Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se ci siano solo tre abiti intellettuali di ordine speculativo, cioè la sapienza, la scienza e l'intelletto

De Virt., q. 1, a. 12

Pare che non siano ben divise le virtù intellettuali di ordine speculativo in sapienza, scienza e intelletto.

Infatti:

1. Un genere non può affiancarsi in una stessa suddivisione con una sua specie.

Ora la sapienza, al dire di Aristotele [ Ethic. 6,7 ], è una specie della scienza.

Quindi la scienza non va affiancata alla sapienza nell'enumerazione delle virtù intellettuali.

2. Nella distinzione delle potenze, degli abiti e degli atti che viene desunta in base agli oggetti, si deve insistere principalmente sulla ragione formale degli oggetti, come risulta chiaro da quanto detto [ q. 54, a. 2, ad 1; I, q. 77, a. 3 ].

Perciò non si devono distinguere i diversi abiti in base ai vari oggetti materiali, ma in base alla loro ragione formale.

Ora, i princìpi dimostrativi sono la ragione della scienza delle conclusioni.

Quindi l'intelletto dei princìpi non va considerato come abito o virtù distinta dalla scienza delle conclusioni.

3. Si denomina virtù intellettuale quella che risiede nella facoltà razionale per essenza.

Ma la ragione, anche quella speculativa, svolge il raziocinio sia con sillogismi dimostrativi, sia con sillogismi dialettici.

Se quindi la scienza che è prodotta da un sillogismo dimostrativo è una virtù intellettuale di ordine speculativo, lo deve essere anche l'opinione.

In contrario:

Il Filosofo [ l. cit. ] enumera soltanto queste tre virtù intellettuali di ordine speculativo, cioè la sapienza, la scienza e l'intelletto.

Dimostrazione:

Come si è già detto [ a. 1 ], le virtù intellettuali speculative sono quelle disposizioni che perfezionano l'intelletto speculativo nella considerazione del vero: costituendo questo il suo ben operare.

Ora, il vero da considerare è di due specie: primo, quello noto per se stesso; secondo, quello conosciuto per mezzo di altre nozioni.

Ma ciò che è per sé noto ha natura di principio, e viene percepito dall'intelletto in maniera istantanea.

Perciò l'abito che predispone l'intelligenza alla considerazione di queste verità è detto intelletto, ed è l'abito dei [ primi ] princìpi.

Invece le verità conosciute mediante altre nozioni sono percepite non all'istante dall'intelletto, ma mediante una ricerca della ragione; e hanno natura di termine ultimo.

Il quale può essere di due tipi: ultimo di un dato genere e ultimo in rapporto a tutta la conoscenza umana.

E poiché, come dice il Filosofo [ Phys. 1,1 ], « le cose che noi conosciamo da ultime sono le prime e le più note per natura », ciò che è ultimo rispetto a tutta la conoscenza umana è al primo posto come l'oggetto più conoscibile per natura.

E di ciò si occupa precisamente la sapienza, la quale considera le cause supreme, come scrive Aristotele [ Met. 1, cc. 1,2 ].

Per cui giustamente essa coordina e giudica tutte le cose: poiché non si può dare un giudizio perfetto e universale se non mediante un processo risolutivo fino alle prime cause.

- Invece rispetto a ciò che è ultimo in questo o in quell'altro genere di conoscibili l'intelletto ottiene il suo compimento con la scienza.

E così ai diversi generi di conoscibili corrispondono abiti di scienze diverse; la sapienza invece non può essere che una.

Analisi delle obiezioni:

1. La sapienza è una specie della scienza in quanto possiede ciò che è comune a tutte le scienze, cioè l'attitudine a dimostrare delle conclusioni dai princìpi.

Avendo però qualcosa di proprio al disopra delle altre scienze, cioè l'attitudine a giudicare tutto, non solo le conclusioni, ma anche i princìpi, si presenta come una virtù più perfetta della scienza.

2. Quando la ragione formale di un oggetto è riferita alla potenza o all'abito in forza di un unico atto, allora gli abiti e le potenze non si possono distinguere fondandosi sulla distinzione tra oggetto formale e oggetto materiale: come spetta a un'unica potenza visiva vedere il colore e la luce, che è la ragione formale dell'atto visivo, il quale abbraccia il colore e la luce stessa.

Invece i princìpi dimostrativi possono essere considerati a parte, senza considerare le conclusioni.

E possono essere considerati anche uniti alle conclusioni, in quanto queste da essi derivano.

Considerare dunque i princìpi in questa seconda maniera appartiene alla scienza, la quale si estende alle conclusioni; considerare invece i princìpi in se stessi appartiene all'intelletto.

Se quindi vogliamo precisare bene la cosa, diremo che queste tre virtù non sono distinte tra loro con un criterio di uguaglianza, ma di subordinazione; come accade nella suddivisione di ogni tutto potenziale, in cui una parte è più perfetta dell'altra: l'anima razionale, p. es., è più perfetta di quella sensitiva, e quella sensitiva più di quella vegetativa.

In questo modo infatti la scienza riconosce la preminenza dell'intelletto da cui dipende.

E l'una e l'altro dipendono dalla sapienza, che ha una preminenza assoluta, e abbraccia sotto di sé sia l'intelletto che la scienza, in quanto giudica sia le conclusioni delle scienze, sia i loro princìpi.

3. Abbiamo già detto [ q. 55, aa. 3,4 ] che le virtù sono sempre indirizzate al bene, e in nessun modo al male.

Ora, il bene dell'intelletto è il vero, e il suo male è il falso.

Perciò possono dirsi virtù intellettuali soltanto quegli abiti con cui si afferma sempre la verità, e mai la falsità.

Invece l'opinione e la congettura possono avere per oggetto sia il vero che il falso.

Quindi, come insegna Aristotele [ Ethic. 6,3 ], esse non sono virtù intellettuali.

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