero e alla sequela esistenziale ( C. 22-23 ), l'intima necessità di « venir conformati alla figura dell'amore e del sacrificio del nostro Redentore » ( C. 25 ), tanto più nella celebrazione dell'Eucaristia ( C. 29 ).

Il Sinodo Episcopale del 1971 si è occupato del ministero sacerdotale.3

Importante è qui la determinazione teologica del « carattere » incancellabile conferito con l'ordinazione sacerdotale.

« Esso esprime il fatto che Cristo si è unito alla Chiesa per la salvezza del mondo in maniera irrevocabile, e che la Chiesa da parte sua si è consegnata definitivamente a Cristo, per compiere insieme a lui la sua opera di salvezza.

Il prete, la cui esistenza è stata sigillata dal dono ricevuto con l'ordinazione sacramentale, richiama alla memoria della Chiesa che l'autodedizione di Dio è definitiva » ( C. 13 ).

Di conseguenza il prete sta con la sua esistenza nel preciso punto d'incrocio delle due definitività e le simbolizza entrambe, cosa che ancora una volta sottolinea l'esigenza di passare dall'essere al dover essere e al fare.

Per quanto riguarda la vita spirituale del prete, essa verrà compresa a partire dal Vangelo ( Mc 3,14 ) come chiamata a stare vicino al Signore e come promozione nell'esser consacrati ( Gv 17,19 ) ( C. 19 ).

Viene motivata dettagliatamente la conservazione del celibato nella Chiesa latina e sottolineata la sua libertà; si parla non solo di « piena concordantia », ma di « intima cohaerentia » tra ministero e celibato, cosa che esclude che nella verginità sacerdotale si scorga un « carisma » determinato, limitato, offerto solo a pochi, che di conseguenza sarebbe facilmente « stralciabile » dalla vocazione presbiterale ( C. 20 ).

Indice

3 Sinodo Episcopale 1971: Dos Prie s ter amt. Introduzione del cardinal Joseph Hoffner, con un breve commentario di H.U. v. Balthasar (Johannes Verlag 1972). Si tratta del terzo sinodo episcopale, sul tema: "II sacerdozio ministeriale" (30 novembre 1971)