Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la confessione della fede sia necessaria alla salvezza

In 3 Sent., d. 29, q. 1, a. 8, sol. 2, ad 3; Quodl., 9, q. 7, a. 1; In Rom., c. 10, lect. 2; c. 14, lect. 3

Pare che la confessione della fede non sia necessaria alla salvezza.

Infatti:

1. Per salvarsi basta che uno raggiunga il fine della virtù.

Ma il fine proprio della fede è l'adesione della mente umana alla verità divina; e questa ci può essere anche senza la confessione esterna.

Dunque la confessione della fede non è necessaria per salvarsi.

2. Con la confessione esterna un uomo manifesta ad altri la propria fede.

Ma ciò è obbligatorio solo per quelli che hanno il compito di istruire gli altri nella fede.

Perciò la gente semplice non è tenuta a confessare la fede.

3. Non può essere necessario alla salvezza ciò che può turbare e scandalizzare gli altri, poiché l'Apostolo [ 1 Cor 10,32 ] raccomanda: « Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio ».

Ora, la confessione della fede provoca talora turbamento fra gli increduli.

Quindi la confessione della fede non è necessaria alla salvezza.

In contrario:

L'Apostolo [ Rm 10,10 ] insegna: « Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza ».

Dimostrazione:

Le cose necessarie alla salvezza cadono sotto i precetti della legge di Dio.

Ma la professione di fede, essendo qualcosa di positivo, non può cadere che sotto un precetto affermativo.

Essa è perciò tra le cose necessarie alla salvezza nel modo in cui può cadere sotto un precetto affermativo della legge divina.

Ora i precetti affermativi, come si è visto sopra [ I-II, q. 71, a. 5, ad 3; q. 100, a. 10 ], non obbligano ad agire sempre, sebbene obblighino sempre, ma obbligano in tempi e luoghi determinati, e secondo altre precise circostanze alle quali l'atto umano è legato per essere virtuoso.

Non è quindi necessario alla salvezza confessare la fede sempre e in qualsiasi luogo, ma solo in luoghi e tempi determinati, cioè quando l'omissione di tale professione comprometterebbe l'onore dovuto a Dio, o anche l'utilità del prossimo: p. es. quando uno, interrogato sulla sua fede, tacesse, e con ciò facesse credere di non averla, o che essa non sia vera, oppure distogliesse altri dalla fede col suo silenzio.

In questi casi infatti la professione della fede è necessaria alla salvezza.

Analisi delle obiezioni:

1. Il fine della fede, come anche di tutte le altre virtù, deve essere subordinato al fine della carità, cioè all'onore di Dio e al bene del prossimo.

Perciò quando l'onore di Dio e il bene del prossimo lo richiedono, l'uomo non deve accontentarsi di aderire personalmente alla verità divina con la sua fede, ma deve confessarla esternamente.

2. In caso di necessità, quando la fede è in pericolo, chiunque è tenuto a manifestarla agli altri, sia per istruire e confermare i fedeli, sia per frenare l'impertinenza degli increduli.

Negli altri invece tempi non spetta a tutti i fedeli insegnare le verità di fede.

3. Se dall'aperta confessione della fede nascesse del turbamento fra gli increduli, senza alcuna utilità per la fede e per i fedeli, tale confessione pubblica non sarebbe encomiabile.

Infatti il Signore [ Mt 7,6 ] ammonisce: « Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e si voltino per sbranarvi ».

Se però si spera una qualche utilità, o se è necessario, si deve confessare la fede pubblicamente disprezzando il turbamento degli infedeli.

Infatti il Vangelo [ Mt 15,14 ] racconta che quando i discepoli riferirono al Signore che i farisei si erano scandalizzati delle sue parole, egli rispose: « Lasciateli! », cioè non vi curate di loro: « sono ciechi e guide di ciechi ».

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