Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se l'uomo possieda il libero arbitrio

Supra, q. 59, a. 3; I-II, q. 13, a. 6; De Verit., q. 25, aa. 1, 2; De Malo, q. 6

Pare che l'uomo non possieda il libero arbitrio.

Infatti:

1. Chi possiede il libero arbitrio fa quello che vuole.

Ma l'uomo non fa quello che vuole, poiché sta scritto [ Rm 7,19 ]: « Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio ».

Quindi nell'uomo non c'è il libero arbitrio.

2. Chiunque abbia il libero arbitrio ha il potere di volere e di non volere, di operare e di non operare.

Ma ciò non appartiene all'uomo: infatti sta scritto [ Rm 9,16 ]: « Non è di chi vuole » il volere, « né di chi corre » il correre.

Quindi l'uomo non possiede il libero arbitrio.

3. « È libero chi è causa di se stesso », come dice Aristotele [ Met. 1,2 ]: quindi non lo è chi è mosso da altri.

Ma Dio muove la volontà, poiché dice la Scrittura [ Pr 21,1 ]: « Il cuore del re è un canale d'acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole », e ancora: [ Fil 2,13 ] « È Dio che produce in noi il volere e l'operare ».

Quindi l'uomo non ha il libero arbitrio.

4. Chiunque possiede libertà di arbitrio è padrone dei suoi atti.

Ma l'uomo non è padrone dei suoi atti, poiché leggiamo [ Ger 10,23 ]: « L'uomo non è padrone della sua via, non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi ».

Per conseguenza l'uomo non è libero.

5. Dice il Filosofo [ Ethic. 3,5 ]: « Quale ciascuno è, tale è il fine che a lui appare ».

Ma non è in nostro potere essere fatti in questo o in quel modo, poiché ci viene dalla natura.

Quindi è per natura che noi seguiamo un dato fine.

Quindi non per libero arbitrio.

In contrario:

Sta scritto [ Sir 15,14 ]: « Egli da principio creò l'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere ».

E la Glossa [ ord. ] spiega: « cioè del suo libero arbitrio ».

Dimostrazione:

L'uomo possiede il libero arbitrio: altrimenti sarebbero vani i consigli, le esortazioni, i precetti, le proibizioni, i premi e le pene.

Per averne l'evidenza dobbiamo osservare che alcuni esseri agiscono senza alcun discernimento o giudizio, come la pietra che si muove verso il basso; e così tutte le cose che sono prive di conoscenza.

- Altri esseri invece agiscono con un certo giudizio, che però non è libero, come gli animali bruti.

Infatti la pecora, al vedere il lupo, giudica, con discernimento naturale e non libero, che è necessario fuggirlo: e tale giudizio non proviene da un confronto [ tra vari oggetti ], ma da un istinto naturale.

E lo stesso si dica del discernimento di tutti gli animali.

- L'uomo invece agisce in base a un [ vero ] giudizio, poiché giudica mediante la facoltà conoscitiva se una cosa vada fuggita o seguita.

Ora, siccome un tale giudizio non mira per un istinto naturale a una cosa determinata da farsi, ma dipende da un raffronto della ragione, nelle realtà l'uomo agisce con giudizio libero, avendo di conseguenza il potere di portarsi su oggetti diversi.

Infatti nelle realtà contingenti la ragione ha la via aperta verso termini opposti: come riscontriamo nei sillogismi di probabilità, o dialettici, e negli accorgimenti della retorica.

Ora, le cose particolari da farsi sono contingenti: quindi il giudizio della ragione su di esse rimane aperto verso soluzioni opposte, e non è determinato a una sola.

È necessario pertanto che l'uomo possieda il libero arbitrio, proprio perché egli è razionale.

Analisi delle obiezioni:

1. Come si è già notato [ q. 81, a. 3, ad 2 ], l'appetito sensitivo, benché obbedisca alla ragione, può talvolta dissentire, nutrendo desideri contrari a quelli che sono dettati dalla ragione.

- E il bene che l'uomo non riesce a fare quando vuole è proprio questo, « di non desiderare contro la ragione », come dice S. Agostino nel suo commento.

2. La frase dell'Apostolo non va intesa nel senso che l'uomo non voglia e non corra per libero arbitrio, ma nel senso che il libero arbitrio non è sufficiente a fare questo se non è mosso e aiutato da Dio.

3. Il libero arbitrio è causa del suo operare, dato che l'uomo muove se stesso all'azione per mezzo del libero arbitrio.

Tuttavia la libertà non esige necessariamente che l'essere libero sia la prima causa di se stesso, come per ammettere che una cosa sia causa di un'altra non si richiede che ne sia la causa prima.

Dio dunque è la causa prima, che muove le cause naturali e quelle volontarie.

E come col muovere le cause naturali non toglie che i loro atti siano naturali, così muovendo le cause volontarie non toglie alle loro azioni di essere volontarie, anzi, è proprio lui che le fa essere tali: infatti egli opera in tutte le cose secondo le proprietà di ciascuna.

4. Si dice che « l'uomo non è padrone della sua via » quanto all'esecuzione delle sue decisioni, esecuzione che, lo voglia o non lo voglia, può essere impedita.

Ma le decisioni stesse dipendono da noi: supposto però l'aiuto divino.

5. Vi sono nell'uomo due maniere di essere: una naturale e l'altra acquisita.

Quella naturale può riguardare o la parte intellettiva, o il corpo e le facoltà annesse al corpo.

Dal fatto dunque che l'uomo ha un suo modo naturale di essere nell'ordine intellettivo consegue che egli desidera naturalmente il fine ultimo, che è la felicità.

Questo appetito è naturale e non sottostà al libero arbitrio, come si è già visto [ q. 82, aa. 1,2 ].

Invece in ordine al corpo e alle facoltà annesse l'uomo può avere un suo modo naturale di essere in quanto possiede una data complessione fisica, o una data predisposizione in dipendenza dall'influsso delle cause fisiche - le quali invece non possono influire sulla parte intellettiva, non essendo questa l'atto di un corpo -.

Così dunque è vero che quale ciascuno è in base alle qualità del corpo, tale è il fine che gli si presenta: poiché da tali disposizioni fisiche l'uomo si sente inclinato a scegliere o a ripudiare qualcosa.

Però queste inclinazioni sottostanno al giudizio della ragione, a cui l'appetito inferiore obbedisce, come si è già detto [ q. 81, a. 3 ].

Quindi da ciò non viene alcun pregiudizio al libero arbitrio.

Le qualità sopraggiunte si presentano poi come abiti e passioni, in forza di cui uno è portato più a una cosa che a un'altra.

Tuttavia anche queste inclinazioni sottostanno al giudizio della ragione.

Anzi, tali qualità vi sottostanno anche perché sta in noi acquistarle, o causandole o disponendoci ad esse, oppure eliminarle.

E così non vi è nulla che si opponga alla libertà di arbitrio.

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