Summa Teologica - I

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Articolo 11 - Se Dio conosca i singolari

In 1 Sent., d. 36, q. 1, a. 1; In 2 Sent., d. 3, q. 2, a. 3; C. G., I, cc. 50, 63, 65; De anima, a. 20; De Verit., q. 2, a. 5; Comp. Theol., cc. 132, 133; In 1 Periherm., lect. 14

Pare che Dio non conosca i singolari.

Infatti:

1. L'intelletto divino è più immateriale dell'intelletto umano.

Ora, l'intelletto umano per la sua immaterialità non conosce i singolari ma, come dice Aristotele [ De anima 2,5 ], « la ragione riguarda l'universale, il senso invece il particolare ».

Quindi Dio non conosce i singolari.

2. In noi le facoltà conoscitive del singolare sono soltanto quelle che ricevono le specie o immagini non separate dalle condizioni materiali, [ cioè i sensi ].

Ma in Dio le cose sono in sommo grado astratte da ogni materialità.

Quindi Dio non conosce i singolari.

3. Ogni conoscenza avviene per mezzo di una certa immagine rappresentativa.

Ma l'immagine dei singolari, in quanto tali, non pare che sia in Dio, poiché il principio della singolarità è la materia la quale, essendo pura potenza, è del tutto dissimile da Dio, il quale è atto puro.

Quindi Dio non può conoscere i singolari.

In contrario:

È scritto nei Proverbi [ Pr 16,2 ]: « Tutte le vie dell'uomo paiono pure ai suoi occhi, ma chi scruta gli spiriti è il Signore ».

Dimostrazione:

Dio conosce i singolari.

Tutte le perfezioni, infatti, che si riscontrano nelle creature, preesistono in Dio in grado eccelso, come risulta da quanto precede [ q. 4, a. 2 ].

Ora, conoscere le realtà singole appartiene alla nostra perfezione.

Quindi è necessario che Dio conosca i singolari poiché, come osserva Aristotele, è un'incongruenza che vi siano delle cose conosciute da noi e ignorate da Dio.

Quindi argomenta [ De anima 1,5; Met. 3,4 ] contro Empedocle che se Dio ignorasse la discordia sarebbe oltremodo insipiente.

Ma le perfezioni che negli esseri inferiori si trovano dissociate, in Dio esistono in modo semplice e unito.

Quindi, sebbene noi conosciamo con una facoltà le cose universali e immateriali e con un'altra quelle singolari e materiali, Dio invece conosce le une e le altre con il suo unico intuito intellettuale.

Alcuni però, volendo spiegare come ciò possa avvenire, affermarono che Dio conosce i singolari mediante le cause universali: poiché nulla è nel singolare che non derivi da qualche causa universale.

E portano questo esempio: se un astronomo conoscesse tutti i movimenti universali del cielo, potrebbe preannunciare tutte le eclissi future.

- Ma sono ragioni insufficienti.

Poiché sebbene gli esseri singolari traggano dalle cause universali certe forme e certe qualità, queste, per quanto connesse tra loro, non diventano individuali se non in forza di una data porzione di materia.

Per cui se uno sapesse di Socrate che è bianco, o che è figlio di Sofronisco, o altre cose del genere, non lo conoscerebbe in quanto è questo uomo.

Quindi, nella suddetta ipotesi, Dio non conoscerebbe i singolari nella loro singolarità.

Altri invece dissero che Dio conosce le realtà singolari applicando le cause universali agli effetti particolari.

Ma ciò non regge.

Poiché nessuno può applicare una cosa a un'altra se non conosce già quest'ultima.

Quindi tale applicazione non può essere causa della conoscenza dei singolari, ma presuppone tale conoscenza.

Dobbiamo perciò rispondere diversamente e dire che, essendo Dio causa delle cose per la sua scienza, come si è già visto [ a. 8 ], la scienza di Dio tanto si estende quanto si estende la sua causalità.

Per cui, siccome la potenza attiva di Dio si estende non solo alle forme, dalle quali si desume il concetto universale, ma anche alla materia, come si dimostrerà in seguito [ q. 44, a. 2 ], di necessità la scienza di Dio deve estendersi sino ai singolari, i quali sono individuati dalla materia.

Siccome infatti Dio conosce le cose mediante la sua essenza, in quanto essa è la somiglianza delle cose quale principio attivo di esse, è necessario che tale essenza sia il principio sufficiente per conoscere tutte le cose fatte da lui, non solo in generale, ma anche in particolare.

E ciò varrebbe pure per la scienza dell'artefice, se essa producesse tutta la sostanza della cosa, e non soltanto la forma.

Analisi delle obiezioni:

1. Il nostro intelletto astrae le specie intelligibili dai principi individuanti, per cui la specie intelligibile del nostro intelletto non può essere la similitudine dei principi individuanti.

Ed è per questo motivo che il nostro intelletto non conosce i singolari.

Ma la specie intelligibile dell'intelligenza divina, che è l'essenza di Dio, non è immateriale per astrazione, ma per se stessa, essendo il principio di tutti i principi che rientrano nella composizione di una cosa, siano essi i principi della specie o quelli dell'individuo.

Quindi Dio per mezzo di essa conosce non soltanto gli universali, ma anche i singolari.

2. Sebbene la specie dell'intelletto divino secondo il suo essere non abbia le condizioni della materia, come invece le specie esistenti nell'immaginazione e nel senso, tuttavia per la sua efficacia si estende alle realtà immateriali e a quelle materiali, come è stato spiegato [ nel corpo ].

3. La materia, sebbene si discosti dalla somiglianza di Dio per la sua potenzialità, tuttavia, avendo l'essere almeno in questo modo, conserva una certa somiglianza con l'essere divino.

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