Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se il peccato possa risiedere nella sensualità

In 2 Sent., d. 24, q. 3, a. 2, ad 3; De Verit., q. 25, a. 5; De Malo, q. 7, a. 6; Quodl. 4, q. 11, a. 1

Pare che il peccato non possa risiedere nella sensualità.

Infatti:

1. Il peccato è cosa propria dell'uomo, che è lodato o biasimato per i suoi atti.

Invece l'appetito sensitivo, o sensualità, è comune a noi e alle bestie.

Quindi nella sensualità non può risiedere il peccato.

2. Al dire di S. Agostino [ De lib. arb. 3,18.50 ], « nessuno pecca in cose che è impossibile evitare ».

Ma l'uomo non può evitare che gli atti della sensualità siano disordinati, essendo essa in uno stato di continua corruzione finché viviamo in questa vita mortale, tanto che da S. Agostino [ De Trin. 12, cc. 12,13 ] viene raffigurata nel serpente.

Perciò i moti disordinati della sensualità non sono peccati.

3. Non si possono imputare a un uomo come peccati cose che non compie lui stesso.

Ma come scrive il Filosofo [ Ethic. 9,8 ], « soltanto ciò che facciamo con deliberazione si può pensare che lo facciamo noi stessi ».

Perciò i moti della sensualità che avvengono senza deliberazione non sono da imputare all'uomo come peccati.

In contrario:

S. Paolo [ Rm 7,15 ] afferma: « Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto ».

Parole che S. Agostino [ Serm. 30; Contra Iul. 3,26.59 ] attribuisce al male della concupiscenza, che notoriamente è un certo moto della sensualità.

Quindi nella sensualità ci può essere il peccato.

Dimostrazione:

Come si è detto [ a. prec. ], il peccato può risiedere in qualsiasi potenza il cui atto può essere volontario e disordinato, nel che consiste l'essenza del peccato.

Ora, è evidente che l'atto della sensualità può essere volontario, in quanto la sensualità, cioè l'appetito sensitivo, è fatta per subire l'impulso della volontà.

Perciò il peccato può risiedere nella sensualità.

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene alcune facoltà della parte sensitiva siano comuni a noi e alle bestie, tuttavia in noi esse hanno una certa superiorità in quanto sono connesse con la ragione: abbiamo infatti visto nella Prima Parte [ q. 78, a. 4 ] che noi, a differenza degli altri animali, nella parte sensitiva abbiamo la cogitativa e la reminiscenza.

E in questo modo anche l'appetito sensitivo in noi, a differenza che negli altri animali, ha una certa superiorità: è fatto cioè per obbedire alla ragione.

Da questo lato dunque può essere principio di atti volontari, e quindi sede di peccati.

2. La perpetua corruzione della sensualità va riferita al fomite, che nella vita presente non viene mai del tutto eliminato: poiché il peccato originale passa come reato, ma rimane come attività.

Però questa corruzione del fomite non toglie all'uomo la capacità di reprimere i singoli moti disordinati della sensualità quando li prevede, magari rivolgendo altrove il pensiero.

Tuttavia mentre egli volge il pensiero a un'altra cosa, può insorgere un altro moto disordinato riguardo a quella: come chi distoglie il pensiero dai piaceri della carne con la speculazione scientifica volendo evitare i moti della concupiscenza, sente talora insorgere dei moti improvvisi di vanagloria.

Perciò l'uomo non può evitare tutti questi moti, per la corruzione suddetta: tuttavia perché siano dei peccati volontari basta che egli sia in grado di evitarli singolarmente.

3. Ciò che un uomo compie senza deliberazione della ragione non è perfettamente lui a compierlo: poiché non vi prende parte ciò che è principale nell'uomo.

Quindi non è un atto umano perfetto.

Di conseguenza tale atto non può essere perfetto come atto di virtù o di peccato, ma in questo genere è qualcosa di imperfetto.

Perciò tali moti della sensualità che prevengono la ragione sono peccati veniali, ossia qualcosa di imperfetto nel genere del peccato.

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