Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se la speranza rimanga dopo la morte nello stato di gloria

II-II, q. 18, a. 2; In 3 Sent., d. 26, q. 2, a. 5, sol. 2; d. 31, q. 2, a. 1, sol. 2; De Virt., q. 4, a. 4

Pare che dopo la morte nello stato di gloria la speranza debba rimanere.

Infatti:

1. La speranza nobilita l'appetito umano più delle virtù morali.

Ora le virtù morali, come dimostra S. Agostino [ De Trin. 14,9.12 ], rimangono dopo questa vita.

A maggior ragione, quindi, rimane la speranza.

2. La speranza si contrappone al timore.

Ma il timore dopo questa vita rimane: nei beati come timore filiale, che dura eternamente, e nei dannati come timore delle pene.

Quindi, per lo stesso motivo, può rimanere anche la speranza.

3. La speranza ha per oggetto un bene futuro, come il desiderio.

Ma nei beati si trova il desiderio dei beni futuri: sia rispetto alla gloria del corpo, che le anime dei beati desiderano, come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,35.68 ], sia rispetto alla gloria dell'anima, secondo quanto dice la Scrittura [ Sir 24,20 ]: « Quanti si nutrono di me avranno ancora fame, e quanti bevono di me avranno ancora sete »; e ancora [ 1 Pt 1,12 ]: « Cose che gli angeli desiderano fissare con lo sguardo ».

Perciò sembra che la speranza possa trovarsi nei beati dopo questa vita.

In contrario:

L'Apostolo [ Rm 8,24 ] si domanda: « Ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? ».

Ma i beati vedono ciò che forma l'oggetto della speranza, cioè Dio.

Quindi non sperano.

Dimostrazione:

Come sopra si è detto [ a. prec. ], ciò che implica nella sua nozione un'imperfezione del suo soggetto non può coesistere con un soggetto dotato della perfezione opposta.

Il moto, p. es., implica nella sua nozione un'imperfezione del proprio soggetto, essendo « l'atto di ciò che è in potenza in quanto è in potenza » [ cf. Arist., Phys 3,1 ]; per cui quando questa potenza passa all'atto, il moto cessa: quando infatti una cosa è ormai bianca, l'imbiancatura finisce.

Ora, la speranza implica un moto verso ciò che non si possiede, secondo le spiegazioni da noi date a proposito della passione della speranza [ q. 40, aa. 1,2 ].

Perciò quando avremo ciò che speriamo, cioè la fruizione di Dio, non ci potrà più essere la speranza.

Analisi delle obiezioni:

1. La speranza è più nobile delle virtù morali per il suo oggetto, che è Dio.

Ma gli atti delle virtù morali, eccetto la loro materia che non sempre rimane, non ripugnano, come gli atti della speranza, alla perfezione della beatitudine.

Infatti la virtù morale non nobilita l'appetito soltanto in ordine alle cose non ancora possedute, ma anche in ordine a quelle che attualmente si possiedono.

2. Il timore, come vedremo [ II-II, q. 19 a. 2 ], è di due specie: servile e filiale.

Quello servile è il timore della pena: e questo non ci potrà essere nella gloria, dove non esiste alcuna possibilità di pena.

- Invece il timore filiale ha due atti, cioè la riverenza verso Dio, e quanto a questo atto rimane, e la paura di separarsi da lui, e quanto a quest'altro atto non rimane.

Infatti separarsi da Dio ha natura di male; ma di nessun male là si potrà temere, come dice la Scrittura [ Pr 1,32 ]: « Vivrà tranquillo, sicuro dal timore del male ».

Ora il timore, secondo le spiegazioni date [ q. 23, a. 2; q. 40, a. 1 ], si oppone alla speranza in base all'antinomia tra bene e male: perciò il timore che rimane nella gloria non si contrappone alla speranza.

Nei dannati invece il timore della pena può trovarsi più che la speranza della gloria nei beati.

Poiché nei dannati ci sarà un succedersi di pene, e quindi rimane salva la nozione di cosa futura, oggetto dei timore; invece la gloria dei santi è senza successione, per una certa partecipazione dell'eternità, nella quale non esiste il passato e il futuro, ma solo il presente.

Tuttavia neppure nei dannati esiste propriamente il timore.

Infatti il timore, come si è visto sopra [ q. 42, a. 2 ], non esiste mai senza una qualche speranza di scampo: e questa nei dannati non ci può essere.

Per cui non si può parlare di timore che in senso generale, nel senso cioè di una qualsiasi aspettativa di un male futuro.

3. Rispetto alla gloria dell'anima, nei beati non ci può essere il desiderio quanto al futuro, per la ragione accennata [ a. 2 ].

Si dice comunque che vi sarà allora fame e sete per escludere la nausea; e per lo stesso motivo si parla di desiderio negli angeli.

- Invece quanto alla gloria del corpo nelle anime dei santi ci può essere il desiderio, ma non la speranza, propriamente parlando: né la speranza come virtù teologale, il cui oggetto è Dio e non un bene creato, né la speranza in senso ordinario.

Poiché oggetto della speranza è il bene arduo, come si disse sopra [ q. 40, a. 1 ]: ora, un bene di cui possediamo già la causa indefettibile non si presenta più come cosa ardua.

Per cui quando uno possiede il danaro occorrente non si dice che spera di possedere ciò che potrebbe subito comprare.

Parimenti non si può dire con proprietà di linguaggio che quanti hanno la gloria dell'anima sperano la gloria del corpo, ma solo che la desiderano.

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