Gli stati di vita del cristiano

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La posizione della domanda oggi

Rifacendosi alla dottrina sugli stati di vita di S. Tommaso, il cardinal D. Morder, filosofo e primate del Belgio ( La vie intérieure, 1918 ), caldeggia una chiara sovraordinazione del sacerdozio secolare sullo stato religioso.

Al suo seguito si sviluppò una nuova « teologia del sacerdozio secolare », sostenuta specialmente dal clero del Belgio e della Francia settentrionale.

Mercier considera un « ostinato pregiudizio » ( p. 185 ) porre l'ideale degli ordini religiosi sopra quello del sacerdozio secolare.

Questo pregiudizio sarebbe anche la causa di un certo malessere ( « malaise », p. 211, p. 161 ), proprio in zelanti preti secolari; essi si sentivano insoddisfatti, e cercavano di indirizzarsi nel loro tendere alla perfezione prevalentemente verso l'ideale degli ordini religiosi.

I giovani più dotati nei seminari entrerebbero di preferenza negli ordini religiosi, cosa che facilmente condurrebbe il clero secolare in odore di istituzione subordinata, anzi imperfetta.

Per questo egli vorrebbe in primo luogo abolire « l'odiosa parola "clero secolare" » ( p. 161 ), e in sostituzione propone « clero diocesano, clergé diocésain » ( p. 198 ), cosa che ha trovato un entusiastico seguito.

Mercier comincia così, sulle tracce di S. Tommaso, a distinguere nettamente fra stato di perfezione e perfezione stessa.

Il primo sta a significare uno stato esteriore, sociale, regolato dal diritto canonico, mentre la perfezione stessa ( état parfaif ) è una condizione interiore del soggetto, che vale davanti a Dio ( pp. 165-7 ).

Nel primo si trovano i vescovi e i religiosi, ma in modo tale che per il vescovo la perfezione viene presupposta con l'ordinazione, mentre i religiosi, invece, sono solamente obbligati a tendere verso la perfezione.

« L'evéque est suppose parfait » ( pp. 166-7 ).

« È sufficiente per un religioso che la perfezione sia un programma di vita, una speranza, mentre è indispensabile per il vescovo che essa sia una realtà adempiuta » ( p. 192 ).4

Ciò è così perché il vescovo impegna solennemente e irrevocabilmente la sua vita come sponsus Ecclesiae per le sue pecore ( p. 195 ).

Ora però il clero diocesano forma per così dire in stretta partecipazione al ministero episcopale - sebbene esso non sia nello stato esteriore della perfezione - il suo organo prolungato.

Mercier conclude da ciò che esso partecipa per questo in egual misura alla perfezione episcopale.

E ciò essenzialmente a motivo dell'ufficio, della funzione, che come tale esige la santità, e precisamente, secondo Tommaso, una santità maggiore di quella stessa dello stato religioso.

Mentre gli opposti testi della Summa non vengono mai citati, Mercier cita sempre di nuovo quest'unico testo ( II II q 184 a 8 ).

Si potrebbe obiettare che esigere e presupporre non sono la stessa cosa.

Ma Mercier è solo all'inizio della sua adduzione di prove.

In primo luogo questa esigenza di massima santità viene ancorata il più a fondo possibile nell'ufficio stesso del presbitero ( p. 169 ); « Voi siete obbligati in base al vostro sacerdozio ad una santità più alta che i religiosi! » ( p. 198 ).

Persino se un prete entrasse in un ordine religioso « dovrebbe cercare, adesso come prima della sua entrata, il motivo più profondo, il motivo decisivo della sua vocazione alla "religio" e alla santità, nel suo essere prete » ( p. 200 ).

« In effetti, se il religioso si consacra irrevocabilmente a Dio, a maggior titolo il prete è già consacrato a Dio per il sacramento dell'Ordine Sacro » ( p. 216 ).

Se però una simile obligatio intrinseca, inalienabilis alla santità esiste per il prete, allora devono esserci nella sua consacrazione i mezzi richiesti per la perfezione ( p. 174 ), e cioè espressamente come mezzi per la perfezione evangelica: « Voi siete chiamati non meno dei monaci, anzi più strettamente di essi, alla perfezione evangelica! » ( p. 184 ).

Tommaso aveva menzionato tre vantaggi dei consigli evangelici: liberazione dalla dipendenza dal mondo, quiete in Dio e pieno sacrificio dell'amore.

La liberazione può però compiersi anche in altra maniera, la quiete della contemplazione di Dio non è il massimo atteggiamento, poiché secondo Tommaso stesso la rinuncia alla contemplazione per salvare un'anima sta più in alto, e il pieno sacrificio sta ultimamente nell'amore stesso, che proprio nel servizio offerto, divenuto completamente altruista in favore delle anime, raggiunge la sua massima pienezza.

« Ciò che da allo stato religioso la sua superiorità sullo stato laicale è non propriamente castità, povertà, obbedienza, ma l'amore più disinteressato, che suggerisce i consigli e fa di essi la più pura offerta alla maestà del Signore.

Ora però ci sono altre offerte di puro amore, e cioè tali che stanno più in alto di quelle che risiedono nella vocazione religiosa » ( p. 180 ); vale a dire il servizio alle anime.

Del resto i consigli aggiungono alla virtù teologale della carità solo il merito della virtù morale di religione ( p. 177 ).

« Chi dunque ha realmente l'amore, possiede anche, immanenti in esso, le essenziali virtù del religioso, è non ha bisogno di imitare servilmente la sua forma di vita.

La lettera uccide, lo spirito da vita! » ( p. 183 ).

L'esecuzione esteriore dei consigli presuppone certamente una « speciale vocazione a ciò », però offre solo certi « mezzi di aiuto », un « punto di partenza » per tendere all'amore perfetto ( p. 176 ).

Questi mezzi di aiuto possono essere per certuni adeguati, non lo sono però per tutti ( p. 177 ).

Essi non sono né gli unici, poiché nel Vangelo c'è un numero considerevole di consigli, e questi a loro volta si possono realizzare in maniere infinitamente diverse ( p. 177 ), né sono i migliori: « Prova di ciò è il fatto che il vescovo, che non si vota né alla povertà né all'obbedienza del religioso, è per la Chiesa in uno stato di perfezione che è più alto dello stato di perfezione del religioso, ed è in possesso di mezzi di perfezione che stanno più in alto dei mezzi del religioso » ( p. 178 ).

« Qualunque cosa possa pensare di ciò un pubblico superficiale, è però vero che lo stato del vescovo, il quale abita in un palazzo, possiede forse personalmente un certo patrimonio, amministra beni e sbriga affari, da ordini ai suoi subalterni, è superiore a quello del religioso che si è legato coi voti ai tre consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza » ( p. 200 ).

Infatti secondo Tommaso è sufficiente il disfarsi dei possedimenti nel senso dell'indifferenza, come in effetti anche l'Apostolo ammette: « Io posso entrambe le cose: avere in sovrabbondanza e languire » ( pp. 202-3 ).

Infine il cardinale richiama l'attenzione sui limiti dello stato religioso.

Molto spesso l'anelito al convento è una fuga egoistica dalla povertà e dalle responsabilità ( pp. 213-4 ).

Soprattutto è preoccupato il religioso solo della sua salvezza personale, anzi « privata » ( p. 157 ), mentre il prete, quasi dimenticando questa, si consacra interamente alla salvezza degli altri nel perfetto amore del Signore e degli Apostoli ( p. 181, p. 206 ).

Il religioso che pronuncia i tre voti, in fondo compie con ciò solo quello che il cristiano normale ha promesso nel voto battesimale; entrambi i voti sono « essenzialmente della medesima natura » ( p. 187 ).

Il vero e proprio salto che separa i due stati è il chiericato; esso soltanto è vera « chiamata » ad uscir fuori dallo stato cristiano generale al quale appartengono laici e religiosi, e questa chiamata avviene per mezzo dei vescovi ( p. 188 ).

Poiché dunque il prete è obbligato con la sua ordinazione ad una santità più alta che i religiosi coi loro voti, « un prete che si faccia religioso non raggiunge un gradino più alto sulla scala delle obbligazioni morali e religiose » ( p. 199 ).

Piuttosto i preti secolari devono essere coscienti che essi sono in fondo i veri religiosi ( p. 159 ).

« Sì, cari confratelli, voi appartenete al primo ordine fondato nella Chiesa; il vostro fondatore è Gesù Cristo stesso; i primi religiosi del suo ordine furono gli Apostoli, i loro successori sono i vescovi e in unità con essi i preti ( … ) tutti quelli che fanno pubblica « professio » di voler avere solo Dio come loro parte di eredità, di considerare solo il servizio di Dio come contenuto della loro vita » ( p. 197 ).

« Il clero, che è nella Chiesa l'organo essenziale della « religio », è quindi realmente il religioso ufficiale, primario.

Dappertutto il coro della Chiesa è riservato a lui, e se lo si chiama « clero secolare », questo è solo perché egli non conservò visibilmente la forma esteriore di vita dei monaci, che vivono in comunità.

Egli è perciò nondimeno il clero regolare nel senso vero e proprio del termine.

Di fronte ad esso, quello così chiamato è solo un accessorio, una funzione di aiuto » ( p. 192 ).

Mentre gli altri ordini perseguono sempre più o meno scopi particolari, il clero forma l'ordine veramente universale ( p. 207 ), il fondamento di tutto lo stato d'elezione.

I primi membri di questo ordine; gli Apostoli che hanno lasciato tutto e hanno seguito Cristo, sono i suoi modelli; infatti anch'essi, a dire il vero, non conoscevano altra formula di voto che questa promessa, questo spirito di sequela ( pp. 208-9 ).

Così la posizione superiore del presbiterato rispetto allo stato religioso perdura sino in fondo; « Anche i religiosi, gli attivi come i contemplativi ( … ) devono tenere occhi e cuore indirizzati verso il vescovo, per imparare da lui, ognuno in maniera corrispondente al suo speciale stato, a conoscere e imitare il perfetto modello dell'amore e in conseguenza di ciò il modello della perfezione cristiana, religiosa e presbiterale » ( p. 217 ).

Pure Paolo, nella medesima funzione, ha sempre orientale gli occhi di tutti su di sé: « Rogo vos, imitatores mei estote, sicut et ego Christi ».

Mercier ha formulato la sua teoria così chiaramente e senza mezzi termini, che ai suoi seguaci non restava molto più che dettagliare ulteriormente le sue indicazioni, documentarle e fondarle.

E Masure ( De l'eminente dignité du Sacerdoce diocésain, 1938 ) insiste soprattutto sulla pienezza della perfezione ecclesiale, che risiede nel vescovo e alla quale partecipano direttamente i suoi « preti diocesani ».

G. Thiis ( Le dergé diocésain, 1942, ampliato e arricchito di documentazioni in: Nature et spirituali fé du dergé diocésain, 1946 ) sottolinea specialmente l'apostolicità di questo « primo ordine », il clero, e cerca la norma della perfezione presbiterale nel concetto di servizio ( ministerium ), che è allo stesso tempo « magisterium » e « regimen » ( Nature, p. 35 ).

L'entrata in questo servizio è « pienezza di un impegno universale e assoluto » ( p. 57 ) alla forma di vita del « contemplativus in actione » ( p. 270 ), nell' « ordine » universale che esisteva prima di tutte le fondazioni di ordini particolari e che ha conservato anche come sua « spiritualité » il carattere universale dell'opera della redenzione di Cristo ( p. 295ss. )

Thils ripete e amplia perciò le affermazioni di Mercier sul senso e valore relativo dei voti ( p. 371ss. ).

D'altra parte tutti coloro che vogliono seguire il Signore sino alla fine devono far propri i consigli, almeno secondo lo spirito.

Il « Chi può capire, capisca » è indirizzato non solo ai religiosi; anche i chierici credenti hanno compreso e fatto proprio l'intero messaggio del Signore » ( p. 374 ).

La situazione e con essa lo stato del clero secolare è mutato dal tempo di Tommaso.

Ciò che Tommaso riferiva solo al vescovo ( la dedizione totale al gregge a lui affidato ) è divenuto praticamente proprio dell'atteggiamento di ogni prete secolare.

Egli vive della stessa dedizione che colloca il vescovo nello stato di perfezione ( p. 393s. ).

Attorno a tutto il movimento che si pose sotto la guida di Mgr. Guerrys, arcivescovo di Cambrai, divampò un animato dibattito ( cfr. i diversi pareri nella raccolta: Pour un clergé diocésain. Une enquéte sur sa spirituali fé particulière. Problèmes du clergé diocésain I, Paris 1947 ).

Si cerca soprattutto di tener lontane dal clero diocesano le spiritualità singole degli ordini religiosi, che sarebbero, a quanto si dice, limitanti, ristrette, per collocarlo nel mezzo dell'onnicomprensiva spiritualità di Cristo e del suo triplice ufficio.

Per questo si richiede - e spesso con ragione - che il vescovo entri in più stretto contatto col suo presbiterio, in un contatto analogo a quello che hanno i superiori degli ordini religiosi nei confronti dei loro subalterni, o meglio: a quello che ebbero Cristo nei confronti degli Apostoli e i vescovi della Chiesa delle origini nei confronti delle loro comunità.

Una critica a tutta la teoria fu presto messa in atto.5

Ovviamente in base alla dignità del suo ministero il prete è più di ogni altro invitato a servirsi dei mezzi migliori che Gesù ha dato alla sua Chiesa per il raggiungimento dell'amore perfetto.

Ma ora questi mezzi sono proprio soprattutto i consigli, che si devono abbracciare non per egoismo, ma per meglio servire alla causa di Cristo.

Se c'è però una « spiritualità dello stato clericale », allora essa concerne nella medesima maniera il clero secolare e quello regolare, i quali debbono entrambi, per amore della loro missione ecclesiale, essere pronti a servire pienamente ( così P. Carpentier ).

Inoltre la partecipazione del prete alla cura pastorale del vescovo è possibile solo per il legame di obbedienza che egli prende su di sé con l'ordinazione, e la sua disponibilità al servizio si esprime nel celibato: egli viene dunque fondato nel suo stato attraverso cose che sono prese a prestito dallo stato religioso ( così P. Nicolas ).

Oltre a queste critiche si dovrà però mostrate tutta una grande dimenticanza: denunciare il fatto che si è dimenticato che nella Chiesa ci sono anche donne; donne che certamente sono chiamate allo « stato della perfezione » non meno che i chierici spesso così presuntuosi; donne che sotto il patronato della Madre del Signore e a motivo della loro femminilità possono bene accampare il diritto, ancor più che gli uomini che detengono un ufficio, a rappresentare, anzi coadempiere il perfetto atteggiamento della Chiesa che concepisce, porta in sé e genera.6

Ma dopo che sono state portate queste critiche ( e potrebbero anche venirne aggiunte altre ), fra le deformazioni della scuola di Mercier si potrà tuttavia trovare nascosto un desiderio che ci ha occupato sin dall'inizio di questo libro: riguadagnare l'originaria unità evangelica ( cristo-logico-mariana ) degli stati ecclesiali prima della loro differenziazione.

Se noi prescindiamo per una volta dalla preordinazione di Maria allo stato mondano e allo stato dei consigli ( poiché essa è vergine per diventare madre ) e dalla connessa verginità della donna ( caratteristica della Chiesa delle origini ), che come sposa di Cristo cerca di realizzare il perfetto atteggiamento della Chiesa, vediamo che l'unità personale tra stato dei consigli e missione sacerdotale nei discepoli che vivono sotto la guida di Gesù rimane un'unità che potrebbe venir definita da Suarez e dagli autori da lui citati come l' « ordine » più originario, e che così viene vista anche nel nostro tempo da Heinz Schùrmann.

E posto che il clero primitivo abbia in tutta serietà considerato come sua forma di vita la « regula » o il « canone » di questo primo « ordine » evangelico, esso dovrebbe allora ( almeno fino alla differenziazione in clero « secolare » e clero « regolare ») insieme alle vergini, ma anche insieme ai monaci, venir considerato come una continuazione di questi inizi.

L'intenzione di Mercier di porre chiaramente davanti agli occhi al suo clero diocesano questa continuità è assolutamente da riconoscere, anche se il suo atteggiamento polemico contro le forme istituzionalizzate dello stato dei consigli,7 così come la sua fissazione su alcuni testi di S. Tommaso, lo conduce in errore.

Anche nella visione comune di voto battesimale e voto « religioso » egli vede giusto, in un primo momento, nella misura in cui fa passare il monaco dallo « stato laicale » allo « stato dei consigli » come radicalizzazione del primo, che in base alla storia della Chiesa può venir definito come « stato fondamentale ».

Un'operazione simile la compie anche il Vaticano Secondo ( Lum. Gent. 41-42 ), che poi però distingue chiaramente il secondo dal primo ( Lum. Gent. 43 ).

Ma la distinzione e differenziazione non significa separazione, come fondamentalmente abbiamo visto considerando lo stato di Cristo e come mostra anche esternamente la forma di vita degli ordini attivi e degli istituti secolari.

In nessun caso si possono definire le diverse « spiritualità », che spesso si differenziano in base ai carismi dell'ordine, come « delimitazioni » della spiritualità evangelica fondamentale ( impersonata dal clero ).

È piuttosto l'unico Spirito che dispiega la sua pienezza e quella di Cristo nella ricca varietà dei suoi doni ( 1 Cor 12,4 ), e che produce così l'intima vitalità dell'organismo ecclesiale.

E mentre egli opera questo, conferma anche che la forma di vita istituzionalizzata negli ordini religiosi è coperta veramente dallo Spirito Santo, e che « la risposta dei monaci », che spesso ha parlato piuttosto paradossalmente all'interno della storia del mondo, è nell'essenziale parola dello Spirito Santo.

E così pure il seguire i consigli di Cristo non si lascia scacciare nel terreno delle « virtù morali », poiché essi « sono fondati nella parola e nell'esempio del Signore, e raccomandate dagli Apostoli e dai Padri della Chiesa, come pure dai dottori e dai pastori della Chiesa. Sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore » ( Lum. Gent. 43 ).

La tradizione ecclesiale ha sempre tenuto fermo che i consigli, come espressione d'amore e in questo come mezzo per un amore più grande, sono pieni di senso.

Solo così li intendono Gesù e Paolo.

Perciò non sarebbero affatto conciliabili con la privata preoccupazione per la propria salvezza.

Se essi promuovessero una simile preoccupazione, sarebbero più un ostacolo che un incoraggiamento sulla via di Cristo.

Dovessero in relazione a ciò incrostarsi sullo stato dei consigli delle scorie lungo il cammino della storia, allora dovrebbe anch'esso, come il clero di Mercier, venir rinviato allo stato evangelico originario: « Vendi tutto, poi vieni e seguimi! »; « Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, che divenne obbediente fino alla morte in croce! ».

Si rimane perciò, anche dopo questa discussione, all'unità duplice ( Zwei-Einheit ) mostrata all'inizio tra stato presbiterale e stato religioso.

Entrambi sono forme dell'unico stato d'elezione, forme diverse a seconda che l'elezione avvenga primariamente per una funzione oggettiva ( e di conseguenza per la vita che corrisponde a questa funzione ) o primariamente per una sequela personale ( e di conseguenza per una forma di vita oggettiva nel canone di una regola ).

Le due forme sono dunque diverse e tuttavia molto più strettamente legate l'una all'altra di quanto di solito si ritiene.

Questa unità si fonda in primo luogo nell'unità della radicalità evangelica, che solo secondariamente si può sfumare in base alle diverse elezioni, e poi più profondamente nell'unità del sacerdozio di Cristo, che è allo stesso tempo ministeriale e personale.

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4 Masure (De l'eminente dìgnité du sacerdoce diocésain, p. 25) trova l'ultima formula: "Semplificando le cose si può dire che il vescovo non ha bisogno di praticare l'ascesi per essere nello stato perfetto"
5 Cfr. KAM i (1920) p. 283ss. e Là vie spirituelle ni (1921) p. 314ss. P.R. Car-pentier S.J., La spiritualité du clergé diocésain, in NRTh 68 (1946) pp. 192-217;
P.M.J. Nicolas O.P., Sacerdoce et vie religieuse, in Revue thomiste (1946) pp. 169-182; P. Robillard O.P., La spiritualité du clergé diocésain, in La Vie spirituelle (1946) pp. 186-193. Come parola conclusiva della discussione può valere l'allocuzione di Pio xn al Congresso Internazionale dei Religiosi, l'8 dicembre 1950: "Sul rapporto tra clero secolare e regolare" (AAS 43, 1951) 26-36
6 Su questo cfr. Louis Bouyer, Mystère et Ministères de la Vernine, Aubier, Paris 1976
7 I frutti della teoria di Mercier li raccoglie Masure, chiamando veterotesta-mentari i tré voti: "È ancora un'idea dell'Antico Testamento passata nel Vangelo attraverso un'altra concezione più dinamica della santità…" ( loc. cit., 154)