Summa Teologica - II-II

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Articolo 8 - Se il comandare sia l'atto principale della prudenza

I-II, q. 57, a. 6; In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 3; De Virt., q. 1, a. 12, ad 26; q. 5, a. 1; In Rom., c. 8, lect. 1; In 6 Ethic., lect. 9

Pare che il comandare non sia l'atto principale della prudenza.

Infatti:

1. Il comandare ha di mira le opere buone da compiere.

Ma S. Agostino [ De Trin. 14,9.12 ] stabilisce come atto della prudenza « il premunirsi contro le insidie ».

Quindi il comandare non è l'atto principale della prudenza.

2. Il Filosofo [ Ethic. 6, cc. 5,7,9 ] scrive che « è proprio della persona prudente sapere ben deliberare ».

Ma da quanto abbiamo detto [ I-II, q. 57, a. 6 ] risulta che deliberare e comandare non sono la stessa cosa.

Perciò l'atto principale della prudenza non è quello di comandare.

3. Comandare, o imperare, appartiene alla volontà la quale, avendo per oggetto il fine, muove le altre facoltà dell'anima.

Ma la prudenza non è nella volontà, bensì nella ragione.

Quindi l'atto della prudenza non è il comandare.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 6,10 ] afferma che « la prudenza è imperativa ».

Dimostrazione:

La prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere, come sopra [ a. 2, s.c. ] si è detto.

È necessario quindi che l'atto principale della prudenza sia l'atto principale della ragione rispetto alle azioni da compiere.

Ora, tre sono in proposito gli atti della ragione.

Il primo è l'atto del deliberare: il quale appartiene alla ricerca, poiché deliberare equivale a cercare, come sopra [ I, II, q. 14, a. 1 ] si è visto.

Il secondo atto consiste nel giudicare ciò che si è trovato: e di ciò si occupa la ragione speculativa.

La ragione pratica invece, che è ordinata all'azione, procede oltre, e si ha il terzo atto che consiste nel comandare: il quale atto si riduce ad applicare le cose deliberate e giudicate all'operazione.

E poiché questo atto è più prossimo al fine della ragione pratica, esso è l'atto principale di questa ragione, e quindi della prudenza.

E ne è segno il fatto che la perfezione dell'arte consiste nel giudizio e non nel comando.

Per cui viene considerato un artista migliore quello che nella sua arte sbaglia volontariamente, conservando così la rettitudine del giudizio, piuttosto che l'artista che sbaglia senza volere, per un errore di giudizio.

Invece nella prudenza avviene il contrario, come dice Aristotele [ Ethic. 6,5 ]: infatti chi sbaglia volontariamente ha meno prudenza di chi pecca involontariamente, appunto perché manca nell'atto principale della prudenza, che è il comando.

Analisi delle obiezioni:

1. L'atto del comandare si estende sia al perseguimento del bene che alla fuga del male.

- E tuttavia S. Agostino non attribuisce alla prudenza « il premunirsi contro le insidie » in qualità di atto principale, poiché tale atto della prudenza non rimane nella patria.

2. La bontà della deliberazione è richiesta per applicare all'opera ciò che si è bene trovato.

Perciò l'atto del comando è proprio della prudenza, che è fatta per ben deliberare.

3. Di per sé il muovere appartiene alla volontà.

Ma il comandare implica la mozione secondo un certo ordine.

Esso perciò è un atto della ragione, come sopra [ I-II, q. 17, a. 1 ] si è dimostrato.

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