Summa Teologica - I

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La mozione divina

I

2 - Quando si parla di questo argomento i teologi sono abituati a fiutare odore di polvere, e a distinguere i combattenti dalla stessa terminologia, i fedelissimi di S. Tommaso parlano infatti di premozione fisica, i seguaci di L. Molina S. J. parlano invece di cooperazione e di concorso.

Noi non pretendiamo di dirimere su due piedi una controversia che dura da secoli; ma ci fermeremo a dare qualche informazione per i lettori meno provveduti, e qualche modesto suggerimento ai colleghi teologi, per l'interpretazione genuina del pensiero di S. Tommaso.

Cominciamo col ricordare che la controversia sulla mozione divina delle creature è sorta col Protestantesimo.

I calvinisti specialmente divennero i fanatici assertori di un fatalismo teologico davvero poco rassicurante.

Esso era implicito nelle dottrine luterane sul peccato e sulla giustificazione per la sola fede.

- Predestinazione e riprovazione divennero temi ossessionanti; poiché l'eterno destino di ogni essere umano pareva dovesse dipendere da un determinismo cieco e ineluttabile, che non lasciava posto all'esercizio della libertà creata, cancellando ogni capacità di meritare.

I cattolici reagirono vivacemente in difesa del libero arbitrio.

E, come sempre avviene di fronte al pericolo, ci furono degli eccessi di zelo in alcuni difensori dell'ortodossia.

Alcuni infatti non si contentarono di colpire il fatalismo dei novatori col riaffermare la liberalità divina nel conferimento della causalità reale e formale alle creature; ma pretesero di rimettere in discussione la certezza della prescienza divina e l'infallibilità dei divini voleri.

Essi non compresero che l'errore dei protestanti non stava nell'affermazione di tale certezza e infallibilità, ma nella persuasione che l'efficacia della causalità divina dovesse essere necessariamente a scapito della libertà umana, eliminando il libero arbitrio e ogni ragione di merito.

Il Protestantesimo con i suoi motivi dogmatici ( teoria del peccato originale e conseguenze annesse, giustificazione per la sola fede, predestinazione e riprovazione praeter praevisa merita ) si era avviluppato in una contraddizione clamorosa.

Esso veniva a restringere meschinamente il concetto di Dio, mentre credeva di rivendicarne i diritti conculcati dal pelagianesimo della Chiesa Romana.

Il Dio di Calvino e di Lutero è un Dio geloso e un Dio impotente; perché incapace di donare alle sue creature la dignità di causa.

Bisognava perciò combattere il Protestantesimo partendo dal concetto tomistico di Dio, cioè dal vero concetto cristiano della divinità, e mostrare che non esiste nessuna menomazione della efficacia di Dio nell'operare, tutte le volte che si riconosce alle creature vera causalità nel loro ambito specifico.

L'efficacia delle cause seconde non è un segno della impotenza di Dio, ma un segno della sua onnipotenza.

- Si trattava di far capire ai protestanti che la mozione divina non elimina, ma promuove la causalità delle creature, compresa la libera attività degli spiriti e delle intelligenze create.

Ci furono invece dei teologi i quali cercarono di spiegare come fa Dio a non agire nelle azioni libere dell'uomo.

3 - Uno dei primi a prendere questa cattiva strada fu il domenicano Crisostomo Javelli [ 1470-1540 ? ], il quale escogitò un sistema di conciliazione tra la grazia e il libero arbitrio, che doveva essere accompagnato e seguito da una pleiade di altri analoghi tentativi.

Il tentativo più noto è quello di Ludovico Molina [ 1536-1600 ], elaborato ampiamente nel famoso libro: Liberi arbitrii cum Uratiae donis, divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione Concordia.

Il celebre gesuita spagnuolo escogite una teoria molto complessa e del tutto medita sul modo di concepire la prescienza e la mozione divina circa l'atto del libero arbitrio.

Le nuove teorie dovevano poi essere difese a oltranza dai teologi del suo Ordine, contro l'opposizione quasi unanime dei teologi delle altre scuole.

I particolari della controversia per ora non interessano; essi riguardano piuttosto le questioni della grazia.

- Basti sapere, per ora, che la controversia si è trascinata per secoli fino ai nostri giorni, assumendo spesso dei toni piuttosto aspri e perfino drammatici.

In questi ultimi cinquant'anni si sono invece moltiplicati i tentativi di conciliazione.

E così tra tomisti e molinisti si sono inseriti i « sincretisti » ( cfr. P. PARENTE, in La scuola cattolica, 1947, pp. 89-108 ).

4 - Non possiamo riassumere qui neppure per sommi capi questi vari sistemi; ma ci fermeremo ad alcune indispensabili osservazioni, per coloro che desiderano conoscere il genuino pensiero di S. Tommaso sul problema della mozione divina, senza cedere alle seduzioni di questa o di quell'altra teoria più recente sull'argomento.

- a) Prima di tutto è bene ricordare la sostanziale unanimità dei teologi contemporanei dell'Aquinate sull'universale causalità divina, anche a proposito degli atti del libero arbitrio.

- Uno dei problemi che più aveva agitato i primi decenni della grande scolastica era stata la causalità divina sull'atto peccaminoso.

Ebbene, anche in questo ormai era stato raggiunto un accordo significativo, attribuendo a Dio stesso direttamente quanto di entitativo, o di « fisico », si trova nel peccato.

I grandi Maestri del secolo XIII non esitavano affatto su tale argomento, e non trovavano niente di compromettente e di pericoloso in questa loro sentenza ( cfr. A. LANDGRAF in Scholastik, 1935, pp. 161-192, 369-394, 508-540 ).

Chi volesse conoscere il pensiero di S. Tommaso in proposito può leggere utilmente nel De Maio la q. 3, aa. i, 2.

E chi non avesse molto tempo disponibile tenga ben fisso nella mente quello che l'Aquinate insegna in questo secondo articolo: « Quando si dice che una cosa muove se stessa … non si esclude che sia mossa da un altro dal quale le deriva la mozione di se stessa; e così non ripugna alla libertà che Dio sia causa dell'atto del libero arbitrio » ( ibid. a. 2, ad 2 ).

b) Per essere onesti non dobbiamo attribuire a S. Tommaso la terminologia nata dalla controversia, ma rispettare scrupolosamente il suo dizionario.

L'Aquinate, tanto per cominciare, non parla mai di premozione, ma semplicemente di mozione divina.

Ciò non significa che essa non sia da considerarsi come prima o previa, poiché ogni causa è prima del suo effetto.

- I tomisti si rendono conto perfettamente di questa differenza di terminologia.

« Se i tomisti usano il termine premozione lo fanno unicamente per mostrare che la mozione di cui parlano è una vera mozione, che applica la causa seconda ad agire, e non un semplice concorso simultaneo ». ( R. GARRIGOU LAGRANGE, in D. T. C., XIII, pp. 34-35 ).

Il Dottore Angelico non parla neppure di concorso e di cooperazione divina nell'operazione della creatura.

Egli dice semplicemente che « Dio opera in ogni operante » ( q. 105, a. 5 ).

- Ma in questo caso non si tratta di una semplice differenza di nomenclatura.

Infatti, mentre per S. Tommaso l'azione della creatura può e deve essere attribuita a Dio immediatamente come a causa prima, riconoscendo così due cause totali in ogni operazione della creatura, la cooperazione e il concorso escludono questa possibilità.

Qualcuno potrebbe far notare che S. Tommaso parla di cooperazione divina trattando dell'atto peccaminoso ( cfr. q. 118, a. 2 ad 5 ).

Ma questa è una di quelle eccezioni che confermano la regola.

Infatti secondo l'Autore della Somma si può parlare di cooperazione solo là dove l'atto ha un aspetto che è formalmente escluso dalla causalità divina.

Leggendo attentamente il testo della Somma e delle altre opere dell'Angelico, ci accorgiamo inoltre che il significato di certi termini delicati per le controversie accennate non corrisponde a quello corrente dei manuali di teologia.

Alludiamo in particolare al termine sufficiens e ai suoi derivati.

Il contesto c'impone di tradurre tale aggettivo participiale con i sinonimi di efficace e non con quelli di sufficiente.

c) Dalla lettura dei testi ci accorgiamo che l'Aquinate tende a far rientrare il problema della causalità di Dio sull'atto libero nel quadro ordinario della mozione divina sulle creature.

Sono perciò sospetti di poco tomismo quei teologi che tendono invece a farne un caso speciale con soluzioni e teorie particolarissime.

d) Molti teologi moderni hanno il torto di voler risolvere la questione sul piano psicologico, dimenticando che siamo dinanzi a un problema eminentemente metafisico.

La radicale e immediata mozione divina sulle operazioni della creatura non si può descrivere, come non si possono descrivere né l'atto creativo, né l'azione divina conservatrice dell'universo.

- C' è da domandarsi allora che valore possano avere le discussioni interminabili sulla predeterminazione mediata dell'atto libero.

- Alcuni teologi si mostrano così preoccupati di difendere la libertà della creatura, da esigere, in sostanza, un'esenzione del libero arbitrio dai principi della metafisica.

Pare che questo non debba più essere considerato come ens ab alio in tutte le sue determinazioni accidentali.

Dio dovrebbe perciò limitarsi a esercitare su di esso una mozione generica, o una mozione mediata; perché la determinazione immediata, che non può non essere determinazione ad unum, distrugge ai loro occhi tutta la psicologia dell'atto libero.

Secondo la loro interpretazione, la tesi tomistica rispecchierebbe il semplicismo degli occasionalisti; i quali, una volta riconosciuta l'universale causalità divina, non riescono più a vedere la causalità delle creature.

Ma il vero discepolo dell'Aquinate sa come difendersi dall'occasionalismo, senza negare affatto l'immediatezza della causalità divina: basta approfondire il concetto dell'efficacia divina nel causare ( cfr. q. 105, a. 5; 3 Cont. Gent., cc. 69, 70 ).

Quando l'Aquinate considera l'atto libero sul piano psicologico, riconosce evidentemente una mozione divina non « fisica » ma morale, non predeterminante ma suadente, non immediata ma mediata, non determinata a un oggetto particolare ma generica.

E noi non troviamo niente da ridire quando si affermano, o si descrivono codeste sollecitazioni della divina bontà sui voleri umani.

Ma tutto questo non può legittimare sul piano metafisico la negazione della mozione immediata che Dio esercita su ogni operante, come causa prima e analogica di tutto l'essere.

Si sono scritti sull'argomento tanti libri che è inutile insistere.

Ma nonostante l'erudizione dei teologi moderni il problema non ha fatto veri progressi.

E più e meglio di qualsiasi trattato recente, serve per orientarsi il testo di S. Tommaso.

Si leggano perciò spassionatamente nel volume che presentiamo i passi seguenti: q. 105, aa. 3-5; q. 106, a. 2; q. 111, a. 2; q. 116, a. 1.

Si aggiungano pochi capitoli del 3 Cont. Gent., cc. 66-70.

E chi, dopo queste letture, confessa di non aver capito, si rassegni a non capire; perché a quei testi i teologi posteriori non hanno saputo aggiungere niente di indiscutibilmente vero e valido per il dogma cristiano.

- E sempre meglio affrettarsi ad accettare il mistero ( che del resto si profila all'orizzonte di qualsiasi teoria in questo campo ), piuttosto che accettare delle spiegazioni sbagliate.

Per avviare a soluzione il problema è necessario non dimenticarne mai le origini storiche.

Il fatalismo teologico del Protestantesimo non si vince accettando un concetto meschino della divinità, che ignora la causalità analogica del Primo Principio.

Questa analogia nell'ordine dinamico è tutt'uno con l'analogia nell'ordine dell'essere.

E come la negazione dell'analogia dell'ente porta all'ontologismo e all'agnosticismo; così la negazione dell'analogia del causare porta all'occasionalismo o al molinismo.

Stefano Gilson ha messo bene in evidenza quanto il Dottore Angelico dovette combattere, per affermare la causalità delle cose create, compromessa dall'occasionalismo degli arabi e da certi motivi dell'agostinismo.

Ma l'illustre studioso non ha esitato a riconoscere il motivo teologico profondo che guidava il Santo in queste sue rivendicazioni delle cause seconde.

Questi non si mostra preoccupato di rivendicare i diritti della creatura, quanto piuttosto di difendere quelli di Dio.

Un Dio che non sa fare agire, o non può dare l'operazione alle creature, senza compromettere la loro autonomia nell'ordine di natura, non è il Dio del Cristianesimo e non è il Dio di S. Tommaso ( cfr. E. Gilson, Le Thomisme, 1945, pp. 252-262 ).

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