Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se si possa sperare lecitamente nell'uomo

Infra, q. 25, a. 1, ad 3; Comp. Theol., p. 2, c. 7

Pare che si possa sperare lecitamente nell'uomo.

Infatti:

1. L'oggetto della speranza è la beatitudine eterna.

Ora, per conseguire questa beatitudine troviamo aiuto nel patrocinio dei santi: poiché S. Gregorio [ Dial. 1,8 ] insegna che « la predestinazione è aiutata dalle preghiere dei santi ».

Quindi si può sperare nell'uomo.

2. Se non si potesse sperare nell'uomo, non si dovrebbe considerare peccaminoso il fatto che uno si renda tale da non ispirare fiducia.

E invece ad alcuni ciò viene rimproverato, come appare da quelle parole di Geremia [ Ger 9,3 ]: « Ognuno si guardi dal suo amico, non fidatevi neppure del fratello ».

Perciò è lecito sperare nell'uomo.

3. La preghiera di domanda, come si è detto [ a. 2, ob. 2 ], è l'interprete della speranza.

Ma un uomo può chiedere qualcosa a un altro uomo.

Quindi può sperare lecitamente da lui.

In contrario:

Sta scritto [ Ger 17,5 ]: « Maledetto l'uomo che confida nell'uomo ».

Dimostrazione:

Come si è già visto [ I-II, q. 40, a. 7; q. 42, a. 1; a. 4, ad 3 ], la speranza ha di mira due cose: il bene a cui si aspira e l'aiuto con cui esso viene raggiunto.

Ora, il bene che uno spera di raggiungere ha funzione di causa finale, mentre l'aiuto con cui spera di raggiungerlo ha natura di causa efficiente.

Ma in tutti e due i generi di causalità c'è l'elemento principale e quello secondario.

Infatti il fine principale è il fine ultimo, mentre il fine secondario è il bene che serve come mezzo per raggiungere il fine.

E similmente la causa efficiente principale è il primo agente, mentre la causa efficiente secondaria è la causa agente secondaria e strumentale.

Ora, la speranza ha di mira la beatitudine eterna come fine ultimo, e l'aiuto di Dio come causa prima che porta alla beatitudine.

Come quindi non è lecito sperare un bene diverso dalla beatitudine quale fine ultimo, ma solo quale mezzo ad essa subordinato, così non è lecito sperare in un uomo, o in un'altra creatura, come se si trattasse di una causa prima, capace di condurre alla beatitudine.

È invece lecito sperare in un uomo o in altre creature se esse vengono considerate quali agenti secondari e strumentali, capaci di servire al conseguimento di certi beni ordinati alla beatitudine.

Ed è in questo modo che noi ci rivolgiamo ai santi e chiediamo agli uomini determinate cose; ed è per questo che vengono rimproverati coloro dai quali non si può sperare un aiuto.

Sono così risolte anche le obiezioni.

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