Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se certi peccati possano meritare una pena eterna

III, q. 86, a. 4; In 2 Sent., d. 42, q. 1, a. 5; In 4 Sent., d. 21, q. 1, a. 2, sol. 3; d. 46, q. 1, a. 3; C. G., III, cc. 143, 144; De Malo, q. 7, a. 10; Comp. Theol., c. 183; In Matth., c. 25; In Rom., c. 2, lect. 2

Pare che nessun peccato possa meritare una pena eterna.

Infatti:

1. Una pena giusta è adeguata alla colpa, poiché la giustizia è adeguazione.

Per cui sta scritto [ Is 27,8 Vg ]: « Con misura adeguata la punirai, gettandola in esilio ».

Ma il peccato è temporaneo.

Quindi non può meritare una pena eterna.

2. Secondo Aristotele [ Ethic. 2,3 ] « le pene sono delle medicine ».

Ma nessuna medicina deve essere infinita, essendo ordinata a un fine; « e quanto è ordinato a un fine non è mai infinito », sempre secondo il Filosofo [ Polit. 1,3 ].

Perciò nessuna pena deve essere infinita.

3. Nessuno continua a fare una cosa se non ne gode.

Ma la Scrittura [ Sap 1,13 ] afferma che « Dio non gode per la rovina dei viventi ».

Quindi non punisce gli uomini con una pena eterna.

4. Nulla di ciò che è per accidens può essere infinito.

Ma la pena è un per accidens: infatti non è secondo la natura di chi viene punito.

Quindi non può durare all'infinito.

In contrario:

Sta scritto [ Mt 25,46 ]: « E questi se ne andranno al supplizio eterno ».

E altrove [ Mc 3,29 ]: « Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna ».

Dimostrazione:

Come si è spiegato sopra [ a. 1 ], il peccato merita una punizione in quanto sovverte un dato ordine.

Ora, rimanendo la causa rimane anche l'effetto.

Quindi finché dura il sovvertimento dell'ordine deve rimanere l'obbligazione alla pena.

D'altra parte uno può sovvertire l'ordine in modo riparabile o in modo irreparabile.

Infatti la mancanza che elimina il principio stesso è sempre irreparabile; se invece salva il principio, allora in virtù di questo le deficienze possono essere riparate.

Se si corrompe, p. es., il principio visivo, la vista non è più ricuperabile se non per virtù divina; se invece la vista soffre delle obiezioni, ma ne è salvo il principio, è ancora riparabile per via di natura o di arte.

Ma ogni ordine ha un principio in rapporto al quale uno diviene partecipe di quell'ordine.

Se quindi il peccato distrugge il principio dell'ordine con cui la volontà umana è sottomessa a Dio, si avrà un disordine di per sé irreparabile, sebbene possa essere riparato dalla virtù di Dio.

Ora, il principio di quest'ordine è il fine ultimo al quale l'uomo aderisce con la carità.

Perciò tutti i peccati che ci distaccano da Dio distruggendo la carità inducono di per sé un reato di pena eterna.

Analisi delle obiezioni:

1. Sia nel giudizio divino che in quello umano la pena viene adeguata alla colpa quanto al rigore, come dice S. Agostino [ De civ. Dei 21,11 ]; mai però si richiede che venga adeguata alla colpa quanto alla durata.

Infatti l'adulterio, o l'omicidio, non viene punito con la pena di un momento per il fatto che è stato commesso in un momento, ma viene punito talvolta con il carcere perpetuo o con l'esilio, e talvolta anche con la morte.

Nella quale ultima pena non va considerata la durata dell'esecuzione, ma piuttosto la perpetua esclusione dal consorzio dei viventi: per cui essa rappresenta in qualche modo l'eternità della pena inflitta da Dio.

Ora, come insegna S. Gregorio [ Mor. 34,19 ], è giusto che sia punito nell'eternità di Dio chi osò peccare contro Dio nell'eternità del proprio essere.

E si dice che uno ha peccato nell'eternità del proprio essere non solo per la continuità dell'atto peccaminoso durante tutta la sua vita, ma anche perché, avendo costituito il proprio fine nel peccato, mostra la volontà di voler peccare eternamente.

Per cui S. Gregorio aggiunge che « gli iniqui avrebbero voluto vivere senza fine per poter rimanere senza fine nel peccato ».

2. Anche le pene inflitte dalla legge umana non sempre sono medicinali per chi è punito, ma solo per gli altri: quando p. es. viene impiccato un brigante, non lo si fa per la sua emendazione, ma per gli altri, perché desistano dal peccare almeno per timore della pena, secondo il detto dei Proverbi [ Pr 19,25 ]: « Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà accorto ».

Così dunque anche le pene eterne dei reprobi inflitte da Dio sono medicinali per coloro che in seguito alla considerazione delle pene si astengono dai peccati, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 60,6 ]: « Hai dato un segnale ai tuoi fedeli perché fuggissero lontano dagli archi ».

3. Dio non gode delle pene in se stesse, ma si allieta per l'ordine della sua giustizia, che le richiede.

4. La punizione, sebbene sia ordinata alla natura per accidens, tuttavia è ordinata di per sé alla restaurazione dell'ordine leso e alla giustizia di Dio.

Perciò finché dura il disordine dura anche la pena.

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