Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se tra le specie della prudenza ci sia la prudenza regale

Supra, q. 48; In 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 1, sol. 4; In 6 Ethic., lect. 7

Pare che tra le specie della prudenza non ci sia la prudenza regale.

Infatti:

1. La prudenza regale è ordinata a conservare la giustizia: infatti Aristotele [ Ethic. 5,6 ] afferma che « il principe è il custode del giusto ».

Perciò la funzione regale appartiene più alla giustizia che alla prudenza.

2. Stando al Filosofo [ Polit. 3,5 ], il regno è una delle sei forme di governo civile.

Ora, nessuna specie della prudenza viene desunta dalle altre cinque forme di governo, che sono l'aristocrazia, la timocrazia, la tirannide, l'oligarchia e la democrazia.

Quindi neppure dal regno si deve desumere una prudenza regale.

3. Fare le leggi non appartiene soltanto ai re, ma anche ad altri governanti e al popolo stesso, stando alle parole di S. Isidoro [ Etym. 2,10 ].

Ma il Filosofo [ Ethic. 6,8 ] mette la prudenza legislativa tra le parti della prudenza.

Perciò non è giusto sostituire questa prudenza con quella regale.

In contrario:

Il Filosofo [ Polit. 3,2 ] afferma che « la prudenza è la virtù propria del principe ».

Quindi ci deve essere una speciale prudenza dei regnanti.

Dimostrazione:

Come si è visto [ q. 47, aa. 8,12 ], la prudenza ha il compito di governare e di comandare.

Perciò quando negli atti umani abbiamo una forma speciale di governo, o di comando, abbiamo pure una forma speciale di prudenza.

Ora, è evidente che in colui che ha il compito di governare non solo se stesso, ma anche la perfetta collettività di una città o di un regno, si riscontra una speciale e perfetta forma di governo: tanto più infatti un governo è perfetto quanto più è universale ed esteso, e quanto più alto è il fine che deve raggiungere.

Quindi al re, che ha il compito di governare una città o un regno, la prudenza appartiene nella sua forma più perfetta e specifica.

E così la prudenza regale di governo è posta tra le specie della prudenza.

Analisi delle obiezioni:

1. Tutti i requisiti delle virtù morali ricadono sotto la guida della prudenza per cui, come si è detto [ q. 47, a. 5, ob. 1; I-II, q. 58, a. 2, ad 4 ], la retta ragione della prudenza viene posta nella definizione delle virtù morali.

Quindi anche la stessa esecuzione della giustizia, in quanto è ordinata al bene comune a cui l'ufficio del re è interessato, ha bisogno della guida della prudenza.

Infatti queste due virtù, la prudenza e la giustizia, sono quelle più proprie di un re, secondo le parole di Geremia [ Ger 23,5 ]: « Regnerà da vero re e sarà saggio, ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra ».

Siccome tuttavia il governo appartiene più al re e l'esecuzione più ai sudditi, la saggezza regale viene considerata più una specie della prudenza, che ha un compito di guida, che non della giustizia, che ha un compito esecutivo.

2. Come nota Aristotele [ Ethic. 8,10 ], tra le altre forme di governo la monarchia è la migliore.

Perciò questa specie della prudenza doveva essere denominata dal regno.

In modo però che sotto questa denominazione siano compresi tutti gli altri regimi onesti; non invece quelli perversi, che sono incompatibili con la virtù, e quindi non appartengono alla prudenza.

3. Il Filosofo qui denomina la prudenza regale dall'atto principale del re, che è quello di stabilire le leggi.

Il quale compito, sebbene spetti anche ad altri, tuttavia non conviene loro se non in quanto partecipano alle prerogative del governo regale.

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