Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se la fruizione sia un atto della potenza appetitiva

In 1 Sent., d. 1, q. 1, a. 1

Pare che la fruizione non sia un atto della sola potenza appetitiva.

Infatti:

1. Fruire non è altro che cogliere il frutto.

Ma il frutto della vita umana, che è la beatitudine, lo coglie l'intelletto, con l'operazione del quale la beatitudine si identifica [ cf. q. 3, a. 4 ].

Quindi la fruizione non appartiene alla potenza appetitiva, ma all'intelletto.

2. Qualsiasi potenza ha il proprio fine, che è la sua perfezione: come il fine della vista è conoscere le realtà visibili, dell'udito percepire i suoni, e così via.

Ma il fine di una cosa è il suo frutto.

Quindi la fruizione appartiene a tutte le facoltà, e non soltanto all'appetitiva.

3. La fruizione comporta un certo godimento.

Ma il godimento sensibile spetta ai sensi, che godono del loro oggetto, e il godimento intellettivo, per lo stesso motivo, all'intelletto.

Quindi la fruizione appartiene alla facoltà conoscitiva, e non all'appetitiva.

In contrario:

S. Agostino [ De doctr. christ. 1,4.4; De Trin. 10, cc. 10,11 ] scrive: « Fruire è aderire mediante l'amore a una cosa per se stessa ».

Ma l'amore appartiene alla potenza appetitiva.

Quindi la fruizione è un atto della potenza appetitiva.

Dimostrazione:

Frutto e fruizione hanno lo stesso significato, e un termine deriva dall'altro.

Ora, per quanto ci riguarda, non conta sapere quali dei due derivi dall'altro, per quanto appaia probabile che la cosa più nota sia stata anche la prima nella denominazione.

Per cui sembra che il termine fruizione sia derivato dai frutti sensibili.

- Ora, il frutto sensibile è ciò che per ultimo si aspetta dall'albero, e che viene raccolto con un certo godimento.

Quindi la fruizione sembra appartenere all'amore o godimento che uno prova per l'ultima cosa attesa, che è il fine.

Ma il fine, come il bene, è oggetto dell'appetito.

È quindi evidente che la fruizione è un atto della potenza appetitiva.

Analisi delle obiezioni:

1. Nulla impedisce che un'identica cosa, sotto aspetti diversi, appartenga a potenze diverse.

Quindi la stessa visione di Dio, in quanto visione, è un atto dell'intelletto, ma in quanto bene e fine è oggetto della volontà.

E in tal senso questa ne ha la fruizione.

Per cui l'intelletto raggiunge tale fine come facoltà esecutiva; la volontà invece lo raggiunge come facoltà che muove verso di esso, e che ne fruisce una volta che è stato raggiunto.

2. Come si è già spiegato [ q. 9, a. 1 ], la perfezione e il fine di qualsiasi altra potenza rientrano nell'oggetto di quella appetitiva, come il singolare nell'universale.

Quindi la perfezione e il fine di ciascuna potenza, in quanto è un bene, spetta alla facoltà appetitiva.

Per cui la facoltà appetitiva muove le altre potenze ai fini rispettivi, e raggiunge il proprio fine quando ciascuna delle altre facoltà ha raggiunto il suo fine.

3. Il godimento abbraccia due cose: la percezione dell'oggetto conveniente, la quale appartiene alla potenza conoscitiva, e la compiacenza in ciò che viene presentato come conveniente.

E questa appartiene alla facoltà appetitiva, nella quale si riscontra pienamente il godimento.

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